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Come la relazione tra questi due rischi influenza la probabilità di

3. L’ANALISI EMPIRICA

3.2 Relazione reciproca tra rischio di credito e di liquidità

3.2.1 Come la relazione tra questi due rischi influenza la probabilità di

Grazie alle due ipotesi spiegate nel paragrafo precedente, la relazione tra rischio di credito e di liquidità sembra essere stata decretata una volta per tutte.

Come diretta conseguenza di questo risultato sarà utile chiedersi se e in quale maniera le banche siano direttamente interessate da tale relazione, guardando alla loro struttura complessiva di rischio.

Per tentare di fornire una risposta a questa complicata domanda, prenderemo spunto dalla letteratura che si focalizza sulle insolvenze bancarie; d’altronde il rischio limite che una banca si può trovare a dover affrontare è quello di uscire dal mercato (insolvenza bancaria).

Risulta dunque fondamentale avere una dettagliata conoscenza del rischio bancario e soprattutto dei motivi che possono comportare il default nella banca. Per fare ciò, un importante aiuto è fornito da un ampio corpus di letteratura empirica, il quale si focalizza principalmente sull’influenza che i vari fattori economici, contabili e di mercato possono avere sulla probabilità di default delle banche; gli articoli che analizzano quanto appena detto sono principalmente quelli di Meyer e Pfifer (1970), Martin (1977), Espahbodi (1991), Thomson (1991, 1992), Cole e Fenn (1995), Cole e Gunther (1995) e Kolari et al. (2002).

La linea di pensiero comune che si può riscontrare guardando a questi studi è quella che il rischio di insolvenza bancario è causato nella maggior parte dei casi da una bassa capitalizzazione, ma anche da guadagni ridotti e da una esposizione troppo elevata nei confronti di alcune categorie di prestiti e da eccessive inadempienze sugli stessi.

Quanto analizzato da Aubuchon e Wheelock (2010), Ng e Roychowdhury (2011), Cole e White (2012), Berger e Bouwman (in corso di stampa), DeYoung e Torna (2013) è molto importante per il nostro studio; questi autori si focalizzano sulle insolvenze bancarie nel periodo della recente crisi.

Dai risultati delle loro analisi essi scoprono che le sproporzionate attività di investimento bancario, unitamente alle non favorevoli condizioni economiche connesse all’attività bancaria e ai bassi fondi propri, hanno comportato un

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sostanziale aumento nelle probabilità di default bancarie durante la crisi.

Bisogna comunque far notare che la maggior parte di questi studi fornisce una prova evidente che il rischio di credito gioca un ruolo fondamentale per garantire la stabilità di una banca, senza però considerare nella loro analisi il fatto che il rischio di liquidità potrebbe comportare delle implicazioni rilevanti.

Nonostante alcuni studi includano una proxy per la liquidità, gli stessi analizzano principalmente la liquidità lato attivo, come per esempio il rapporto tra attività a breve termine e a lungo termine, oppure la cosiddetta funding liquidity, come per esempio il rapporto tra depositi a breve termine e a lungo.

Un altro limite di questa analisi di cui bisogna tenere conto è che non vengono affatto considerati i rischi di trasformazione delle scadenze; anche la relazione tra rischio di credito e di liquidità viene completamente ignorata.

Solo due articoli garantiscono una visione più approfondita sull’argomento.

In primo luogo, tratteremo lo studio empirico studiato da Acharya e Mora (2017), i quali spiegano i ruoli che le banche hanno durante le crisi quando vengono considerate come fornitori di liquidità; gli autori possono dunque fornire le prove necessarie del fatto che le banche che hanno fallito durante la recente crisi finanziaria hanno attraversato periodi di carenza di liquidità, in modo particolare appena prima del default effettivo.

Sotto questo punto di vista, le banche che hanno riscontrato difficoltà, avevano di base gravi problemi di liquidità, in modo particolare rispetto alle banche sane; per dimostrare questa affermazione gli autori analizzano le banche fallite o quasi fallite e mostrano che queste banche cercavano scorte per i depositi (vendita al dettaglio), offrendo alti tassi sui certificati di deposito, approfittando di campagne di marketing particolarmente aggressive.

Implicitamente, con i loro risultati Acharya e Mora evidenziano il fatto che il verificarsi di rischio di credito e di liquidità unitamente, può portare ad una maggiore probabilità di default all’interno del settore bancario.

Il secondo articolo mostra un canale più diretto attraverso il quale i due rischi possono causare congiuntamente il default bancario; gli autori che trattano questo argomento sono He e Xiaong (2012b), i quali analizzano la relazione tra rischio di credito e liquidità dal punto di vista di un finanziamento

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all’ingrosso di un’azienda.

Il canale diretto che viene identificato che collega i due rischi e che in ultima analisi li relaziona al rischio di insolvenza, è il rischio di rollover del debito.

Dai risultati di questo paper viene mostrato che gli investitori tendono a chiedere premi di illiquidità più alti per quanto riguarda le obbligazioni societarie, questo per via dell’elevato rischio di liquidità a cui questo mercato è sottoposto.

Una volta “rollato” il debito delle loro società in mercati delle obbligazioni illiquide con il fine ultimo di evitare il default, i detentori di equity dell’impresa che l’ha emessa devono pagare la differenza tra i premi di liquidità più bassi nelle obbligazioni scadute e i premi di liquidità più elevati per quanto riguarda le obbligazioni di nuova emissione.

I detentori di titoli azionari, anziché dover essere obbligati ad assorbire queste perdite, potrebbero quindi scegliere di andare in default anticipatamente; come conseguenza di ciò si può dire che uno shock di illiquidità, nel mercato del debito societario, ha come effetto diretto un aumento immediato dei tassi di interesse.

Anche se questo modello appena presentato tiene conto del debito societario in generale, gli autori hanno come obiettivo primario quello di relazionare i risultati da loro ottenuti con quelli delle istituzioni finanziarie.

I risultati che He e Xiong (2012b) ottengono, sono molto rilevanti, soprattutto grazie alle più recenti ricerche che dimostrano che tutte le società, ma in modo particolare le istituzioni finanziarie, sono maggiormente inclini ad attuare strutture di debito a breve o brevissimo termine (Brunnermeier e Oehmke, 2013), le quali comportano un aumento della frequenza di rinnovo del debito.

Dopo aver collegato questi risultati con quelli di altri studi relativi ai fallimenti bancari, gli autori arrivano a dimostrare che il rischio di credito poteva comportare una seria minaccia per la stabilità delle banche durante la crisi finanziaria (per esempio Cole e White, 2012); tali affermazioni ci portano ad affermare la seguente ipotesi:

H3: se si considerano il rischio di credito e di liquidità congiuntamente essi

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contribuiscono all’aumento della probabilità di insolvenza bancaria.

In ultima analisi, ma sicuramente non meno importante, bisogna notare che, insieme all’evidenza teorica ed empirica presentata poc’anzi riguardo i fallimenti bancari, le prove aneddotiche che trattano questo argomento tendono a supportare ulteriormente l’ipotesi H3.