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Responsabilità e deontologia del curatore

Tra le tante questioni che emergono dall'analisi della figura del curatore, una di primaria importanza riguarda la responsabilità del curatore ovvero se questo debba avere o no una deontologia professionale al pari di altre professioni, anche se, a differenza di queste ultime non esistono associazioni, ordini o carte che ne regolamentino l'attività, sempre che ne esista il bisogno.

Nell'ultimo capitolo What about Responsibility? Di Ten Fundamental

Questions of Curating, una pubblicazione significativa curata da Mousse

Magazine e Publishing - rivista d'arte contemporanea tra le migliori del panorama italiano -Peter Eleey affronta la questione.

Eleey, curatore presso il MoMA PS1, esamina questa professione priva di regole deontologiche. Professione che non è nemmeno menzionata nella Carta nazionale delle Professioni museali, approvata dalla II Conferenza dei musei italiani, il 2 ottobre 2006 a Roma. Esistono problemi di natura etica con cui la pratica curatoriale deve confrontarsi? Il curatore ha una sorta di responsabilità nei confronti del pubblico, dell'artista o dell'istituzione che ospita una mostra? Esiste un modus operandi corretto o un possibile comportamento scorretto da parte del curatore?69

Già nel capitolo precedente abbiamo esposto una serie di opinioni, in particolare di alcuni studiosi, e giudizi negativi sulle pratiche curatoriali tanto da evidenziare, in alcuni casi, esempi di cattiva curatela che molto spesso non vanno oltre il dilettantismo. Doveroso è un confronto con una serie di fattori quali il mercato, il processo dell’opera d’arte, il contatto con gli artisti e tutto ciò che influenza le scelte del curatore

69 PETER ELEEY, Ten Fundamental Questions of Curating, Mousse Publishing, Peter

Donald Thompson nel suo libro Lo squalo da 12 milioni di dollari restituisce un ritratto del curatore - che non tiene mai le distanze con il mondo dell’arte ma che è quasi sempre coinvolto in qualche modo con gli artisti per cui scrive - poco edificante:

Christie’s e Sotheby’s di solito fanno scrivere i loro testi internamente o commissionano a uno storico dell’arte saggi firmati per il catalogo. Quando devono scrivere testi su commissione, i critici hanno le mani legate perché i testi devono essere approvati prima della pubblicazione. Per molti di loro può essere più redditizio e prestigioso curare mostre o fare consulenze a collezionisti piuttosto che scrivere articoli. Queste attività la dicono lunga su come alcuni critici interpretano il loro ruolo. Sarebbe possibile per un giornale assumere un critico cinematografico che al contempo organizzasse festival cinematografici, facesse da consulente per i distributori e da agente per i produttori?70

Thompson, dopo aver fatto luce sul coinvolgimento del critico con le istituzioni - soprattutto private - e con il mercato che con vincoli più o meno palesi possono spesso eterodirigere le scelte e le posizioni di un critico, passa ad analizzare un malcostume del quale non si può negare l’esistenza:

Non è insolito che un critico accetti l’opera di un artista su cui ha scritto positivamente come forma di ringraziamento per il favore. Ho posto a molti critici la questione, mosso dalla convinzione che chi scrive di motori non accetti una BMW dall’azienda su cui scrive o un critico musicale un viaggio per visitare la Scala di Milano da un organizzatore di concerti. Tuttavia anche i critici che sostenevano di non aver mai accettato regali giustificavano questa pratica adducendo ragioni di tipo economico oltre che di tradizione. La maggior parte dei critici d’arte guadagna meno di chi scrive di cinema, teatro e libri, anche se per la

stessa testata, e la prassi dei regali ha una lunga tradizione nel mondo dell’arte.

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Thompson riporta l’episodio del critico inglese David Sylvester, lo storico biografo di Francis Bacon, che era famoso per i regali che accettava dagli artisti di cui spesso scriveva, tra cui Willem de Kooning. Sylvester, con un quadro che ricevette da Bacon e che rivendette alcuni anni dopo, potè comprarsi una casa a Londra nel quartiere di Notting Hill.72

La questione etica però non può essere limitata solamente a episodi aneddotici, ma interessa nel profondo la questione dell’arte in se e per se e l’opera d’arte che non può essere solo strumento e veicolo di una ragione estetica. Secondo Daniele Goldoni73, per quasi tutta la storia della filosofia si è tentato di far coincidere l’estetica con l’etica. Sempre secondo Goldoni a partire dalla tarda modernità è in atto un’autonomizzazione dell’estetico e dell’etico nella nostra società, che caratterizza le istituzioni dell’arte, mentre nelle opere d’arte antiche la componente estetica era inscindibile dalla componente etica o religiosa e a causa di questo restano in parte inaccessibili e inintelligibili.74

Il mondo dell'arte si basa ancora sui concetti dell'estetica moderna di creatività, genialità, originalità, unicità, autenticità, dal sistema museale alle biblioteche, alle sale da concerto; dalle gallerie, le aste e la valutazione economica delle opere in genere, alla legislazione sul restauro di ispirazione brandiana, a quella che tutela

71DONALD THOMPSON, op. cit. p. 301. 72Cfr. DONALD THOMPSON, op. cit. p. 302.

73 Daniele Goldoni è Professore associato di Estetica presso l’Università Ca’ Foscari di

Venezia. Fra le sue pubblicazioni, oltre a Filosofia e paradosso. Il pensiero di Hölderlin e il problema del linguaggio da Herder a Hegel (1990) e Il riflesso dell’Assoluto. Destino e contraddizione in Hegel (1992), si segnalano saggi su Adorno, Wittgenstein, Gadamer e sulla musica nell’epoca dei nuovi media.

74 Daniele Goldoni, Relazione tenuta al convegno Estetica, etica e comunicazione

il "diritto d'autore", alla censura. [...] L'autonomizzazione dell'estetico è segno di un processo della modernità che continua nel contemporaneo in modo ambivalente, in presenza di nuovi fattori, che resta sempre ancora da capire.75