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La responsabilità in capo a soci o associati prevista dal 3 comma

Come già anticipato, la novità più rilevante rispetto alla normativa previgente dell’istituto (ex art. 265 del testo unico n. 645 del 1958) riguarda l’individuazione della responsabilità per il pagamento delle imposte dovute dai soggetti di cui al primo comma di soci e/o associati “che hanno ricevuto nel corso degli ultimi due periodi d’imposta precedenti alla messa in liquidazione danaro o altri beni sociali in assegnazione dagli amministratori o hanno avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione”, detta responsabilità risulta limitata al valore dei beni dagli stessi ricevuti .

Dalla lettura del testo si evince che il legislatore ha previsto due diverse ipotesi in cui i soci possono essere chiamati a rispondere :

a) la prima è quella in cui essi abbiano ricevuto beni sociali dai liquidatori al termine della regolare fase di liquidazione della società;

b) la seconda si riscontra quando sono gli amministratori a conferire ai soci danaro o beni della società durante i due periodi di imposta precedenti all’inizio del processo di liquidazione.

Si riscontra, quindi, un perfetto parallelismo tra le due ipotesi in cui sorge la responsabilità in capo ai soci e quella in cui sorge la responsabilità in capo ai liquidatori ex primo comma e quelle in capo agli amministratori ex secondo e quarto comma.

Questo parallelismo evidenzia un vero e proprio nesso di dipendenza tra le responsabilità dei soci e quelle in capo ai liquidatori formali o di fatto (amministratori) tanch’è che, come sostenuto da autorevole dottrina81, se non si realizzano i presupposti per l’esistenza delle due figure principali di responsabilità, (liquidatori e/o amministratori) non si origina neppure quella in capo ai soci.

In sostanza, il fisco potrà escutere i soci quando risultano soddisfatte le seguenti condizioni preliminari:

1) esistenza e definitività del debito tributario in capo alla società; 2) sussistenza di attività patrimoniali;

58 3) relativa distrazione

e, sempre che i soci abbiano ricevuto beni o denaro nel “periodo di sorveglianza” ossia durante la liquidazione e nei due periodi precedenti la messa in liquidazione.

La responsabilità dei soci disciplinata dalla disposizione in commento è stata critica82 perché accusata di ledere il principio della responsabilità limitata dei soci relativa alla partecipazione a società dotate di personalità giuridica.

Tuttavia, a detta obiezione, si è osservato che il socio, rispondendo limitatamente ai valori assegnatigli da liquidatori o amministratori non subisce alcun impoverimento rispetto a quanto avrebbe avuto diritto se si fosse verificato un corretto adempimento tributario della società verso l’erario. Egli perde solo quanto ricevuto in maniera illegittima per non aver la società adempiuto ai propri obblighi fiscali. In sostanza, si tratta di somme e/o di beni di cui il socio non avrebbe avuto diritto se la società avesse regolarmente adempiuto ai propri obblighi fiscali in materia IRES.

Per quanto riguarda, invece, l’aspetto temporale, la responsabilità dei soci, è più ampia rispetto a quanto previsto dall'art 2495 c.c in quanto ricomprende non soltanto quanto ricevuto al termine della fase di liquidazione ma comprende anche gli ultimi due periodi d’imposta precedenti alla messa in liquidazione.

Come unanimamente riconosciuto per “messa in liquidazione” deve intendersi l’inizio della procedura liquidatoria formale, ossia la liquidazione di diritto, non quella di fatto. Dalla fattispecie dettata dal terzo comma sono perciò escluse quelle operazioni di liquidazione messe in atto dagli amministratori tendenti al realizzo del patrimonio sociale al fine di soddisfare i rapporti esistenti in capo alla società. Si può, quindi, affermare che la responsabilità dei soci o associati non sorge in caso di somme o beni ricevuti in seguito ad operazioni di liquidazione di fatto in mancanza di una successiva liquidazione di diritto, posto che in tal caso sussiste unicamente la responsabilità degli amministratori.

Per quanto riguarda, invece, le assegnazioni ai soci, cui si riferisce il terzo comma della norma, queste sono da ricondurre alla riduzione di capitale sociale. Riduzione che può essere vista come una specifica categoria di operazione di liquidazione quando il capitale sociale viene ridotto per un valore corrispondente a quello dei beni, ovvero, del denaro sociale che vengono distribuiti ai soci. Infatti, ove le distribuzioni ai soci conseguenti alla riduzione di capitale sono accompagnate dalla cessione di immobilizzazioni esse manifestano l’intento di disgregazione della società83.

82

Spaziani Testa, E, Appunti sulla responsabilità dei liquidatori, amministratori e soci, per il mancato pagamento delle imposte a carico della società, in La Comm. Trib., Centr, 1974, II, pp, 1499 e ss.

83In tal senso Dofin N., Profili Innovativi della disciplina della responsabilità dei liquidatori, degli amministratori e dei

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Come già detto, l’effettiva percezione ovvero l’assegnazione dei suddetti valori (denaro e/o beni) fondano dunque la responsabilità dei soci, a prescindere anche in questo caso, similmente a quanto avviene per i liquidatori/amministratori, dall’elemento soggettivo del dolo e della colpa e costituiscono anche il limite della loro responsabilità. Infatti, la norma precisa che i soci rispondono dei debiti fiscali della società non per l’intero ma “nei limiti del valore dei beni ricevuti” con onere a carico del fisco di provare, quindi, anche l’effettiva entità delle predette somme e/o assegnazioni .

Una volta delineati i presupposti della responsabilità dei soci resta da chiarire la natura della suddetta responsabilità, tenendo conto che in dottrina non vi sono uniformità di vedute e che l’accoglimento dell’una e/o dell’altra tesi incide inevitabilmente, come verrà esposto nel prosieguo, anche sulla connessa problematica dei termini di prescrizione e/o decadenza entro i quali l’Amministrazione Finanziaria può far valere la propria pretesa nei confronti di quest’ultimi .

Sotto tale aspetto, va rammentato che molteplici e varie sono le tesi sia in ambito tributario sia in ambito civilistico societario che si sono contese la soluzione della vexata questio.

Si è sostenuto da una parte della dottrina84 che la ratio della responsabilità nascente in capo ai soci si sostanzierebbe nel principio generale che proibisce l’indebito arricchimento. La responsabilità diretta del socio è, infatti, subordinata alla ricezione da parte di questo di somme che non avrebbe ottenuto qualora i debiti tributari fossero stati versati. Accertare la suddetta circostanza significa verificare che il socio abbia effettivamente beneficiato dell’illecito compiuto dal soggetto passivo dell’obbligazione fiscale, ossia la società; prova che, come ritenuto dalla giurisprudenza, grava sul fisco che agisca ex art. 36 cit.

Oltre all’orientamento sopra richiamato, espresso in termini di arricchimento senza giusta causa ex art. 2041 c.c. si riscontrano altre ricostruzioni dogmatiche in termini di ripetizione dell’indebito ex art. 2280 2491 e 2033 c.c.

Sulla base delle tesi civilistiche sopra rappresentate, alle quali pare aderire anche l’Agenzia delle entrate, l’Amministrazione Finanziaria dovrebbe agire entro il termine di prescrizione ordinario (ossia decennale).

Si è ipotizzata, inoltre, una ricostruzione in termini di successione dei soci nei debiti di imposta, in un’ottica si sostituzione in una determinata posizione giuridica di un soggetto ad un altro, nel senso che i soci subentrano nella posizione giuridica della società estinta.

Essa giustifica la responsabilità dei soci nel carattere strumentale del soggetto società per cui venuto meno quest’ultimo, i soci sarebbero gli effettivi titolari dei debiti sociali.

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Secondo tale teoria si tratterebbe di un azione che deriva da rapporti sociali e, quindi, come tale sarebbe soggetta al termine prescrizionale breve di cui agli art. 2949 c.c., concernente appunto i termini prescrizionali in materia di società .

Infine, più di recente, la giurisprudenza di legittimità85 ha elaborato un altro orientamento: quale che sia la tesi che si voglia seguire (successori dei soci in un debito sociale, arricchimento e senza giusta causa) affermando che nel caso di specie si tratterebbe comunque di obbligazioni originarie della società , ovvero di debiti sorti direttamente in capo all’ente societario con la conseguenza che il diritto del terzo verso il socio non deriverebbe dai rapporti sociali, ma conserverebbe la sua originaria natura.

Secondo tale tesi, condivisa anche da una parte della dottrina86, il debito resterebbe immutato ex latere creditoris e continuerebbe a trovare la sua fonte nel medesimo rapporto tra il terzo creditore e la società che lo ha generato, quindi, nella prospettiva fiscale, nei rapporti tra l’ente societario e l’erario. In tale ottica non di prescrizione si dovrebbe parlare bensì di decadenza dell’azione da parte dell’erario, che dovrebbe coincidere con quello normalmente previsto in cinque anni dalla normativa fiscale .

4.8 RAPPORTO TRA LA RESPONSABILITÀ DEI LIQUIDATORI E

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