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23 A seguito della rottura del legame affettivo tra i coniugi/conviventi interviene un mutamento delle modalità di esplicazione delle funzioni genitoriali. Inevitabilmente la prole sarà collocata presso uno soltanto dei genitori, eccetto i casi modesti anche se in aumento di collocamento paritetico su cui si tornerà di seguito, con conseguenze di ampio respiro sulla relazione genitori/figli.

22

Come mostrano i suindicati grafici, negli anni 2008-2015 si è assistito ad un costante aumento dell’affidamento condiviso a scapito dell’esclusivo, come auspicato dalla riforma della materia sfociata nella legge n. 54/2006.

La normativa di riferimento all’attualità è quella prevista dalla legge n. 219/2012 e dal successivo d.lgs. n. 154/2013.

22 Servizio studi del Senato, Dossier n. 55 del 2018, pp. 8 e 9.

24 L’art. 337 ter dispone che “Il figlio minore ha diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.”

Costituisce un dato comune ed esperienziale nelle aule di giustizia italiane la violazione di tale dettato normativo che viene infranto sotto la spinta di manovre genitoriali volte a compromettere il mantenimento di un rapporto continuo ed equilibrato con i figli.

4.1 PAS (Parental Alienation Syndrome)

A tal proposito viene in evidenza la teoria della sindrome da alienazione parentale (o PAS, dall’acronimo Parental Alienation Syndrome), una dinamica psicologica disfunzionale, che è stata oggetto di accese diatribe dottrinarie e giurisprudenziali.

L’espressione è stata coniata nel 1985 dallo psichiatra forense statunitense Richard Alan Gardner che ha definito la sindrome da alienazione parentale come “a childhood disorder, which arises almost exclusively in the context of child custody disputes. Its primary manifestation is the child’s campaign of denigration against a parent that results from the combination of a parent’s programming (brain washing) indoctrinations and the child’s own contributions to the vilification of the target parent” - “un disturbo che insorge primariamente nel contesto di conflitti sulla custodia dei bambini. La sua principale manifestazione è la campagna denigratoria di un bambino contro un genitore, campagna che non ha giustificazione. Il disordine risulta dalla combinazione di indottrinamento dal genitore alienante e i contributi propri del bambino allo svilimento del genitore alienato”.23,24

Secondo Gardner, gli otto sintomi primari rintracciabili nella prole in caso di PAS sono i seguenti:

Campagna di denigrazione: i figli evidenziano astio nei confronti del genitore alienato in maniera continua e insistente;

23 Gardner, RA. Recent trends in divorce and custody litigation. In: The Academy Forum, 29,2, 3–7. New York: The American Academy of Psychoanalysis 1985.

24 Gardner R. The parental alienation syndrome: a guide for mental health and legal professionals. Cresskill, NJ: Creative Therapeutics, Inc 1998.

25

Razionalizzazioni deboli, superficiali e assurde per giustificare il biasimo: i figli riferiscono giustificazioni irrazionali e spesso risibili per spiegare il loro rifiuto del genitore odiato;

Mancanza di ambivalenza: i figli mostrano una minima, se non nessuna, ambivalenza nella loro ostilità per il genitore-bersaglio, il quale è sempre considerato totalmente negativo;

Fenomeno del pensatore indipendenti: i figli affermano orgogliosamente che i loro sentimenti di avversione verso il genitore odiato e le ideazioni relative provengono da loro stessi e non dal genitore alienante;

Appoggio automatico al genitore alienante: i figli accettano come valide unicamente le asserzioni del genitore amato, a danno di quelle del genitore odiato, prima ancora di averle ascoltate o comprese;

Assenza di senso di colpa: i figli non mostrano empatia per la sofferenza del genitore alienato e si permettono di bersagliare impietosamente con una crudeltà quasi psicopatica;

Scenari presi a prestito: i figli utilizzano termini o frasi solitamente estranee al repertorio dei ragazzi della loro età e di cui possono anche non conoscere esattamente il significato;

Estensione dell’ostilità alla famiglia allargata ed agli amici del genitore alienato.25

Il minore, a seguito delle pressioni subite dal genitore cd. alienante, diviene parte attiva della scissione intrafamiliare osteggiando e rifiutando di incontrare la figura genitoriale alienata, che in conseguenza di ciò, non può dare attuazione ai provvedimenti giurisdizionali disposti.

Accade “frequentemente, nelle procedure giudiziarie di separazione, che l’aggressività scatenata nella coppia in crisi porti a rappresentare il partner non solo come colpevole della rottura ma anche come persona equivoca, disturbata,

‘cattiva’. E questo non solo di fronte al giudice ma anche di fronte al bambino, chiamato ad assumere un ruolo di alleato e testimone delle incapacità dell’altro genitore, sottilmente influenzato perché esprima giudizi pesanti sull’altro genitore rendendo così impossibile l’affidamento a questi (non sono infrequenti i casi di

25 G.B. Camerini, M. Pingitore, G. Lopez, Alienazione Parentale: Innovazioni cliniche e giuridiche, Franco Angeli, Milano, 2016, p. 22.

26 bambini spinti da un genitore a dichiarare falsamente di aver subito abusi di ogni genere da parte dell’altro genitore)”.26

L’insieme di tali condotte integrano una fattispecie che da larga parte della dottrina internazionale è stata ritenuta un disturbo psichiatrico27.

Per quanto riguarda il profilo italiano, la SINPIA (Società Italiana della Neuropsichiatria e dell’Adolescenza), ha annoverato la sindrome da alienazione parentale all’interno delle “Linee Guida in tema di abuso sui minori”28 del 2007.

Nonostante ciò è del tutto assente una legislazione in materia, così come esigue e contraddittorie sono le pronunce giurisprudenziali della Cassazione29.

Di recente la Suprema Corte con la pronuncia n. 13274/2019 ha accolto il ricorso di una madre di un minore alla quale la consulenza tecnica d’ufficio nel corso del giudizio aveva diagnostico la sindrome di alienazione parentale affermando che

26 A.C. Moro, Figli e genitori separati: quali soluzioni per garantire il diritto ai minori di incontrare i genitori, in Politiche per l’Infanzia e la famiglia, Fondazione Zancan, Alberto Brigo editore, Rovigo, 2006, p. 2.

27 Si v. tra gli altri W. Bernet, psichiatra statunitense che ha raccolto l’eredità del Gardner, battendosi per l’introduzione della PAS nel DSM-5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders).

Contra S. Vaccaro e C. Barea, che giungono a definire la sindrome da alienazione parentale quale un costrutto pseudo-scientifico (El pretendido síndrome de alienación parental - Un instrumento que perpetúa el maltrato y la violencia, Bilbao, Desclée De Brouwer, 2009).

28 “Una ulteriore forma di abuso psicologico può consistere nella alienazione di una figura genitoriale da parte dell’altra sino alla co-costruzione nel bambino di una ‘Sindrome di Alienazione Genitoriale’ ”, p. 10.

29 Cass, sez I, Sentenza 8 marzo 2013, n. 5847, che ha confermato la pronuncia della Corte d’Appello di Catania asserendo che “La Corte di appello, utilizzando la predetta relazione della Asl che diagnosticava una sindrome da alienazione parentale dei figli ed evidenziava il danno irreparabile da essi subito per la privazione del rapporto con la madre, si è limitata a fare uso del potere attribuito al giudice dall’ art.155 sexies comma 1 c.c. di assumere mezzi di prova anche d’ufficio ai fini della decisione sul loro affidamento esclusivo alla madre. Essa inoltre ha fondato la decisione anche su altri elementi non specificatamente censurati del ricorrente concernenti il giudizio negativo circa le attitudini genitoriali del (desunto anche dalla reiterata condotta ostruzionistica posta in essere al fine di ostacolare in ogni modo gli incontri dei figli con la madre) dandone conto in una motivazione priva di vizi logici e quindi incensurabile in questa sede”; Cass., Sez. I, Sentenza 20 marzo 2013, n. 7041 in cui la Cassazione ha negato il fondamento scientifico della PAS; Cass., sez. I, Sentenza 8 aprile 2016, n. 6919, che ha enunciato il seguente principio di diritto: “In tema di affidamento di figli minori, qualora un genitore denunci comportamenti dell'altro genitore, affidatario o collocatario, di allontanamento morale e materiale del figlio da sè, indicati come significativi di una PAS (sindrome di alienazione parentale), ai fini della modifica delle modalità di affidamento, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità in fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l'altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena”.

27

“qualora la consulenza tecnica presenti devianze dalla scienza medica ufficiale – come avviene nell’ipotesi in cui sia formulata la diagnosi di sussistenza della PAS, non essendovi certezze nell’ambito scientifico al riguardo – il Giudice del merito, ricorrendo alle proprie cognizioni scientifiche (Cass. n. 11440/97) oppure avvalendosi di idonei esperti, è comunque tenuto a verificarne il fondamento (Cass.

1652/12; Cass. 17324/05)”. Aggiunge poi “in tema di affidamento dei figli minori, il giudizio prognostico che il giudice, nell'esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve operare circa le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell'unione, va formulato tenendo conto, in base ad elementi concreti, del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell'ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore, fermo restando, in ogni caso, il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione. (v. Cass. n.

18817/2015, conf. Cass. 22744/2017)”30,31.

Al di là della configurazione della PAS quale patologia psichiatrica, centrale nella presente sede è il danno che i minori subiscono a seguito di questo insieme di comportamenti atti ad escludere l’altra figura genitoriale.

4.2 Interventi della CEDU

Una volta visti ed esaminati i nodi del problema occorre passare in rassegna i possibili snodi, sotto forma di tutele e rimedi.

30 Per una elencazione della giurisprudenza in materia costantemente aggiornata si v.

https://www.alienazioneparentale.it/giurisprudenza/.

31 Già nel 2012 il Ministro della salute pro tempore in carica in risposta ad un’interpellanza presentata alla Camera dei deputati aveva affermato che "sebbene la PAS sia stata denominata arbitrariamente dai suoi proponenti con il termine 'disturbo', in linea con la comunità scientifica internazionale, l'Istituto superiore di sanità non ritiene che tale costrutto abbia né sufficiente sostegno empirico da dati di ricerca, né rilevanza clinica, tali da poter essere considerata una patologia e, dunque, essere inclusa tra i disturbi mentali nei manuali diagnostici".

28 Il minore quale soggetto debole nel quadro altamente conflittuale pocanzi illustrato necessita di essere destinatario di tutele effettive e concrete al fine di realizzare il dettato di cui all’art. 337 ter, c. 1., c.c.

La stessa Corte Europea dei Diritti dell’Uomo auspica un intervento più incisivo in ordine alla realizzazione dell’art. 8 CEDU - Diritto al rispetto della vita privata e familiare:

1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.

2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.”

La Corte EDU ha in più occasioni condannato l’Italia per l’insufficiente tutela apprestata nei confronti dei minori, vittime di triangolazioni e privi della voce sufficiente per procedere ad una autonoma tutela.

Tra le varie pronunce spicca il caso Strumia c. Italia del 23 giugno 2016, in cui la Corte Edu ha condannato l’Italia al risarcimento di un padre non affidatario poiché non era stato tutelato il suo diritto di visita. Secondo la CEDU i tribunali italiani avevano approntato misure stereotipate ed automatiche pregiudicando irrimediabilmente il rapporto padre-figlia: “In effetti, le autorità non hanno dimostrato la diligenza necessaria nel caso di specie e sono rimaste al di sotto di quello che si poteva ragionevolmente attendere da loro. In particolare, i giudici nazionali non hanno adottato le misure idonee per creare le condizioni necessarie per la piena realizzazione del diritto di visita del padre della minore (Bondavalli, sopra citata § 81, Macready c. Repubblica ceca, nn. 4824/06 e 15512/08, § 66, 22 aprile 2010, e Piazzi, sopra citata, § 61). Essi non hanno adottato, fin dall’inizio della separazione quando la minore aveva solo tre anni e aveva un atteggiamento positivo nei confronti del ricorrente, misure utili volte a instaurare contatti effettivi ed hanno in seguito tollerato per circa otto anni che la madre, con il suo comportamento, impedisse il consolidarsi di una vera e propria relazione tra il ricorrente e la minore. La Corte osserva che lo svolgimento del procedimento dinanzi al tribunale evidenzia piuttosto una serie di misure automatiche e

29 stereotipate, quali una serie di richieste di informazioni e la delega della funzione di controllo ai servizi sociali, ai quali veniva ordinato di far rispettare il diritto di visita del ricorrente (Lombardo, sopra citata, § 92, e Piazzi, sopra citata, § 61). Perciò la Corte ritiene che in tal modo le autorità abbiano lasciato che si consolidasse una situazione di fatto generata dall’inosservanza delle decisioni giudiziarie.”32

Medesima violazione da parte dell’Italia dell’art. 8 della Convenzione si rintraccia nel recentissimo caso Luzi contro Italia del 5 dicembre 2019: (…) nel caso di specie, la Corte EDU è dell’avviso che le autorità italiane non abbiano posto in essere, con la dovuta diligenza, tutti i provvedimenti necessari alla piena realizzazione del diritto di visita del padre della minore. In proposito, essa sottolinea infatti che i giudici interni, per un verso, non hanno adottato (fin dall’inizio della separazione dei genitori, quando la minore aveva solo un anno di età) provvedimenti utili a instaurare contatti effettivi tra padre e figlia e, per altro verso, hanno successivamente tollerato per circa otto anni che la madre, con il suo comportamento, impedisse l’instaurazione di una relazione stabile ed effettiva tra il ricorrente e la figlia. La Corte rileva inoltre come dallo svolgimento del procedimento dinanzi al tribunale nazionale emerga piuttosto che sono state adottate una serie di misure automatiche e stereotipate, quali le richieste di informazioni, una delega di controllo ai servizi sociali, con l’obbligo per gli stessi di organizzare e di far rispettare il diritto di visita del ricorrente, un programma di sostegno alla genitorialità; misure, però, che nel caso di specie non hanno avuto alcun effetto. I servizi sociali, da parte loro, non hanno correttamente eseguito le decisioni giudiziarie. Ora, sebbene gli strumenti giuridici previsti dal diritto italiano sembrino sufficienti, secondo la Corte, a permettere allo Stato convenuto di garantire il rispetto degli obblighi positivi derivanti dall’articolo 8 della Convenzione, viene constatato nella causa in esame che le autorità non hanno intrapreso alcuna azione nei confronti della madre della bambina. La Corte, perciò, ritiene che le autorità italiane abbiano lasciato che si consolidasse una situazione di fatto caratterizzata dall’inosservanza delle decisioni giudiziarie e conclude che, se in linea teorica le azioni di tali autorità sono state finalizzate a perseguire l’interesse della minore, lo

32 Conforme il caso Bondavalli c. Italia del 17 novembre 2015, in cui la CEDU ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 8 della Convenzione stante la lesione del diritto di visita di un padre a causa dell’inadeguatezza delle misure adottate dalle autorità nazionali.

30 scopo non è stato effettivamente raggiunto in quanto, nove anni dopo la separazione dei suoi genitori, la minore non ha avuto quasi alcun rapporto con il padre.”

Pronuncia di analogo tenore è relativa al caso Improta contro Italia del 4 maggio 2017, in cui la Corte Edu ha nuovamente condannato l’Italia per violazione dell’art. 8 della Convenzione. Le autorità nazionali non hanno salvaguardato il diritto alla vita familiare del padre ledendo il legame padre/figlia anche a causa dei ritardi del procedimento: “La Corte osserva che, nel caso di specie, (…) durante i primi dodici mesi del procedimento, i giudici interni hanno tollerato che la madre decidesse unilateralmente le modalità del diritto di visita del ricorrente, che era stato allontanato dall’abitazione familiare. La Corte ritiene che i giudici interni abbiano pertanto permesso che, con il suo comportamento, C. impedisse l’instaurarsi di un vero rapporto tra il ricorrente e sua figlia. 54. Secondo la Corte era necessaria una maggiore diligenza e rapidità nell’adottare una decisione che riguardava i diritti garantiti dall’articolo 8 della Convenzione. Considerata la posta in gioco per il ricorrente, il procedimento richiedeva di essere trattato con urgenza in quanto il trascorrere del tempo poteva avere conseguenze irrimediabili per le relazioni tra la figlia e suo padre, che non conviveva con lei. La Corte rammenta infatti che la rottura dei contatti con un figlio molto giovane può condurre ad una crescente alterazione della sua relazione con il genitore. (…) 57. A causa delle carenze constatate nel corso di tale procedimento, la Corte non può pertanto ritenere che le autorità italiane abbiano adottato tutte le misure necessarie che ragionevolmente si potevano esigere da loro per garantire al ricorrente il mantenimento di un legame familiare con sua figlia, nell’interesse di entrambi.”.

Conforme anche il precedente caso Lombardo c. Italia del 29 gennaio 2013, in cui la Corte ha ravvisato la necessità di porre in essere un “arsenale giuridico adeguato e sufficiente per assicurare i diritti legittimi degli interessati come anche il rispetto delle decisioni giudiziarie. (…) La Corte nota inoltre che lo svolgimento del procedimento davanti al tribunale è caratterizzato piuttosto da una serie di misure automatiche e stereotipe, come la sequela di richieste di informazioni e di delega continua ai servizi sociali di far rispettare il diritto di visita del ricorrente. Le autorità hanno così lasciato che si consolidasse una situazione di fatto, sviluppatasi ad onta delle decisioni giudiziarie, ed al tempo stesso che il decorso del tempo

31 avesse solo conseguenze sulla relazione del padre con la sua bambina” 33, così pure come i casi Piazzi (2 novembre 2010)e Santilli (17 dicembre 2013).

In sintesi in tutte o quasi tali pronunce la Corte EDU ribadisce che nella materia in esame valgono i seguenti principi generali:

1) l’articolo 8 della Convenzione non si limita semplicemente a vietare allo Stato di ingerirsi arbitrariamente nella sfera privata e familiare dell’individuo: a tale impegno negativo si aggiungono, infatti, obblighi positivi dei pubblici poteri volti a garantire, mediante l’adozione di misure ad hoc, l’effettivo rispetto della vita privata e familiare del cittadino. Tali strumenti giuridici devono permettere allo Stato di riunire genitore e figlio, anche in presenza di conflitti fra i genitori. La Corte rammenta anche che gli obblighi positivi non implicano solo che lo Stato debba vigilare affinché il minore possa avere contatti col genitore, ma impongono anche di assumere tutte le misure propedeutiche necessarie a ottenere in concreto tale risultato;

2) il fatto che gli sforzi delle autorità pubbliche siano stati vani non comporta automaticamente che lo Stato si sia sottratto agli obblighi positivi derivanti dall’articolo 8 della Convenzione. Infatti, l’obbligo per le autorità nazionali di adottare misure idonee a riunire figli e genitore non convivente non è assoluto, e la cooperazione di tutte le persone interessate costituisce sempre un fattore di primaria importanza. D’altra parte, gli obblighi dello Stato ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione non sono obblighi di risultato ma di mezzi;

3) secondo un principio consolidato anche nel diritto internazionale, l’interesse dei minori deve sempre prevalere su qualsiasi altra considerazione.

La Corte EDU evidenzia, altresì, che essa è chiamata a stabilire se le autorità nazionali italiane abbiano adottato tutte le iniziative ragionevolmente esigibili per agevolare le visite tra genitore e figlio.

33 Per un ulteriore precedente giurisprudenziale si v. il caso Piazzi c. Italia del 2 novembre 2010: “La Corte rileva che dal corso del procedimento dinanzi al tribunale emerge piuttosto una serie di misure automatiche e stereotipate, quali le successive richieste di informazioni e la delega ai servizi sociali sul controllo successivo, previo ordine

33 Per un ulteriore precedente giurisprudenziale si v. il caso Piazzi c. Italia del 2 novembre 2010: “La Corte rileva che dal corso del procedimento dinanzi al tribunale emerge piuttosto una serie di misure automatiche e stereotipate, quali le successive richieste di informazioni e la delega ai servizi sociali sul controllo successivo, previo ordine

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