v (Laura Ambrosi, Il Sole 24 ORE – Estratto da “Edicola Fisco”, 14 aprile 2020)
natura giuridica).
La nozione di “Apicale” ricom-prende quei soggetti che esercitano un penetrante dominio sull’ente e quindi per esempio: il socio non am-ministratore ma detentore della quasi totalità delle azioni e che, pertanto, detta dall’esterno le linee della politi-ca aziendale e il compimento di deter-minate operazioni; i direttori di stabi-limento dotati di una forte autonomia gestionale e sottratti al controllo delle sedi centrali.
Viceversa, non saranno conside-rati apicali i sindaci che esercitano una funzione di controllo, i membri del consiglio di sorveglianza in caso di modello di gestione dualistico e i direttori di stabilimento privi di auto-nomia finanziaria o funzionale.
Tuttavia, stante l’assenza di una definizione delle citate funzioni di amministrazione, rappresentanza e direzione, si possono utilizzare in via interpretativa le norme dettate in al-tre branche dell’ordinamento, cosi`
da ricostruire: il concetto di ammi-nistrazione come legato al potere di gestione e controllo delle risorse ma-teriali dell’ente; il concetto di direzio-ne come legato al potere di gestiodirezio-ne e controllo del personale dell’ente e, infine, il concetto di rappresentanza come legato alla formazione, mani-festazione all’esterno e alla ricezione della volontà dell’ente in relazione agli atti negoziali.
In merito ai soggetti sottoposti all’altrui direzione si è ritenuto ne-cessario, a fronte della crescente com-plessità delle realtà economiche e la conseguente ripartizione delle rela-tive fondamenta operarela-tive, specifi-care come tra questi debbano essere ricompresi oltre, ovviamente, coloro i quali siano legati alla società da un rapporto di lavoro subordinato, co-ordinato e continuativo anche quelli che intrattengono con la società uno stabile e continuativo rapporto di col-laborazione, quali: agenti e franchisee.
Il quadro sanzionatorio
L’impianto sanzionatorio costitu-isce parte fondamentale della disci-plina in quanto ricomprende tutte le
sanzioni, pecuniarie e interdittive, previste dal Legislatore quale conse-guenza della commissione o tentata commissione dei reati presupposto previsti dal Dlgs 231/2001.
Le sanzioni previste si dividono in:
1) pecuniarie;
2) interdittive di durata non inferio-re a tinferio-re mesi e non superioinferio-re a due anni;
3) confisca;
4) pubblicazione della sentenza.
La portata della sanzione pecunia-ria è determinata dal giudice attraver-so il sistema delle cc.dd. “quote” e co-munque per un importo massimo non superiore a 1.549.370 euro.
Ogni quota ha, infatti, un valore va-riabile fra un minimo di 258,22 euro a un massimo di 1.549,37 euro e il nu-mero delle quote non può essere infe-riore a cento e supeinfe-riore a mille.
Inoltre il giudicante, nel determi-nare il numero delle quote e quindi l’ammontare della sanzione pecunia-ria, deve tenere conto della gravità del fatto, del grado della responsabilità dell’ente nonché dell’attività svolta per eliminare o attenuare le conse-guenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti. L’ef-ficacia della sanzione è garantita dalla corretta determinazione dell’importo di ogni singola quota che si deve, per-tanto, basare sulle condizioni econo-miche e patrimoniali della società.
Sono, altresì, previsti dei casi di riduzione della sanzione pecuniaria:
pari alla metà se l’autore del reato ha commesso il fatto nel prevalente inte-resse proprio o di terzi e l’ente non ne ha ricavato vantaggio o ne ha ricavato un vantaggio minimo; e se il danno patrimoniale cagionato è di partico-lare tenuità. La riduzione sarà invece minore, da un terzo alla metà, se, pri-ma della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado: l’ente abbia provveduto a risarcire integral-mente il danno ed eliminato le conse-guenze dannose o pericolose del reato ovvero si sia comunque efficacemente adoperato in tal senso; o ancora nel caso in cui si sia adoperato al fine di adottare un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi. Le sanzioni
in-D
a circa 20 anni nel nostro or-dinamento italiano esiste la responsabilità amministrativa degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato (Dlgs 231/2001).Tale responsabilità ha costituito una novità per l’ordinamento giuridi-co: la commissione del reato non ha investito più soltanto la persona fisi-ca, autrice del delitto, ma anche, e in via diretta, la persona giuridica nel cui ambito e nel cui interesse o vantaggio esso sia stato commesso.
La responsabilità degli enti coniu-gherebbe, quindi, i tratti dell’ordi-namento penale e di quello ammini-strativo senza nessuna violazione del fondamento costituzionale secondo cui la responsabilità penale è perso-nale.
Il reato, infatti, seppure ovviamen-te commesso dalla persona fisica, ri-mane imputabile all’ente in virtù del rapporto di immedesima organica che lega il dipendente alla società e in for-za del quale il primo agisce a favore del secondo.
Il soggetto che opera all’interno della società agisce come suo organo e non in maniera autonoma e separa-ta.
I presupposti della responsabilità La responsabilità dell’ente riguar-da i reati commessi, nel suo interesse o a suo vantaggio, dagli apicali (colo-ro che rivestono funzioni di rappre-sentanza, di amministrazione o di direzione dell´ente o di una sua uni-tà organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso) o dai subordinati (persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza degli apicali).
La formulazione delle due catego-rie, apicali e subordinati, ha seguito il criterio della c.d. connotazione ogget-tivo-funzionale, ovvero della specifica volontà del Legislatore di procedere in maniera elastica e senza una elen-cazione tassativa di soggetti difficil-mente praticabile, vista l’eterogeneità degli enti e quindi delle situazioni di riferimento (quanto a dimensioni e a
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terdittive sono le seguenti:
• l’interdizione dall’esercizio dell’at-tività;
• la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o conces-sioni funzionali alla commissione dell’illecito;
• il divieto di contrattare con la pub-blica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
• l’esclusione da agevolazioni, fi-nanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli con-cessi;
• il divieto di pubblicizzare beni o servizi.
L’applicazione di tali misure segue il principio di legalità secondo cui le stesse potranno essere utilizzate sola-mente in relazione ai reati per i quali sono espressamente previste.
Tutte le sanzioni, salva la pubblica-zione della sentenza, possono essere anticipate in sede cautelare su richie-sta del pubblico ministero al giudice procedente che provvederà con ordi-nanza.
L’anticipazione in sede cautelare, e quindi prima di un definitivo accer-tamento processuale, segue, a tutela dell’ente, precise regole di condotta che subordinano l’irrogazione della misura alla presenza di:
1) gravi indizi di responsabilità dell’ente per un illecito ammini-strativo dipendente da reato;
2) fondati e specifici elementi di rei-terazione dell’illecito.
In alternativa alla misura cautelare interdittiva il giudice può nominare un commissario giudiziale per un pe-riodo pari alla durata della misura che sarebbe stata applicata.
La nomina del commissario è am-messa qualora ricorra, almeno, una delle seguenti condizioni:
a) l’ente svolge un pubblico servizio o un servizio di pubblica necessità la cui interruzione provocherebbe un grave pregiudizio alla colletti-vità;
b) l’interruzione dell’attività dell’ente provocherebbe, tenuto conto delle sue dimensioni e delle condizioni economiche del territorio in cui è situato, rilevanti ripercussioni sull’occupazione.
Tra i compiti del commissario giu-diziale vi è quello di adottare e attuare in maniera efficace il modello di or-ganizzazione e di controllo idonei a
prevenire reati della specie di quello verificatosi. L’attività, pertanto, pro-segue sotto la guida del commissario, il quale non potrà comunque adottare atti di straordinaria amministrazione senza autorizzazione del giudice, e il cui profitto sarà oggetto di confisca.
Infine, le sanzioni pecuniarie e in-terdittive sono ridotte da un terzo alla metà in relazione alla commissione dei delitti nelle forme del tentativo;
mentre l’ente sarà esente da respon-sabilità qualora abbia impedito la rea-lizzazione dell’evento.
I reati societari presupposto
Il Dlgs 231/2001 all’articolo 25 ter, disciplina la categoria dei reati socie-tari.
Tuttavia, andando per ordine e se-guendo il contenuto dell’articolo 25 ter, i reati societari, che per la maggior parte possono qualificarsi come pro-pri, sono:
• false comunicazioni sociali previ-sto dall’articolo 2621 del Codice ci-vile, con una sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote;
• false comunicazioni sociali previ-sto dall’articolo 2621 bis del Codice civile, con una sanzione pecunia-ria da cento a duecento quote;
• false comunicazioni sociali previ-sto dall’articolo 2622 del Codice ci-vile, con una sanzione pecuniaria da quattrocento a seicento quote;
• falso in prospetto, prevista dall’ar-ticolo 2623, comma 1, del Codice civile, con una sanzione pecunia-ria da cento a centotrenta quote;
• falso in prospetto, previsto dall’ar-ticolo 2623, comma 2 del Codice civile, con una sanzione pecunia-ria da duecento a trecentotrenta quote;
• falsità nelle relazioni o nelle comu-nicazioni delle società di revisione, prevista dall’articolo 2624, comma 1, del Codice civile, con sanzione pecuniaria da cento a centotrenta quote;
• falsità nelle relazioni o nelle co-municazioni delle società di revi-sione, previsto dall’articolo 2624, comma 2, del Codice civile, con sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote;
• impedito controllo, previsto dall’articolo 2625, comma 2, del Co-dice civile, con sanzione pecuniaria da cento a centottanta quote;
• formazione fittizia del capitale, previsto dall’articolo 2632 del Co-dice civile, con sanzione pecunia-ria da cento a centottanta quote;
• indebita restituzione dei conferi-menti, previsto dall’articolo 2626 del Codice civile, con sanzione pecuniaria da cento a centottanta quote;
• illegale ripartizione degli utili e delle riserve, prevista dall’articolo 2627 del Codice civile, con sanzio-ne pecuniaria da cento a cento-trenta quote;
• illecite operazioni sulle azioni o quote sociali o della società con-trollante, previsto dall’articolo 2628 del Codice civile, con sanzio-ne pecuniaria da cento a centot-tanta quote;
• operazioni in pregiudizio dei cre-ditori, previsto dall’articolo 2629 del Codice civile, con sanzione pe-cuniaria da centocinquanta a tre-centotrenta quote;
• indebita ripartizione dei beni so-ciali da parte dei liquidatori, pre-visto dall’articolo 2633 del Codice civile, con sanzione pecuniaria da centocinquanta a trecentotrenta quote;
• illecita influenza sull’assemblea, previsto dall’articolo 2636 del Co-dice civile, con sanzione pecunia-ria da centocinquanta a trecento-trenta quote;
• aggiotaggio, previsto dall’artico-lo 2637 del Codice civile e per il delitto di omessa comunicazione del conflitto d’interessi previsto dall’articolo 2629 bis del Codice civile, con sanzione pecuniaria da duecento a cinquecento quote;
• ostacolo all’esercizio delle funzio-ni delle autorità pubbliche di vigi-lanza, previsti dall’articolo 2638, commi 1 e 2, del Codice civile, con sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote;
• corruzione tra privati, nei casi pre-visti dal terzo comma dell’articolo 2635 del Codice civile, con sanzio-ne pecuniaria da quattrocento a seicento quote e, nei casi di istiga-zione di cui al comma 1 dell’arti-colo 2635 bis del Codice civile, con sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote.
Se, in seguito alla commissione dei reati, l’ente ha conseguito un profitto di rilevante entità, la sanzione pecu-niaria è aumentata di un terzo.
I modelli organizzativi e la loro efficace attuazione
Il Dlgs 231/2001 ha previsto la fa-coltà per l’ente di adottare un modello di organizzazione, gestione e control-lo e di collegare a tale adempimento dei benefici in caso di commissione del reato.
La finalità del modello, in ottica aziendale, è infatti quella di prevede-re, in relazione alla natura e alla di-mensione dell’organizzazione nonché al tipo di attività svolta, misure idonee a garantire lo svolgimento dell’attività nel rispetto della legge e a individuare ed eliminare tempestivamente situa-zioni di rischio reato.
Il modello deve avere un contenuto minimo, direttamente previsto dalla normativa, ai sensi della quale dovrà:
a) individuare le attività nel cui am-bito possono essere commessi re-b) prevedere specifici protocolli di-ati;
retti a programmare la formazio-ne e l’attuazioformazio-ne delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire;
c) individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee a impedire la commissione dei reati;
d) prevedere obblighi di informazio-ne informazio-nei confronti dell’organismo deputato a vigilare sul funziona-mento e l’osservanza dei modelli;
e) introdurre un sistema disciplina-re idoneo a sanzionadisciplina-re il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.
Dotarsi di un modello non è però sufficiente.
Infatti, all’implementazione deve seguire l’efficace attuazione, che si estrinseca in:
a) una verifica periodica e l’eventuale modifica dello stesso quando sono scoperte significative violazioni delle prescrizioni ovvero quando intervengono mutamenti nell’or-ganizzazione o nell’attività;
b) un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.
Il modello, dopo essere stato adot-tato ed efficacemente attuato, potreb-be, in caso di commissione di illecito, essere valutato ai fini della sua ido-neità a prevenire i reati presupposto della responsabilità degli enti.
Tale operazione è rimessa all’or-gano giudicante, il quale opererà
se-condo la c.d. prognosi postuma, ov-vero dovrà considerare la valenza del modello al momento in cui il fatto è stato commesso e quindi analizzare se in quel dato frangente temporale il “sistema 231” dell’ente potesse dirsi idoneo oppure no.
La giurisprudenza ha fissato i con-tenuti minimi che il modello deve possedere:
1) essere adottato partendo da una mappatura dei rischi di reato spe-cifica ed esaustiva e non mera-mente descrittiva o ripetitiva del dettato normativo;
2) prevedere che i componenti dell’organo di vigilanza possegga-no capacità specifiche in tema di attività ispettiva e consulenziale;
3) prevedere quale causa di ineleg-gibilità a componente dell’OdV la sentenza di condanna (o di patteg-giamento) non irrevocabile;
4) differenziare tra formazione rivol-ta ai dipendenti nella loro genera-lità, ai dipendenti che operino in specifiche aree di rischio, all’orga-no di vigilanza e ai preposti al con-trollo interno;
5) prevedere il contenuto dei corsi di formazione, la loro frequenza, l’obbligatorietà della partecipazio-ne ai corsi, controlli di frequenza e di qualità sul contenuto dei pro-grammi;
6) prevedere espressamente la com-minazione di sanzione disciplina-re nei confronti degli amministra-tori, direttori generali e compliance officers che per negligenza ovvero imperizia non abbiano saputo in-dividuare, e conseguentemente eliminare, violazioni del modello e, nei casi più gravi, perpetrazione di reati;
7) prevedere sistematiche procedure di ricerca e identificazione dei ri-schi quando sussistano circostan-ze particolari (per esempio, emer-sione di precedenti violazioni, elevato turn-over del personale);
8) prevedere controlli di routine e controlli a sorpresa – comunque periodici – nei confronti delle at-tività aziendali sensibili;
9) prevedere e disciplinare un obbli-go per i dipendenti, i direttori, gli amministratori della società di riferire all’organismo di vigilanza notizie rilevanti e relative alla vita dell’ente, a violazioni del modello o alla consumazione di reati. In
particolare deve fornire concrete indicazioni sulle modalità attra-verso le quali coloro che vengano a conoscenza di comportamenti illeciti possano riferire all’organo di vigilanza;
10) contenere protocolli e procedure specifici e concreti.
Il modello di organizzazione, ge-stione e controllo costituisce la possi-bilità, per l’ente che lo ha adottato, an-tecedentemente alla commissione del fatto-reato e attuato in maniera effi-cace, di godere dell’esimente prevista nel Dlgs 231/2001. Per andare esenti da responsabilità, per reati commessi dagli organi apicali, l’ente deve prova-re che:
a) l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione ido-nei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
b) il compito di vigilare sul funziona-mento e l’osservanza dei modelli e di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi pote-ri di iniziativa e di controllo;
c) le persone hanno commesso il re-ato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di ge-stione;
d) non vi è stata omessa o insuffi-ciente vigilanza da parte dell’Or-ganismo di Vigilanza.
Viceversa, se il reato è stato com-messo da soggetto sottoposto all’al-trui direzione l’ente è responsabile se la commissione del reato è stata resa possibile dall’inosservanza de-gli obblighi di direzione o vigilan-za. Tali obblighi si intendono sem-pre superati qualora, prima della commissione del reato, l’ente abbia adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, ge-stione e controllo idoneo a preveni-re i preveni-reati della specie di quello veri-ficatosi.
Considerando, la natura dei reati societari saranno con ogni probabilità da considerarsi sensibili al rischio re-ato talune delle seguenti attività:
• gestione dei rapporti con soci, col-legio sindacale, società di revisio-ne contabile e OdV;
• gestione dei rapporti e delle tran-sazioni infragruppo;
• raccolta, aggregazione e valutazio-ne dei dati contabili;
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• gestione della contabilita`
genera-• formazione del bilancio e tutte le le;
attivita` finalizzate alla formazio-ne di documenti contabili e dei documenti che rappresentino si-tuazioni economiche, finanziarie e patrimoniali;
• predisposizione delle comunica-zioni ai soci e/o al mercato relative alla situazione economica, patri-moniale o finanziaria della società;
• predisposizione comunicazione del conflitto di interessi;
• costituzione, svolgimento, verba-lizzazione delle assemblee;
• operazioni sul capitale: gestione dei conferimenti, dei beni sociale, degli utili e delle riserve, operazio-ni sulle partecipaziooperazio-ni e sul capi-tale;
• gestione e comunicazione di no-tizie e dati verso l’esterno relativi alla società e ai rapporti con le Au-torita` di Vigilanza circa lo svol-gimento di attivita` regolate dalla legge.
Inoltre, in relazione alla corruzione tra privati, disciplinata dall’articolo 2635 Cc, si evidenziano le seguenti aree di criticità:
• selezione e assunzione gestione del personale;
• dazione o ricezione di omaggi;
• gestione delle sponsorizzazioni e delle promozioni commerciali;
• approvvigionamento di beni e ser-vizi;
• vendite di beni e servizi;
• contenzioso giudiziale e stragiudi-ziale;
• selezione e gestione di partner commerciali;
• affidamento incarichi professio-nali.
Il passo successivo, dopo l’indivi-duazione delle aree sensibili, è quello di prevedere all’interno del modello dei punti di controllo utili a vincolare l’operativa della risorsa interna della società.
Preliminarmente, in linea generale, dovranno essere posti espressi divieti di:• porre in essere comportamenti
tesi a ostacolare l’attività di vigi-lanza da parte delle autorità pub-bliche di vigilanza;
• pubblicare o rappresentare notizie false;
• porre in essere operazioni simula-te o altri comportamenti di carat-tere fraudolento, aventi a oggetto la situazione economica, finanzia-ria e patrimoniale della società;
• divulgare dati falsi e lacunosi circa
la situazione economica, patrimo-niale e finanziaria della società;
• effettuare riduzioni di capitale sociale, fusioni o scissioni in vio-lazione delle disposizioni di legge;
• acquistare o sottoscrivere azio-ni proprie o di società controllate fuori dai casi previsti dalla legge;
• ritardare o non adempiere agli ob-blighi di legge circa le informazio-ni imposte dalla legge sulla situa-zione economica, patrimoniale e finanziaria della società;
• ripartire gli utili non effettivamen-te conseguiti o destinati a riserva di legge;
• formazione o aumento fittizio del capitale sociale.
Si è detto che il modello deve, tra le altre: individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi re-ati; prevedere specifici protocolli di-retti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire; e individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee a impedire la commissione dei reati.
Le aree a rischio, dovranno, ovvia-mente, essere individuate dopo atten-ta analisi della struttura socieatten-taria, della sua organizzazione e dell’opera-tività aziendale.