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LA PRIMA REDAZIONE AUTOGRAFA
PROLOGO
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Piccolo mondo antico Prologo
1“Pinella!” Chiamò il professore dal balcone della sua camera. Il giovanotto che stava innaffiando
l’insalata, si voltò pronto come un soldato rispose: “Sciòr!”
“Non vedi che a momenti piove?”
A levante, di là dal lago, i dorsi obliqui della Galbiga, avevano fra l’acqua scura2 e le nuvole di tempo
cattivo più scure, specialmente verso Palessa, una squallida luce di tempo cattivo.
“Sciòr no” rispose il Pinella “è mica qui che ha da guardare. Ch’el guardi Lugano.” E, siccome il professore non si muoveva, ripose l’annaffiatoio e andò al parapetto dell’orto, sul canto della villetta per guardare a ponente verso Lugano. Allora si mosse anche il Marchesi e passò dalla camera nello studio.
“El ved? Come l’è spazzà?” gli gridò il Pinella.
Nella celletta, piccola come una cabina di nave, che in quel tempo serviva di studio al professore il lago e il cielo parevano entrare dalla finestra nel primo tratto fino all’altezza di Diè a destra e di Val Novriera a sinistra erano torbidi l’uno e l’altro. Erano torbidi ma laggiù dove non li dividono più che i colli sottili di Carona e la gobba del Monte S. Salvatore, lucevano uguale nel giallognolo sereno del tramonto.
“Lügan el sbaglia minga” soggiunse il Pinella. “La lascia anca la Bolgia!” “Cosa?”
“Disi che la Bolgia la caccia. La boffa via i nivoli.”
Il professore guardò su, a destra il profilo inclinato del Boglia e il Sasso Rosso dove le nuvole avevano due o tre strappi celesti. Si ritirò, ritornò all’altro balcone, guardò ancora per aria.
“Pinella!” diss’egli. “Sciòr!”
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“Sei sicuro che non vuol piovere?” “Sciòr sì”
1 [Col. sx.] [+] [+]. Agitazioni. Prologo. Tempo. Piove? Non piove? Inquietudini.
2 [Col. sx.] anche i [+] del sior Marchesi anche lì sopra i canneti e i Marchesi sopra i [+] [+]del Pian di Cressogno e del Passo sotto
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Una così pacata sicurezza parve turbare il professor Marchesi, che andò quindi speculando silenziosamente di finestra in finestra. Poche ore prima tirando un gran vento e minacciando la pioggia, egli aveva deliberato di uscir, verso le sette, per una visita a Castello, se però il tempo lo avesse permesso perchè il vento gli feriva i nervi, l’umidità gli inaspriva certi vecchi dolori e il professore, quantunque non fosse egoista aveva per conoscenza e per necessità la più delicata cura della propria salute, dei suoi nervi e delle sue ossa. Si trattava di andare o no; di parole volute e non osate proferire da un pezzo, che a ripetersele nel cuore glielo facevano battere con violenza; si trattava di avere una risposta difficile a prevedersi e che avrebbe deciso del suo avvenire. Poche ore prima il professore aveva forse inconsciamente sperato nella ostinazione del vento, che a sera pioverebbe. Ora questa ragione legittima di differire il pauroso momento, gliela portava via netta quel colpo di scopa nelle nuvole, quella terribile spazzata che il vento del Ticino aveva fatto sopra Carona e il S. Salvatore; perchè il Marchesi ne conosceva il significato preciso quanto il suo factotum, e sedendosi finalmente al tavolino dello studio guardava a S. Salvatore così nero e tagliente fra lago e cielo come se il destino gli venisse incontro di là e la montagna ne sapesse qualchecosa.
I curvi bracciuoli, l’alta spalliera3 scolpita del vecchio seggiolone, la faccia pensosa sotto un berretto di
velluto sulla lunga distesa di acque chiare fino al monte Gobbo, suggerivano un bel ritratto e un bel fondo; ma ciò non dimostra la bellezza del protagonista. A quarant’ott’anni il povero professore, malmenato dai reumi, da una vecchia affezione cardiaca e dalla immeritata compagnia di non so quali perversi umori che gli fiorivano malignamente sul naso e sugli zigomi, ne mostrava sessanta.
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Però il cranio pelato e giallognolo come un avorio antico, le grinze precoci non valevano a guastargli del tutto la finezza dei lineamenti, a levargli dal viso il lume simpatico di due occhi piccini, profondi, che avevano una ultima luce malinconica di gioventù e la espressione di un sangue gentile d’una educazione squisita visibile pure nella nevrosi quasi permanente, nella pulitezza perfetta della persona. Guardò un pezzo dalla finestra e poi stese la mano alla piccola Bibbia protestante che teneva sempre nel tavolino, l’aperse a caso e capitò in questo versetto del capitolo XLIV i loro occhi sono incrostati per non vedere e i loro cuori per non intendere.4
Si alzò e guardando il termometro che teneva fuori dalla finestra, scelse fra tre o quattro soprabiti quello che gli conveniva, si fasciò bene il collo con una sciarpa di seta bianca prese una sigaretta Raspail, un tubetto di penna pieno di canfora, detto al Pinella che gli preparasse per le nove e mezzo il solito thè col latte e il pan di segala, s’incamminò per Castello.
Come tutti sanno, da Casarico a Castello, si va in mezz’ora per una stradicciuola ripida che parte dal portico della riva°.
3 [Col. sx.] e do° tedeschi ma Peppina
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5Passando dalla riva il prof. Marchesi vi rivide con la immaginazione l’incontro fattosi circa un anno
prima, nel giugno del 1883 origine di così grandi novità nel suo cuore e nei suoi propositi. Egli era salito lì a Casarico nella barca corriere del Pinella che portava i Valsoldesi a Lugano, ogni mattina, per una
parpoeula. Insieme a lui vi erano salite due signore, madre e figlia, con le quali aveva presto avviata una
conversazione assai piacevole alle dame per l’affabilità e la rara cultura del Marchesi, assai piacevole a lui per la grazia signorile della madre, per il brio e la bellezza della figlia aveva saputo ch’erano di Castello e quindi° indovinato il loro nome,6 chiesto e ottenuto il permesso di visitarle. Le calde cortesie reciproche
delle prime visite diedero segno dell’amicizia che ne doveva seguire, non del tutto intima per il riserbo naturale della donna e per il riserbo abituale del professore, ma viva del Marchesi, un filosofo mistico, era vissuto, quanto ai sensi, molto austeramente. Dopo certo infelice amore duratogli tre anni, dai ventuno ai ventiquattro, per una donna miseramente inferiore a lui in tutto salvo che nella bellezza, gli erano bene entrati nel cuore alcuni occhi femminili, ma erano stati pallidi fantasmi di amori, morti appena nati, silenziosamente, [+]. La gran delusione patita non aveva ucciso il suo concetto ideale della donna, e da questa idea come da un troppo umile concetto della sua
5 [Col. sx.] Passando dalla riva di Casarico e salendo adagio adagio. La viottola selciata che conduce in mezz’ora dalla riva di
Casarico a Castello il professore si fermava spesso non tanto per i suoi vecchi quanto per altri nuovi disturbi di cuore. Pareva guardar giù il lago sereno, o gli ulivi pendenti della ripida costa, ad ascoltare voci lontane di coltivatori che si chiamavano; e non guardava ascoltava suoni figure e voci della sua mente, discorreva in fantasia con una figurina di donna matura, mesta, delicata e gracile dai capelli biondi lisci, dal viso smorto, dagli occhi azzurri, molto quieti e soavi. Si parlavano ragionevolmente col voi, chiamandosi “amica mia” e “amico mio”, ma la voce di lei, d’un timbro grave, tenera e stanca, diceva un amore serio e una scienza della vita che uniti così riuscivano particolarmente dolci. Egli desiderava sentirsi chiamare “Emilio” e avrebbe voluto alla sua volta dire “Maria” ma non osava andare tant’ oltre neppure nella immaginazione, benchè, nella immaginazione la piccola donna matura fosse sua moglie. Quando era per giungervi, quando sentiva salir in mente una parolina d’amore, si scuoteva, ripigliava il cammino, cercando cacciar da sé quella dolcezza che avrebbe potuto presto riuscirgli amara. Sostò alquanto al sedile di pietra cui mette capo il sentiero della fontana di Casarico. Erano quasi le sette. Per trovar sola la signora [+] bisognava andarvi dopo le sette e mezza, quando sua figlia di solito usciva. C’era tempo. Il professore avrebbe voluto prepararsi bene ripetersi nella mente tutto ciò che avea già studiato e ristudiato ciò che doveva dire alla signora Maria prima di domandarle la sua mano, ciò che le voleva dir dopo; ma il preambolo, la domanda
e il discorso successivo gli si confondevano e rimescolavano assieme, nel tumulto del cuore che batteva sempre il punto fisso “cosa dirà? Cosa dirà?” Il professore si alzò; si ripose in cammino con questo per aver sollievo da questo immaginar febbrile il camminare gli era di sollievo.
“Cosa dirà?” Questione difficile. La conosceva da un anno appena; le aveva parlato la prima volta andando da Casarico a Lugano nella barca del Panighèt, il corriere di S. Mamette. Era pure ritornato da Lugano con lei che aveva seco la figliuola; quello stupido ricevitore di Oria più poliziotto assai che doganiere avendo fatto della difficoltà per certa musica manoscritta che gli aveva un aspetto di cifra rivoluzionaria, egli era uscito in aiuto delle signore; quantunque non ce ne fosse uno stretto bisogno, perchè la signorina Luisa col suo vigor virile e col biro sarcastico avrebbe ben saputo tenere il bestione in rispetto, da sola. Così si erano incontrati. “Pensar” diceva a sé stesso il professore fermatosi ancora sulla viottola “che per poco non mi innamoravo della signorina!” Sì per poco! Era così vivace, graziosa e fiera e aveva preso tanta familiarità con lui fin dalle prime visite! Ecco, si era sentito un primo tocco al cuore proprio là dove passava adesso, sul breve ripiano del monte dove la viottola va fra siepi di rose. Era passato di là un giorno con la signorina Luisa ed ella gli aveva chiesto scherzando una rosa. Ma il giorno dopo era venuto a sapere, per fortuna, i grandi amori di Luisa con Don Franco Maironi. Intanto egli colse un’altra rosa da portare alla donna che amava adesso e vi posò lievemente le labbra come se il fior avesse già con la sua propria fragranza quella tepida della persona cara.
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propria attrazione personale gli veniva, nelle relazioni con le signore, una timidezza reale quantunque nascosta perfettamente dai modi amabili e sciolti°.
Quando diventò amico della signora Maria e della signorina Luisa7 quest’ultima aveva diciotto anni e il
professore quarantasei. La ragazza, prontissima d’ingegno e di spirito si divertiva molto a conversar con lui e prese a trattarlo con un tono di familiarità scherzosa ch’egli parve ricambiar volentieri ma che nel fondo dell’animo la turbò.8 La signora Maria lo ascoltò con interesse, con qualche sorriso promettente;
ed egli stava per arrischiarsi ad un piccolo passo avanti, per dirle che il suo cuore non aveva ancora grinze, né reumi, né artritidi° quando ne fu impedito dall’entrare della figliuola. Ciò era accaduto quindici giorni addietro. Se° l’occasione buona non si era più presentata, [+] una e grave angustia sopraggiunta alle signore che ne mostravano i segni e ne tacevano la causa.
Queste [+] angustie non eran durate più di quattro giorni; ma intanto i sorrisi promettenti avevano perduto un poco della loro virtù e il professore, pieno di dubbi e di trepidazioni non aveva più saputo fare un passo avanti né lungo né corto fino a quella sera del 18 maggio in cui si accingeva a spinger risolutamente un salto.
Che mutamento di cose! Allontanandosi da Luisa per accostarsi a sua madre, non gli era passato per la mente di potersene innamorare. Come era successo? Così, un po’ alla volta, scoprendo di fresca bianchezza negli occhi velati e dolci una femminilità ancora viva notando le mani giovanili, ascoltando la voce alta e dolce che diceva con un timbro così morbido tante cose delicate° e sensate che gli veniva esprimendo sempre maggior amabile fiducia e nel sentire argomenti familiari pensando che non era forse temerità la sua di sperare amore da questa donna non giovane, non vigorosa, non
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d’altro provveduta che dell’affetto di un fratello assai più vecchio di lei, mancandole il quale le sarebbero mancati tutti gli agi che ora godeva. A proposito, e questo ingegnere Casella, questo vecchio fratello d’oro, come la intenderebbe una novità simile? Il professore Marchesi era un uomo così poco pratico che solo in quest’ultima spedizione decisiva e solo all’ultima svolta della viottola dove si capiva a guardar giù nel grembo sburronato della vallata e su nei potenti muraglioni di roccia che l’accerchiano e chiudono solo in quel punto cui sovrastano a piombo, da maestro, le case di Castello, gli entrò nella mente questa poco e dubbia luce: ella mi risponderà? che deve consultare suo fratello. Ma certo, se il professore era gradito non poteva sperare una risposta migliore; e se non era gradito non poteva sperare una risposta più pietosa. E questa tarda illuminazione profetica; gli acquietò un poco il cuore con l’idea di una dilazione alla sentenza definitiva; gli parve di giuocare una posta meno grossa, gli parve più lontano il terribile caso di un rifiuto netto. Sostò in faccia alla cerchia severa degli alti sassi al cui piede discendono
7 [Di seguito ne testo l’autore scrive] quì°
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a destra e a manca tortuosi burroni profondi del fiume di Pasdecc e del fiume di Bolgia che poi si uniscono nel fiume si S. Lucia sotto Puria; ascoltò con un senso di riposo e di ebrezza la campana di Puria, di Drano, di Dasio, il Loggio che dal basso e dall’alto scorrevano l’Avemaria. “Cosa dirà?” pensò quando le campane tacquero “e cosa dirà quel buon vecchio all’antica, così franco e così poco amico di romanticismi?”. “Cosa direbbe quel gran galantuonome d’antico stampo così poco romantico?” La fantasia timida glielo raffigurò subito nell’atto di allargar le braccia e di esclamare sorprendendosi: ma cosa mai; ma cosa mai? E allora pensando a questo, tornando a turbarsi, ad agitarsi, gli parve che il rumore eguale della cascata giù in fondo la burrone gli salisse su pieno di dolor cupo; non volle starlo ad ascoltare e si ripose in cammino. Non aveva più che pochi passi a fare ma sapeva ch’erano i più ardui. Parecchie volte, andando a Castello, aveva portato intatto fin là il proposito di fare la sua dichiarazione proprio in quel posto una potente scossa di dubbi e di paure gliel’aveva mandato in pezzi. Stavolta la scossa veniva ancora, ma egli avea data parola di tener saldo e tenne saldo. Alla fontana ch’è
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9ch’è nell’entrata del paese alcune donne lo guardarono e, passato che fu, si misero a discorrere sotto
voce e a ridere. Parve al professore che nominassero la “sciora Luisina”. “Possa venir il tempo pensò, ch’io passi di qua con lei e io le racconti anche questa e che anche noi si rida”. Tale fu l’ultimo suo pensiero prima di battere alla porta di casa.10
La signora Maria stava in salotto presso alla finestra aperta con un libro sulle ginocchia, chiuso perchè non ci si vedeva più. “Caro amico!” diss’ella gradevolmente sorpresa porgendogli la mano “Così tardi?” “Così tardi, sì” rispose con un accento strano il professore, colpito dal doppio senso che aveva per lui la parola. “Oh ma è tanto bene” riprese la signora quasi sotto voce “che sia venuto! E che sia venuto adesso che non c’è Luisa! Facciamo portare il lume?”
“no, La prego!” diss’egli ancora con11 un calore strano. Gli andava troppo bene quella penombra discreta,
fatta per aprire il cuore. La signorina Luisa gliel’ aveva detto una volta, con la sua grazia maliziosa, ch’egli non sapeva parlare di cose un po’ intime se non la sera, ch’era un “geranio notturno”. Ora egli s’immaginò subito che vi fosse qualche novità nell’affare Maironi. Da un pezzo la madre di Luisa gli aveva confidato questo segreto pieno di tribolazioni e di speranze. Don Franco Maironi, il nipote ed erede della marchesa Francesca Maironi, che villeggiava a Cressogno si era innamorato appassionatamente, fin dall’autunno del 1853, di Luisa che faceva ogni anno, con sua madre, qualche visita di cerimonia a villa Speroli. Egli si era messo a frequentar casa …… e in paese la gente parlava di matrimonio. Giunte queste voci all’orecchio della nonna marchesa, ell’ aveva espresso al giovanissimo nipote con parole di ghiaccio e di ferro la sua contraria volontà. Il nipote, caldo, fiero, male inclinato verso di lei le aveva risposto con sdegno e non si era trattenuto dall’andar a Castello e dal farvi trapelare le sue intenzioni. Allora la marchesa
9 [Col. sx.] Il Poeta della Valsolda e Luisa
10 [Di seguito ne testo l’autore scrive] Descrizione da riportare qui
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aveva comunicato per mezzo di un ambasciatore alla signora Maria le intenzioni proprie; e la signora Maria aveva richiesto subito a don Franco di astenersi dalle sue visite, lo aveva pregato di piegare all’autorità legittima, anche rappresentandogli la disparità di tali nozze, le buone ragioni della nonna. Don Franco non si era più lasciato vedere a Castello, Luisa non aveva più parlato di lui alla madre. Questa però non si teneva sicurissima che non vi fosse più alcuna corrispondenza e se n’era confidata tempo addietro col Marchesi anche per essere informata da lui delle voci che corressero:
“Ebbene” diss’ella, piano “Avevo ragione io, di Maironi. Altro che non pensarci più! Altro che finito!” “Si va avanti?”
“Ma sicuro!”
Non si poteva dire che l’accento di questa risposta sicura fosse quello della desolazione; vi era in mostra tutto il dispiacere di una donna che si vede disobbedita con pericolo di molti guai e che ha uno stretto dovere, almeno in faccia al mondo, di dolersene; e vi era nascosta l’emozione di una madre che incomincia a veder probabile in una figlia un matrimonio di gran lunga superiore, per tutti i versi, a quanto avrebbe mai potuto sperare. Marchesi sorrise silenziosamente.
“Lei ride!” esclamò la signora. “Sì, perché me lo immaginavo.”
“Capisco” diss’ella. “Ma non è troppo? Non è troppo? E per quanti dispiaceri, per quante umiliazioni ci toccherà di passare. E come fare se per ora non hanno niente né lui né lei?”
Il professore non rispose. Non poteva godersi a suo talento questa novità, non poteva discorrerne a dovere perché stava discutendo nel suo segreto la questione. “E adesso? ch’io parli egualmente o ch’io non parli? Non chiese nemmeno come la signora Maria fosse venuta a scoprir la cosa. Fu lei che glielo raccontò spontaneamente dopo avergli detto che aveva tanto bisogno d’aiuto, che suo fratello
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era lontano e poco atto in ogni caso a simili faccende. Balenò quì al professore la linea diritta di una via buona. “Parlerò, sì” diss’egli e si pose ad ascoltare attentamente. Don Franco aveva fatto una corsa a Cressogno in principio d’aprile, Luisa e lui s’erano incontrati in Campò, venendo egli da Cressogno e lei da Loggio. La signora Maria lo aveva saputo e non da Luisa. Ell’ aveva allora rimproverato sua figlia e se n’era udito rispondere prontamente che l’incontro era avvenuto a caso, che lei non aveva alcuna ragione di mostrarsi scortese col signor Maironi, che solo poche parole erano state scambiate fra loro e che non aveva riferito la cosa a sua madre per evitarle inquietudini inutili. Ma un mese dopo l’incontro in Campò, e proprio l’ultimo martedì passato, la signora Maria stessa essendosi recata a Lugano con Luisa aveva veduto il giovane al caffè Omelli e ne aveva ricambiato molto freddamente il saluto. Luisa pure aveva appena salutato, ma era diventata molto rossa.
“E questa mattina “ concluse la signora “questa mattina, caro Professore!” Non pareva veramente una conclusione, ma insomma ella non disse altro.