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La relazione: il nodo centrale dell’intervento educativo di risposta alle trasgression

mentre quando vi sono trasgressioni più gravi, l’intervento viene discusso e condiviso con il ragazzo, in modo che esso sia costruito su misura, tenendo conto del vissuto e dei molteplici aspetti che si intrecciano nella situazione.

La necessità quindi di individualizzare gli interventi di risposta alle trasgressioni, sono dettati dall’esigenza di dare importanza al vissuto personale del ragazzo e dei significati che si celano dietro la trasgressione. Un regolamento universale e delle risposte rigide non possono essere funzionali alla comprensione dei fenomeni delle trasgressioni ne alla crescita e allo sviluppo dell’individuo. Ma rimane necessario avere una linea guida per gli operatori per orientarsi insieme nella stessa direzione, senza perdere la bussola ad ogni situazione, con il rischio di dare risposte conflittuali e dissonanti tra loro.

Quello che ho vissuto in questi mesi di stage, è che le eccezioni alle regole di base sono molto spesso concesse e che quindi le regole, anche se nei documenti sono uguali per tutti, hanno la possibilità di essere ridimensionate facilmente e riadattate su misura, attraverso le richieste dei ragazzi. Ci si potrebbe interrogare se ha ancora senso stampare delle regole “nero su bianco”, se nella pratica quotidiana esse sono flessibili e facilmente modificabili su richiesta. Forse l’aspetto di unicità e di regole su misura è più funzionale che l’applicazione di un sistema regolativo uguale per tutti.

6.3   La relazione: il nodo centrale dell’intervento educativo di risposta alle trasgressioni

Considerando tutte le possibilità che l’educatore ha per rispondere alle trasgressioni, diviene spontaneo domandarsi come esso fa a capire ed intuire quale sia in quell’esatto momento o in quella determinata situazione la risposta più adeguata in una situazione di conflitto. Ciò che l’educatore deve sempre tenere a mente, sono le finalità che si vogliono raggiungere attraverso gli interventi che si attuano. Effettuare un intervento però non è scontato, esso non è un lavoro meccanico di cui si possono prevedere gli esatti riscontri.

L’intervento educativo, infatti, è sempre velato da molteplici condizioni non calcolabili che rendono il lavoro dell’operatore una continua ricerca di possibilità. Ma di quale bussola orientativa si può avvalere allora l’operatore sociale per far si che il suo intervento non divenga un’azione senza un percorso preciso nel tempo?

La relazione. Essa permette all’operatore di poter aggiustare, riadattare, riformulare e

reinterpretare le circostanze e gli esiti degli interventi educativi. Senza la relazione tra operatore e utente, tutto ciò non sarebbe possibile.

“La relazione è spazio vitale per la circolazione di sentimenti, bisogni e desideri, ma richiede tempo per ascoltare, per riflettere e rielaborare, per comunicare, proporre e proporsi.”43

Anche nel contesto abitativo con i minorenni dunque, lo strumento essenziale con cui l’équipe svolge il proprio lavoro è di fatto la relazione. Essa presuppone che tra educatore e ospite vi sia un sempre più crescente rapporto di fiducia, che con il tempo permette di raggiungere gli obiettivi prefissati per ogni progetto di vita dei ragazzi. Senza una relazione di fiducia e un coinvolgimento da parte di entrambi, l’accompagnamento alla crescita sarebbe assai difficile. In un’età di evoluzione come l’adolescenza, la relazione con la figura adulta deve potersi instaurare in modo saldo e significativo, in modo che essa possa guidare il ragazzo nella crescita e nella propria identità in costruzione. Il lavoro educativo quindi presuppone che alla base di tutto ci sia la volontà e la capacità di costruire una relazione rilevante in grado di attivare un senso reciproco di fiducia e di sostegno. Ma come fa l’educatore a preparare, coltivare ed accudire il terreno relazionale ove può incontrare l’altro?

Attraverso l’ascolto, l’accoglienza e il dialogo. Ascoltare non significa solamente sentire ciò che l’altro esprime verbalmente, ma presuppone una capacità da parte dell’educatore di sentire attraverso tutti i sensi ciò che l’altro ci sta portando. L’ascolto attivo non è una pratica passiva, ma bensì un’attitudine verso l’altro che ci permette di percepire ciò che le parole non esprimono. Attraverso i gesti, i movimenti, il tono di voce e le richieste implicite, l’educatore deve saper cogliere e accogliere ciò che l’altro ci sta esprimendo. È quindi attraverso il dialogo e l’ascolto che l’operatore costruisce la relazione con l’utenza. La reciproca comprensione permette di condividere e di costruire insieme una nuova visione e una nuova opportunità di cambiamento. L’intrecciarsi di queste competenze permettono all’educatore di sviluppare il processo trasformativo nelle persone, scegliendo sempre l’atteggiamento relazionale più funzionale a chi ha davanti, senza dimenticare che ogni individuo porta con se il proprio bagaglio esperienziale, nonché le risorse indispensabili per il cambiamento.

L’educatore deve dunque mostrarsi come un porto, dove il ragazzo può sostare quando è in balìa della tempesta trovando un punto saldo in cui aggrapparsi.

                                                                                                               

È attraverso queste competenze relazionali che l’educatore può coinvolgere attivamente l’utente nel suo percorso di vita e di crescita, anche, e forse soprattutto, nelle occasioni di conflitto nate dall’esigenza di trasgredire.

Gli interventi educativi che sono messi in atto dall’équipe, si svolgono su tre versanti relazionali: l’aspetto normativo, l’aspetto comprensivo e l’aspetto affettivo.44

È la buona coesione di questi tre aspetti che con il tempo e con gli spazi adeguati, si possono coltivare e costruire in modo funzionale le risposte educative adeguate.

L’acquisizione delle competenze relazionali da parte dell’educatore, diventa quindi fondamentale per rendere qualsiasi intervento di risposta alle trasgressioni, un processo di costruzione di senso, di crescita e di sviluppo del benessere del ragazzo.

La coltivazione di un terreno fertile per piantare i semi della relazione, diviene dunque uno dei lavori più rilevanti nella professione dell’operatore sociale.

Senza la relazione, non esisterebbe la possibilità di incontro tra educatore e ragazzo, e di proseguire insieme attraverso il percorso di vita e di crescita.

“Nella relazione c’è sfida, sofferenza, conflitto, ostilità, rifiuto, ma se il rapporto esiste, il tempo aiuterà nell’elaborazione delle difficoltà.”45

                                                                                                               

44 Concezione dell’Istituto per minorenni Paolo Torriani, 2011, Mendrisio. Vedi allegato 1  

45 Tratto da: L’educatore, modulo Teorie e metodologie a cura di Gambadella E., 2012,SUPSI: Manno  

7. Conclusioni

L’esigenza di avere delle regole all’interno degli spazi abitativi sembra essere un bisogno articolato. Avere un regolamento flessibile permette all’équipe educativa, ai ragazzi e al contesto abitativo, di trovare sempre la possibilità di negoziare tra i diversi bisogni. Disporre di uno strumento come il Promemoria dei diritti e dei doveri diviene quindi un mezzo di coordinazione e di regolazione all’interno del gruppo di ragazzi ed educatori. Come ogni strumento esso può portare molti benefici e facilitare il lavoro educativo, ma l’aspetto flessibile di cui l’équipe ha deciso di rivestirlo, ha anche l’altro lato della medaglia. L’elasticità a cui sono sottoposte alcune regole, nonostante l’intento sia quello di rispondere alle molteplici esigenze, è anche quello di creare delle tensioni e dei conflitti tra le diverse parti. L’operare degli educatori è mosso dal bisogno di com-partecipazione e di co-costruire con i ragazzi, ma questo deve di seguito fare sempre i conti con le regole imposte. Le responsabilità di cui si veste l’educatore, a cui non può far meno, crea un paradosso con l’esigenza di seguire approcci pedagogici moderni, i quali mirano all’auto- educazione e allo sviluppo dell’autonomia. Sicuramente l’evoluzione da un regolamento rigido e sanzionatorio ad uno flessibile e impostato sulla mediazione, mostra l’esigenza di movimento e trasformazione degli interventi e dei contesti educativi.

L’introduzione del modello di intervento atto riparatorio risponde dunque a questa esigenza di cambiamento e trasformazione, oltre che al bisogno di trovare un approccio di mediazione, tra il passaggio della risposta rigida della sanzione, a quella del perdono incondizionato. Quello che però emerge da questo lavoro è che l’intervento è stato pensato per le sue peculiarità e risorse, ma non ci si è interrogati sulla sua effettiva funzionalità nel proporlo come intervento routinario in differenti situazioni di trasgressione. Questo ha fatto sì che l’atto riparatorio è stato influenzato dall’esigenza di avere delle risposte educative dirette e facilmente applicabili. Rendendo l’atto riparatorio una risposta educativa utilizzata anche per le trasgressioni più lievi, perde il senso per cui è stato pensato precedentemente e si costella di contraddizioni. L’atto riparatorio, infatti, porta con sè i principi delle finalità macro che l’intervento educativo ha creato nel tempo, ovvero l’autonomia, la responsabilizzazione, la co-costruzione e la creazione di un senso comune. Ma un intervento educativo standarizzato, difficilmente potrà rispondere all’esigenza di promuovere queste competenze nell’altro, perchè esso è investito di soggettività propria e di complesse variabilità legate ai vissuti personali. Forse più che un intervento routinario, che rischia di perdere il senso che racchiude, l’atto riparatorio è uno strumento di mediazione nelle situazioni che coinvolgono più persone, come avviene nella giustizia riparativa.

“...educare, imputare o punire, curare, proteggere o sostenere, rappresentano atteggiamenti affettivi e relazionali che possono specializzarsi in sistemi di ruoli e compiti istituzionali. Così come è utile integrare i diversi interventi specialistici, altrettanto utile è verificare la possibilità che stili educativi ed atteggiamenti affettivi diversi possano intrecciarsi ed alternarsi nelle risposte alla trasgressività adolescenziale.”46

Gli interventi educativi di risposta che si sono costruiti nel tempo, soddisfano dunque l’esigenza di poter avere differenti risposte educative da rimandare al ragazzo. La possibilità di poter fare fronte alle trasgressioni attraverso i vari approcci, permettono al ragazzo di costruirsi numerosi strumenti e numerosi modalità per affrontare le proprie situazioni di vita, i conflitti e le dinamiche relazionali.

Quello che l’équipe educativa deve portare con sè ad ogni intervento che attua, è la chiarezza in termini di comunicazione e di finalità rispetto agli obiettivi che si vogliono raggiungere con la scelta della modalità, valutata adeguata in quella determinata circostanza.

Il lavoro educativo e gli interventi di risposta sono quindi avvolti dalla complessità, ed è importante che le modalità non ricadano in automatismi, ma che siano sempre pensati ed adeguati opportunamente. Come dice Sergio Tramma nel suo libro L’educatore imperfetto: “La figura dell’educatore professionale è una figura incerta, quasi sfuggente, costantemente in via di definizione, restìa a qualsiasi tentativo di stabilizzazione in una rassegna esaustiva di compiti e funzioni”, quindi sempre con la necessità di ripensarsi e ripensare in ogni situazione.

Le dimensioni della complessità sono infinite. Si pensi all’individuo, in questo caso all’adolescente, che già per sua natura vive nell’incertezza, nella difficoltà della sua situazione e nella sofferenza, aggiungendo che la sua situazione famigliare non è stabile e che “altri” hanno scelto per lui che non può vivere a casa sua. I vissuti e le difficoltà dei ragazzi divengono dunque una parte importante a cui l’educatore deve dare attenzioni. La dimensione delle trasgressioni non deve diventare il lavoro principale di cui l’educatore si occupa, con il rischio che tra i tempi e le altre mansioni da eseguire, si finisce con l’eseguire meccanicamente il lavoro di vigile. Le risposte educative devono potersi sempre basare sulla totalità dell’individuo, con la sua storia e con le sue risorse, oltre che sul contesto circostante.

La complessità del contesto comprende la famiglia e le difficoltà che l’accompagna, ma anche quelle della società che li accoglie, con le crisi economiche e un futuro sempre più incerto nell’identità lavorativa. Fare l’educatore dunque vuol dire riflettere e indagare, ma soprattutto sviluppare un pensiero positivo e progressista, che permetta anche davanti alle

                                                                                                               

46 Maggiolini A. e Riva E., 2003, Op. cit. p.126  

difficoltà e alle scarse opportunità, di trovare sempre una via che porti al benessere e alla realizzazione dell’individuo.

E infine, la complessità del lavoro educativo. Ma quali sono gli attrezzi per costruire un’identità professionale funzionale di fronte alle molteplici complessità?

La cassetta degli attrezzi dell’operatore sociale47, deve poter contenere tutti gli attrezzi

necessari che permettano, non tanto di creare dal niente, ma di lavorare su qualcosa di già esistente che però deve ricevere qualche “aggiustamento”. Gli strumenti di misura inizialmente essenziali, sono l’osservazione e l’auto-osservazione. Entrambi permettono di percepire dove vi siano i punti da “ritoccare”. Attraverso l’attenzione verso l’altro, l’osservazione minuziosa dei dettagli, ma anche uno sguardo oggettivo sull’insieme, permettono all’educatore di capire dove può iniziare il suo lavoro e con quali altri attrezzi dovrà lavorare. L’auto-osservazione invece, gli servirà sempre per misurare e calcolare se stesso, perchè di fronte a ogni nuova esperienza ognuno di noi si pone con altri occhi. Quello che l’educatore deve lavorare e correggere su se stesso, attraverso una visione critica sul proprio agire, è la consapevolezza dei propri limiti e del proprio sistema di premesse. Trasformare i propri limiti in consapevoli risorse, permette all’educatore di fare altrettando verso la propria utenza. Questi due strumenti iniziali sono determinanti per quasiasi azione che ne consegue dopo. Imparare ad osservare non significa solo guardare, ma dare valore a ciò che si vede, che si sente e che si percepisce. Una volta appreso questo, l’educatore può “tirarsi su le maniche” ed iniziare il proprio lavoro.

Gli attrezzi che tirerà fuori dalla sua cassetta saranno quelli che gli permettono di adattare su misura i progetti personali degli utenti e i suoi obiettivi. I vari aggiustamenti che l’educatore apporta, avvengono lungo tutto il percorso, essi infatti vengono sempre ripresi e modificati, in modo che essi possano generare opportunità. Le opportunità si generano mettendo insieme tutti gli attrezzi del mestiere, ovvero le competenze, che lungo il proprio percorso di vita e professionale si hanno acquisito. Essi poi devono poter sempre essere utilizzati e resi più performanti e non dimenticati nella cassetta rischiando la ruggine, perchè è con il loro utilizzo, accompagnati dalla motivazione personale, che l’educatore può creare le occasioni, gli spazi adeguati e lavorare sulle risorse e i limiti dell’utente per poi arrivare ad essergli inutile. Perchè la finalità del lavoro educativo si può riassumere così: arrivare a renderci inutili a coloro che, in un dato momento e per un dato periodo, hanno bisogno del nostro aiuto.

Ritornando al contesto in cui si è svolta la mia tesi, è importante che l’educatore che lavora con i minorenni possa lavorare sempre su queste dimensioni di complessità,

                                                                                                               

47 metafora ispirata al libro di Bourret, per descrivere le molteplici competenze che l’operatore sociale deve

attraverso riflessioni critiche, curiosità e un’atteggiamento di fondo del “mai certo”48, perchè gli permettono di non perdere la motivazione, di acquisire le capacità per rielaborare e modificare anche i più piccoli dettagli per rendere il suo lavoro un buon accompagnamento per l’adolescente, perchè i ragazzi non arrivano mai con il libretto di istruzioni in tasca. È quindi solamente l’insieme delle competenze che permettono all’educatore di aggiustare, modificare e adattare su misura l’intervento di risposta per ogni singolo utente. Perchè i ragazzi non vanno plasmati, limati e corretti a nostro piacimento, ma quello che l’educatore deve fare è “aggiustare” la materia con cui loro stessi si possono modellare.

“Il ricorso a certezze rigide e definitive risulta invece disfunzionale nel comprendere la complessità dei processi che producono benessere o disagio. Nessuna teoria, infatti, è in grado di rappresentare la complessità umana, le sue attese, le sue problematiche, semmai apporta strumenti che possono essere utili per formulare ipotesi e modalità di valutazione degli interventi.”49

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