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Il rapporto tra onore e libertà di espressione nell’ordinamento giuridico italiano

IL DIRITTO ALL’ONORE COME LIMITE ALLA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE

2. Il rapporto tra onore e libertà di espressione nell’ordinamento giuridico italiano

Nell’ordinamento giuridico italiano, il rapporto tra onore e libertà di espressione è talmente stretto che – come già ricordato – parte della dottrina103 ha rinvenuto il fondamento del primo nell’art. 21

della Costituzione, che garantisce appunto la libera manifestazione del pensiero. Sennonché, siamo di fronte a due diritti di grande rilevanza giuridica accomunati da una vaghezza normativa a tratti imbarazzante: da una parte, infatti, il legislatore non fornisce una definizione di “onore”; e dall’altra lo stesso non chiarisce se la libertà di espressione debba ritenersi “smisurata” ovvero se essa incontri dei limiti e se, tra questi, vi sia il diritto all’onore.

Considerata la mancanza di una disciplina legislativa ad hoc, la configurazione in concreto del rapporto tra l’onore e la libera manifestazione del pensiero è desumibile allora dalla giurisprudenza e, in particolare, da alcune pronunce della Corte Costituzionale che ne hanno tracciato la ratio del bilanciamento nel corso degli anni.

Nel 1974, la Corte Costituzionale ebbe modo di statuire per la prima volta sul tema, esprimendosi in maniera netta ed

103S.v. CERRI A., Tutela dell'onore, riservatezza e diritto di cronaca in alcune

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affermando che “la previsione costituzionale del diritto di manifestare il proprio pensiero non integra una tutela incondizionata e illimitata della libertà di manifestazione del pensiero, giacché, anzi, a questa sono posti limiti derivanti dalla tutela del buon costume o dall’esistenza di beni o interessi diversi che siano parimenti garantiti o protetti dalla Costituzione. […] E tra codesti beni ed interessi, ed in particolare tra quelli inviolabili, in quanto essenzialmente connessi con la persona umana, è l’onore (comprensivo del decoro e della reputazione)”104.

Dalla citata pronuncia emerge innanzitutto che i limiti alla libertà di espressione sono individuati dall’ordinamento non in maniera ferma ed incontrovertibile: la loro determinazione, piuttosto, è rimessa al giudice il quale si orienterà contemperando l’estensione di tale diritto con riferimento a principi e valori che abbiano rilevanza costituzionale. Ciò fa sì che la libertà di espressione possa in concreto incontrare un elevato numero di limiti, senza però che gli stessi siano espressamente consacrati in una disposizione della Carta. Tra questi vi è anche l’onore che – come ricordato – trova tutela costituzionale indiretta,essendo cioè incluso nel novero dei valori genericamente tutelati dagli artt. 2 e 3 della Costituzione. La Corte infatti erige espressamente l’onore a limite della libertà di espressione (come peraltro lo stesso consesso farà in altre e successive pronunce105) dopo averlo

annoverato tra i “diritti inviolabili dell’uomo” e dunque tra i “valori fondamentali dell’ordinamento giuridico”.

L’onore, ad ogni modo, non costituisce un limite invalicabile della libertà di espressione. Ed infatti vi è almeno un caso evidente in

104 Corte Cost. n. 86/1974.

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cui la violazione dell'onere viene ad essere “tollerata”, a favore della libertà di espressione. Ciò si verifica laddove “il responsabile” della lesione dell’onore sia in grado di provare che la sua condotta costituisca esercizio di un diritto: cosa evidente, per esempio, nella fattispecie del “giornalista che, nell’esplicazione del compito di informazione ad esso garantito dall’art. 21 Cost., divulghi col mezzo della stampa notizie, fatti o circostanze che siano ritenute lesive dell’onore o della reputazione altrui, sempreché la divulgazione rimanga contenuta nel rispetto dei limiti che circoscrivono l’esplicazione dell’attività informativa derivabili dalla tutela di altri interessi costituzionali protetti” (Corte Cost. n. 175/1971). Più precisamente - ha poi avuto modo di chiarire la Corte di Cassazione - la divulgazione di fatti e giudizi disonorevoli può avvenire senza configurare il reato di diffamazione a mezzo stampa ogni qualvolta gli stessi hanno una certa “utilità sociale”106. A bene vedere, però, una simile

affermazione più che addurre chiarezza, complica ulteriormente il rapporto tra i diritti in questione. Il concetto di “utilità sociale”, infatti, essendo fortemente ambiguo nel suo significato, attribuisce al giudice ampissima discrezionalità, con la conseguenza che il confine tra libertà di manifestazione del pensiero e tutela dell’onore viene inevitabilmente rimesso soltanto al tratto dell’interprete, con evidenti ricadute negative in termini di certezza del diritto. Il significato di “utilità sociale” è infatti estremamente vago e, come per il concetto di “onore”, il suo significato è ancora una volta soltanto presupposto nei testi normativi: ne sia esempio l'art. 41 Cost., in cui è dato leggere: “L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in

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contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Cosa debba intendersi per “utilità sociale”, quindi, non è dato sapere. In un'ottica utilitaristica riconducibile a Bentham e Stuart Mill, si potrebbe ritenere che con tale concetto si voglia indicare il tendere alla realizzazione della maggiore felicità possibile per il maggior numero di persone possibili; una simile definizione però, oltre che assai astratta, poco o nulla adduce all'analisi del rapporto tra libertà di espressione e onore. È opportuno allora far riferimento ancora una volta alla giurisprudenza, per cercare di soddisfare aspettative che, purtroppo – possiamo anticipare – rimarranno deluse. Ed invero dall’analisi di alcune pronunce della Cassazione si apprende che per utilità sociale debba intendersi il “pubblico interesse”107. La soluzione giurisprudenziale dunque non risolve -

anzi aggrava - l'empasse, poiché, al fine di chiarire il significato di un concetto (l'utilità sociale, appunto) ne introduce un altro (id est: il pubblico interesse) che necessiterebbe, a sua volta, di essere esplicitato: insomma, un circolo vizioso! E laddove non vi è chiarezza semantica, la discrezionalità del giudice aumenta e, proporzionalmente, diminuisce la certezza del diritto.

Il fatto che sia necessariamente il giudice a decidere, in maniera molto discrezionale, se il diritto alla libertà di espressione sia trasbordato nel caso di specie in lesione dell'altrui onore, è dunque questione evidente e grave. Ne sia esempio di ciò la vicenda - giunta poi in Cassazione - nella quale una scrittrice, autrice di un libro in cui narrava le proprie vicende amorose con un tale professore di sua conoscenza, fu condotta in tribunale dalla nipote di quest'ultimo - ormai deceduto - poiché, a suo dire, il libro era

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lesivo dell'onore dello zio. Sulla questione, la Corte di Cassazione rilevò che “il giudice di merito, con motivazione congrua ed ampiamente argomentata, ha dato conto delle ragioni per cui ha ritenuto che i fatti descritti nel libro della C. e riferiti, in particolare, al rapporto sentimentale instauratosi tra la P. e il Ce., non costituissero offesa all'onore e alla reputazione di quest'ultimo, né alterassero il diritto all'identità personale del medesimo”108. Ciò a dimostrazione del fatto che al giudice di

merito è chiesto solo di motivare e argomentare la propria statuizione: assolto quest'onere, la sua decisione è pressoché insindacabile.

Orbene, da quanto detto pare potersi concludere che il rapporto tra il diritto all’onore e la libertà di espressione nell’ordinamento italiano è strutturato in modo tale che l’onore rappresenti un limite per detta libertà: un limite, però, non assoluto e del quale non se ne conosce bene neppure l’essenza. Non solo. L’utilizzo di tale limite non è disciplinato dalla legge, bensì è rimesso alla decisione del giudice nel caso concreto. Ad avviso di chi scrive, una simile situazione, in uno Stato di diritto, meriterebbe certamente di essere affrontata con maggiore vigore in sede legislativa.

3. Il rapporto tra onore e libertà di espressione