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Relazione di cura e responsabilità nell’ordinamento francese

Nel documento Relazione di cura e responsabilità (pagine 51-103)

Premessa: il contratto come schema generale di lettura della relazione terapeutica con soggetti privati in Francia

In questo capitolo si analizzerà l’inquadramento della relazione di cura in Francia, illustrandone l’evoluzione negli ultimi decenni fino alla riforma del 2002. Nel corso dell’esposizione, tuttavia, si prenderà in considerazione il solo rapporto tra paziente e medici o strutture privati: ciò perché in Francia la relazione con le strutture pubbliche è stata a lungo influenzata dalle regole del diritto amministrativo, che impedivano di ricorrere al modello dell’obbligazione privatistica. Nel contesto della disamina si guarderà anche alla configurazione delle responsabilità dei diversi attori coinvolti, prima e dopo la riforma del 2002, sì da poter confrontare tale configurazione con quella italiana, tanto antecedente quanto successiva alla riforma del 2017. A quest’ultimo proposito pare opportuno precisare che con l’ordonnance n. 2016-131 del 10 febbraio 2016 sono state

interamente riformate, a partire dal 1° ottobre 2016, le disposizioni generali del

code civil in tema di obbligazioni e contratti (mentre non sono state toccate le

disposizioni in tema di responsabilità extracontrattuale, sebbene ne sia mutata la numerazione). Nel prosieguo del testo verrà comunque fatto riferimento alla vecchia numerazione delle disposizioni del code civil, in quanto è quella utilizzata

dalla dottrina e dalla giurisprudenza precedenti la riforma. Della nuova numerazione verrà invece data evidenza in nota.

Per iniziare il percorso indicato, si può dire che in Francia, a partire dalla storica sentenza Mercier del 20 maggio 1936 della Corte di cassazione, la relazione

terapeutica intercorrente tra soggetti privati è stata inquadrata attraverso lo schema del contratto95. La sentenza citata ha affermato infatti che tra medico e

95 Cfr. Cass. civ., 20 mai 1936, in Dalloz périodique, 1936, 1, 88; in Gaz. Pal., 1936, 2, 41. A

dire il vero, anche prima di tale pronuncia si discuteva circa il ruolo del contratto nella relazione medica e circa il possibile fondamento contrattuale della responsabilità, ma in modo abbastanza incerto. La giurisprudenza, rompendo il muro dell’irresponsabilità del medico, aveva inizialmente collocato la responsabilità di quest’ultimo in ambito extracontrattuale, richiamando gli artt. 1382 e 1383 del code Napoléon (corrispondenti all’art. 2043 del codice italiano e, dopo la riforma del 2016,

agli artt. 1240 e 1241 del code civil), con una prima storica sentenza del 1835 (Cass. req., 18 juin

1835, in Sirey, 1835, 1, 401) e una seconda del 1862 (Cass. civ., 21 juillet 1862, in Rec. Dalloz, 1862,

1, 419). Tuttavia va osservato che la medesima Corte aveva riconosciuto, medio tempore, l’esistenza

di un contratto tra medico e paziente, pur ritenendolo idoneo a consentire la sola azione del medico volta al pagamento dei propri onorari (Cass. req., 21 août 1839, in Sirey, 1839, 1, 663). La

dottrina antecedente la sentenza Mercier, invece, si mostrava divisa tra chi riteneva contrattuale la

responsabilità del medico e chi la riteneva extracontrattuale. In particolare, relativamente

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paziente-cliente si forma un «véritable contrat», che comporta per il medico l’obbligo non già di guarire il paziente, bensì di fornirgli cure «consciencieux, attentifs et, réserve faite de circonstances exceptionnelles, conformes aux données acquises de la science», e dal quale discende che «la violation, même involontaire, de cette obligation contractuelle est sanctionnée par une responsabilité de même nature, également contractuelle». Al di là dei limiti, da più parti denunciati, di tale pronuncia96, quel che importa evidenziare è che essa ha improntato sul contratto

la modalità d’indagine della relazione di cura e quindi l’individuazione della responsabilità, rigettando il modello aquiliano. Tuttavia non si può nascondere una certa rigidità della giurisprudenza francese nell’utilizzo del modello contrattuale: complice forse anche il principio del non cumul, i giudici d’oltralpe

sembrano infatti essere stati incapaci (almeno in una prima fase) di separare la relazione personale di cura dall’obbligazione di cura, presumendo ciecamente quest’ultima al ricorrere della prima.

all’ammissione di un contratto volto alla sola regolazione degli onorari, se ne denunciava la mancanza di equilibrio, in quanto in tal modo il malato sarebbe stato vincolato al contratto, mentre il medico lo sarebbe stato solo in via eventuale (in via delittuale o quasi-delittuale, come osserva FALCIMAIGNE, note sous Cass. civ., 3 mars 1926, in Rec. Dalloz, 1927, 1, 93). Non

mancava poi chi tentava una sorta di compromesso, nell’ambito della responsabilità professionale, tra il contratto e l’art. 1382: in questo senso v. quanto scriveva MAZEAUD,

Responsabilité delictuelle et responsabilité contractuelle, in RTD civ., 1929, 612, il quale affermava che il

richiamo da parte della giurisprudenza a tale disposizione andava inteso nel senso che il contratto concluso tra medico e cliente impone al primo quella medesima prudenza ordinaria che l’art. 1382 impone a chiunque, ma senza che con ciò si esca dall’ambito contrattuale. Ne sarebbe prova il fatto che la responsabilità del cliente per inadempimento ai propri obblighi è pur sempre ritenuta contrattuale, per cui non potrebbe essere diversamente per l’altra parte del contratto (cioè per il medico).

96 V., per tutti, MÉMETEAU GIRER,Cours de droit médical, 5° éd., LEH, Bordeaux, 2016,

320 ss., il quale evidenzia in primo luogo (richiamandosi all’opera di CRÉPEAU, L’intensité de

l’obligation juridique, ou: des obligations de diligence, de résultat et de garantie, Yvon Blais, Montréal, 1989)

che la Corte, pur affermando una responsabilità contrattuale, non precisa quale sia «l’intensité» dell’obbligazione (di mezzi) del medico e, in secondo luogo, che la sentenza non tratta affatto della formazione del contratto. Infine, l’A. ricorda che oggetto del ricorso per cassazione era la questione del termine di prescrizione (se cioè si dovesse applicare quella triennale prevista per il reato di lesioni o quella trentennale, prevista all’epoca in ambito civile e ridotta a cinque anni solamente con la legge n. 2008-561 del 17 giugno 2008), per cui va tenuta presente l’influenza che sicuramente ha avuto nella scelta dell’inquadramento contrattuale (e quindi della prescrizione trentennale) l’esigenza di tutela del paziente.

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SEZIONE I

La relazione di cura con la struttura privata e con il medico in essa operante

1. L’originario orientamento della giurisprudenza secondo cui il contrat médical può intercorrere solo (e sempre) con un medico

In Francia, in passato, non era ammessa la conclusione di un contratto di cura con un soggetto diverso da una persona fisica. Il paziente, cioè, non poteva stipulare con una struttura sanitaria (privata) un unico contratto comprensivo sia della prestazione strettamente medica sia di quelle ad essa complementari (un contratto cioè “onnicomprensivo”), bensì doveva concludere (rectius: si riteneva

che concludesse, allorché accedeva a una clinica privata) due distinte pattuizioni: l’una con il medico (non importa se dipendente o libero professionista), per le prestazioni da questi fornite (il c.d. contrat médical) e l’altra con la struttura, per le

prestazioni alberghiere e del personale infermieristico e ausiliario (il c.d. contrat hospitalier o contrat d’hospitalisation et soins)97.

In generale, tale situazione costituiva probabilmente una conseguenza della focalizzazione dell’interesse sul contrat médical, ossia sulla relazione tra

paziente e curante, frutto, a sua volta, del naturale connotato personale che da sempre riveste la relazione di cura e del ruolo di primo piano tradizionalmente rivestito dal medico98. Non mancavano però, a sostegno di tale assetto d’interessi,

anche considerazioni di ordine tecnico. In primo luogo si giustificava la necessità 97 V. a tal proposito MÉMETEAU,Contrat hospitalier et obligation de soins, in RDSS, 3/1988,

517 ss. In giurisprudenza v. Cass. lre civ., 4 avril 1973, in Bull. civ., 1, n. 130; Cass. lre civ., 5

décembre 1978, in Rec. Dalloz 1978, juris., 353; C.A. Paris, 3 novembre 1989, in Rec. Dalloz, 1991,

somm., l76, obs. PENNEAU. Il principio secondo cui tra paziente e casa di cura si forma un

contratto è stato posto per la prima volta dall’arrêt Clinique Sainte-Croix del 1945 della Corte di

cassazione francese (Cass. civ., 6 mars 1945, in Rec. Dalloz, 1945, juris., 217), che riguardava un

caso di danni provocati al paziente dal personale infermieristico della struttura. Si riteneva, dunque, che il contenuto di tale contratto potesse riguardare le sole prestazioni alberghiere e accessorie a quella strettamente medica, non potendo invece quest’ultima formare oggetto, a motivo dell’assoluta indipendenza che connota la professione medica, la quale impedisce alla struttura qualsiasi interferenza nel compimento degli atti di cura da parte del professionista.

98 Secondo altri, invece, attraverso la separazione delle pattuizioni si sarebbe voluto

evitare di sovraccaricare gli assicuratori delle strutture sanitarie, i quali, ove si fossero ritenute queste ultime debitrici dell’intera prestazione medica, avrebbero dovuto sostenere da soli il costo del danno. Ciò forse potrebbe spiegare perché, pur dopo che la giurisprudenza ha ammesso la conclusione del contrat médical direttamente con la struttura (e ha di conseguenza affermato la

responsabilità di quest’ultima per il fatto dei medici – pur se solo di quelli dipendenti – in essa operanti), la giurisprudenza abbia continuato a cercare una qualche forma di coinvolgimento della responsabilità personale (e dunque dell’assicurazione) del medico autore del fatto dannoso (v. quanto si dirà infra a tal proposito).

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di un contratto tra paziente e medico (quand’anche lavorasse all’interno di una struttura) evidenziando la necessità di dare risalto, anche sul piano giuridico, alla relazione fiduciaria che connota il rapporto medico-paziente, la quale ha come corollario la libera scelta del curante. Si sosteneva infatti che la scelta della struttura non è che una conseguenza della scelta del medico, nel senso che nella pratica il paziente sa che se vuole essere curato da un certo professionista, deve indirizzarsi verso la struttura in cui quello opera99; e comunque, anche ove sia la

struttura a scegliere il medico cui affidare il paziente (che non si sia indirizzato verso un certo professionista), si diceva che quest’ultimo, accettando le cure del sanitario fornitogli, ratifica tale scelta, esercitando così, pur se in maniera indiretta, la propria libertà. In secondo luogo la separazione tra contrat médical e contrat hospitalier si riteneva giustificata dal fatto che l’esecuzione delle prestazioni oggetto

del primo era riservata dalla legge ai soli soggetti muniti dell’apposita abilitazione, cosicché la clinica privata non poteva impegnarsi in proprio a fornire al paziente prestazioni mediche, ma poteva solamente mettergli a disposizione dei professionisti con i quali egli avrebbe poi concluso il contrat médical100. Da ultimo,

si richiamava l’intangibilità dell’indipendenza professionale del medico, stabilita per legge e ritenuta un principio di ordine pubblico101: ammettere infatti una

responsabilità della struttura per il fatto del medico in essa operante avrebbe comportato il diritto della prima a una qualche forma di controllo sull’operato del secondo, il che ne avrebbe intaccato l’autonomia professionale. In definitiva l’indipendenza di cui il medico deve godere (e a cui non può rinunciare) impediva di poterlo considerare quale preposto (préposé) della struttura, e quindi di

affermare una responsabilità di questa, anche sotto il solo profilo 99 Come scrive J. SAVATIER,obs. sous Cass. 1re civ., 4 juin 1991, in JCP G, 1991, II, 21730,

317, «Le choix du médecin commande celui de l’établissement».

100 A dire il vero l’art. L. 4111-1 (in precedenza L. 356) del code de la santé publique prevede

tutt’ora che l’esercizio della professione medica (così come di dentista e ostetrica) sia riservato ai soggetti in possesso dello specifico diploma e iscritti al relativo albo professionale. Tuttavia la tesi secondo cui tale disposizione impedirebbe alle strutture private di assumere direttamente un’obbligazione avente a oggetto il compimento di atti medici, è stata ritenuta eccessivamente restrittiva, perché in effetti, non essendoci alcun dubbio che le strutture pubbliche lo possano fare, non si vede perché impedirlo a quelle private (in tal senso v. MÉMETEAU,La responsabilité

médicale de la clinique privée, in RDSS, 1/1997, 100). Inoltre una tale soluzione apparirebbe in

contrasto con la possibilità, già prevista dal 1990, per le SCPE (Sociétés Civiles Professionnelles d’Exercice) di esercitare la professione medica in forma societaria. Da ultimo, va pure osservato

che la necessità di apposito titolo abilitante è richiesta di per sé anche per le professioni sanitarie ausiliarie (v., per quella di infermiere, l’art. L. 4311-2 CSP), senza che tuttavia ciò abbia mai impedito di ritenere che le strutture potessero esse stesse impegnarsi a fornirle al paziente (anzi: sono proprio esse l’oggetto del contrat hospitalier ).

101 Recita infatti l’art. R. 4127-5 CSP (in precedenza art. 5 code de déontologie médicale) che

«le médecin ne peut aliéner son indépendance professionnelle sous quelque forme que ce soit».

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extracontrattuale, per il fatto del primo102. Di conseguenza la struttura privata

poteva essere chiamata a rispondere solo per l’inadempimento delle prestazioni oggetto del contrat hospitalier, ossia delle prestazioni accessorie a quella medica, ma

non invece dei danni arrecati al paziente dal sanitario, dei quali solo quest’ultimo avrebbe risposto103.

Tali argomentazioni, però, non erano in grado di fugare le molte perplessità che suscitava l’idea per cui la relazione tra paziente e medico (ancorché dipendente) doveva necessariamente essere contrattuale.

Per prima cosa, infatti, appariva una forzatura ricercare l’esistenza di un contratto tra medico e paziente anche laddove quest’ultimo non si fosse rapportato direttamente con il sanitario, ma si fosse rivolto alla sola struttura. Ritenere che il paziente eserciti comunque una scelta (e quindi, par d’intendere, manifesti una qualche forma di volontà contrattuale) per il solo fatto che accetti la scelta fatta dalla struttura nel mettergli a disposizione un certo professionista, appare un’operazione a dir poco funambolica. Semmai, più che ratificare una scelta altrui, il paziente subisce le decisioni organizzative della struttura. Ma in ogni

caso, anche ad accettare l’idea della ratifica, ciò che più collide con il rilievo che la stessa tesi in parola vuol dare all’elemento della fiducia è l’idea stessa della stipulazione di un contratto tra il medico della clinica e un paziente che in essa si reca senza sapere da chi verrà preso in cura104.

In secondo luogo appariva problematico ammettere la stipulazione di un autonomo contratto tra paziente e medico laddove quest’ultimo fosse dipendente della clinica: è fuor di dubbio infatti che la condizione di lavoro subordinato urta con la possibilità di una distinta relazione negoziale con il cliente della struttura. In contrario, come prima accennato, la giurisprudenza invocava la necessaria autonomia professionale del medico (pur dipendente), nel senso che seppure egli si trovi in una situazione di subordinazione amministrativa, ciò non può far venir meno la sua indipendenza tecnica (garantita sia da norme deontologiche che da norme di legge di ordine pubblico) e quindi la possibilità di esercitare liberamente

102 Ciò poiché ai fini dell’operatività dell’art. 1384, al. 5, code civil (corrispondente all’art.

2049 del codice italiano e, dopo la riforma del 2016, all’art. 1242, al. 5, code civil), è necessario che

l’autore materiale del fatto rivesta la qualità di préposé.

103 V. a tal proposito Cass. 1re civ., 4 avril 1973, in Bull. civ., I, n. 130, che cassa una

sentenza che aveva affermato la responsabilità solidale della clinica per il danno provocato dal medico in essa operante.

104 A tal proposito non è irrilevante notare che la giurisprudenza fondasse la conclusione

del contrat médical tra medico e paziente sull’esistenza delle prescrizioni rilasciate dal primo al

secondo, nonché sulla documentazione (a firma del medico) necessaria per il rimborso delle spese da parte della Assurance Maladie.

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la propria attività 105 . Tuttavia è evidente in tale contesto la debolezza

dell’argomento che si fonda sull’indipendenza tecnica: la preservazione dell’autonomia professionale del medico, infatti, non deve per forza tradursi nella necessaria instaurazione di un’autonoma relazione contrattuale tra questi e il paziente106. Diversamente, invero, si produrrebbe un insanabile contrasto tra

detta autonoma relazione e la funzione dell’instaurazione del legame di subordinazione (pur solo amministrativa) tra medico e clinica privata: infatti in tanto tale legame ha infatti senso in quanto sia orientato a consentire alla struttura l’adempimento a un’obbligazione da essa stessa assunta, per cui, ove dell’obbligazione si faccia invece carico direttamente il medico, l’assunzione di questi quale lavoratore dipendente perderebbe di utilità, diventando sufficiente che egli operi nella struttura a titolo libero professionale107.

Infine, la teoria secondo cui nell’ambito delle prestazioni erogate da strutture private il medico ivi operante (ancorché dipendente) concludeva con il paziente un contrat médical, si poneva in contrasto con la disciplina vigente per le

strutture pubbliche: anche il medico dipendente pubblico, infatti, gode della medesima autonomia professionale riservata a quello dipendente privato, senza tuttavia per questo dover (e poter) concludere un contrat médical con i pazienti della

struttura. Senza dimenticare, per di più, che dei danni provocati dai medici 105 In effetti la giurisprudenza, al fine di rendere compatibile l’esercizio della professione

medica con la condizione di lavoratore subordinato, era giunta a distinguere l’indipendenza tecnica (della quale il medico non può essere privato e che gli è garantita da norme di ordine pubblico) da una subordinazione amministrativa (relativa alla mera organizzazione della sua attività), alla quale il medico può essere sottoposto nei confronti del proprio datore di lavoro. In questo senso v. Cass. soc., 28 octobre 1978, in Bull. civ., 1978, V, n. 725, secondo la quale

«l’indépendance des médecins dans l’exercice de leur art n’est pas incompatible (…) avec l’existence d’un lien de subordination à l’égard de la direction de la clinique dans laquelle ils donnent leurs soins».

106 Anche perché il connotato dell’indipendenza distingue anche altre professionalità

sanitarie quali, per esempio, le ostetriche (in tal senso v. MÉMETEAU,Contrat hospitalier et obligation

de soins, cit., 519 e ID.,La responsabilité médicale de la clinique privée, cit., 100) le cui prestazioni sono

pacificamente oggetto del contrat hospitalier stipulato dalla struttura sanitaria. Sulla difficoltà di

conciliare l’esistenza del contratto di lavoro tra medico e struttura da un lato e contrat médical tra

sanitario e paziente dall’altro, v. JOURDAIN, La responsabilité du fait d’autrui en matière médicale, in

Petites Affiches, 22 septembre 1999, n. 189, 33, il quale evidenzia che il medico dipendente non ha

propri clienti e percepisce una retribuzione forfetaria; inoltre l’esecuzione da parte sua degli atti medici rappresenta non già l’adempimento a un contrat médical, bensì l’adempimento al contratto

di lavoro con la struttura sanitaria.

107 Contro la possibilità che il medico dipendente stipuli un autonomo contrat médical con

il cliente della clinica privata si era detto anche che ciò contrasterebbe con l’obbligo di non concorrenza che grava sul dipendente. Tuttavia si è contrariamente osservato che una tale violazione (ammesso che possa realmente dirsi tale in un assetto in cui si ritiene che la clinica non può stipulare un contrat médical) avrebbe rilevanza nei soli rapporti tra medico e struttura, senza

poter influire sulla validità del contratto tra medico e paziente (GIRER,Contribution à une analyse

rénovée de la relation de soins, LEH, Bordeaux, 2008, 190).

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dipendenti pubblici risponde di norma la sola struttura, rimanendo esclusa la responsabilità dei singoli salvo il caso di c.d. faute personnelle détachable du service.

2. Il revirement di Cass. 4 giugno 1991: il contrat médical può intercorrere anche con la struttura

Fu la giurisprudenza di legittimità a recepire le critiche della dottrina. Con la sentenza del 4 giugno 1991108 la Corte di cassazione operò infatti un vero e

proprio revirement affermando che, laddove il paziente si sia recato presso una

struttura privata, il contrat médical deve considerarsi concluso con quest’ultima e

non già con il medico curante109. Ciò significa che la struttura può assumere su di

sé il contenuto dell’intera prestazione di cura, comprensiva sia degli atti strettamente medici, sia delle prestazioni accessorie e alberghiere e di conseguenza risponde direttamente dell’inadempimento di entrambe tali componenti 110.

La pronuncia del 1991, quindi, rese possibile la separazione tra la relazione personale con il medico e l’obbligazione di cura.

Tuttavia, complice forse l’estrema concisione argomentativa delle sentenze d’oltralpe111, già all’indomani della sentenza iniziò un dibattito su due questioni

sollevate dalla decisione.

108 Cass. 1re civ., 4 juin 1991, in JCP G, 1991, II, 21730, obs. J. SAVATIER; in Gaz. Pal.,

1992, juris., 503, note CHABAS.

109 Nel caso esaminato dalla Corte il medico era dipendente della struttura sanitaria. 110 Una tale soluzione, invero, era già stata ipotizzata in dottrina (e addirittura anche per

il caso in cui il medico non fosse dipendente) da MÉMETEAU,Contrat hospitalier et obligation de soins,

cit., 517 ss., sulla scia dell’esperienza del Québec (e rifacendosi, in particolare, all’opera di CRÉPEAU,La responsabilité civile de l’établissement hospitalier en droit civil canadien, in McGill Law Journal,

1981, 673). Mémeteau si chiedeva, infatti, se la tesi che scindeva il rapporto di cura in diverse relazioni contrattuali (paziente-medico e paziente-struttura) non valesse più ratione auctoritatis (con

riferimento all’indipendenza professionale medica e al monopolio del suo esercizio) che auctoritate

Nel documento Relazione di cura e responsabilità (pagine 51-103)

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