• Non ci sono risultati.

Il rapporto tra onore e libertà di espressione con riferimento alle ICT

IL DIRITTO ALL’ONORE COME LIMITE ALLA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE

4. Il rapporto tra onore e libertà di espressione con riferimento alle ICT

Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (in inglese: Information and Communication Technology, da cui l’acronimo ICT) hanno stravolto la forma tradizionale del comunicare,

111 CEDU 21 settembre 2010, Polanco Torres e Movilla Polanco c. Spagna;

CEDU 9 aprile 2009, A. c. Norvegia.

112 Come si è visto nei citati casi CEDU 15 novembre 2007, Pfeifer c. Austria;

88

annullando di fatto i confini spazio-temporali. Il web ha creato una comunicazione globale, inventando un ambiente digitale che si è aggiunto al tradizionale ambiente materiale, fisico. Tale “nuovo mondo”, complessivamente definibile come “società dell'informazione”, in quanto comunque “vero” (ossia “reale”), diviene uno spazio in cui la vita dell’individuo prende forma e, pertanto, è necessario che anche “in rete” vengano tutelati e garantiti di diritti dell’individuo. Proprio come nell'ambiente materiale, anche in quello digitale vengono così a contrapporsi esigenze e diritti, i quali necessitano di una regolamentazione peculiare: che tenga conto, cioè, delle diversità che comunque esistono tra i due citati ambienti. Sennonché, tale regolamentazione ancora ad oggi è parziale o addirittura assente113 e le attuali Carte dei Diritti si dimostrano spesso

impotenti verso le nuove esigenze di un individuo che viene ora in rilievo quale “cittadino di internet”114.

Libertà di espressione e onore, dunque, si ritrovano a fronteggiarsi anche sul web, in un rapporto che resta regolato dalle già scarne disposizioni normative proprie della realtà “tangibile” e con il ruolo dell’interprete che è sempre più rilevante nel bilanciamento degli interessi in gioco. In particolare, internet diviene uno spazio nuovo nel quale il rapporto tra libertà di espressione e onore assume una dimensione nuova nella quale le possibilità di violazioni dell’uno o dell’altro diritto si moltiplicano

113Non a caso, il commissario Agcom Antonio Martusciello, in un’intervista del

30 giugno 2016, denunciava espressamente la necessità di intervenire con una regolamentazione specifica al fine di disciplinare il fenomeno del Cyberbullismo (cft. online, http://www.corrierecomunicazioni.it/it-world/42293_cyberbullismo- martusciello-la-soluzione-e-istitzuonale-serve-legge-ad-hoc.htm).

114 PIZZETTI F., Prefazione in OROFINO M., La libertà di espressione tra

89

e si differenziano dalle forme ordinarie. Si pensi, per esempio, alle frasi riportate sui social network nelle quali il diritto di opinione è sempre al limite con il reato di diffamazione, il quale assume peraltro connotati ancora più forti, poiché la scrittura, a differenza della parola, riattualizza il passato, e dunque ciò che è stato scritto a mesi di distanza è sempre vivo ed evidente nel presente, con la possibilità di raggiungere un numero di destinatari altissimo. Questo aspetto non ha lasciato indifferente la giurisprudenza la quale ha avuto modo di pronunciarsi con severità, a protezione dell’onore e della reputazione, e dunque in maniera restrittiva avverso la libertà di espressione, sottolineando che l’opinione espressa sui social network ben può configurare non il semplice reato di diffamazione bensì una forma aggravata dello stesso. E’ questo quanto rilevato – tra le tante – dalla pronuncia della Corte di Cassazione n. 8328/2016 secondo la quale, in particolare, “anche la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l'uso di una bacheca “facebook” integra un'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell'art. 595, comma terzo, cod. pen., poiché la diffusione di un messaggio con le modalità consentite dall'utilizzo per questo di una bacheca facebook, ha potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, sia perché, per comune esperienza, bacheche di tal natura racchiudono un numero apprezzabile di persone (senza le quali la bacheca facebook non avrebbe senso), sia perché l'utilizzo di facebook integra una delle modalità attraverso le quali gruppi di soggetti socializzano le rispettive esperienze di vita, valorizzando in primo luogo il rapporto interpersonale, che, proprio per il mezzo utilizzato, assume il profilo del rapporto interpersonale allargato ad un

90

gruppo indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione”115.

Un orientamento giurisprudenziale particolarmente severo verso la diffamazione “digitale” si riscontra poi in Svizzera, dove nel maggio 2017 il Tribunale di Zurigo ha condannato al pagamento di una multa di circa 3.600 euro un utente per il solo fatto di aver messo un “like” ad un “post” su Facebook dal contenuto diffamatorio116.

Un tentativo di stemperare questo atteggiamento di estrema severità, è stato invece effettuato proprio dalla Corte di Cassazione italiana la quale, pur conformandosi al generale orientamento per il quale la diffamazione a mezzo Facebook va considerata “aggravata”, ha statuito che la stessa è meno grave della diffamazione “a mezzo stampa”117. Pare così aversi una sorta

di gradualità nella scala di ciò che è considerato “grave” o “aggravato” che non convince appieno, già soltanto per il fatto che tale scala non è stata mai ipotizzata dal legislatore ma sostanzialmente creata dall’interprete.

L'ambiente digitale, peraltro, pone un altro problema affatto verificabile nel tradizionale ambiente materiale: quello cioè di esporre a responsabilità i gestori delle piattaforme attraverso le quali è possibile comunicare a distanza. In altre parole, a differenza di quanto avviene nell'ambiente materiale, in quello digitale il gioco “a due” tra chi invoca il diritto alla libertà di espressione e chi invoca il diritto all’onore, diviene spesso un gioco “a tre”, nel quale assume rilevanza il ruolo di chi offre il piano su

115 Conforme, Cass. Pen. N. 24431/2015.

116 La notizia è stata riportata dal quotidiano “Repubblica” nella sua versione

online del 2 giugno 2017 (www.repubblica.it).

91

cui la partita dei diritti di fatto si gioca. In altre parole, è come se venisse considerato titolare del diritto alla libertà di espressione – ovvero, responsabile della lesione dell’altrui onore attraverso espressioni comunque proferite da terzi – colui che si limita a mettere a disposizione della collettività delle piattaforme informatiche prodromiche alla comunicazione telematica. E’ questo un aspetto singolare nella misura in cui il gestore è chiamato a rispondere in prima persona per opinioni non sue e semplicemente “ospitate” nel proprio spazio web. Tale posizione pare avere effettivamente rilevanza giuridica, tant’è che, a livello internazionale, sul punto si è pronunciata la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con la decisione relativa al leading case noto come “Delfi vs. Estonia”, condannando il gestore del giornale online reo, appunto, di aver messo a disposizione della collettività uno spazio poi sfruttato da alcuni utenti per riportare opinioni diffamatorie. Per giungere alla citata decisione, la Corte ha naturalmente preso come riferimento normativo la disposizione di cui all’art. 10 della Convenzione (libertà di espressione) bilanciandolo con alcuni fattori tra cui, primo fra tutti, il contenuto dei commenti in questione, ed operando così una valutazione assolutamente discrezionale. La massima così severa è stata peraltro bilanciata dal principio espresso dalla medesima Corte per il quale la responsabilità del gestore viene meno quando si adopera per rimuovere quanto prima il commento diffamatorio dalla propria piattaforma. È interessante notare, ancora, come la Corte abbia ribaltato la decisione del Tribunale estone che invece, nel rapporto tra libertà di espressione e onore, aveva dato preferenza per quest’ultimo: ancora una volta, dunque, le decisioni sovranazionali si presentano come più restrittive della

92

libertà di espressione rispetto alle decisioni dei singoli Stati nazionali.

Il rapporto tra libertà di espressione e onore nell'ambiente digitale va valutato considerando poi anche un aspetto ulteriore: quello cioè legato all'utilizzo delle informazioni personali presenti sul web, e dunque all'interiezione tra la libera manifestazione del pensiero e la tutela della privacy in rete. Le nuove tecnologie dell'informazione infatti determinano una sovraesposizione mediatica degli internauti i quali utilizzano la vetrina del digitale per crearsi una vera e propria nuova immagine di sé: si crea così la c.d. “persona digitale”, per la quale la reputazione diviene “strumento di autopromozione (...) uno strumento su cui investire tempo e denaro” al fine di generare “un complesso di informazioni veicolabili dall'interessato”118. Sennonché tale complesso di

informazioni può essere utilizzato anche da soggetti diversi dall'interessato e talvolta anche senza il suo consenso. E sui rischi legati all'utilizzo di queste informazioni (che si sostanziano non solo in meri dati, ma anche in immagini, video e audio) ci mette in guardia il giurista americano D. J. Solove evidenziando come internet da un lato costituisce una risorsa potentissima per garantire il pieno diritto alla libertà di espressione, ma dall'altro lato il web rischia paradossalmente di rendere il soggetto meno libero, esponendo eccessivamente lo stesso e la sua reputazione ad una visibilità dalla quale probabilmente non è più possibile tornare indietro119. Dinanzi a questi problemi, peraltro, il diritto

appare ancora piuttosto disorientato ed incapace di dare piena

118 RICCI A., Il diritto alla reputazione nel quadro dei diritti della personalità,

Giappichelli, Torino, 2014, p. 151

119 Cft. SOLOVE D. J., The future of Reputation: Gossip, Rumor and Privacy on

the Internet, Yale, 2007 (nella traduzione italiana: SOLOVE D.J., No privacy. Gossip, ciarpame, indiscrezioni su Internet, Sperling & Kupfer, Milano, 2009

93

tutela alle relative situazioni soggettive che pure la richiederebbero con decisione.

Da quanto detto, appare chiaro che la comunicazione digitale abbia amplificato i problemi già palesati da una normativa poco incisiva ed a tratti sfuggente, incapace di governare il rapporto tra onore e libertà di espressione in maniera chiara ed efficace, con la conseguenza che il ruolo dell’interprete è sempre più determinante nella risoluzione dei conflitti.

5. Libertà di espressione e diritto all’onore: dal conflitto ad