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REPLICAZIONE, PATOGENESI E MANIFESTAZIONI CLINICHE

1. INTRODUZIONE

1.4. WEST NILE VIRUS

1.4.2. REPLICAZIONE, PATOGENESI E MANIFESTAZIONI CLINICHE

Il virus entra nelle cellule tramite endocitosi mediata da recettore ( DC-SIGN, recettore del mannosio, diversi glicosamminoglicani); a seguito di un cambio conformazionale della proteina E, avviene la fusione tra le membrane del virus e dell’endosoma; il nucleocapside virale viene poi rilasciato nel citoplasma. Il virus replica a livello del reticolo endoplasmatico generando l’RNA a polarità negativa che funge da stampo per la sintesi del filamento positivo definitivo. Il genoma viene quindi impacchettato all’interno della progenie virale oppure utilizzato per la sintesi di proteine virali. Il virione immaturo viene trasportato attraverso il network trans-Golgi; a seguito della trasformazione di prM in proteina M avviene la maturazione del virione che assume quindi le capacità infettive e viene rilasciato per esocitosi (Figura 20) [Samuel et al., 2006; Colpitts et al., 2012; De Filette et al., 2012].

Figura 20. Ciclo vitale del WNV [De Filette et al., 2012].

Nell’uomo, dopo la puntura del vettore, il virus infetta i cheratinociti e le cellule di Langerhans, migrando poi verso i linfonodi regionali dove inizia la replicazione. Il virus si diffonde attraverso il torrente circolatorio arrivando a diversi organi, come rene e milza, dove avviene una seconda replicazione. A seconda del genotipo e del livello e della durata della viremia, il WNV può oltrepassare la barriera ematoencefalica causando meningo-encefalite (Figura 21).

Sembra che la glicoproteina E, in particolare il dominio III, che costituisce il sito di legame del recettore, sia implicata nella neuroinvasività del virus. Alcuni studi dimostrano tre distinte vie per il raggiungimento del sistema nervoso centrale:

1. attraversamento della barriera ematoencefalica mediante leucociti infetti;

2. attraversamento diretto della barriera ematoencefalica, a seguito di compromissione della sua integrità e infezione delle cellule endoteliali dell’encefalo;

3. ingresso attraverso il trasporto assonale retrogrado a seguito dell’infezione del sistema nervoso periferico.

Di queste tre ipotesi le prime due sono le più supportate [Beasley et al., 2002; Lim et al., 2011; Donadieu et al., 2013].

Il periodo di incubazione dal momento della puntura della zanzara varia fra 2 e 14 giorni, ma può essere anche di 21 giorni nei soggetti con deficit a carico del sistema immunitario. La maggior parte delle persone infettate non sviluppa segni clinici (Figura 22). Circa il 20-30% dei soggetti infettati sviluppa sintomi simil-influenzali, quali febbre, mal di testa, nausea, vomito, tremore, linfonodi ingrossati, sfoghi cutanei. Questo quadro clinico, che prende il nome di West Nile fever (WNF) o West Nile Disease (WND), dura in genere pochi giorni, in rari casi qualche settimana. I sintomi possono variare molto a seconda dell’età della persona: nei bambini è più frequente una febbre leggera, nei giovani la sintomatologia è caratterizzata da febbre mediamente alta, arrossamento degli occhi, mal di testa e dolori muscolari; negli anziani e nelle persone debilitate, invece, la sintomatologia può essere più grave e risultare fatale. Un’infezione da WNV in gravidanza può causare aborto, meningite congenita e disturbi legati alla crescita. I sintomi più gravi si presentano in media in meno dell’1% delle persone infette (1 persona su 150), manifestandosi come malattia neuro-invasiva (West Nile Neurological Disease, WNND) che può generare encefalite, meningo-encefalite, poliomielite (paralisi flaccida). Il rischio di contrarre la forma neurologica aumenta all’aumentare dell’età, soprattutto nei soggetti di età superiore ai 60 anni, e negli immunocompromessi. Le sequele neurologiche possono durare per periodi lunghi nel 50% dei casi e spesso possono essere permanenti. Il tasso di mortalità nei casi ospedalizzati di encefalite è del 10% ed è correlato all’età, alla compromissione del sistema immunitario e a particolari malattie come il diabete mellito [Campbell et al., 2002; Samuel et al., 2006; Lim et al., 2011; Sambri et al., 2013]. Dati recenti indicano una correlazione tra infezione neuroinvasiva da WNV e sviluppo di malattia cronica renale, ma non è ancora chiara la relazione causa-effetto [Nolan et al., 2012].

Figura 22. Rappresentazione ad iceberg dell’infezione da WNV nell’uomo.

1.4.3. DIAGNOSI E TERAPIA

L’infezione da WNV, generalmente presenta una sintomatologia sovrapponibile ad altre sindromi neurologiche, ma si possono anche avere infezioni inapparenti. Per questi motivi, i criteri diagnostici devono includere una combinazione di valutazioni cliniche e di prove di laboratorio. La conferma di WND può essere fatta direttamente, rilevando la presenza del virus nel sangue o negli organi bersaglio, o indirettamente, attraverso la ricerca di anticorpi specifici.

Nella prima fase della malattia la diagnosi può essere effettuata attraverso la ricerca dell’RNA virale su sangue intero, liquido cerebrospinale e urine o mediante isolamento virale in colture cellulari o dimostrando la risposta immunitaria specifica contro il WNV. L’identificazione del genoma virale mediante tecniche molecolari è però complicata dal fatto che la viremia è piuttosto breve o assente quando insorgono i sintomi e il titolo del virus è basso. Con la comparsa degli anticorpi anche l’isolamento virale risulta piuttosto complesso; a rendere difficile la diagnosi vi sono anche le reazione di cross-reattività con altri Flavivirus, che richiedono la conferma con test di neutralizzazione, e la persistenza delle IgM per diversi mesi dopo l’infezione. La breve durata della viremia e la bassa carica del virus rappresentano un problema anche per la ricerca del WNV mediante test di

amplificazione di acidi nucleici (NAAT) in sangue e organi dei donatori: sono stati infatti documentati casi in cui si è avuta la trasmissione del virus attraverso donazioni di organi in soggetti che erano risultati negativi alle analisi molecolari [Barzon et al., 2013b].

Gli anticorpi di classe IgM sono determinati a partire dal secondo giorno dalla comparsa dei primi sintomi, attraverso test sierologici (ELISA o immunofluorescenza) effettuati su siero e, dove indicato, su liquido cerebrospinale. Questi anticorpi possono persistere per periodi anche molto lunghi nei soggetti malati (fino a un anno), pertanto la positività a questi test può indicare anche un’infezione pregressa. Talvolta i campioni raccolti entro 8 giorni dall’insorgenza dei sintomi potrebbero risultare negativi, pertanto è consigliabile ripetere a distanza di tempo il test prima di escludere la malattia. Gli anticorpi di classe IgG sono determinabili invece 2 giorni dopo la comparsa delle IgM. La differenziazione tra infezioni acute e quelle passate avviene con il test di avidità delle IgG: l’identificazione di anticorpi IgG a bassa avidità prova un’infezione primaria o acuta, mentre quella ad alta avidità indica un’infezione passata o una riattivazione dell’infezione da WNV. Poiché le specie appartenenti ai Flavivirus sono correlate tra loro, sono possibili cross-reazioni e di conseguenza si consiglia di titolare e analizzare i campioni positivi anche per le IgM/IgG specifiche per tutti Flavivirus; il confronto del titolo permette di confermare o meno il risultato iniziale [Levett et al., 2005].

Diagnosi differenziale

I sintomi sono simili a quelli causati da altri virus come TBEV, JEV o MVEV o altri Arbovirus o da batteri che causano meningiti a liquor limpido (Toxoplasma, trichine, leptospire, Borrelia, Rickettsie, infezioni tubercolari e da Candida spp.). La diagnosi differenziale è necessaria quando un paziente presenta febbre improvvisa, encefalite o forte cafalea o meningite [Rossi et al., 2010].

Terapia

Non esiste una terapia specifica per il West Nile virus. Nella maggior parte dei casi, i sintomi scompaiono da soli dopo qualche giorno o possono protrarsi per qualche settimana. Nei casi più gravi è invece necessario il ricovero in ospedale, dove i trattamenti somministrati comprendono fluidi intravenosi e respirazione assistita.