38 RESEARCH ADVISORY COMMITTEE ON GULF WAR VETERANS’ ILLNESSES, Committee Meeting Minutes, December 12-13, 2005 Si legge nel
1.3.2. La Sindrome dei Balcan
In parte diversa la situazione nei Balcani. Con già in mente quanto accaduto nella Guerra del Golfo, si fece presto a puntare il dito contro l’uranio impoverito, anche se i primi casi di malattia (o morte) sospetti vennero velocemente archiviati. La c.d. sindrome dei Balcani presenta notevoli similitudini con la sindrome del Golfo sotto l’aspetto delle patologie scatenate, con la differenza che qui “l’imputabilità” dell’uranio sembra essere avvalorata da una serie di elementi di prova più consistenti; a complicare le cose si è aggiunto anche il classico botta e risposta sulle cifre tra il Ministero della Difesa e le associazioni dei reduci malati, nonché
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il fatto che gli effetti del DU sembrano aver colpito in modo diverso i diversi eserciti implicati in questo conflitto: praticamente immuni le truppe statunitensi e quelle tedesche, diversi casi invece tra i militari italiani, belgi e inglesi. Quest’ultima particolarità sembra essere imputabile al diverso equipaggiamento fornito alle truppe: è stato infatti accertato che le milizie americane, già ben consce delle problematiche legate al DU, fossero equipaggiate con mascherine di protezione ed abbigliamento sufficientemente schermato alle radiazioni alfa, a differenza delle truppe italiane che erano totalmente all’oscuro del rischio e che pertanto non erano in grado di proteggersi da un’eventuale contaminazione44. E proprio
su tale questione inizia il testa a testa tra le istituzioni e le associazioni dei reduci per il riconoscimento della responsabilità da parte delle alte cariche militari per la mancata attuazione delle norme precauzionali previste da diversi organi e diverse fonti: a mettere in guardia sulla pericolosità dell’uranio infatti non vi fu solo il già citato documento NATO (di per se comunque sufficiente a palesare i rischi), bensì anche una serie di altri documenti provenienti dalle raccomandazioni alla Brigata Folgore del corpo dei Carabinieri45, dalle disposizioni di sicurezza per le forze della
KFOR46, nonché dagli studi della Science Applications International
Corporation (SAIC)47 e da quelli del Government Accountability Office
(GAO)48.
44 Su questo aspetto e sulla presunta violazione delle direttive di sicurezza della Nato si incentreranno alcune delle accuse al Ministero della Difesa da parte dei militari malati. In particolare, pare che il Ministero della Difesa abbia disatteso un documento Nato del 1996 che indicava come gestire le situazioni che implicano materiale a bassa radioattività: Allied Command Europe ACE Directive 80-63, ACE Policy for Defensive Measures against Low Level Radiological Hazards during Military Operations, 2 August 1996.
45 Nelle disposizioni emanate l’8 maggio 2000 alla Brigata Folgore Nembo Col. Moschin dal Col. Fernando Guarnieri si legge: La pericolosità dell’uranio si esplica sia per via chimica, che rappresenta la forma più alta di rischio nel breve termine, sia per via radiologica che può causare seri problemi nel lungo periodo. La maggiore pericolosità per il tipo di radiazione emessa si sviluppa nei casi di irraggiamento interno (contaminazione interna).
46 Disposizioni emanate il 22 novembre 1999.
47 La Science Applications International Corporation è una compagnia statunitense attiva in diversi settori scientifici, che collabora costantemente con il dipartimento della difesa americano.
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30 Nello specifico, ciò che viene imputato al Min. della Difesa è la ritardata adozione delle norme di protezione, con un gap temporale di circa sei anni: le truppe statunitensi già nella missione “Restore Hope” in Somalia nel 1993 erano ben consce della pericolosità ed adeguatamente preparate ed equipaggiate a trattare con il DU, mentre nel medesimo contesto i militari italiani erano del tutto impreparati e sprovvisti di qualsivoglia dispositivo di protezione; rivelatrice in tal senso la dichiarazione del Maresciallo Marco Diana:
“i nostri ragazzi stavano in calzoncini corti, canottiera e in caso di situazioni di ingaggio giubbotto antiproiettile, mentre i militari USA operavano, sia pure alla temperatura di 40 °C all’ombra, con tuta, occhiali, mascherine” 49.
Solo dal 1999 durante le operazioni in Kosovo si inizia ad istruire e a equipaggiare le truppe italiane, ma a questo punto per molti militari è già troppo tardi.
A ben vedere se vogliamo il suddetto gap temporale sarebbe da considerare come ben più ampio, visto che la prima comunicazione NATO in merito al DU risale al 1984, ed anche se relativa al solo maneggio a temperatura ambiente dello stesso, qualche dubbio sarebbe dovuto scaturire, esprimendosi in una maggiore attenzione non solo al problema, ma anche alle susseguenti comunicazioni provenienti sia dalla medesima NATO che dalle altre fonti scientifico-militari50.
delle tre agenzie che forniscono al Congresso servizi di ricerca, revisione e analisi, ed è noto anche come “il braccio investigativo del Congresso” e “il cane da guardia congressuale.” Coadiuva il Congresso al rispetto delle proprie responsabilità costituzionali. Sulla sua storia e sulle sue funzioni si veda in rete <http://www.fas.org/sgp/crs/misc/RL30349.pdf >.
49 Così testimoniava il Maresciallo Marco Diana, più volte intervistato sulla vicenda da diverse testate giornalistiche tra cui La Repubblica e La Nuova
Sardegna; in rete: <http://www.repubblica.it/2004/g/sezioni/cronaca/uraniobalcani/diana/dian
a.html>.
50 La circolare della NATO è la FAA Advisory Circular 20-123, datata 12/20/84 e intitolata Avoiding or Minimizing Encounters With Aircraft Equipped With Depleted Uranium Balance Weights During Accident Investigations. Le raccomandazioni NATO del 1984 sono relative al maneggio a temperatura ambiente delle barre di uranio impoverito utilizzate per i timoni direzionali di aerei e missili: il personale addetto deve sempre indossare guanti, occhiali e respiratore ad ossigeno, per evitare il contatto e l’inalazione o ingestione di
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31 Balcani.
Vediamo quindi l’evoluzione del problema, partendo dalla c.d. Commissione Mandelli che per prima si occupò della questione, arrivando infine alla situazione attuale creatasi a seguito dell’ultima Commissione Parlamentare d’Inchiesta.
1.3.3. La c.d. Commissione Mandelli e le Commissioni Parlamentari