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La responsabilità del medico all’interno di una struttura sanitaria

Nel documento Relazione di cura e responsabilità (pagine 103-200)

SEZIONE I

Le diverse teorie sull’inquadramento della responsabilità del medico e della struttura

Premessa

Nelle pagine che seguono si prenderanno in esame le diverse ricostruzioni che nel tempo sono state utilizzate per inquadrare la responsabilità del medico e quella della struttura sanitaria. Si tenga presente che, per mera comodità espositiva, ci si riferirà spesso alla sola figura del medico quale soggetto responsabile, ma è evidente che in tale riferimento dev’essere ricompresa anche la posizione di tutti gli altri operatori sanitari (infermieri, ostetriche, tecnici di laboratorio ecc…).

1. La tesi della responsabilità contrattuale della struttura ed extracontrattuale del medico dipendente. Critica

La tesi con cui si può iniziare il percorso appena introdotto è quella secondo la quale, a fronte dell’erronea esecuzione della prestazione di cura, sorge una duplice responsabilità: contrattuale della struttura (privata o pubblica) e aquiliana dell’operatore sanitario. Si tratta di una tesi che in passato ha ricevuto una certa fortuna sia in dottrina che in giurisprudenza e che ora sembra essere stata adottata dalla riforma del 2017245.

Per la verità prima dell’istituzione del Servizio sanitario nazionale prevaleva in giurisprudenza l’orientamento secondo il quale entrambe le

245 Cfr. l’art. 7 della l. 8 marzo 2017, n. 64, recante «disposizioni in materia di sicurezza

delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie», il cui comma 1 recita: «la struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose». Il successivo comma 3, invece, prevede: «l’esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2 risponde del proprio operato ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente (…)».

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responsabilità avevano natura extracontrattuale e precisamente quella dell’ente derivava da quella del medico (secondo il meccanismo dell’art. 2049 c.c.)246.

La dottrina, però, aveva avuto modo di osservare che il rapporto tra paziente e struttura poteva essere qualificato come contrattuale ove fosse coinvolta una struttura privata247, o comunque come obbligatorio ove la struttura

fosse pubblica 248. Di conseguenza in entrambi i casi, poiché l’inesatta esecuzione

degli atti di cura dava luogo a inadempimento, la responsabilità della struttura doveva qualificarsi come contrattuale. Tale ultima opinione, poi (soprattutto con riguardo alle strutture pubbliche), ha trovato un appiglio normativo nella legge 23 dicembre 1978, n. 833 (istitutiva del Servizio sanitario nazionale), la quale ha valorizzato la volontà dell’assistito nella scelta del medico di fiducia e del luogo di cura (v. art. 19, comma 2), nonché la necessità del consenso agli accertamenti e trattamenti sanitari (v. art. 33, comma 1).

Tuttavia, pur a seguito di tali riflessioni, la stessa dottrina che per prima le espresse e la giurisprudenza che in seguito sposò la tesi della natura contrattuale della responsabilità della struttura (pubblica o privata che fosse) continuarono ad affiancare a detta responsabilità quella, extracontrattuale, del singolo medico, sul presupposto sia che la natura del diritto leso (la salute) qualificasse inevitabilmente il fatto come illecito aquiliano, sia che il sanitario dipendente non fosse legato al paziente da alcun rapporto particolare249.

246 Cfr. SANNA, Osservazioni critiche in tema di contratto di spedalità, in Resp civ. e prev.,

6/1998, 1554, nt. 1 e, in precedenza, COPPARI,Riflessioni in tema di responsabilità dell’ente ospedaliero

per fatto dannoso del dipendente, in Foro it., 1993, I, 265.

247 CATTANEO, La responsabilità del professionista, cit., 345, il quale, premesso che «tra

l’ospedale privato o la casa di cura ed il cliente c’è di regola un rapporto contrattuale», afferma che «dal momento che qui esiste un rapporto obbligatorio avente per oggetto la prestazione di cure, ogni fatto colposo nell’esecuzione di tali cure costituisce per ciò stesso inadempimento dell’obbligazione».

248 Propende espressamente per l’esistenza di un’obbligazione ex lege CASETTA, La

responsabilità degli ospedali e dei sanitari ospedalieri, in Gli ospedali e le farmacie, a cura di P.BODDA, Atti

del Congresso celebrativo del centenario delle leggi amministrative di unificazione, L’ordinamento sanitario, 2, Neri Pozza, Vicenza, 1967, 46, fermo che ritiene l’atto da cui origina il rapporto tra

paziente e struttura non un contratto ma un’ammissione di diritto amministrativo; più sfumata la posizione di CATTANEO, Op. cit., 347, il quale si limita ad assimilare i diritti e gli obblighi derivanti

da tale atto amministrativo a quelli contrattuali. In ogni caso per entrambi gli Autori la responsabilità cui dà luogo la violazione di tale rapporto è contrattuale.

249 V. CATTANEO, Op. cit., 313 e 351; nel medesimo senso, ma senza fornire

giustificazioni alla qualificazione come extracontrattuale della responsabilità del singolo operatore, PRINCIGALLI,La responsabilità del medico,cit., 265. Più di recente, v. GABRIELLI,La r.c.

del professionista: generalità, in La responsabilità civile, a cura diP.CENDON, Responsabilità contrattuale,

vol. VI, UTET, Torino, 1998, 300. In giurisprudenza la prima pronuncia che riconduce all’ambito contrattuale la responsabilità della struttura sanitaria pubblica verso il paziente è Cass., 21 dicembre 1978, n. 6141, in Foro it., 1979, I, 4; per l’affermazione della concorrente responsabilità

extracontrattuale del medico v., per prima, Cass., 24 marzo 1979, n. 1716, in Giust. civ., 1979, I,

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In realtà, però, l’affermazione di una responsabilità aquiliana dell’operatore sanitario all’interno del quadro ricostruttivo sopra delineato desta qualche perplessità. In effetti, il mero fatto che il medico non sia legato al paziente da alcun rapporto obbligatorio, se è certamente elemento che esclude la sussistenza di una responsabilità contrattuale in senso proprio di quest’ultimo250, non assume

alcuna rilevanza nell’affermazione della responsabilità aquiliana. Né potrebbe assumere rilevanza, come pure invece s’è affermato, il richiamo al rispetto dei doveri professionali valevoli indipendentemente dal rapporto esistente tra il sanitario e il paziente, quasi si trattasse di doveri erga omnes la cui violazione dà

luogo, in quanto tale, a responsabilità extracontrattuale251. Dunque l’unico

elemento su cui sembra basarsi l’affermazione di tale responsabilità pare essere la natura del diritto leso252. Ma anche questo argomento non appare decisivo, e a

rilevarlo, nel contesto però della responsabilità del medico libero professionista legato al paziente da autonomo contratto, è proprio quella dottrina che afferma la responsabilità aquiliana del sanitario allorché invece egli operi all’interno di una struttura organizzata253. Scrive infatti questa dottrina, al fine di contestare

l’applicazione del concorso di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale in capo al singolo medico, che il concorso non andrebbe ammesso «almeno in quelle ipotesi in cui l’obbligo di non ledere un diritto assoluto altrui è divenuto l’oggetto principale di un’obbligazione contrattuale, come appunto avviene nel contratto di

1440, secondo la quale, se non è configurabile una responsabilità contrattuale del medico dipendente dall’ente verso il paziente in conseguenza dell’errore diagnostico o terapeutico, «tale errore può però rilevare sotto il profilo della responsabilità extracontrattuale quando da esso sia scaturito un danno al paziente se concorrono i presupposti di cui all’art. 2043 c.c.». Successivamente v. Cass., 26 marzo 1990, n. 2428, in Giur. it., 1991, I, l, 600; Cass., 13 marzo

1998, n. 2750,in Arch. civ., 1998, 659. Nella giurisprudenza di merito v. Trib. Verona, 4 ottobre

1990, in Giur. it., 1991, l, 2, 696; Trib. Verona, 15 ottobre 1990, in Nuova giur. civ. comm., 1991, I,

357 (la prima sentenza in cui s’è parlato di «contratto atipico di spedalità»); Trib. Verona, 4 marzo 1991, in Giur. merito, 1992, 823; App. Venezia, 11 febbraio 1993,in Giur. merito, 1994, 37; Trib.

Trieste, 14 aprile 1994, Resp. civ. prev., 4-5/1994, 768.

250 Altro è il discorso, come si vedrà, per l’applicazione in via analogica della disciplina

della responsabilità contrattuale proposta da taluna dottrina.

251 Per un richiamo a tali doveri v. CATTANEO, La responsabilità del professionista, cit., 352, il

quale, in relazione alla responsabilità del medico dipendente pubblico, osserva che «prima che come funzionario, un dovere di diligenza vige a carico di lui come medico. Qualunque sia il rapporto giuridico pubblico o privato che lo obbliga a curare un paziente, ed anche se non c’è un rapporto obbligatorio avente per soggetto attivo il paziente, un medico è sempre tenuto verso il paziente ad usare diligenza, per il solo fatto di avere intrapreso la cura. Sarebbe inammissibile che la nomina a funzionario costituisse un esonero dalla responsabilità di diritto comune».

252 Cfr. FORZIATI, La responsabilità contrattuale del medico dipendente: il “contatto sociale”

conquista la Cassazione, in Resp. civ. prev., 1999, 673. Talora, come rileva criticamente CATTANEO,

Op. cit., 306, un valore era stato dato anche alla circostanza della rilevanza penale del fatto.

253 CATTANEO, Op. cit., 306 ss.

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cure mediche», precisando che il risultato non cambierebbe anche ove si considerasse leso non l’interesse alla prestazione principale (c.d. Leistungsinteresse),

bensì un interesse di protezione (c.d. Schutzinteresse), dal momento che

«probabilmente in materia di contratto medico non c’è posto per un obbligo di protezione della persona, distinto dall’obbligo principale di eseguire la prestazione»254. Come poc’anzi accennato, appare singolare che quest’ultimo

Autore escluda la responsabilità extracontrattuale del medico laddove questi operi in adempimento di una propria obbligazione e l’ammetta invece ove agisca in adempimento di un’obbligazione altrui. In effetti, se non vi è posto per la responsabilità aquiliana allorché il contratto di cure mediche sia concluso dal singolo professionista, non si comprende perché, allorché parte del medesimo contratto (o del rapporto obbligatorio, in caso di ente pubblico) sia una struttura, il singolo medico debba rispondere in via extracontrattuale. Così facendo, se pur si esclude il concorso “proprio” di responsabilità, si finisce con l’ammette (contraddittoriamente) quello “improprio”.

Per di più la tesi che afferma la sussistenza di una responsabilità aquiliana in capo al medico ha dato luogo a storture applicative. Invero predicare la responsabilità extracontrattuale del sanitario significa presupporre che quest’ultimo debba rispondere solo allorché la sua condotta abbia cagionato un danno al paziente, e non invece anche nell’ipotesi di mero insuccesso delle cure cui non sia seguito alcun pregiudizio (ossia nel caso in cui il paziente non sia peggiorato ma neppure migliorato). Solo che, se ciò è vero, va pure rilevato che la giurisprudenza, sul presupposto che altrimenti la responsabilità del sanitario sarebbe risultata oltremodo ridotta, ha spesso addossato al medico il risarcimento anche di quei pregiudizi derivanti dalla mancata acquisizione di un’utilità, ossia quei pregiudizi tipici della responsabilità contrattuale, finendo così per deformare la funzione della responsabilità aquiliana255.

È forse allora proprio per la constatazione dell’inadeguatezza del regime extracontrattuale di responsabilità, unitamente alla considerazione dei maggiori vantaggi garantiti al paziente dal regime contrattuale, che l’idea del concorso

254 CATTANEO, Op. cit., 312 ss.

255 V. FRENDA, Il concorso di responsabilità contrattuale e aquiliana. Soluzioni empiriche e coerenza

del sistema, cit., 190, la quale osserva che nonostante la qualificazione come aquiliana della

responsabilità del medico avrebbe dovuto comportare la limitazione della responsabilità di quest’ultimo alla sola alterazione in negativo dell’altrui status quo (senza estendersi cioè anche alla

mancata realizzazione dell’interesse positivo), tale circostanza è stata spesso ignorata dagli interpreti «i quali usano porre l’azione extracontrattuale alla base anche di pretese risarcitorie dovute al mancato raggiungimento di un risultato positivo, rimediando così, nella pratica, alle conseguenze derivanti dall’inadeguato inquadramento sistematico». Per il medesimo rilievo v. anche, in precedenza, DI MAJO,L’obbligazione senza prestazione approda in Cassazione, in Corr. giur.,

4/1999, 447.

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“improprio” di responsabilità è stata abbandonata dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Ciò però è avvenuto, va detto, a vantaggio di ricostruzioni non a loro volta scevre di aspetti problematici.

2. La tesi della responsabilità «di tipo professionale». Critica

Onde ovviare agli inconvenienti (sul piano dogmatico, ma soprattutto, s’è detto, pratico) della tesi in precedenza esposta, la giurisprudenza ha ricercato un modo per affermare la natura contrattuale anche della responsabilità del medico dipendente da struttura sanitaria. Una soluzione è stata fornita da Cass., l° marzo 1988, n. 2144256, che ha inaugurato un nuovo filone giurisprudenziale257.

In questa pronuncia la Corte tratta sia della responsabilità della struttura (pubblica, in quel caso), sia della responsabilità del medico da essa dipendente.

Quanto alla prima i giudici affermano che poiché lo svolgimento dell’attività finalizzata all’erogazione di un servizio pubblico (quale è quello sanitario) non è connotata dall’esercizio di un potere pubblicistico (a differenza delle attività amministrative finalizzate alla realizzazione di interessi generali), il privato ha un diritto soggettivo alla prestazione del servizio, al quale è correlato il dovere dell’ente pubblico preposto all’erogazione della prestazione. Di conseguenza tra i due soggetti nasce un rapporto giuridico che impedisce di qualificare come extracontrattuale la responsabilità dell’ente, sicché quest’ultima dovrà necessariamente dirsi contrattuale258. Inoltre, scrivono i giudici, poiché

l’attività oggetto del servizio pubblico sanitario è «di tipo professionale medico» (simile cioè a quella svolta da un medico libero professionista), tale responsabilità non può che essere «analoga a quella del professionista medico privato», con la conseguenza che le andranno applicate, analogicamente, «le norme che regolano la responsabilità in tema di prestazione professionale medica in esecuzione d’un contratto d’opera professionale». Così facendo, però, si riduce la prestazione della 256 Cass., l° marzo 1988, n. 2144, in Nuova giur. civ. comm., 1988, I, 604 con nota di

PUCELLA.

257 V. infatti nello stesso senso: Cass., 16 novembre 1988 n. 6220, in Mass. Giust. civ.,

1988, II, 1490; Cass., l° febbraio 1991, n. 977, in Giur. it., 1991, I, l, 1379 ss.; Cass., 27 maggio

1993, n. 5939, in Rep. Foro it., 1993, 2495, voce Professioni intellettuali, n. 114; Cass., 11 aprile 1995,

n. 4152, in Rep. Foro it., 1996, 1606, voce Professioni intellettuali, n. 171; Cass., 27 luglio 1998, n.

7336, in Rep. Foro it., 1998, 1696, voce Professioni intellettuali: Responsabilità del professionista, n. 154;

Cass., 7 ottobre 1998, n. 9911, in Foro it., 1998, I, 3520; Cass., l° dicembre 1998, n. 12195, in Giust. civ., 1999, I, 672; Cass., 2 dicembre 1998, n. 12233, in Danno e resp., 1999, 777 ss.

258 «Per esclusione», si legge nella sentenza, «la responsabilità dell’ente pubblico, gestore

del servizio pubblico, va qualificata contrattuale, intesa, in tal senso, come responsabilità insorta nel compimento di una attività dovuta nell’ambito di un preesistente rapporto giuridico, privato o pubblico, tra i due soggetti».

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struttura alla sola attività professionale medica, ignorando il complesso delle attività a essa complementari259 (il quale porterà infatti poco più tardi la

giurisprudenza a discorrere di «contratto atipico di spedalità»). Ma a parte questo aspetto, la qualificazione come contrattuale della responsabilità dell’ente è certamente coerente con la sua posizione di obbligato alla prestazione di un servizio260.

Più problematica è invece l’argomentazione svolta dalla Corte per giustificare la natura contrattuale anche della responsabilità del medico dipendente.

Scrivono i giudici che «per l’art. 28 cost., accanto alla responsabilità dell’ente esiste la responsabilità del medico dipendente». Dunque il fondamento della responsabilità del singolo operatore sembra doversi rinvenire direttamente nel precetto costituzionale. Mentre la natura di tale responsabilità (che il precetto fondamentale in sé non definisce) viene individuata dai giudici sulla base della circostanza che alla base di essa vi è il medesimo elemento fattuale che genera la responsabilità della struttura, e cioè l’inesatta esecuzione dell’attività professionale. In altre parole secondo questa lettura le due responsabilità non avrebbero il medesimo fondamento, scaturendo l’una dall’inesatto adempimento dell’obbligo di prestare il servizio e l’altra direttamente dalla Costituzione261; tuttavia la

circostanza di avere in comune il fatto generatore (consistente nella condotta del sanitario irrispettosa dei propri doveri professionali) fa sì che la qualificazione di responsabilità «di tipo professionale» data all’una (la responsabilità della struttura) venga estesa anche all’altra (la responsabilità del medico), con la conseguente applicazione anche a quest’ultima, seppur per analogia, del regime della responsabilità contrattuale262.

259 In questo senso v. la nota di commento di PUCELLA, 610.

260 E ciò si ritiene nonostante i giudici facciano riferimento alla teoria

dell’immedesimazione organica quale strumento d’imputazione dell’operato del medico all’ente. Critico sull’operazione di avvicinamento della relazione tra ente e paziente al contratto d’opera professionale e sull’applicabilità dell’art. 2236 c.c. alla struttura, PUCELLA, nella nota di commento

citata, spec. 611 ss. L’A. comunque concorda con la natura contrattuale della responsabilità dell’ente.

261 In tal senso sembra porsi anche NIVARRA,La responsabilità civile dei professionisti (medici,

avvocati, notai): il punto sulla giurisprudenza, in Europa dir. priv., 2/2000, 517, nt. 11, laddove afferma

che nella sentenza in esame «il richiamo all’art. 28 Cost. funge da supporto alla tesi della comune radice – si direbbe fenomenologica ancora prima che giuridica – della responsabilità dell’ente e della responsabilità del medico dipendente nella esecuzione non diligente della prestazione sanitaria, ma se ne esclude in modo abbastanza esplicito la sua diretta applicabilità», nel senso cioè che il richiamo all’art. 28 Cost. non determina il regime della responsabilità, ma serve solo ad affermarne l’esistenza.

262 Scrivono i giudici che le due responsabilità «hanno entrambe radice nell’esecuzione

non diligente della prestazione sanitaria da parte del medico dipendente, nell’ambito

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Sennonché con riguardo a tale prospettazione va osservato che l’espressione «responsabilità di tipo professionale», lungi dal delineare un tertium genus di responsabilità rispetto a quelle aquiliana e contrattuale, indica, piuttosto,

un’ipotesi particolare di responsabilità contrattuale, e precisamente quella che deriva dall’inadempimento di una prestazione d’opera professionale. Ciò che l’espressione significa, quindi, è che, in quel tipo di prestazioni, l’inadempimento (e dunque la responsabilità) deriva dalla violazione di regole proprie della professione coinvolta nell’obbligazione e che, in ragione di ciò, può venire in applicazione una disciplina particolare (tipicamente l’art. 2236 c.c.). Non si deve dunque cadere nell’equivoco di ritenere che la violazione delle regole professionali identifichi un regime autonomo di responsabilità. La responsabilità, in tali casi, è pur sempre contrattuale, per cui, secondo la struttura di quest’ultima, anche in quella che si voglia chiamare responsabilità «di tipo professionale» è comunque necessaria la presenza di un’obbligazione al cui adempimento sia tenuto chi si definisca responsabile. Sennonché una tale obbligazione, nel caso del medico dipendente, manca, perché l’unico soggetto gravato da un obbligo (pubblicistico) è la struttura263. Ecco allora perché non è possibile qualificare come contrattuale

la responsabilità del sanitario fondandosi sulla sola circostanza, meramente fattuale, della violazione da parte sua dei doveri professionali264. Né, sia chiaro,

l’impasse potrebbe essere risolta attraverso la creazione (ma non si saprebbe in che

modo) di un autonomo vincolo obbligatorio in capo al medico: invero un siffatto vincolo non rivestirebbe alcuna utilità, rivelandosi al contrario pleonastico, dato che per effetto della sua creazione ci si ritroverebbe con due soggetti obbligati alla medesima prestazione265, uno dei quali adempie per mezzo dell’adempimento

dell’altro.

dell’organizzazione sanitaria. Pertanto, stante questa comune radice, la responsabilità del medico dipendente è, come quella dell’ente pubblico, di tipo professionale; e vanno applicate anche ad essa, analogicamente, le norme che regolano la responsabilità in tema di prestazione professionale medica in esecuzione di un contratto d’opera professionale».

263 Cfr. CASTRONOVO, L’obbligazione senza prestazione ai confini tra contratto e torto, in AA.

VV., Le ragioni del diritto. Scritti in onore di Luigi Mengoni, I, Giuffrè, Milano, 1995, 194 ss., secondo il

quale «si potrà ben parlare di responsabilità da opera professionale sia con riguardo alla struttura sanitaria o all’ente pubblico che risponde per essa sia con riguardo al medico dipendente, purché sia ben chiaro che quest’ultimo non può rispondere dell’inadempimento di un’obbligazione che non ha mai assunto».

264 Osserva FRENDA, Il concorso di responsabilità contrattuale e aquiliana. Soluzioni empiriche e

coerenza del sistema, cit., 192, che «il criterio sulla base del quale determinare la natura della

responsabilità per il danno cagionato non può rinvenirsi nella condotta tenuta dal soggetto, poiché né la condotta, né, tanto meno, la qualifica professionale del soggetto che la tiene, possono essere considerate alla stregua di fonti dell’obbligazione».

265 Per la verità s’è detto più volte che il contenuto della prestazione della struttura è più

ampio della sola attività professionale medica; tuttavia s’è pure detto che la sentenza in parola

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2.1. Segue. Il ruolo dell’art. 28 Cost.

Se la qualificazione come contrattuale della responsabilità del medico dipendente (in quanto responsabilità partecipe della stessa «comune radice» con la responsabilità della struttura) risulta inappagante, merita tuttavia soffermarsi sulla portata del richiamo, operato dal filone giurisprudenziale che ha seguito la sentenza del 1988, all’art. 28 Cost., e sul problema dell’introduzione di limiti alla responsabilità dei pubblici dipendenti.

In particolare, con riguardo al problema della responsabilità dell’operatore sanitario pubblico, ci si potrebbe chiedere se l’art. 28 Cost. stabilisca una necessaria responsabilità personale (per quel che qui interessa: civile) del dipendente a fronte della mera circostanza che, nell’adempimento del suo incarico, siano risultati violati diritti altrui. Successivamente, chiarito di che tipo di

Nel documento Relazione di cura e responsabilità (pagine 103-200)

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