U
NIVERSITÀ DEGLI STUDI DI
P
ISA
F
ACOLTÀ DI
F
ARMACIA
Corso di Laurea Magistrale in Farmacia
TESI DI LAUREA
Farmaci innovativi per il trattamento del tumore del
polmone: il Nivolumab
Relatrice:
Candidata:
Prof.ssa Maria Cristina Breschi Benedetta Antognetti
I
Dico ai giovani:
pensate al futuro che vi aspetta,
pensate a quello che potete fare,
e non temete niente.
Non temete le difficoltà.
II
Riassunto analitico
Il tumore del polmone è la causa principale di morte in tutto il mondo, dovuta al fatto che in molti casi resta asintomatico nelle sue fasi iniziali e viene diagnosticato in fase avanzata nel corso di esami effettuati per altri motivi.
Si distingue in tumore a piccole cellule (small-cell lung cancer, SCLC), che origina dai bronchi, e quello non a piccole cellule (non-small cell lung cancer, NSCLC) a sua volta suddiviso in tre principali tipologie: il carcinoma spinocellulare (detto anche squamocellulare o a cellule squamose) che nasce nelle vie aeree di medio-grosso calibro; l'adenocarcinoma che si localizza a livello dei bronchi di calibro minore mentre il carcinoma a grandi cellule può comparire in diverse aree del polmone e in genere tende a crescere e a diffondersi piuttosto rapidamente.
Fino a poco tempo fa, la chemioterapia, la radioterapia e la chirurgia sono state le uniche opzioni di trattamento disponibili per i pazienti con diagnosi di NSCLC. Recentemente, sono stati sviluppati nuovi farmaci immunomodulanti che sono un nuovo approccio al trattamento del cancro e mirano a diversi punti di controllo immunitario, allo scopo di migliorare la risposta immunitaria dell'ospite contro le cellule tumorali.
Un ruolo importante nell’autoimmunità è il recettore PD-1 che si lega al suo ligando PD-L1, iper-espresso nella maggior parte dei tumori solidi, andando ad inibire la produzione delle citochine e l’attività citolitica dei linfociti T CD4+ e CD8+ infiltranti il tumore.
Attraverso la regolazione di questi complessi recettoriali è possibile riattivare il sistema immunitario dell’ospite e consentirgli di riconoscere e distruggere le cellule tumorali.
Tra i farmaci anti PD-1, abbiamo il Nivolumab, un anticorpo completamente umano IgG4 inibitore del punto di controllo immunitario, approvato per il trattamento di seconda linea nei pazienti con tumore NSCLC avanzato o metastatico, squamoso o non squamoso, che progredisce dopo una precedente chemioterapia a base di platino.
Al fine di verificare l’efficacia e la sicurezza del Nivolumab, sono stati condotti diversi studi clinici, dai quali è emerso un miglioramento del tasso di sopravvivenza rispetto alle precedenti terapie, una più alta percentuale di sopravvissuti a lungo termine e un profilo di tossicità gestibile.
III
L’attività del Nivolumab è stata dimostrata anche in altri tipi di tumore come ad esempio quello delle cellule renali, il linfoma di Hodking, il tumore testa-collo, dando nuove efficaci opzioni di trattamento per queste malattie altamente fatali.
IV
Ringraziamenti
Questa tesi segna il raggiungimento di un importante traguardo per me, poiché lo studio ha sempre ricoperto un ruolo fondamentale nella mia vita, fin dall’inizio dell’età scolare. A conclusione di questo percorso di studi ritengo, dunque, opportuno rivolgere alcuni ringraziamenti.
Desidero ringraziare la professoressa Maria Cristina Breschi, relatrice di questa tesi, per la disponibilità, professionalità, gentilezza dimostratami e per tutto l’aiuto fornitomi durante la sua stesura.
Un ringraziamento infinito va alle colonne portanti della mia vita: i miei genitori e mio fratello, sempre vicini in ogni traguardo della mia vita senza mai farmi mancare il loro sostegno e aiuto durante questi anni e a tutta la mia numerosa e rumorosa famiglia che ha sempre fatto il tifo per me, senza di loro non sarei mai diventata quella che sono oggi e non avrei potuto coronare tutti i miei sogni.
Ringrazio le mie amiche conosciute il primo giorno di Università, compagne di chiacchiere e pettegolezzi, con cui ho condiviso pranzi frugali in attesa di lunghi ed intensi pomeriggi di laboratori, che mi hanno regalato le risate e le giornate più belle e sincere, preziose per i loro consigli e per il loro affetto, da ciascuna ho imparato qualcosa, consolidando la fiducia profonda nella vera amicizia: senza di voi, le intere giornate in facoltà non sarebbero mai state le stesse.
Essenziale è stato il contributo di tutti gli amici cari e storici, anche quelli più lontani, che hanno contribuito a dare luce ed energia a tutti i miei giorni e, che in modi diversi, attraverso parole, gesti, messaggi, risate, e chiacchierate mi sono sempre stati vicini.
Ringrazio tutti voi per essere venuti in un giorno per me così importante e che partecipate con me alla gioia di questo momento.
Infine, un ultimo ringraziamento va a me stessa, per essere riuscita a raggiungere questo traguardo affrontando le difficoltà incontrate senza mai arrendermi e anche perché se sono arrivata a questo punto, in fondo è anche un po’ merito mio: orgogliosa di aver raggiunto la mia meta!
V
Indice
1. Cos’è il tumore del polmone non a piccole cellule (NSCLC) ... 1
1.1. Tipologie ... 1
1.2. Perché viene chiamato “carcinoma a cellule squamose” ... 2
1.3. Evoluzione ... 2
1.4. Sintomi ... 3
1.5. Diagnosi ... 4
1.6. Trattamento ... 4
1.6.1. Tumore a piccole cellule ... 5
1.6.2. Tumore non a piccole cellule ... 5
1.7. Cosa è importante sapere ai fini della scelta del trattamento ottimale? ... 6
1.7.1. Informazioni rilevanti sul paziente ... 6
1.7.2. Informazioni rilevanti sul tumore ... 7
1.8. Quali sono le opzioni di trattamento? ... 10
1.8.1. Piano di trattamento per il NSCLC in stadio I-II (precoce) ... 11
1.8.2. Piano di trattamento per NSCLC in stadio III (localmente avanzato) ... 11
1.8.3. Piano di trattamento per il NSCLC in stadio IV (metastatico) ... 12
1.9. Incidenza del tumore al polmone ... 12
2. Breve storia dell’immunoterapia ... 15
2.1. Che cos’è l’immunoterapia ... 17
2.2. Quali sono gli eventi che si verificano durante la risposta immunitaria contro il tumore? ... 18
2.3. Immunoterapia passiva e attiva ... 19
2.4. In quali tumori sono oggi disponibili questi farmaci? ... 20
2.5. Immunoterapia: effetti collaterali ... 20
2.5.1. Effetti collaterali non legati a una reazione autoimmune... 20
2.5.2. Effetti collaterali legati a una reazione autoimmune ... 21
2.6. Come gestire gli effetti collaterali ... 23
2.7. Recettori PD-1 e CTLA-4 ... 24
3. Cosa sono gli anticorpi monoclonali ... 29
VI
3.2. Meccanismo d’azione ... 32
3.3. Le prime applicazioni e l’evoluzione tecnica ... 34
4. Nivolumab: cenni generali ... 39
4.1. Farmacologia del Nivolumab ... 41
4.1.1. Farmacodinamica ... 41 4.1.2. Farmacocinetica... 45 5. Studi clinici ... 47 5.1. Studio NCT00730639 ... 49 5.2. CheckMate 063 ... 51 5.3. CheckMate 017 e CheckMate 057 ... 53 5.3.1. CheckMate 017 ... 53 5.3.2. CheckMate 057 ... 57 5.4. CheckMate 012 ... 61
5.4.1. Studio del Dr. Scott Gettinger ... 61
5.4.2. Studio del Dr. Naiyer Rizvi ... 64
5.5. CheckMate 026 ... 66
5.6. CheckMate 227 ... 68
5.7. CheckMate 153 ... 69
5.8. Studio ONO-4538 ... 70
6. Efficacia terapeutica del Nivolumab ... 71
7. Dosaggio e somministrazione del Nivolumab ... 73
8. Tollerabilità e sicurezza ... 75
9. Espressione di PD-L1 ... 82
10. PD-L1 IHC 28-8 pharmDx ... 86
11. Altri composti anti PD-1 e anti-PD-L1 ... 87
12. Nivolumab e altri tipi di tumori ... 88
12.1. Carcinoma a cellule renali ... 89
12.2. Tumore testa-collo ... 92
12.3. Epatocarcinoma ... 93
12.4. Tumori ovarici... 94
12.5. Linfoma di Hodgkin ... 96
12.6. Linfoma non Hodgkin ... 97
VII
12.8. Tumore gastrico ... 100
12.9. Tumore colon-retto ... 101
13. Conclusioni ... 103
VIII
Introduzione
La presente Tesi ha come obiettivo la discussione sugli aspetti regolatori dell’uso dei farmaci immunoterapici, nella cura del tumore del polmone non a piccole cellule (non-small cell lung cancer, NSCLC), esaminando in modo particolare il Nivolumab e presentando gli studi clinici in termini di efficacia, sicurezza e qualità della vita dei pazienti nei pazienti con NSCLC.
Allo scopo di agevolarne la lettura, la Tesi è stata suddivisa in tre sezioni:
la prima relativa al tumore del polmone in generale, e alle tecniche fino ad oggi utilizzate per curare questa patologia;
la seconda relativa alla descrizione degli anticorpi monoclonali e all’immunoterapia; la terza relativa al trattamento del tumore del polmone non a piccole cellule (non-small cell lung cancer, NSCLC) attraverso l’utilizzo di nuovi farmaci immunoterapici, con particolare riferimento al Nivolumab.
IX
DESCRIZIONE TUMORE DEL POLMONE IN GENERALE,
E TECNICHE FINO AD OGGI UTILIZZATE
PER CURARE QUESTA PATOLOGIA
1
1. Cos’è il tumore del polmone non a piccole cellule (NSCLC)
1.1. Tipologie
Il tumore del polmone può costituire una massa che ostruisce il corretto flusso dell'aria, oppure provocare emorragie polmonari o bronchiali. Non esiste un solo tipo di tumore al polmone, bensì diverse tipologie di malattia a seconda del tessuto polmonare interessato. Il polmone può inoltre rappresentare la sede di metastasi provenienti da altri tipi di tumori [1].
Dal punto di vista clinico si è soliti distinguere due tipologie principali di tumore del polmone che insieme rappresentano oltre il 95% di tutte le neoplasie che colpiscono questi organi: il tumore polmonare a piccole cellule (detto anche microcitoma, 10-15%) e il tumore polmonare non a piccole cellule (il restante 85% circa), entrambi originati dal tessuto epiteliale che riveste le strutture polmonari.
Il tumore a piccole cellule (small-cell lung cancer, SCLC) prende origine dai bronchi di diametro maggiore, è costituito da cellule di piccole dimensioni e si presenta in genere nei fumatori, mentre è molto raro in chi non ha mai fumato. La sua prognosi è peggiore rispetto a quella del tumore non a piccole cellule anche perché la malattia si diffonde molto rapidamente anche in altri organi.
Il tumore non a piccole cellule (non-small cell lung cancer, NSCLC) è a sua volta suddiviso in tre principali tipologie:
Il carcinoma spinocellulare (detto anche squamocellulare o a cellule squamose) rappresenta il 25-30% dei tumori del polmone e nasce nelle vie aeree di medio-grosso calibro dalla trasformazione dell'epitelio che riveste i bronchi provocata dal fumo di sigaretta. È questo il tumore polmonare con la prognosi migliore.
L'adenocarcinoma si presenta in circa il 35-40% dei casi e si localizza, al contrario dei precedenti, in sede più periferica e cioè a livello dei bronchi di calibro minore. È il tumore polmonare più frequente tra chi non ha mai fumato e talvolta è dovuto alla
2
presenza di cicatrici polmonari (per esempio per vecchie infezioni tubercolari o per pleuriti).
Il carcinoma a grandi cellule è meno frequente (10-15%) e può comparire in diverse aree del polmone. In genere tende a crescere e a diffondersi piuttosto rapidamente.
Nel restante 5% dei casi il tumore non prende origine dall'epitelio, ma da tessuti diversi come, per esempio i tessuti nervoso ed endocrino (in questo caso si parla di carcinoide polmonare di origine neuroendocrina) o linfatico (in questo caso si tratta di linfoma polmonare) [1].
1.2. Perché viene chiamato “carcinoma a cellule squamose”
Il tumore prende il nome di carcinoma a cellule squamose quando le cellule tumorali mostrano cambiamenti simili a quelli osservati nelle normali cellule di tipo squamoso presenti nel corpo, come le cellule che compongono la superficie della pelle (l’epidermide). Il cambiamento di tali cellule viene verificato al microscopio. I carcinomi a cellule squamose sono talvolta denominati carcinomi epidermoidi e possono svilupparsi all’interno del polmone a partire dai tessuti squamosi normali di alcuni organi del corpo. Solitamente, il tessuto squamoso non è presente nel polmone, ma può svilupparsi al suo interno a seguito di una lesione di natura tossica. Successivamente, questo tessuto può andare incontro a un cambiamento canceroso che porterà allo sviluppo del carcinoma a cellule squamose [2].
1.3. Evoluzione
I tumori polmonari sono classificati in quattro stadi di gravità crescente, indicati con i numeri progressivi da 1 a 4. In particolare, per la stadiazione del tumore del polmone si utilizza il cosiddetto sistema TNM: il parametro T descrive la dimensione del tumore primitivo, cioè quello che si è manifestato per primo nel caso in cui questi siano più di uno,
3
sia all'interno del polmone sia nel resto dell'organismo; il parametro N prende in considerazione l'eventuale interessamento dei linfonodi e infine il parametro M fa riferimento alla presenza o meno di metastasi a distanza [1].
1.4. Sintomi
È difficile sapere esattamente quando inizia a svilupparsi il tumore polmonare. Nei fumatori, la mucosa bronchiale è esposta al fumo di tabacco per molti anni. Ciò provoca dapprima lesioni precancerose che in seguito si trasformano in un tumore.
Tuttavia, potrebbero essere necessari diversi anni prima che il tumore polmonare risulti visibile o provochi sintomi [2].
Il tumore del polmone, infatti, in molti casi resta asintomatico nelle sue fasi iniziali e a volte la malattia viene diagnosticata nel corso di esami effettuati per altri motivi. Quando presenti, i sintomi più comuni del tumore del polmone sono tosse continua che non passa o addirittura peggiora nel tempo, raucedine, presenza di sangue nel catarro, respiro corto, dolore al petto che aumenta nel caso di un colpo di tosse o un respiro profondo, perdita di peso e di appetito, stanchezza, infezioni respiratorie (bronchiti o polmoniti) frequenti o che ritornano dopo il trattamento.
Il tumore inoltre può diffondersi per contiguità alle strutture vicine come ad esempio alla pleura, alla parete toracica e al diaframma, per via linfatica ai linfonodi o attraverso il flusso sanguigno dando anche metastasi a distanza. Quasi tutti gli organi possono essere colpiti (fegato, cervello, surreni, ossa, reni, pancreas, milza e cute) dando origine a sintomi specifici come dolore alle ossa, ittero, cambiamenti neurologici come mal di testa o vertigini o noduli visibili a livello cutaneo [1].
4
1.5. Diagnosi
In presenza di sintomi sospetti è importante contattare il proprio medico di base che, dopo una visita approfondita nella quale valuterà tutti i segni e i sintomi, potrà prescrivere ulteriori esami di approfondimento come per esempio una radiografia al torace. Ulteriori approfondimenti possono prevedere anche l'uso di TC, risonanza magnetica e PET, ma per arrivare a una diagnosi certa è necessario effettuare una biopsia e il successivo esame istologico. Spesso viene anche effettuato l'esame citologico dello sputo, nel quale si cercano eventuali cellule tumorali che provengono dai polmoni. Per avere un quadro più preciso della situazione, il medico può prescrivere anche altri esami, un po' più fastidiosi per il paziente come per esempio la broncoscopia che riesce a visualizzare l'interno dei bronchi grazie a un sottile tubo inserito attraverso la bocca, utile anche per eseguire prelievi del tessuto senza ricorrere all'intervento chirurgico.
Per valutare se la malattia è diffusa alle ossa si utilizza in genere la scansione ossea (scintigrafia), mentre la valutazione della funzionalità polmonare, ovvero di come lavorano i polmoni, è fondamentale se si pensa di ricorrere all'intervento chirurgico per l'asportazione di parte del polmone. Nel corso delle analisi dei campioni di tessuto prelevati, è oggi possibile determinare la presenza di particolari molecole sulle cellule tumorali, una pratica importante nell'era dei cosiddetti "farmaci intelligenti": tali molecole possono infatti rappresentare i bersagli di questi farmaci e la loro presenza o assenza aiuta i medici a decidere quale trattamento utilizzare per la cura di ogni singolo paziente [1].
1.6. Trattamento
L'approccio terapeutico cambia notevolmente a seconda delle condizioni del paziente, ma soprattutto del tipo di tumore che ci si trova di fronte: a piccole cellule oppure non a piccole cellule.
5
1.6.1. Tumore a piccole cellule
Il trattamento più utilizzato per questo tipo di tumore del polmone è la chemioterapia, una scelta legata al fatto che la malattia in genere risponde bene ai farmaci oggi disponibili e che spesso al momento della diagnosi sono già presenti metastasi in organi diversi dal polmone e di conseguenza la chirurgia non può essere considerata un approccio efficace.
I farmaci più utilizzati sono i derivati del platino (Cisplatino, Carboplatino eccetera), Ciclofosfammide, Dexorubicina, Gemcitabina e altri ancora. Per questo tipo di tumore si utilizza anche la radioterapia in associazione alla chemioterapia oppure dopo la chemio per eliminare eventuali cellule tumorali residue. Viene spesso utilizzata a livello del cervello per ridurre il rischio di metastasi in questo organo (molto comuni) o a scopo palliativo, cioè per ridurre i sintomi nei casi più avanzati. La chirurgia, cioè l'eliminazione del tumore mediante l'asportazione dell'area del polmone coinvolta, del tutto o in parte (lobectomia), è indicata solamente in casi selezionati e si effettua molto raramente. Le terapie biologiche, basate su farmaci che hanno un preciso bersaglio molecolare, sono ancora in fase di studio per il trattamento di questo tipo di tumore del polmone, così come terapie immunologiche già in uso per altre neoplasie.
1.6.2. Tumore non a piccole cellule
Nel tumore non a piccole cellule l'intervento chirurgico rappresenta la terapia di scelta, a meno che non siano già presenti metastasi a distanza. Dal momento che con la chirurgia vengono asportate porzioni di polmone, è importante valutare prima dell'intervento le capacità respiratorie del paziente, per essere sicuri che non ci saranno in seguito problemi respiratori.
La radioterapia è utilizzata da sola o in combinazione con la chemioterapia nei casi in cui non sia possibile procedere con la chirurgia, a causa delle caratteristiche del tumore o dello stato di salute del paziente. In alcuni casi si utilizza la radioterapia interna o brachiterapia: piccole strutture che rilasciano la radiazione direttamente nel tumore dove vengono posizionate.
6
Anche la chemioterapia (che si basa sull'uso combinato di diversi farmaci come, per esempio Carboplatino, Taxani, Gemcitabina, Etoposide, Irinotecan, eccetera) ha un ruolo nel trattamento di questo tipo di tumore polmonare soprattutto nei casi di malattia avanzata. Radioterapia e chemioterapia possono essere utilizzate prima dell'intervento chirurgico (terapia neoadiuvante) per ridurre le dimensioni del tumore o dopo l'intervento (terapia adiuvante) per eliminare le eventuali cellule tumorali rimaste.
Per quanto riguarda i farmaci biologici, sono stati ottenuti buoni risultati in particolare con farmaci diretti contro EGFR, un fattore di crescita cellulare coinvolto nella proliferazione tumorale, e contro il gene ALK, un recettore di membrana che produce uno stimolo di crescita per le cellule, oppure con farmaci che bloccano l'angiogenesi.
Tra le molecole utilizzate ricordiamo, tra gli altri, Cetuximab, Erlotinib e Gefitinib (anti-EGFR), Crizotinib (anti-ALK), Bevacizumab (anti-angiogenico).
Infine, in casi specifici, è possibile fare ricorso a trattamenti locali come l'ablazione con radiofrequenza, per distruggere il tumore con il calore; la terapia fotodinamica con la quale si inietta un farmaco che viene poi attivato grazie alla luce di un broncoscopio e distrugge le cellule tumorali e la terapia laser [3].
1.7. Cosa è importante sapere ai fini della scelta del trattamento
ottimale?
Per poter decidere quale sia il trattamento migliore, i medici devono considerare molti fattori relativi sia al paziente sia al tipo di tumore.
1.7.1. Informazioni rilevanti sul paziente
• Età;
• performance status, una scala di valutazione del benessere generale del paziente e della sua capacità di svolgere le normali attività quotidiane;
7
• storia medica personale, ivi compresi la tipologia e il numero di malattie concomitanti, come cardiopatie, malattie polmonari e diabete;
• storia dell'abitudine al fumo;
• risultati degli esami del sangue eseguiti per determinare il numero di globuli bianchi, di globuli rossi e di piastrine e per valutare la funzionalità epatica e renale;
• se la chirurgia sembra essere un'opzione fattibile per trattare il cancro, prima dell'intervento verranno eseguiti alcuni esami volti a valutare la funzionalità polmonare. Scopo di questi esami è quello di stimare se la funzionalità polmonare residua attesa dopo l'asportazione chirurgica del polmone, o parte di esso, sarà sufficiente per evitare la comparsa di grave mancanza di fiato [3].
1.7.2. Informazioni rilevanti sul tumore
• Stadiazione
La stadiazione è fondamentale per poter prendere le giuste decisioni terapeutiche. In linea generale, più basso è lo stadio, migliore sarà la prognosi. Normalmente la stadiazione viene eseguita due volte: dopo il completamento degli esami clinici e radiologici e, in caso di tumori sottoposti a resezione chirurgica, dopo la chirurgia. Quando viene eseguita la chirurgia, la stadiazione è più accurata perché si basa anche sulle informazioni ottenute dall’analisi di laboratorio del tumore asportato.
Nella tabella sottostante vengono descritti i diversi stadi del NSCLC.
Stadio I II tumore ha un diametro maggiore o inferiore a 5 cm e non ha colpito i linfonodi regionali.
Stadio IIA II tumore ha un diametro maggiore a 5 cm ma non a 7 cm e non ha colpito i linfonodi regionali o il tumore ha un diametro maggiore o inferiore a 5 cm, ma ha colpito i linfonodi regionali omolaterali situati in corrispondenza dell’ilo.
8
Stadio IIB II tumore ha un diametro maggiore a 5 cm ma non a 7 cm e ha colpito i linfonodi regionali omolaterali situati in corrispondenza dell’ilo o il tumore ha un diametro maggiore a 7 cm ma è ancora confinato al polmone, o è presente un secondo nodulo tumorale nello stesso lobo senza interessamento dei linfonodi regionali.
Stadio IIIA II tumore ha un diametro maggiore a 5 cm ma non a 7 cm e ha colpito i linfonodi regionali omolaterali situati in corrispondenza del mediastino o il tumore ha un diametro maggiore a 7 cm ma è ancora confinato al polmone, o è presente un secondo nodulo tumorale nello stesso lobo con interessamento dei linfonodi regionali omolaterali situati in corrispondenza dell'ilo o del mediastino o il tumore invade, per estensione diretta, le strutture interposte tra i polmoni (es. cuore, esofago), o è presente un secondo nodulo tumorale in un altro lobo dello stesso polmone, con o senza interessamento dei linfonodi regionali omolaterali situati in corrispondenza dell’ilo.
Stadio IIIB Il tumore invade, per estensione diretta, le strutture interposte tra i polmoni (es. cuore, esofago) o è presente un secondo nodulo tumorale in un altro lobo dello stesso polmone, con interessamento dei linfonodi regionali omolaterali situati in corrispondenza del mediastino o indipendentemente dalle dimensioni del tumore, è presente l’interessamento dei linfonodi regionali controlaterali situati in corrispondenza dell'ilo o del mediastino o di quelli situati in corrispondenza delle sedi sovraclaveari.
Stadio IV Indipendentemente dalle dimensioni del tumore e dall'interessamento dei linfonodi regionali, il tumore si è esteso a strutture e/o ad organi distanti del corpo. L'interessamento della pleura (includente
versamento pleurico con presenza documentata di cellule tumorali) e del polmone controlaterale è considerato indicativo dello stadio IV.
9
Risultati della biopsia: il campione bioptico viene analizzato in laboratorio mediante una
procedura nota come esame istologico. Nei tumori sottoposti a chirurgia, un secondo esame istologico viene eseguito sul tumore e sui linfonodi asportati durante l’intervento chirurgico. I risultati della biopsia devono includere:
il tipo istologico: indica il tipo di cellule da cui è costituito il tumore. In generale, il NSCLC viene suddiviso principalmente in tipo squamoso, che comprende circa un quarto di tutti i NSCLC e origina in genere nel tessuto che riveste le vie aeree di più grosso calibro, e tipo non squamoso, che include i due gruppi numericamente importanti dell'adenocarcinoma e del carcinoma a grandi cellule e si sviluppa di solito nelle vie aeree più periferiche. Questa distinzione (tipo squamoso VS non squamoso) assume rilevanza ai fini delle decisioni terapeutiche. I pazienti con neoplasie non squamose possono infatti trarre beneficio da alcune terapie antitumorali sistemiche che si sono dimostrate efficaci solo in questo sottotipo istologico.
II grado: è definito dalla misura in cui le cellule polmonari tumorali differiscono nel loro aspetto da quelle normali e dalla velocità con cui esse si moltiplicano. II NSCLC può essere classificato nei gradi da 1 a 4, anche se alcune cellule neoplastiche possono apparire talmente diverse dalle normali cellule polmonari che non è possibile assegnare loro un grado. I tumori costituiti da queste cellule vengono generalmente definiti tumori indifferenziati. Il grado riflette l'aggressività delle cellule tumorali: più alto è il grado, maggiore sarà l'aggressività del tumore.
Lo studio delle caratteristiche biologiche del tumore: i campioni di tessuto ottenuti dal NSCLC metastatico di sottotipo non squamoso devono essere valutati per la presenza di specifiche mutazioni nel gene del recettore del fattore di crescita epidermico (epidermal growth factor receptor, EGFR). Benché tali mutazioni siano rare (la loro frequenza è del 10% circa nei soggetti caucasici, con una prevalenza più elevata nei non fumatori, nei tumori del sottotipo adenocarcinoma, nelle donne e nei pazienti originari dell'Asia Orientale), l'identificazione di una mutazione del gene EGFR ha importanti implicazioni prognostiche e terapeutiche nei pazienti con NSCLC metastatico. Il test per la ricerca di mutazioni nel gene EGFR non è raccomandato nei pazienti con diagnosi di carcinoma a cellule squamose, fatta eccezione per i non fumatori/ex-fumatori leggeri (<15 pack-years).
10
Oggigiorno, il test per l'identificazione di riarrangiamenti del gene ALK rientra nel trattamento standard e deve essere eseguito, se possibile, parallelamente all'analisi mutazionale dell’EGFR. I riarrangiamenti di ALK sono più frequenti nei non fumatori, nel sottotipo adenocarcinoma (5%) e nei pazienti più giovani (età inferiore ai 50 anni). L'identificazione di riarrangiamenti di ALK ha importanti implicazioni terapeutiche per i pazienti con NSCLC metastatico in quanto sono oggi disponibili farmaci aventi come bersaglio ALK (es. Crizotinib) [3].
1.8. Quali sono le opzioni di trattamento?
La pianificazione del trattamento richiede il coinvolgimento di un'équipe multidisciplinare di professionisti medici specializzati nella gestione dei pazienti oncologici. Normalmente, specialisti di branche diverse si riuniscono in quella che viene chiamata opinione multidisciplinare o tumour board. Nel corso di questa riunione viene discussa la pianificazione del trattamento utilizzando le informazioni rilevanti descritte in precedenza.
Solitamente, il trattamento combina strategie terapeutiche che:
• agiscono sul cancro a livello locale, come la chirurgia o la radioterapia;
• agiscono sulle cellule tumorali presenti in tutto il corpo mediante terapie sistemiche come la chemioterapia e la terapia biologica.
Il tipo di trattamento dipende in genere dalle condizioni cliniche e dalle preferenze del paziente, dallo stadio della malattia e dalle caratteristiche del tumore.
Tutti i trattamenti descritti di seguito presentano benefici, rischi e controindicazioni. Affinché i pazienti siano pienamente consapevoli degli effetti e delle possibili conseguenze del trattamento, si consiglia loro di chiedere ai medici quali sono i rischi e i benefici attesi di ogni strategia terapeutica. Per alcuni pazienti sono disponibili alternative diverse e la scelta di un'opzione rispetto a un'altra deve essere discussa soppesando i rischi e i benefici di ciascuna di esse.
11
In tutte le fasi del trattamento, al paziente potrebbe anche essere offerta la possibilità di partecipare ad una sperimentazione clinica, cioè uno studio di ricerca condotto su un gruppo di pazienti per valutare se una nuova terapia sia sicura e funzioni. Le sperimentazioni cliniche vengono effettuate allo scopo di testare l'efficacia delle terapie farmacologiche e non farmacologiche, come la radioterapia o la chirurgia, nonché dell'uso combinato di strategie terapeutiche differenti [3].
1.8.1. Piano di trattamento per il NSCLC in stadio I-II (precoce)
II NSCLC in stadio I-II è un tumore localizzato al polmone e, come tale, nella maggior parte dei casi può essere curato con la chirurgia radicale. In questi stadi della malattia, solo fattori come l'età avanzata e la presenza concomitante di altre malattie gravi potrebbero rappresentare una controindicazione alla resezione chirurgica curativa.
1.8.2. Piano di trattamento per NSCLC in stadio III (localmente avanzato)
Benché sia ancora confinato al polmone, in genere il NSCLC in stadio III non può essere trattato con la chirurgia radicale, almeno inizialmente, a causa della sua estensione locale. Va comunque osservato che il NSCLC in stadio III rappresenta una malattia molto eterogenea per la quale non può essere raccomandata una strategia univoca da seguire e che la modalità di trattamento può variare caso per caso. Proprio per questo motivo il coinvolgimento di un’equipe multidisciplinare di specialisti di branche diverse è essenziale ai fini del successo del trattamento e l’approccio ottimale per i pazienti con NSCLC localmente avanzato potrebbe essere rappresentato dall’integrazione di tutte le modalità terapeutiche (chirurgia, radioterapia e chemioterapia).
12
1.8.3. Piano di trattamento per il NSCLC in stadio IV (metastatico)
Il NSCLC in stadio IV si è diffuso a strutture e/o organi distanti del corpo. Le sedi di metastasi più comuni sono le ossa, il cervello, il fegato, le ghiandole surrenali, la pleura e l’altro polmone. Dal momento che le metastasi si formano per disseminazione delle cellule tumorali attraverso il circolo sanguigno, esse possono essere presenti già al momento della diagnosi (in quasi il 40% dei pazienti) o diventare evidenti nel tempo durante il follow-up di un NSCLC sottoposto a chirurgia radicale.
1.9. Incidenza del tumore al polmone
Il tumore al polmone è la causa principale di morte tumorale in tutto il mondo, con 1.825.000 diagnosi e 1.059.000 morti nel 2012, [4] ed è la malattia più comunemente diagnosticata nel sesso maschile. La causa principale del tumore ai polmoni è il fumo, che è responsabile dell'80% dei casi nei maschi e del 50% dei casi nelle femmine [5].
Le stime AIRTUM (Associazione Italiana Registri Tumori) parlano di 38.200 nuove diagnosi di tumore del polmone all'anno, che rappresentano l'11% di tutte le diagnosi di tumore nella popolazione (il 15% delle nuove diagnosi negli uomini e il 6% nelle donne).
Negli ultimi anni si è osservata una moderata diminuzione di incidenza negli uomini, ma un aumento nelle donne: la spiegazione è ancora una volta legata all'abitudine al fumo, che si è ridotta negli uomini, ma è in crescita nelle donne. Alla base di questi dati, che pongono i tumori del polmone come una vera emergenza in campo sociosanitario, rimane la constatazione che la maggior parte delle neoplasie polmonari viene diagnosticata in fase avanzata (60 - 70%) per lo più al IV stadio, dove il trattamento di scelta nella maggior parte dei casi è rappresentato dalla terapia farmacologica sistemica [6].
In base ai dati oggi disponibili, nel corso della vita un uomo su 9 e una donna su 36 possono sviluppare un tumore del polmone, mentre un uomo su 10 e una donna su 44 rischiano di morire a causa della malattia [1].
Negli ultimi decenni, la scoperta dell'eterogeneità genomica del NSCLC ha radicalmente modificato l'approccio diagnostico per questi pazienti.
13
Con la scoperta di nuove tecniche (integrazione di analisi morfologica, immunoistochimica e test molecolari), sono state definite diverse sottoclassi di NSCLC (figura 1) [7].
Le alterazioni target sono gli elementi chiave per i trattamenti personalizzati e sono ad oggi parte dello standard di cura dei pazienti con NSCLC.
Tuttavia, una mutazione del driver selezionabile è rilevabile solo nel 10% - 20% di tutti i NSCLC nella popolazione caucasica [8] [9].
Per gli altri, la chemioterapia è stata l'unica opzione disponibile finora, con scarsi risultati.
Figura 1
Processo multistep per la diagnosi e caratterizzazione del cancro polmonare [10].
Note: (A) I due principali tipi di cancro al polmone, SCLC and NSCLC, possono essere distinti da un’analisi
morfologica. NSCLC rappresenta circa 85%–90% di tutti i tumori del polmone. (B) L'immunoistochimica permette di distinguere diversi sottotipi di NSCLC. (C) Il test molecolare consente di individuare possibili mutazioni del driver nel tumore (EGFR e ALK). L'analisi di ROS1, BRAF e MET dovrebbe essere considerata per i pazienti selezionati.
Data from National Cancer Institute [11] and Naidoo et al. [7].
14
ANTICORPI MONOCLONALI
E IMMUNOTERAPIA
15
Introduzione
I farmaci immunoterapici presentano caratteristiche cliniche differenti rispetto ai tradizionali farmaci chemioterapici perché non agiscono direttamente sul tumore, ma sui meccanismi di difesa messi in atto dal sistema immunitario contro il tumore, aggredendolo pertanto in modo “indiretto”. Gli effetti collaterali sono inoltre differenti, spesso gli effetti anti-tumorali clinicamente misurabili possono manifestarsi dopo settimane o mesi, con potenziale effetto ritardato, a differenza di quanto non si osservi con approcci oncologici più “tradizionali” (ad es. chemioterapia, alcuni farmaci a bersaglio molecolare, radioterapia ecc.).
2. Breve storia dell’immunoterapia
1798: Edward Jenner pubblica lo studio che dimostra l’efficacia del vaccino del vaiolo.
1891: William Coley usa l’infezione batterica con la tossina Coley per curare il cancro.
1900: Paul Ehrlich suggerisce che alcune molecole all’interno dell’organismo possono essere in grado di combattere i tumori.
1901: Emil Adolf von Behring riceve il primo premio Nobel della medicina per i suoi studi sulla sieroterapia.
16
1957: Sir Frank Macfarlane Burnet suggerisce che le cellule tumorali possono causare una risposta immunitaria in grado di distruggere il tumore senza alcuna manifestazione clinica.
1968: Primo trapianto di midollo osseo allogenico (ABMT); dagli anni ‘80 l’ABMT diventa trattamento standard per le malattie ematologiche.
1970: Donald Morton descrive una regressione tumorale significativa dopo iniezione di vaccino BCG (Bacillo Calmette-Guerin) in pazienti affetti da melanoma; più tardi il BCG diventa terapia standard per il tumore superficiale della vescica.
1975: George Köhler e César Milstein sviluppano la tecnologia per la produzione di anticorpi monoclonali.
1986-2000: Garantite le approvazioni per l’utilizzo di interferoni (IFNs) e IL-2 nel trattamento delle neoplasie.
2010: la FDA (Food and Drug Administration) approva l’uso del vaccino sipuleucel-T nel trattamento del carcinoma prostatico metastatico resistente alla castrazione.
2011: La FDA e l’EMA (European Medicines Agency) approvano l’Ipilimumab per il trattamento del melanoma metastatico.
2013: L’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) approva l’Ipilimumab per il trattamento di prima linea in Italia del melanoma metastatico.
17
2015: L’EMA approva il Nivolumab e il Pembrolizumab per il trattamento del melanoma metastatico.
2015: L’EMA e la FDA approvano il Nivolumab per il trattamento del tumore del polmone non a piccole cellule (NSCLC) squamoso metastatico [6].
2.1. Che cos’è l’immunoterapia
L’immunoterapia consiste nella somministrazione di farmaci che stimolano il sistema immunitario a riconoscere le cellule tumorali come estranee e ad eliminarle attraverso una reazione immunitaria. Si tratta di un’azione diretta sul sistema immunitario e non sul tumore, che viene però colpito indirettamente attraverso l’azione esercitata dalle cellule del sistema immunitario, prevalentemente linfociti T.
Infatti, un sistema immunitario perfettamente funzionante dovrebbe essere in grado di riconoscere le cellule tumorali in quanto diverse rispetto alle cellule normali, e di scatenare una risposta contro il tumore con meccanismi simili a quelli con i quali difende il nostro organismo dall’aggressione esterna di virus o batteri.
Per il buon funzionamento di questo sistema è tuttavia necessaria una continua auto-regolazione, con meccanismi di attivazione o spegnimento del sistema immunitario stesso. In condizioni normali, le chiavi di questi meccanismi sono i checkpoint immunologici, che hanno il ruolo di bloccare l’eccessiva attivazione dei linfociti T attivati in risposta ad agenti patogeni per evitare una reazione autoimmune.
Purtroppo, le cellule tumorali nel tempo possono acquisire la capacità di sfuggire alla sorveglianza da parte del sistema immunitario in vari modi, in particolare:
producendo sostanze e/o attivando meccanismi che antagonizzano il sistema immunitario;
18
Tutto ciò determina uno stato di inerzia, ovvero di mancata reazione del sistema immunitario nei confronti del tumore, che può quindi crescere senza ostacoli [12].
2.2. Quali sono gli eventi che si verificano durante la risposta immunitaria
contro il tumore?
Le cellule tumorali vengono distrutte nella loro fase iniziale da alcune particolari cellule del sistema immunitario (linfociti T “natural killer”), portando così al rilascio nello spazio intorno alle cellule dei cosiddetti detriti, contenenti gli antigeni tumorali; i detriti vengono raccolti da cellule cosiddette spazzine (macrofagi e cellule dendritiche), che hanno il compito di trasportarli nei linfonodi e mostrarli ai linfociti, i quali vengono così attivati;
affinché un linfocita venga attivato, deve contemporaneamente avvenire l’attivazione di alcune molecole co-stimolatorie (CD28, CD40L), che innescano un ulteriore segnale per lo sviluppo di una risposta immunitaria. L’attivazione dei linfociti è il punto principale dell’immunità acquisita, specifica e durevole nel tempo. In questo modo i linfociti T acquisiscono la capacità di riconoscere selettivamente gli antigeni estranei presenti sulle cellule tumorali e rilasciare sostanze tossiche che provocano la morte delle cellule cancerose. I linfociti B acquisiscono invece la capacità di produrre anticorpi specifici diretti contro la cellula tumorale. Un altro passaggio chiave è lo sviluppo di linfociti responsabili della memoria immunitaria, i quali mantengono la capacità di riconoscere ed eliminare, anche a distanza di tempo, le cellule estranee;
affinché una risposta immunitaria possa essere attiva solo il tempo necessario ad eliminare il bersaglio pericoloso, così da evitare l'instaurarsi di un'infiammazione cronica dannosa per l’organismo, esistono cellule regolatorie o segnali inibitori in grado di modularne la durata.
Di solito, dopo una fase in cui l’organismo è in grado di sconfiggere o almeno tenere sotto controllo il tentativo di crescita del tumore, si passa ad una fase in cui le cellule
19
tumorali, grazie ai meccanismi di fuga, riescono a moltiplicarsi in maniera incontrollata sfuggendo alla sorveglianza immunitaria [12].
2.3. Immunoterapia passiva e attiva
Esistono due tipi di immunoterapia, passiva e attiva, a seconda della modalità con cui viene stimolata una risposta immunitaria anti-tumorale.
A- IMMUNOTERAPIA PASSIVA: comprende farmaci o modalità terapeutiche con un’attività anti-tumorale propria, che viene quindi fornita al paziente al momento della somministrazione.
Farmaci sotto forma di anticorpo monoclonale che agiscono contro uno specifico bersaglio espresso dalla cellula tumorale che viene così bloccata nella sua crescita. Questi farmaci vengono spesso somministrati insieme alla chemioterapia;
infusione di linfociti T modificati in laboratorio in modo da essere capaci di riconoscere e distruggere selettivamente le cellule tumorali;
infusione di virus oncolitici che agiscono infettando in maniera specifica le cellule tumorali determinandone la morte.
B- IMMUNOTERAPIA ATTIVA: comprende invece i vaccini e i farmaci inibitori di alcune molecole di superficie cellulare implicate nell’inibizione del sistema immunitario (ad esempio CTLA-4, PD-1, PD-L1). Mentre nel caso dell’immunoterapia passiva è il farmaco ad essere direttamente in grado di distruggere la cellula tumorale, nel caso dell’immunoterapia attiva il farmaco stimola la risposta immunitaria del paziente nei confronti del tumore [12].
20
2.4. In quali tumori sono oggi disponibili questi farmaci?
La rivoluzione dell’immunoterapia sta nella possibilità di trattare diversi tipi di tumori, ad esempio il melanoma, NSCLC, tumore delle cellule renali, il linfoma di Hodking, tumore della mammella, tumore testa-collo, in quanto questa agisce direttamente sul sistema immunitario che, adeguatamente stimolato, sarà capace di combattere il tumore. Questa peculiarità permette all’immunoterapia di essere efficace contro tipologie tumorali spesso estremamente diverse tra loro [12].
2.5. Immunoterapia: effetti collaterali
Molti dei possibili effetti collaterali dei nuovi farmaci immunoterapici sono strettamente associati al loro specifico meccanismo di azione. Infatti, la stimolazione del sistema immunitario, che sfruttiamo per combattere il tumore, può innescare anche processi indesiderati di reazione autoimmune.
Nella maggior parte dei casi, la tossicità di questi farmaci è lieve o moderata, sebbene si possano verificare anche reazioni indesiderate più gravi.
Di seguito verranno brevemente riassunti alcuni dei principali effetti collaterali di questi farmaci:
2.5.1. Effetti collaterali non legati a una reazione autoimmune
Tossicità costituzionali: sono effetti collaterali generalizzati che interessano tutto
l’organismo e non rientrano nelle reazioni autoimmuni. Essi sono costituiti prevalentemente dalla spossatezza, caratterizzata da una sensazione persistente di stanchezza e facile affaticabilità, anche per sforzi fisici lievi, oltreché da dolori diffusi ai muscoli e alle articolazioni (5% circa dei pazienti trattati) e dalla riduzione dell’appetito.
21
2.5.2. Effetti collaterali legati a una reazione autoimmune
Tossicità cutanea: il prurito è riportato dal 47-68% dei pazienti che assumono
Ipilimumab. Può svilupparsi sulla cute apparentemente sana, oppure può essere accompagnato da un’eruzione cutanea. Tali sintomi si presentano solitamente nelle prime 3-6 settimane dall'inizio del trattamento, e nella maggior parte dei casi sono di lieve entità. In alcuni casi può verificarsi una perdita del normale colore della cute e la comparsa di macchie bianche, cosiddetta vitiligine. Anche i farmaci inibitori di PD-1 come il Nivolumab possono provocare tale tossicità in una percentuale compresa tra il 30 ed il 50% dei pazienti trattati.
Tossicità gastro-intestinale ed epatica: i disturbi gastrointestinali interessano circa il
40% dei pazienti trattati con l’Ipilimumab e, in minor misura (16%), pazienti trattati con il Nivolumab. I disturbi dell’apparato digerente insorgono solitamente dopo circa 5-7 settimane di terapia, e sono caratterizzati da diarrea e/o dolori addominali. In alcuni casi può verificarsi la perdita di sangue nelle feci e può comparire febbre. Sono stati descritti casi gravi di colite, in corso di terapia con l’Ipilimumab. Meno comuni sono le tossicità a carico di fegato o pancreas, caratterizzate solitamente dall’alterazione di alcuni esami di laboratorio (incremento di alcuni enzimi epatici che può essere misurato nel sangue come espressione di danno a carico del fegato), ma che spesso non portano a problematiche rilevanti dal punto di vista clinico. Molto raramente si verifica un’epatite autoimmune.
Tossicità delle ghiandole endocrine: una tossicità delle ghiandole endocrine del
nostro corpo deputate alla produzione di ormoni di vario tipo, si verifica nel 5-10% dei pazienti trattati con i nuovi farmaci immunoterapici. L'ipotiroidismo è relativamente frequente: quando si verifica, è caratterizzato da stanchezza, scarso appetito e depressione.
È talora possibile anche il verificarsi di ipertiroidismo. Tale incremento è spesso transitorio e viene seguito poi da ipotiroidismo. I sintomi tipici dell’eccesso di ormoni tiroidei comprendono sudorazione, agitazione, palpitazioni cardiache, cosiddetto cardiopalmo, fame e sensazione di calore. Può essere necessario, in casi selezionati, somministrare alcuni farmaci (beta-bloccanti).
22
Più raro è un danno a carico dell’ipofisi. Un'infiammazione di questo organo, ipofisite, può causare l’ipopituitarismo, e quindi può venir meno lo stimolo alla produzione ormonale da parte di altre ghiandole come la tiroide, i surreni o le gonadi. L'ipofisite si presenta spesso qualche tempo dopo l’inizio del trattamento, e con sintomi in alcuni casi generici, da non confondere con le tossicità costituzionali.
Abbastanza raro è l’ipocorticosurrenalismo primitivo dovuto ad una reazione autoimmune contro le ghiandole surrenaliche con conseguente insufficiente produzione di ormoni surrenalici. Tale condizione è caratterizzata da forte stanchezza, riduzione della pressione arteriosa, modificazione dei livelli di sodio e potassio nel sangue, predisposizione alle infezioni e ridotta capacità di sopportare le situazioni di stress per l’organismo.
Tossicità a carico di mucose ed occhi: circa il 5% dei pazienti trattati con
l’immunoterapia riferisce la comparsa di secchezza della gola e, talvolta, riduzione della lacrimazione. Tali sintomi possono presentarsi in modo isolato, oppure essere dovuti ad una reazione autoimmune diretta contro le ghiandole salivari e/o lacrimali, cosiddetta sindrome di Sjögren. Talvolta possono osservarsi patologie infiammatorie dell’occhio, delle palpebre e della congiuntiva.
Tossicità polmonare: circa il 3% dei pazienti trattati con il Nivolumab sviluppa una
tossicità polmonare, tipicamente sotto forma di polmonite, anch’essa dipendente da un meccanismo auto-immunitario. I sintomi più precoci sono costituiti dalla tosse secca e dalla progressiva mancanza di fiato, cosiddetta dispnea. Gli esami radiologici del torace e l’esecuzione delle prove di funzionalità respiratoria, possono permettere una diagnosi tempestiva di tale complicanza.
Tossicità renale: si verifica in una percentuale molto bassa di pazienti (2%) e viene
diagnosticata solo a causa dell’incremento del valore di creatinina nel sangue: spesso è infatti asintomatica.
Tossicità neurologica: è un’evenienza rara, riportata in pazienti sottoposti a terapia
con farmaci come l’Ipilimumab. Può interessare i nervi periferici come quelli delle braccia o delle gambe, cosiddetta neuropatia periferica, che può colpire sia le fibre
23
nervose responsabili della sensibilità (fibre sensitive) che quelle che permettono i movimenti muscolari volontari (fibre motorie) [12].
2.6. Come gestire gli effetti collaterali
Una tossicità cosiddetta immuno-correlata, ovvero secondaria ad una reazione autoimmune in corso di farmaci immunoterapici, può verificarsi in qualsiasi momento del trattamento e può interessare molteplici organi. In generale, la tempistica d’insorgenza di tali effetti collaterali può variare in base al tipo di farmaco immunoncologico che è utilizzato, nonché al tipo di tossicità. Comunque sia, sebbene molte delle tossicità immuno-mediate insorgano entro i primi quattro mesi di trattamento, bisogna considerare la possibilità che esse si verifichino in qualsiasi momento, anche a distanza di tempo dalla sospensione dello stesso.
Saper riconoscere precocemente i primi segnali di una tossicità immuno-correlata e gestirla di conseguenza, è di fondamentale importanza. Infatti, un intervento precoce nei confronti di eventuali effetti collaterali secondari ad una immunoterapia, si traduce generalmente in una riduzione della severità e della durata della tossicità stessa. È inoltre importante sottolineare come, in base al tipo di tossicità, solo all’interno di un team multi-disciplinare di specialisti d’organo (endocrinologo, gastroenterologo, dermatologo, pneumologo, ecc.) sia possibile ottenere una gestione ottimale di tali effetti collaterali.
La gestione della tossicità immuno-correlata dipende fortemente dalla severità dell’evento avverso e dal tipo di organo interessato dalla tossicità (ad esempio tossicità a carico delle ghiandole endocrine, tossicità cutanea, gastrointestinale, ecc.).
In generale, la riduzione del dosaggio del farmaco immunoterapico non ha alcun ruolo nella gestione di tali tossicità. Al contrario, una pronta sospensione del trattamento, insieme all’instaurazione di un’adeguata terapia immuno-soppressiva di tipo steroideo (ossia con farmaci cortisonici in grado di contrastare la reazione autoimmune) è importante nei casi di tossicità più impegnativa.
24
Se la tossicità da immunoterapia si risolve, la terapia con cortisonici deve essere ridotta gradualmente nel tempo (generalmente in 3 - 6 settimane) in modo da evitare una riacutizzazione della tossicità.
Nel caso di terapie cortisoniche particolarmente durature, il medico potrebbe prescrivere una terapia antibiotica profilattica contro infezioni opportunistiche.
Nel caso di una tossicità da farmaci immunoterapici, la ripresa del trattamento con tali farmaci è controindicata se la tossicità è stata molto grave oppure in altri casi che il medico valuterà singolarmente.
Un’eccezione è rappresentata dalla presenza di una tossicità severa a carico delle ghiandole endocrine che porti ad una diminuzione nella produzione di uno specifico ormone da parte dell’organismo: tali tossicità possono essere infatti ben controllate nel tempo con la prescrizione di terapie ormonali sostitutive. Al momento non vi è nessuna evidenza scientifica che i farmaci cortisonici utilizzati per trattare gli effetti collaterali immuno-correlati determinino una riduzione dell’effetto terapeutico [12].
2.7. Recettori PD-1 e CTLA-4
Il recettore PD-1 è stato scoperto nel 1992 da Honjo, durante lo studio dei meccanismi di morte delle cellule T. Da allora è stato dimostrato che questo recettore ha un ruolo critico nell’autoimmunità, nei trapianti immunostimolanti e nelle allergie, oltre alla dimostrazione del blocco del tumore nell’immunoterapia [13].
Il Programmed Death-1 (PD-1 o CD279) è un co-recettore della famiglia CD28/CTLA-4, espresso sui linfociti precedentemente attivati dall’interazione con l’antigene corrispondente.
PD-L1 è il principale ligando di PD-1: è iper-espresso nella maggior parte dei tumori solidi (tumori del polmone non a piccole cellule, del colon retto, melanomi, carcinomi renali, dell’esofago, del tratto gastro-intestinale, dell’ovaio, etc) [14].
25
Il suo ruolo è quello di inibire la produzione di citochine e, conseguentemente, l’attività citolitica dei linfociti T CD4+ e CD8+ che infiltrano il tumore. Queste proprietà hanno reso il
PD-L1 un potenziale e promettente target [15], ma anche un possibile biomarker predittivo di risposta all’immunoterapia con i farmaci anti PD-1 ed anti PD-L1 [16].
Le cellule tumorali esprimono spesso recettori cellulari, in particolare PD-L1, che si legano alle cellule regolatrici della risposta immunitaria dell’ospite, attraverso il recettore PD-1, inibendole. L’interazione tra PD-1 e PD-L1 è il risultato della soppressione delle cellule T. Attraverso la regolazione di questi complessi recettoriali è possibile riattivare il sistema immunitario dell’ospite e consentirgli di riconoscere e distruggere le cellule tumorali.
Le attività di PD-1 includono anche l'inibizione delle cellule T durante l'esposizione all'antigene a lungo termine, come avviene nelle infezioni croniche virali e nei tumori. Queste osservazioni suggeriscono che gli anticorpi che bloccano PD-1 o PD-L1 sono un nuovo punto di riferimento per l'attività antitumorale nell’immunoterapia.
La selettività tumorale di PD-1 o PD-L1 fornisce una grande opportunità per la selezione dei pazienti sulla base dei marcatori tumorali. L'espressione di PD-L1 può infatti permettere di selezionare i pazienti con una migliore risposta agli inibitori di PD-1 [12].
Alla regolazione della risposta immunitaria contribuisce anche il CTLA-4 (Cytotoxic T-Lymphocyte Antigen 4), noto anche come CD152, che è un recettore appartenente
alla superfamiglia delle Ig espresso sui linfociti T CD4+ e CD8+ precedentemente attivati.
Il suo meccanismo di azione è quello di legarsi con uno dei suoi ligandi, B7-1 (noto anche come CD80) oppure B7-2 (noto anche come CD86) espressi su APC (cellule che presentano l’antigene), trasmettendo all'interno del linfocita un segnale di tipo inibitorio [17].
L’altro ligando di PD-1, il PD-L2, è espresso costitutivamente sulle cellule presentanti l’antigene (APC), come i macrofagi e le cellule dendritiche, su alcune sottopopolazioni di linfociti B (appartenenti ai centri germinativi ed alle cellule della memoria), sull’endotelio della vena ombelicale umana e sui fibroblasti colici (dove svolge un ruolo di soppressione dell’attivazione T linfocitaria nella mucosa del tratto gastrointestinale).
L’espressione di PD-L2 può essere indotta, su cellule dendritiche, monociti, macrofagi, linfociti T attivi e cellule epiteliali, dalla secrezione delle citochine prodotte dai linfociti Th2
26
(soprattutto IL-4, IL-13 e IFN-γ). La principale funzione di PD-L2 è d’inibire e regolare le risposte dei linfociti T di tipo Th2 e la sua attività pare essere maggiormente confinata agli organi linfoidi secondari. Anche le cellule dell’epitelio alveolare del polmone esprimono elevati livelli di PD-L2 in risposta all’IL-4, prodotta in seguito all’infezione da parte del virus respiratorio sinciziale.
Così come per il PD-L1, l’interazione tra il PD-L2 ed il recettore PD-1 genera dei segnali di natura inibitoria, con una conseguente riduzione della sopravvivenza delle cellule T, della loro proliferazione e della secrezione delle citochine. Il PD-L2 è stato individuato anche nelle cellule stromali (quali i fibroblasti) e tumorali, in un microambiente tumorale caratterizzato da un infiltrato linfocitario di tipo Th2 [14].
È stato dimostrato come i tumori siano in grado di eludere il sistema immunitario e sfruttare questi meccanismi a proprio vantaggio. Ciò ha portato allo sviluppo di nuovi farmaci, come gli anti CTLA-4 e anti PD-1/PD-L1, che agiscono contrastando il blocco determinato dall’azione dei checkpoint immunologici, potenziando la risposta immunitaria e inducendo un controllo selettivo sul tumore, talvolta a lungo termine.
Gli anticorpi anti CTLA-4 e anti PD-1 sono stati approvati per il trattamento del melanoma in fase avanzata, mentre un anticorpo anti PD-1 è stato recentemente approvato per il tumore del polmone non a piccole cellule ad istologia squamosa [12].
L’utilizzo di anticorpi monoclonali anti PD-1 ed anti PD-L1 per il trattamento di alcune neoplasie solide ed ematologiche in stadio avanzato ne ha dimostrato l’efficacia e la sicurezza.
Questi farmaci rappresentano una delle strategie più efficaci nel restituire la funzione ai linfociti T divenuti anergici e per lo sviluppo dei linfociti T della memoria, che possono garantire una risposta duratura e dinamica, determinando un controllo della progressione del tumore per mesi o anni, anche dopo la sospensione della terapia stessa [18].
L’Ipilimumab, farmaco anti-CTLA-4, è stato il primo tra i farmaci immunoterapici a essere approvato nel 2011 per il trattamento del melanoma avanzato.
27
Questo farmaco agisce legandosi ad una molecola presente sulle cellule del sistema immunitario, CTLA-4, che ha la funzione di bloccare la risposta immunitaria attraverso l’interazione con un’altra molecola (B7) presente sulle cellule spazzine (figura 2).
In questo modo, l’Ipilimumab impedisce l’inattivazione della risposta immune e ne induce, al contrario, l’iperattivazione con un evidente effetto a livello dei linfonodi, sede di maturazione della risposta immunitaria.
Di conseguenza, il sistema immunitario sarà maggiormente attivato nel riconoscere il tumore come estraneo e contrastarne la crescita [12].
Figura 2
Inibitore del punto di controllo immunitario. Le proteine del punto di controllo, come B7-1 / B7-2 sulle cellule tumorali e CTLA-4 sulle cellule T, contribuiscono a controllare le risposte immunitarie. Nella figura di
sinistra, possiamo notare come il legame tra B7-1 / B7-2 e CTLA-4 impedisca alle cellule T di uccidere le cellule tumorali. Nella figura di destra, invece, l’anticorpo anti-B7-1/B7-2 o anti-CTLA-4 blocca il legame tra
28
Numerosi inibitori di tali recettori, in particolari anticorpi monoclonali inibitori di PD-1 (Nivolumab e Pembrolizumab) e PD-L1 (Atezolizumab, Durvalumab, Avelumab), sono stati sviluppati o sono attualmente oggetto di studi clinici in diversi setting di trattamento e per i diversi istotipi di tumori del polmone.
I farmaci anti PD-1 agiscono invece bloccando l’interazione tra PD-1, molecola co-inibitoria espresso sulla superficie dei linfociti T attivati, e molecole come PD-L1 e PD-L2, espresse sulla cellula tumorale (figura 3).
Il blocco di tale interazione porta all’attivazione dei linfociti T contro il tumore, portando così ad una potenziale riduzione degli effetti collaterali [12].
Figura 3
Inibitore del punto di controllo immunitario. Le proteine del punto di controllo, come PD-L1 sulle cellule tumorali e PD-1 sulle cellule T, aiutano a tenere sotto controllo le risposte immunitarie dell’organismo. Nella figura a sinistra possiamo notare come il legame tra PD-L1 e PD-1 impedisca alle cellule T di uccidere le cellule tumorali. Nella figura a destra, invece, l’anticorpo anti PD-L1 o anti PD-1 blocca il legame tra PD-L1
29
Il beneficio clinico ottenuto in pazienti pre-trattati e non, affetti da tumori di vari istotipi, compreso il carcinoma del polmone non a piccole cellule, tradizionalmente noto per la sua resistenza ai trattamenti classici, sottolinea la possibilità che diverse neoplasie possano essere considerate immunogeniche, se la loro presenza evoca un’appropriata attivazione del sistema immunitario [20].
Non vi sono attualmente dei test che permettano di prevedere con precisione quali pazienti beneficiano o meno di questi farmaci. Nonostante ciò, nel tumore del polmone non a piccole cellule ad istologia non squamosa è stata dimostrata una correlazione tra la quantità di PD-L1 presente sulle cellule tumorali (studiata in laboratorio sul tessuto tumorale prelevato sul paziente al momento della diagnosi) e il beneficio osservato dal trattamento con farmaci anti-PD-1. Al momento però, i dati sono contrastanti su tale argomento, essendo stata riportata un’attività di tali farmaci anche su pazienti i cui tumori non esprimono o esprimono bassi livelli di PD-L1 [12].
3. Cosa sono gli anticorpi monoclonali
Le biotecnologie moderne hanno avuto un notevole sviluppo nell’ultimo trentennio e uno dei maggiori campi di intervento è stato nel settore medico e nello sviluppo dei farmaci. Tra questi, si può considerare una pietra miliare la descrizione, da parte di Köhler e Milstein (1975) del metodo per l’ottenimento di anticorpi monoclonali. Già dalla prima descrizione del metodo apparve chiaro il potenziale di questa tecnica ai fini della produzione di anticorpi con attività terapeutica e di interesse per la ricerca diagnostica.
Gli anticorpi sono proteine che vengono prodotte dai linfociti B in seguito ad uno stimolo antigenico derivante dal riconoscimento della presenza di un elemento estraneo all’organismo, da parte del sistema immunitario.
Essi hanno una struttura di base complessa costituita da quattro catene polipeptidiche. Come mostra la figura 4, sono costituiti da due coppie di molecole proteiche, disposte a Y e legate fra loro mediante ponti disolfuro, ossia mediante l’interazione di atomi di zolfo.
30
Due catene proteiche hanno un elevato peso molecolare e sono perciò dette “pesanti”; le altre due catene hanno un peso inferiore e sono dette “leggere”. Sia nelle catene leggere, sia in quelle pesanti vi sono regioni definite costanti, che hanno struttura simile negli anticorpi di una stessa classe; le regioni variabili sono invece estremamente differenziate (cioè formate da amminoacidi diversi) e permettono agli anticorpi il riconoscimento di una enorme quantità di molecole estranee (antigeni).
Figura 4
Struttura di un anticorpo [21].
Gli anticorpi appartengono alla classe di proteine dette immunoglobuline di cui esistono 5 classi (IgG, IgA, IgM, IgD, IgE) distinte secondo struttura e funzioni nel contesto della risposta immunitaria dell’organismo. Gli anticorpi monoclonali sono anticorpi prodotti da un singolo “clone”, cioè da una popolazione cellulare geneticamente identica perché derivata da un’unica cellula madre e riconoscono una sola struttura antigenica [21].
31
Gli anticorpi monoclonali offrono delle nuove opportunità per il trattamento di diverse patologie, in quanto dotate di un’elevata specificità per il bersaglio biologico, non subiscono metabolismo epatico o renale, e consentono somministrazioni meno frequenti, sebbene per via parenterale [22].
3.1. Come si producono gli anticorpi monoclonali
La tecnologia descritta da Köhler e Milstein è, almeno nella teoria, molto semplice. In un animale da laboratorio, normalmente un topo, si induce la risposta immunitaria verso un antigene specifico, somministrando lo stesso antigene agli animali.
Una volta verificata l’avvenuta stimolazione della risposta immunitaria, vengono prelevati i linfociti B del topo immunizzato e queste cellule vengono poste in coltura con cellule derivanti da un tumore del sangue murino (un mieloma), non producente anticorpi (figura 5).
Figura 5 [23].
Le condizioni di coltura sono tali da favorire la fusione tra i linfociti e le cellule di mieloma. Inoltre il terreno di coltura è appositamente modificato così che solo le cellule derivanti
32
dalla fusione di una cellula di mieloma e un linfocita B, chiamate ibridomi, sono in grado di sopravvivere, in quanto i soli linfociti non possono proliferare in assenza di stimoli antigenici e le cellule tumorali non proliferano in modo indipendente poiché sono deficitarie di alcuni enzimi per la sintesi delle basi nucleotidiche del DNA.
Gli ibridomi mantengono quindi, da un lato la capacità, propria dei linfociti, di produrre anticorpi specifici, dall’altro assumono dal mieloma la proprietà, tipica di tutte le cellule tumorali, di dividersi pressoché infinitamente. Con questa tecnica quindi, da un unico clone specifico si possono produrre elevate quantità dell’anticorpo [21].
3.2. Meccanismo d’azione
Il riconoscimento tra un anticorpo e un antigene avviene secondo un principio di complementarietà dei rispettivi siti di legame [21].
L’anticorpo lega in modo specifico un determinato antigene a livello delle regioni ipervariabili, delle catene leggere e pesanti, site sul frammento Fab.
Il frammento cristallizzabile (Fc) è responsabile della funzione effettrice attraverso il legame con il suo recettore sito sulle cellule effettrici; ciò determina l’interazione della risposta umorale, determinata dagli anticorpi, con la risposta cellulare.
Gli anticorpi agiscono attraverso vari tipi di effetti, diretti ed indiretti (figura 6).
1 - Molti anticorpi monoclonali utilizzano le regioni variabili per determinare un effetto
diretto sul loro obiettivo biologico. Gli effetti diretti possono essere determinati dal legame con:
recettori posti sulla superficie cellulare; proteine legate o associate alle membrane; fattori di crescita;
33
2 - Altri anticorpi, dopo aver legato l’antigene con il frammento Fab, agiscono in modo
indiretto attraverso il frammento Fc. In questo caso l’anticorpo si lega alla cellula
bersaglio e recluta cellule effettrici con la capacità di espletare una citotossicità cellulare anticorpo-dipendente oppure cellule in grado di effettuare la fagocitosi come le
cellule natural killer e i monociti/macrofagi.
3 - Un altro meccanismo indiretto è quello in cui l’anticorpo, dopo aver legato l’antigene,
attiva una cascata enzimatica, denominata complemento, che determina la morte della cellula bersaglio.
4 - Infine, gli anticorpi monoclonali possono essere legati (immunoconiugazione) con
farmaci, tossine, radioisotopi o citochine per consentire il rilascio specializzato di agenti terapeutici o diagnostici [22].
Figura 6
34
3.3. Le prime applicazioni e l’evoluzione tecnica
Le prime applicazioni terapeutiche degli anticorpi monoclonali sono state fatte con anticorpi di derivazione murina.
L’efficacia di questi anticorpi è risultata limitata da una serie di fattori fisiologici tra cui l’inefficace funzione di riconoscimento reciproco tra l’anticorpo murino e il corrispondente recettore umano, una ridotta emivita e soprattutto lo sviluppo della risposta anticorpale umana contro gli anticorpi murini (human anti mouse antibodies, HAMA), in quanto riconosciuti come estranei dal sistema immunitario.
Quest’ultima è stata giudicata il maggiore ostacolo all’utilizzo degli anticorpi monoclonali in terapia, tuttavia si è riusciti ad aggirare questo problema grazie allo sfruttamento della tecnologia del DNA ricombinante, che ha permesso di generare anticorpi costituiti dalla regione variabile murina e dalla regione costante umana, cosiddetti anticorpi “chimerici”. Queste modificazioni si sono ulteriormente evolute fino ad ottenere anticorpi in cui la proteina murina è rappresentata solo in quelle parti dell’anticorpo che interagiscono con l’antigene (regione ipervariabile) mentre il resto dell’immunoglobulina è umana, in questo caso si parla di anticorpi “umanizzati”.
Inoltre, grazie alle tecnologie disponibili per la creazione di animali transgenici, l’informazione genetica per la sintesi di immunoglobuline umane è stata trasferita in un topo creando pertanto un animale che produce (dopo esposizione ad un antigene) degli anticorpi identici a quelli umani (figura 7) [21].
Il campo di impiego in ambito terapeutico e diagnostico è vastissimo. Tuttavia in terapia non sono moltissimi i prodotti che hanno superato con efficacia il vaglio della sperimentazione clinica.
Principalmente a scopo diagnostico, gli anticorpi monoclonali, grazie alla selettività di legame antigene-anticorpo, vengono utilizzati per la ricerca e la misurazione delle concentrazioni ematiche di numerose sostanze, siano esse di rilevanza fisiologica o patologica.