Il lavoro agile può costituire un incentivo per il rinnovamento nella Pubblica Amministrazione. Per capirlo, innanzitutto bisogna approfondire il contesto in cui i lavoratori e le lavoratrici del settore pubblico in Italia si muovono.
L’odierna pubblica amministrazione si mostra come un Giano bifronte135: da una parte, è
rappresentata da una figura “anziana”, raffigurata dall’elevata età media dei lavoratori, che è superiore ai 50 anni, da forti ostilità all’innovazione, ma allo stesso tempo da un’accresciuta necessità di flessibilità in una circostanza organizzativa rigida e legata ai vecchi sistemi, in riferimento a tempi e processi; dall’altra parte invece, si sta tratteggiando una figura “più giovane” e innovativa, dove i protagonisti sono le nuove leve in entrata, contrassegnata dalle occasioni proposte dagli strumenti tecnologici e dai recenti processi di digitalizzazione.
134https://alleyoop.ilsole24ore.com/2016/12/01/smart-working-4-esempi-da-seguire/
Ma la domanda che bisogna porsi è la seguente: È attendibile trovare un equilibrio tra queste due facce che coabitano sotto lo stesso tetto e che possono dare l’impressione di essere difficili da conciliare tra di loro?
Io penso che, con il dovuto impegno, il lavoro agile può andare oltre queste difformità, in quanto può raffigurare quella occasione di ripensamento del lavoro pubblico in chiave di maggiore benessere organizzativo e pari opportunità, sia per i nuovi lavoratori che per i più “anziani”.
Impiegando al meglio le nuove tecnologie e facendo affidamento, da una parte sulla ricchezza di esperienze dei lavoratori già in servizio, e dall’altra parte sulla potenza innovativa dei newcomers, lo smart working raffigura un valido strumento per l’espansione, attesa da tempo, del rinnovamento dei processi nella pubblica amministrazione.
Di fatto, le ricerche nazionali e internazionali rilevano come i giovani, che sono sempre più connessi e digitali, sono in cerca di un determinato lavoro che corrisponda alle attuali richieste di flessibilità, alle quali lo smart working viene incontro.
Ma per attirare i migliori, e consentire alle pubbliche amministrazioni di usufruire del loro apporto innovativo, bisogna sopportare l’innovazione digitale facilitando l’espansione presso le pubbliche amministrazioni del lavoro agile, “una modalità innovativa di esecuzione della prestazione lavorativa che punta a sostituire la cultura della mera presenza fisica con quella del risultato, attraverso un monitoraggio di obiettivi misurabili che prescinde dalle ordinarie limitazioni di tempo e spazio”136.
Differenti pubbliche amministrazioni, hanno già intrapreso dei percorsi di sperimentazione per avviare il lavoro agile all’interno delle proprie strutture. Ciò nonostante, non si può non concordare con il Libro Bianco sull’innovazione della PA redatto da FORUMPA, in quanto afferma che “L’aspetto critico che rallenta l’implementazione di questo strumento è il contesto culturale della pubblica amministrazione italiana, che si presenta come impreparata ad adottare un approccio strutturato e graduale che consenta di sperimentare, misurare e personalizzare il modello sulle specificità delle diverse realtà organizzative”137. Questo pensiero critico è condiviso
e confermato dalle stime dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano138
136https://alleyoop.ilsole24ore.com/2018/12/13/lavoro-agile/?refresh_ce=1
137https://librobianco-innovazione-pa2018-final.readthedocs.io/it/latest/1-introduzione.html
138https://www.osservatori.net/it_it/osservatori/comunicati-stampa/smart-working-continua-la-
sulla attuale limitazione nell’introdurre lo smart working nelle pubbliche amministrazioni.
È evidente il fatto che bisogna prendere in considerazione una iniziativa massiva “di accompagnamento, di divulgazione e di informazione” che possa essere d’aiuto ad eliminare gli ostacoli di natura culturale e organizzativa, all’espansione di un nuovo modo di lavorare nel pubblico impiego che ha oltretutto considerevoli effetti positivi per quanto riguardano le pari opportunità tra donne e uomini.
A tal proposito, vorrei citare delle raccomandazioni che nel Libro Bianco sull’innovazione della PA vengono disquisite, e bisogna veramente prenderle in considerazione a mio avviso. È chiaro come ci sia il bisogno di cambiare qualcosa. La prima raccomandazione ha come titolo “Valorizzare le buone pratiche realizzate dagli enti italiani e promuoverne la diffusione” e afferma che: “Appare necessario, per quell’indispensabile ripristino delle condizioni della fiducia, avere la massima attenzione alle diversità di ogni tipologia di amministrazione, dal piccolo comune al grande ente centrale, mettendo in evidenza sempre le tante eccellenze presenti, nate spesso dall’impegno di una unità organizzativa e dei suoi dirigenti, che devono trovare pubblicità, apprezzamento dell’opinione pubblica, effettivi riconoscimenti da parte del governo centrale. Si tratta di un aspetto fondamentale, ancora troppo sottovalutato: la leva reputazionale è molto più potente di quanto si immagini, e può compensare l’attuale egemonia del premio di tipo monetario. Anche appoggiandosi a agenzie indipendenti, il governo dovrebbe curare un catalogo ricco e aggiornato di “buoni esempi”, che porti con sé anche la strumentazione amministrativa utile per replicarlo. La creazione di luoghi e strumenti per lo scambio di informazioni tra pubbliche amministrazioni (analisi dei contesti, confronto delle criticità, condivisione delle soluzioni, pubblicità delle buone prassi) abiliterebbe reti di organismi con obiettivi e proposte operative condivise, favorendo anche l’ottimizzazione delle risorse disponibili e la condivisione di professionalità a costo zero”139. Quindi, appare chiaro che una efficacia comunicazione
tra i vari enti è fondamentale, in modo tale da prendere esempio, e quindi prendere spunto per cambiare qualcosa nella propria organizzazione.
La successiva raccomandazione parla del “Lanciare una grande campagna di reclutamento di giovani leve e nuove professionalità”. Infatti, “Occorre utilizzare al meglio le norme appena varate sull’analisi dei fabbisogni e sulle assunzioni per lanciare
una grande campagna per reclutare giovani a lavorare per lo sviluppo equo e sostenibile della loro comunità nazionale. Una campagna che cerchi i migliori nelle qualifiche oggi indispensabili, ma che immaginiamo importanti per la PA dei prossimi trent’anni. Una PA che non sia fonte di autorizzazioni, certificazioni ed adempimenti, né che lavori ancora su un paradigma bipolare che vede da una parte i cittadini e dall’altra le istituzioni, ma che esca dai “palazzi” per essere regia e stimolo delle forze vitali delle comunità territoriali. Una campagna che cerchi quindi registi dello sviluppo, negoziatori, project manager (non solo nel campo del procurement pubblico), analisti e architetti dei dati, e tutte quelle professionalità che si espletano nel paradigma della rete. Per far questo, sarà necessario rafforzare il brand della PA come posto di lavoro dinamico, che rende possibile la crescita professionale e le carriere basate su merito, che sia definitivamente uscito dal paradigma fordista rappresentato plasticamente dal tornello e dalla maniacale attenzione alla presenza fisica, anche attraverso un’applicazione più spinta del lavoro agile”. Si può capire che la PA italiana è “troppo vecchia” e poco specializzata, in quanto c’è una percentuale di laureati più bassa in confronto agli altri paesi europei. In più, va detto che per gli incarichi specifici a cui al giorno d’oggi è convocata, è “mal suddivisa”. Quindi, c’è bisogno di un riordino organizzativo, da non fare a svantaggio dei dipendenti pubblici, ma insieme a loro e alle loro organizzazioni.
Ed infine, per mettere in moto questo riordino organizzativo, bisogna “Promuovere un nuovo piano di formazione dei dipendenti pubblici, sfruttando le opportunità della Programmazione Europea e le sinergie con le eccellenze universitarie”. Difatti, “Occorre curare un rilancio della formazione dei dipendenti pubblici (…) che sia un empowerment delle organizzazioni, costruzioni di comunità educanti, nascita di gruppi di miglioramento, ma anche formazione puntuale su temi che sono ora indispensabili per qualsiasi lavoratore pubblico. Occorre inoltre prevedere corsi ad hoc per i lavoratori over 50, che potrebbero manifestare difficoltà di apprendimento e che più di altri necessitano di una conciliazione dei tempi di vita. Le risorse della programmazione europea sono indispensabili per questo obiettivo e non vanno disperse in mille rivoli. Occorre inoltre rilanciare la collaborazione con le eccellenze universitarie italiane per creare una modalità di formazione e aggiornamento non sporadica ma continua per i dipendenti pubblici, anche grazie al supporto degli strumenti di e-learning. Pare inoltre opportuno rafforzare l’istituto del diritto allo studio per i dipendenti pubblici, anche
attraverso agevolazioni sulle tasse universitarie o la promozione di master ad hoc riservati al personale della PA”.
Il lavoro agile laddove è stato implementato, sono stati avvertiti un generale avanzamento della qualità della vita: minore stress, risparmio di tempo durante il tragitto casa-lavoro per i lavoratori, e grazie a questo un ambiente meno inquinato; un incremento del livello di benessere organizzativo, una diminuzione delle assenze dal lavoro e un incremento di produttività. A tal proposito si può fare riferimento ai risultati ottenuti dalla ricerca condotta nell’ambito del progetto E.L.E.N.A.140 – Experimenting flexible Labour tools
for Enterprises by eNgaging men And women – condotto dal Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in partnership con il Centro di ricerca sulle dinamiche sociali DONDENA dell’Università Luigi Bocconi.
Con il tempo, i vantaggi prodotti da questa nuova modalità potrebbero realizzare un “effetto domino” positivo chiaramente riferendosi alle pari opportunità, e collaborare all’effettivo mutamento di una organizzazione del lavoro ancora legittimata più sulla presenza fisica che sui risultati. Infatti, “Ora è necessario accelerare questo fenomeno per amplificare tutti gli effetti positivi che ne conseguono e che poi hanno ricadute anche per l’ecosistema: abbiamo appena iniziato a comprenderne le potenzialità che ha rispetto all’intera società. Il territorio locale diventa più attrattivo, ci sono maggiore inclusione e pari opportunità, si riducono traffico e inquinamento”141.