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La regolamentazione internazionale 2.2 La regolamentazione, che vuole dare delle indicazioni per misurare e gestire il rischio d

Nel documento Liquidity stress test: un caso applicato (pagine 36-39)

liquidità, grazie all’ambiente economico-finanziario di tensione, ha cercato di fornire idee specifiche per gli intermediari proponendo soluzioni sempre in continua evoluzione.

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Gli approcci definiti dalla regolamentazione internazionale si distinguono in approcci

quantitativi, approcci qualitativi oppure approcci misti.

Gli approcci quantitativi si basano sulla misurazione, la quantificazione e il mantenime nto degli indicatori di liquidità, all’interno di bucket temporali prestabiliti, entro determinati limiti. La determinazione dei sopracitati limiti è determinata preventivamente dalla struttura stessa dell’azienda (struttura statica) ed è del tipo “one size fit to all”; tali limiti influisco no indirettamente sulle scelte aziendali riguardanti la qualità delle fonti e degli impieghi.

Gli approcci definiti di tipo qualitativo si concentrano sui sistemi interni di misurazio ne, gestione e controllo del rischio fornendo indirizzi e guide ad hoc per ogni istituto; questo tipo di approcci sono certamente più flessibili di quelli quantitativi in quanto si basano e modellano sulla struttura di ogni intermediario e sui suoi modelli interni di risk management.

Gli approcci di tipo misto tendono ad unire le caratteristiche degli approcci definiti in precedenza.

Volendo analizzare le prescrizioni della regolamentazione internazionale dalle sue origini non possiamo non evidenziare che, per molti anni, i sistemi regolamentari hanno preferito non enfatizzare una regolamentazione eccessivamente prescrittiva permettendo, quindi, una consistente libertà di gestione da parte degli intermediari.

Questo approccio ha permesso di incentivare lo sviluppo di metodi interni di misurazione e gestione del rischio nella convinzione che questa scelta potesse portare ad una risposta tempestiva, degli intermediari stessi, all’evoluzione del mercato e delle necessità della struttur a aziendale. Ciò che non era stato preventivato dalle Autorità di Vigilanza era la necessità di definire modelli ed una disciplina comune per assicurare una corretta definizione di processi di coordinamento e misurazione dei rischi a livello di macrosistema. Per evidenziare tale mancanza si pensi all’indagine effettuata dal CEBS (Committee of European Banking

Supervisors) che nel 2007 ha rilevato come, nei momenti iniziali della crisi nei principali paesi

europei non vi fossero processi di misurazione, gestione ed analisi del rischio di liquid ità uniformi e quindi facilmente analizzabili a livello sistemico.

Il percorso di rinnovamento della regolamentazione è stato lungo e molto articolato; lo affronteremo analiticamente in seguito; ripercorriamo ora l’evoluzione normativa dagli inizi. Nel 1988 viene definito il “Primo accordo sul capitale delle banche” ed esso neppure menzionava il rischio di liquidità; il Comitato di Basilea inizia ad interessarsi alla liquidità solo dagli inizi degli anni novanta raccogliendo, in un unico documento, tutte le best practices

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internazionali (BCBS; 1992). Tale documento non forniva delle direttive uniformi per indirizzare tutti gli istituti europei, all’interno di una visione regolamentare più ampia, ma solo degli esempi virtuosi dai quali tutte le banche potevano cogliere degli spunti.

Il documento appena menzionato subisce una prima trasformazione nel 2000 (BCBS, 2000) spinto da un nuovo spirito e nuovo intento in quanto esso identifica quattordici princip i fondamentali, che rispecchiano i mutamenti intervenuti all’interno dei mercati finanziari, per una migliore gestione del rischio senza però definire delle regole uniformi e prescrittive. Ulteriore documento di cui vogliamo evidenziare la pubblicazione è il rapporto pubblicato nel 2006 da un gruppo di ricerca formato dal Comitato di Basilea, IAIS (Internationl Association

of Insurance Supervisors) e IOSCO (International Organisation of Securities Commissions).

Anche questo scritto ha uno scopo puramente divulgativo e sviluppa l’argomento “gestione del rischio di liquidità” all’interno dei soli gruppi finanziari specificandone le prassi più diffuse. Questa mancanza di regole unitarie ha permesso lo sviluppo di processi e modelli di vigila nza e monitoraggio anche molto diversi tra loro; l’unica caratteristica sulla quale tutte le autorità sembravano concordi era l’inadeguatezza dei requisiti di capitale per coprire l’esposizione al rischio di liquidità in quanto questo non è direttamente legato all’equilibrio economico - finanziario della banca (Ruozi e Ferrari, 2009).

L’accordo internazionale sulla Vigilanza prudenziale noto come “Basilea 2”11, coerentemente

con quanto detto finora non stabilisce dei requisiti patrimoniali minimi a presidio del rischio di liquidità.

L’approccio adottato dalle Autorità è un approccio di tipo qualitativo e prescrive, all’interno del “Secondo Pilastro”, in un’ottica prudenziale, che ogni istituto di credito adotti processi di monitoraggio, misurazione e gestione del rischio. Basilea 2 richiede alle banche di predisporre un insieme di attività:

 definire processi focalizzati sull’analisi, il monitoraggio e la gestione della posizione finanziaria netta della banca su base continuativa e prospettica;

 definire strategie per la gestione del rischio di liquidità in condizioni di operatività normale;

11 Con il termine “Basilea 2” ci si riferisce all’accordo internazionale sui requisiti patrimoniali delle banche emanato dal Comitato di Basilea nel 2004 (giugno). In Europa l’accordo viene recepito attraverso le direttive comunitarie 2006/48/CE e 2006/49/CE; tali direttive sono state recepite dall’ordinamento italiano attraverso la circolare della Banca d’Italia n.263 del 27 dicembre 2006 ed aggiornamenti successivi.

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 definire, infine, strategie per la gestione del rischio di liquidità in condizioni di tensione e stress.

Il “Terzo Pilastro” di Basilea 2 vuole invece evidenziare l’importanza della trasparenza informativa verso il mercato ed impone alle banche di indicare e rendere disponibil i informazioni riguardanti strategie, processi di misurazione e di copertura per ogni tipologia di rischio (BCBS, 2005).

Il Comitato di Basilea con l’accordo internazionale sulla Vigilanza prudenziale non impone specificatamente dei metodi di gestione per il rischio di liquidità ma permette alle autorità nazionali di imporre alle banche di fornire informazioni a riguardo.

Nel documento Liquidity stress test: un caso applicato (pagine 36-39)