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2. Breve storia dell’immunoterapia

2.7. Recettori PD-1 e CTLA-4

Il recettore PD-1 è stato scoperto nel 1992 da Honjo, durante lo studio dei meccanismi di morte delle cellule T. Da allora è stato dimostrato che questo recettore ha un ruolo critico nell’autoimmunità, nei trapianti immunostimolanti e nelle allergie, oltre alla dimostrazione del blocco del tumore nell’immunoterapia [13].

Il Programmed Death-1 (PD-1 o CD279) è un co-recettore della famiglia CD28/CTLA-4, espresso sui linfociti precedentemente attivati dall’interazione con l’antigene corrispondente.

PD-L1 è il principale ligando di PD-1: è iper-espresso nella maggior parte dei tumori solidi (tumori del polmone non a piccole cellule, del colon retto, melanomi, carcinomi renali, dell’esofago, del tratto gastro-intestinale, dell’ovaio, etc) [14].

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Il suo ruolo è quello di inibire la produzione di citochine e, conseguentemente, l’attività citolitica dei linfociti T CD4+ e CD8+ che infiltrano il tumore. Queste proprietà hanno reso il

PD-L1 un potenziale e promettente target [15], ma anche un possibile biomarker predittivo di risposta all’immunoterapia con i farmaci anti PD-1 ed anti PD-L1 [16].

Le cellule tumorali esprimono spesso recettori cellulari, in particolare PD-L1, che si legano alle cellule regolatrici della risposta immunitaria dell’ospite, attraverso il recettore PD-1, inibendole. L’interazione tra PD-1 e PD-L1 è il risultato della soppressione delle cellule T. Attraverso la regolazione di questi complessi recettoriali è possibile riattivare il sistema immunitario dell’ospite e consentirgli di riconoscere e distruggere le cellule tumorali.

Le attività di PD-1 includono anche l'inibizione delle cellule T durante l'esposizione all'antigene a lungo termine, come avviene nelle infezioni croniche virali e nei tumori. Queste osservazioni suggeriscono che gli anticorpi che bloccano PD-1 o PD-L1 sono un nuovo punto di riferimento per l'attività antitumorale nell’immunoterapia.

La selettività tumorale di PD-1 o PD-L1 fornisce una grande opportunità per la selezione dei pazienti sulla base dei marcatori tumorali. L'espressione di PD-L1 può infatti permettere di selezionare i pazienti con una migliore risposta agli inibitori di PD-1 [12].

Alla regolazione della risposta immunitaria contribuisce anche il CTLA-4 (Cytotoxic T-Lymphocyte Antigen 4), noto anche come CD152, che è un recettore appartenente

alla superfamiglia delle Ig espresso sui linfociti T CD4+ e CD8+ precedentemente attivati.

Il suo meccanismo di azione è quello di legarsi con uno dei suoi ligandi, B7-1 (noto anche come CD80) oppure B7-2 (noto anche come CD86) espressi su APC (cellule che presentano l’antigene), trasmettendo all'interno del linfocita un segnale di tipo inibitorio [17].

L’altro ligando di PD-1, il PD-L2, è espresso costitutivamente sulle cellule presentanti l’antigene (APC), come i macrofagi e le cellule dendritiche, su alcune sottopopolazioni di linfociti B (appartenenti ai centri germinativi ed alle cellule della memoria), sull’endotelio della vena ombelicale umana e sui fibroblasti colici (dove svolge un ruolo di soppressione dell’attivazione T linfocitaria nella mucosa del tratto gastrointestinale).

L’espressione di PD-L2 può essere indotta, su cellule dendritiche, monociti, macrofagi, linfociti T attivi e cellule epiteliali, dalla secrezione delle citochine prodotte dai linfociti Th2

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(soprattutto IL-4, IL-13 e IFN-γ). La principale funzione di PD-L2 è d’inibire e regolare le risposte dei linfociti T di tipo Th2 e la sua attività pare essere maggiormente confinata agli organi linfoidi secondari. Anche le cellule dell’epitelio alveolare del polmone esprimono elevati livelli di PD-L2 in risposta all’IL-4, prodotta in seguito all’infezione da parte del virus respiratorio sinciziale.

Così come per il PD-L1, l’interazione tra il PD-L2 ed il recettore PD-1 genera dei segnali di natura inibitoria, con una conseguente riduzione della sopravvivenza delle cellule T, della loro proliferazione e della secrezione delle citochine. Il PD-L2 è stato individuato anche nelle cellule stromali (quali i fibroblasti) e tumorali, in un microambiente tumorale caratterizzato da un infiltrato linfocitario di tipo Th2 [14].

È stato dimostrato come i tumori siano in grado di eludere il sistema immunitario e sfruttare questi meccanismi a proprio vantaggio. Ciò ha portato allo sviluppo di nuovi farmaci, come gli anti CTLA-4 e anti PD-1/PD-L1, che agiscono contrastando il blocco determinato dall’azione dei checkpoint immunologici, potenziando la risposta immunitaria e inducendo un controllo selettivo sul tumore, talvolta a lungo termine.

Gli anticorpi anti CTLA-4 e anti PD-1 sono stati approvati per il trattamento del melanoma in fase avanzata, mentre un anticorpo anti PD-1 è stato recentemente approvato per il tumore del polmone non a piccole cellule ad istologia squamosa [12].

L’utilizzo di anticorpi monoclonali anti PD-1 ed anti PD-L1 per il trattamento di alcune neoplasie solide ed ematologiche in stadio avanzato ne ha dimostrato l’efficacia e la sicurezza.

Questi farmaci rappresentano una delle strategie più efficaci nel restituire la funzione ai linfociti T divenuti anergici e per lo sviluppo dei linfociti T della memoria, che possono garantire una risposta duratura e dinamica, determinando un controllo della progressione del tumore per mesi o anni, anche dopo la sospensione della terapia stessa [18].

L’Ipilimumab, farmaco anti-CTLA-4, è stato il primo tra i farmaci immunoterapici a essere approvato nel 2011 per il trattamento del melanoma avanzato.

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Questo farmaco agisce legandosi ad una molecola presente sulle cellule del sistema immunitario, CTLA-4, che ha la funzione di bloccare la risposta immunitaria attraverso l’interazione con un’altra molecola (B7) presente sulle cellule spazzine (figura 2).

In questo modo, l’Ipilimumab impedisce l’inattivazione della risposta immune e ne induce, al contrario, l’iperattivazione con un evidente effetto a livello dei linfonodi, sede di maturazione della risposta immunitaria.

Di conseguenza, il sistema immunitario sarà maggiormente attivato nel riconoscere il tumore come estraneo e contrastarne la crescita [12].

Figura 2

Inibitore del punto di controllo immunitario. Le proteine del punto di controllo, come B7-1 / B7-2 sulle cellule tumorali e CTLA-4 sulle cellule T, contribuiscono a controllare le risposte immunitarie. Nella figura di

sinistra, possiamo notare come il legame tra B7-1 / B7-2 e CTLA-4 impedisca alle cellule T di uccidere le cellule tumorali. Nella figura di destra, invece, l’anticorpo anti-B7-1/B7-2 o anti-CTLA-4 blocca il legame tra

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Numerosi inibitori di tali recettori, in particolari anticorpi monoclonali inibitori di PD-1 (Nivolumab e Pembrolizumab) e PD-L1 (Atezolizumab, Durvalumab, Avelumab), sono stati sviluppati o sono attualmente oggetto di studi clinici in diversi setting di trattamento e per i diversi istotipi di tumori del polmone.

I farmaci anti PD-1 agiscono invece bloccando l’interazione tra PD-1, molecola co-inibitoria espresso sulla superficie dei linfociti T attivati, e molecole come PD-L1 e PD-L2, espresse sulla cellula tumorale (figura 3).

Il blocco di tale interazione porta all’attivazione dei linfociti T contro il tumore, portando così ad una potenziale riduzione degli effetti collaterali [12].

Figura 3

Inibitore del punto di controllo immunitario. Le proteine del punto di controllo, come PD-L1 sulle cellule tumorali e PD-1 sulle cellule T, aiutano a tenere sotto controllo le risposte immunitarie dell’organismo. Nella figura a sinistra possiamo notare come il legame tra PD-L1 e PD-1 impedisca alle cellule T di uccidere le cellule tumorali. Nella figura a destra, invece, l’anticorpo anti PD-L1 o anti PD-1 blocca il legame tra PD-L1

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Il beneficio clinico ottenuto in pazienti pre-trattati e non, affetti da tumori di vari istotipi, compreso il carcinoma del polmone non a piccole cellule, tradizionalmente noto per la sua resistenza ai trattamenti classici, sottolinea la possibilità che diverse neoplasie possano essere considerate immunogeniche, se la loro presenza evoca un’appropriata attivazione del sistema immunitario [20].

Non vi sono attualmente dei test che permettano di prevedere con precisione quali pazienti beneficiano o meno di questi farmaci. Nonostante ciò, nel tumore del polmone non a piccole cellule ad istologia non squamosa è stata dimostrata una correlazione tra la quantità di PD-L1 presente sulle cellule tumorali (studiata in laboratorio sul tessuto tumorale prelevato sul paziente al momento della diagnosi) e il beneficio osservato dal trattamento con farmaci anti-PD-1. Al momento però, i dati sono contrastanti su tale argomento, essendo stata riportata un’attività di tali farmaci anche su pazienti i cui tumori non esprimono o esprimono bassi livelli di PD-L1 [12].

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