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Riparare il danno da uranio impoverito

3.4. Class Action e responsabilità da prodotto difettoso: reali alternative nel sistema italiano?

3.4.2. La responsabilità del produttore

Un’altra via che i reduci potrebbero sperimentare in linea teorica è quella che il nostro ordinamento ha imparato a conoscere in forza della 220 Si tratta dell’ordinanza del 24 giugno 1999, n. 282: seppur antecedente al Codice del Consumo, è sicuramente da intendere come vincolante, e non è anzi da escludere che se ne sia tenuto conto nel momento di redigere il Codice.

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155 direttiva comunitaria n. 374 del 1985, oggi presente nel D. Lgs. 206/05, il c.d. Codice del Consumo221.

Stando alla normativa in tema di responsabilità da prodotto difettoso, il proiettile caricato a DU ed il suo produttore ricadono sicuramente nelle definizioni presenti nell’art. 3 lettere d ed e:

d) produttore: fatto salvo quanto stabilito nell’articolo 103, comma 1, lettera d), e nell’articolo 115, comma 1, il fabbricante del bene o il fornitore del servizio, o un suo intermediario, nonchè l’importatore del bene o del servizio nel territorio dell’Unione europea o qualsiasi altra persona fisica o giuridica che si presenta come produttore identificando il bene o il servizio con il proprio nome, marchio o altro segno distintivo;

e) prodotto: fatto salvo quanto stabilito nell’articolo 115, comma 1, qualsiasi prodotto destinato al consumatore, anche nel quadro di una prestazione di servizi, o suscettibile, in condizioni ragionevolmente prevedibili, di essere utilizzato dal consumatore, anche se non a lui destinato, fornito o reso disponibile a titolo oneroso o gratuito nell’ambito di un’attività commerciale, indipendentemente dal fatto che sia nuovo, usato o rimesso a nuovo; tale definizione non si applica ai prodotti usati, forniti come pezzi d'antiquariato, o come prodotti da riparare o da rimettere a nuovo prima dell’utilizzazione, purchè il fornitore ne informi per iscritto la persona cui fornisce il prodotto;

L’articolo 12° comma 1 però pone il primo scoglio:

1. Il danneggiato deve provare il difetto, il danno, e la connessione causale tra difetto e danno.

Tralasciando momentaneamente il concetto di “difetto”, balza subito agli occhi la (ovvia) previsione della necessità del nesso causale per poter avanzare una pretesa risarcitoria. Come affermato nei precedenti paragrafi, anche se alcuni riconoscimenti da parte delle Corti vi è già stato, e nonostante le ricerche scientifiche proseguano ininterrottamente, la diretta

221 Decreto Legislativo 6 settembre 2005, n. 206. Per alcuni commenti di taglio generale in una bibliografia fttasi sterminata P. STANZIONE, G. SCIANCALEPORE, Commentario al codice del consumo, Ipsoa, 2006; V. MARICONDA, Il codice del consumo, Corriere Merito, 2006, 1, 15.

Commento [UI4]: Devi

richiamare la normativa vigente del codice del consumo!!!!!!!!!!!!

Commento [F5]: Rivisti

tutti gli articoli ex 206/05 e nuove note

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156 connessione tra uranio impoverito e patologie non è ancora stato provato inequivocabilmente, il che si traduce in un onere della prova di notevole complessità e difficoltà per il reduce.

Prima di tirare le fila del discorso però è bene analizzare anche l’altro elemento oggetto della direttiva, ovvero il difetto del bene che ha cagionato il danno. L’art. 117 definisce il prodotto difettoso:

1. Un prodotto è difettoso quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze, tra cui:

a) la presentazione del prodotto,

b) l’uso al quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato, c) il momento della messa in circolazione del prodotto.

2. Un prodotto non può essere considerato difettoso per il solo fatto che un prodotto più perfezionato sia stato messo in circolazione successivamente ad esso.

3. Un prodotto è difettoso se non offre la sicurezza offerta normalmente dagli altri esemplari della medesima serie.

Il punto chiave sembra essere la valutazione di “tutte le circostanze” disposta dal primo comma, ed in particolare la specificazione alla lettera b relativo all’uso del bene: è verosimile ammettere che un proiettile al DU che rilascia nell’aria micro particelle di metalli pesanti in seguito alla sua esplosione è configurabile come un prodotto difettoso? Ora, la finalità di un proiettile è chiaramente quella di causare un danno ad un bersaglio, e nello specifico le munizioni di tipo API (quali sono i proiettili al DU) hanno come scopo quello di perforare le corazzature dei mezzi militari ed al contempo incendiare gli stessi; il residuo di tale processo come sappiamo è il tanto discusso pulviscolo di DU ed altri metalli pesanti.

Bisogna quindi chiedersi se, alla luce della finalità intrinseca del proiettile, e della sicurezza che ci si può legittimamente attendere, tale “effetto secondario” possa essere inteso come un difetto del bene, ed eventualmente poi provare che da tale difetto ne è scaturito un danno per il militare.

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157 Personalmente, ritengo che tale via non sia impossibile, anche se essa appare sicuramente molto ardua da percorrere. Il primo problema che si pone è quello della qualificazione del fallout bellico prodotto dai proiettili al DU come difetto: le munizioni, come più volte detto, sono praticamente innocue finché non vengono esplose, mentre è nel momento in cui realizzano la loro finalità incendiando il bersaglio che viene rilasciato l’aerosol di metalli pesanti.

Poco fa citavo l’art. 117 come punto chiave del dibattito, in quanto fornisce alcuni criteri sui quali riflettere per cercare di dirimere la questione; scomporlo in parti può essere utile per valutare i pro ed i contro:

[…] Un prodotto è difettoso quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere

Qual è il livello di sicurezza che ci si può attendere legittimamente da un bene come un proiettile, la cui finalità è quella di distruggere e che è intrinsecamente, per sua natura, pericoloso? Il proiettile è di per sé innocuo fintantoché non raggiunge il suo obiettivo, ed il danno viene eventualmente a crearsi in un secondo momento, quando la munizione ha già esaurito il suo scopo. E parlando di finalità viene in gioco un’altra parte dell’art. 117: la sicurezza del bene va valutata tenendo conto di:

[…] tutte le circostanze, tra cui: […] b) l’uso al quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato

In relazione alla lettera b stiamo parlando di un bene destinato a produrre un danno ingente, perforando ed incendiando il suo obiettivo; in relazione alle “altre circostanze” invece stiamo al contempo parlando di uno strumento che viene utilizzato in un contesto bellico. Vero, l’art. 117 potrebbe anche essere utilizzato, per converso, per far risultare che nelle “altre circostanze” rientri il fatto che l’intossicazione da DU non è tra le finalità del proiettile, e che questo può essere visto come un effetto secondario che lede in maniera ingiustificata l’uomo, ma va al contempo ricordato che ad oggi non esiste alcuna moratoria o convenzione

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158 internazionale che vieti esplicitamente questo tipo di munizione (come vedremo nel prossimo paragrafo).

Vi sono poi altri problemi. Presumibilmente, i produttori e fornitori di proiettili al DU dei rispettivi eserciti sono molteplici, e considerando che ciò che resta del proiettile non è altro che polvere, identificare il produttore a partire dalle micro particelle che si riscontrano all’interno del corpo dei reduci (quando presenti) è assolutamente impossibile, il che pone un ostacolo anche per il ritrovamento del nesso di causalità, questione che avevamo momentaneamente accantonato.

Inoltre, vi sono anche elementi che, seppur più deboli dei precedenti, potrebbero essere utilizzati dai produttori per evitare il riconoscimento della loro responsabilità. L’art. 118 lettera e prevede che il produttore non sia responsabile ai sensi del presente decreto legislativo se prova:

[…] che lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche al momento in cui ha messo in circolazione il prodotto non permetteva di scoprire l’esistenza del difetto

L’art. 122 comma 2 invece prevede che:

2. Il risarcimento non è dovuto quando il danneggiato sia stato consapevole del difetto del prodotto e del pericolo che ne derivava e nondimeno vi si sia volontariamente esposto.

Facendo risultare la negligenza dei militari durante le operazioni di bonifica, il produttore potrebbe liberarsi dell’addebito di responsabilità, anche se qui la situazione si complica non poco, dato che verrebbe sicuramente in gioco anche la discussione su chi doveva informare i militari, o quali fossero le effettive conoscenze sui rischi connessi al fallout bellico dei proiettili al DU, ammesso e non concesso che si sia prima giunti a riconoscere tale effetto come “difetto” ai sensi del decreto legislativo in esame.

Intraprendere tale via per ottenere un risarcimento pare quindi avere poche chances di successo, e ad oggi non risultano tentativi in tal senso. Per valutarne la concreta validità bisognerebbe aver modo di vedere tale approccio applicato ad un caso concreto, ma il fatto che nessuno degli

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avvocati dei reduci abbia proposto azione sulla base della violazione del D. Lgs. 206/05, è già indice del fatto che vi siano strade sicuramente più facili e remunerative da percorrere.