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SISTEMI 231: ALLA PROVA DELLO STRESS TEST

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Academic year: 2022

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SISTEMI 231:

ALLA PROVA DELLO STRESS TEST

2020 AGOSTO

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(3)

“SISTEMI 231”

ALLA PROVA DELLO STRESS TEST...

5

Sono stati mesi complicati per il mondo della compliance 231 e per un arco di tempo ancora indefinito continueranno ad esser- lo: per tali ragioni è stato ritenuto utile ripercorre le ultime tappe salienti.

(Redazione MELIUSFORM) IL SISTEMA 231 TRA NUOVI

REATI, PANDEMIA E PRIVACY

7

Reati tributari e 231: aspetti operativi e questioni processuali

7

L'art. 39, comma 2, del D.L. n. 124/2019, dopo anni di richieste pervenute da più fronti, tra dottrina e giurisprudenza, ha previsto l’inserimento -come noto- dell’art. 25-quinquiesdecies all’interno del D.Lgs. n. 231/2001. L’introduzione segue anche l’input euro- peo funzionale a tutelare gli interessi finanziari comunitari, così come specificato dalla Direttiva PIF 1371-2017 UE

(Prof. Avv. Sara Mecca, Dr.ssa Valeria Chianello, MSP Legal) La qualifica soggettiva dell’OdV: il parere del Garante

non ha fornito alcuna soluzione esaustiva

11

Con l’entrata in vigore del Regolamento (UE) 2016/679 la ma- teria concernente il trattamento dei dati personali ha subito una rivoluzione copernicana caratterizzata da un approccio comple- tamente rivisitato. I titolari sono stati, infatti, chiamati a rivedere processi aziendali, misure di sicurezza, attribuzione di responsa- bilità -interne ed esterne- e tanto altro, sotto la scure della c.d.

accountability.

(Avv. Valerio Silvetti, MSP Legal)

Covid-19 e 231: comprendiamo le effettive - eventuali -

responsabilità degli enti.

13

L’infezione da Covid-19 di un lavoratore potrebbe far originare delle responsabilità per il datore di lavoro e per l’organizzazione?

Il quesito - posto da più parti, durante questi mesi di ripartenza, merita una risposta ponderata e idonea a far comprendere i para- metri di valutazione della responsabilità penale.

(Avv. Valerio Silvetti, MSP Legal) NEWS

IL SOLE 24 ORE

18

Reati tributari, ora si cerca di punire anche solo il tentativo

18

Le nuove ipotesi di tentativo di dichiarazione fraudolenta e di- chiarazione infedele, introdotte con il decreto di recepimento della direttiva sulla tutela penale degli interessi finanziari Ue, ap- provato dal Consiglio dei ministri nella serata del 6 luglio (…) non sembrano, in pratica, agevolmente configurabili.

(Antonio Iorio, Il Sole 24 ORE – Estratto da “Norme & Tributi”, 10 luglio 2020)

Necessario l’elemento della transnazionalità

19

L’entrata in vigore del decreto legislativo di recepimento della

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SISTEMI 231:

ALLA PROVA DELLO STRESS TEST

2020AGOSTO SETTEMBRE

Chiuso in redazione il 13 luglio 2020

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direttiva Pif comporterà certamente ulteriori oneri a carico delle imprese. Infatti, oltre all’introduzione del tentativo per alcuni reati tributari, le nuove disposizioni prevedono anche l’ampliamento della responsabilità amministrativa degli enti a ulteriori reati tri- butari

(Laura Ambrosi, Il Sole 24 ORE – Estratto da “Norme & Tributi”, 10 luglio 2020)

Sulle maxifrodi dell’Iva sanzioni anche alle imprese

20

Decreto 231 esteso alle maxifrodi Iva, con punibilità anche del solo tentativo. Estensione dei reati presupposto e allargamento di quelli contro la pubblica amministrazione per i quali le imprese sono chiamate a rispondere per condotte dei dipendenti. Ma an- che inasprimento del trattamento punitivo per i delitti che com- promettono il bilancio dell’Unione europea

(Giovanni Negri, Il Sole 24 ORE – Estratto da “Norme & Tributi”, 8 luglio 2020)

La responsabilità delle società

21

Da circa 20 anni nel nostro ordinamento italiano esiste la re- sponsabilità amministrativa degli enti per gli illeciti amministra- tivi dipendenti da reato (Dlgs 231/2001). Tale responsabilità ha costituito una novità per l’ordinamento giuridico: la commissione del reato non ha investito più soltanto la persona fisica, autrice del delitto, ma anche, e in via diretta, la persona giuridica nel cui ambito e nel cui interesse o vantaggio esso sia stato commesso.

(Laura Ambrosi, Il Sole 24 ORE – Estratto da “Edicola Fisco”, 14 aprile 2020)

(5)

“Sistemi 231”

alla prova

dello stress test...

Sono stati mesi complicati per il mondo della compliance 231 e per un arco di tempo ancora indefinito continueranno ad esserlo: per tali ragioni è stato ritenuto utile ripercorre le ultime tappe salienti.

Il sistema 231 (da intendersi quale insieme di tutte le componenti di diret- ta derivazione del D.Lgs. n. 231/2001: codice etico, modello, odv, mappatura, valutazione dei rischi, sistema sanzionatorio, whistleblowing, etc.) ha giocato un ruolo da protagonista in questo primo semestre del 2020: dapprima con l’aggiornamento ai reati tributari, successivamente con la pandemia Covid-19 e infine per la qualificazione soggettiva dei componenti degli Organismi di Vigi- lanza ai fini del trattamento dei dati.

Per tali ragioni si è scelto di dedicare, ad ognuna delle citate tematiche, uno specifico approfondimento.

Redazione MELIUSFORM

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FINANCE

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Il sistema 231 tra nuovi reati, pandemia e privacy

REATI TRIBUTARI E 231: ASPETTI OPERATIVI E QUESTIONI PROCESSUALI

v (Prof. Avv. Sara Mecca, Dr.ssa Valeria Chianello, MSP Legal)

le novità introdotte dall’attuale art. 25-quinquiesdecies si dovranno considerare i reati di cui agli artt. 2 commi 1 e 2-bis, art. 3, art. 8 com- mi 1 e 2-bis, artt. 10 e 11 del D.lgs. n.

74/2000, ossia:

• dichiarazione fraudolenta me- diante uso di fatture o altri docu- menti per operazioni inesistenti;

• dichiarazione fraudolenta me- diante altri artifici;

• emissione di fatture o altri docu- menti per operazioni inesistenti;

• occultamento o distruzione di documenti contabili e;

• sottrazione fraudolenta al paga- mento di imposte.

Per tali ipotesi, il sistema 231 pre- vede un trattamento sanzionatorio pecuniario pari, nel massimo editta- le, a 500 quote ovvero circa 770mila euro (e aumentabile fino ad un terzo in caso di profitto di rilevante enti- tà). Alle sanzioni pecuniarie potran- no poi aggiungersi, nei casi di cui al primo e secondo comma dell’art.

25-quindecies (anche in via cautela- re), le sanzioni interdittive previste dall’art. 9, comma 2, lett. c, d, e, dun- que:• il divieto di contrattare con la

pubblica amministrazione;

• l’esclusione da agevolazioni, fi- nanziamenti, contributi o sussidi ed eventuale revoca di quelli già concessi;

• il divieto di pubblicizzare beni o servizi.

La novità apportata con il D.L.

n. 124/2019 è sostanziale poiché si tratta di una famiglia di reati “tra- sversali” in termini di rischio poiché non connessa tanto al c.d. core busi- ness aziendale, quanto piuttosto agli aspetti economici/finanziari, al pari dei reati societari e di altre categorie contenute nel Decreto 231.

Superfluo dire che i modelli, e più in generale il “sistema 231”, dovrà essere aggiornato a tale novella le- gislativa prevedendone e minimiz- zandone il relativo rischio (tramite l’adozione di presidi e procedure, nella forma di controlli preventivi, rispetto alla conclusione dell’affare), prevedendo incontri formativi per il personale interessato ed esten- dendo l’utilizzo del canale whist- leblowing anche a tali condotte.

Come per gli altri reati occorrerà, dunque, strutturare un sistema ido- neo a rendere difficoltosa la consu- mazione dell’illecito: per raggiunge- re l’ambizioso obiettivo bisognerà conoscere le peculiarità delle singo- le fattispecie, comprenderne le dina- miche, nonché gli spunti giurispru- denziali. A mente di ciò, si riportano di seguito spunti operativi che non hanno alcuna pretesa di esaustività, quanto piuttosto di incentivare una riflessione sulle singole fattispecie.

L

’art. 39, comma 2, del D.L. n.

124/2019, dopo anni di richie- ste pervenute da più fronti, tra dottrina e giurisprudenza[1], ha previsto l’inserimento -come noto- dell’art. 25-quinquiesdecies all’inter- no del D.Lgs. n. 231/2001. L’introdu- zione segue anche l’input europeo funzionale a tutelare gli interessi finanziari comunitari, così come specificato dalla Direttiva PIF 1371- 2017 UE, ancora in fase di attuazione da parte del Legislatore italiano[2]. Sul punto, verosimilmente, l’art.

25-quinquiesdecies sarà oggetto di successiva integrazione per punire quelle operazioni di carattere inter- nazionale (tra due o più Stati mem- bri) generatrici di un danno di eva- sione di almeno 10 milioni di euro. I riflessi operativi saranno, evidente- mente, relegati a organizzazioni che hanno operatività e struttura tale da generare operazioni di questo gene- re, difficilmente concretizzabili nel tipico tessuto imprenditoriale ita- liano costituito da PMI. Per dovere di completezza si segnala che il De- creto di recepimento della predetta direttiva prevede, allo stato, anche ulteriori modifiche al catalogo dei reati 231 interessando altresì fatti- specie non legate alla materia tribu- taria.

Ciò detto e volendo, in questa sede, focalizzare l’attenzione sul-

[1] Sul punto le SS.UU si erano espresse nei termini che seguono “le SS.UU. Sono consapevoli che la situazione normativa delineata presenta evidenti profili di irrazionalità (...) anche perché il mancato inserimento dei reati tributari fra quelli 231 rischia di vani- ficare le esigenze di tutela delle entrate tributarie (...) le SS.UU. non possono quindi che segnalare tali irrazionalità ed auspicare un intervento del legislatore, volto ad inserire i reati tributari fra quelli 231” Corte di Cassazione, SS.UU., sentenza n. 10561/2014.

[2] Alla data di redazione del presente contributo lo schema di Decreto legislativo recante attuazione della direttiva (UE) 2017/1371, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale risulta essere stato appro- vato, in data 20 maggio 2020, dalla Commissione Politiche dell’Unione Europea con parere favorevole raggiungibile a questo link http://documenti.camera.it/leg18/resoconti/commissioni/bollettini/html/2020/05/20/14/allegato.htm.

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IPOTESI DI CONTROLLI PREVENTIVI

E così, a titolo esemplificato,

per le FATTURE SOGGETTIVAMENTE INESISTENTI si potrebbero prevedere i seguenti controlli preventivi:

• verifica dell’esistenza del fornitore tramite visura camerale in grado di restituire una serie di informazioni, quali:

– sede legale ed operativa (magazzini);

– oggetto dell’attività;

– dipendenti;

– compagine societaria;

– partecipazioni attive o passive;

• verifica dell’operatività del fornitore tramite il bilancio e le altre scritture contabili da cui estrapolare altre utili infor- mazioni, quali a titolo esemplificativo:

– concessioni e licenze;

– fabbricati;

– partecipazioni;

– crediti e materie prime;

– liquidità e patrimonio netto;

– TFR;

– debiti e finanziamenti;

– valore e costi della produzione.

• verifica dell’esistenza dei contatti con l’interlocutore appartenente al fornitore con cui si sono intrattenuti i rapporti commerciali.

Per le FATTURE OGGETTIVAMENTE INESISTENTI prevedere i seguenti controlli preventivi volti a verificare:

• congruità tra fornitore e bene e/o prestazione effettuata;

• congruità del valore di mercato del bene o della prestazione oggetto di transazione;

• documentazione contrattuale a supporto dell’operazione con contenuto specifico;

• documenti di trasporto (DDT/Bolla);

• documentazione relativa alla fase negoziale/trattative;

• tracciabilità dei pagamenti.

Per la SOVRAFATTURAZIONE

si ritiene utile valutare la congruità dei prezzi di mercato beni/ servizi offerti dalla società.

Per le DICHIARAZIONI FRAUDOLENTE MEDIANTE ALTRI ARTIFIZI la casistica giurisprudenziale, suggerisce di verificare, tra gli altri:

• i contratti di vendita;

• la cessione di quote sociali;

• le svalutazioni del valore delle partecipazioni societarie;

• poiché in grado di costituire degli artifizi utilizzati per abbattere il volume d’affari e addivenire a una misura ridotta di imposte da corrispondere.

Lo stesso dicasi per la c.d. SOTTOFATTURAZIONE

che, comportando la gestione di una provvista di denaro, ci suggerisce di monitorare tutti i conti correnti societari e trovare per ogni movimento un giustificativo.

Per l’EMISSIONE DI FATTURE O ALTRI DOCUMENTI PER OPERAZIONI INESISTENTI

sarà possibile prevedere una procedura per l’emissione delle fatture attive coinvolgendo, come spesso già accade per le società più strutturare, più funzioni interne così da avere riscontro effettivo dell’attività erogata a favore di terzi.

Ad esempio “non può esser emessa una fattura verso il cliente a meno di una evidenza oggettiva giustificativa. La comuni- cazione da parte del Delivery Manager (colui che garantisce, tramite un gruppo di specialisti, tecnici ed operatori, l’erogazione del servizio) avviene attraverso e-mail interna verso l’account amministrazione@XXX.it”.

Per l’OCCULTAMENTO O DISTRUZIONE DI DOCUMENTI CONTABILI

sarà possibile prevedere nel report dei flussi tra OdV e funzioni aziendali l’invio, con periodicità da concordare, della seguente documentazione:

• libro giornale (nel quale vengono annotate in ordine cronologico tutte le operazioni di gestione -acquisti, vendite, incassi, pagamenti, ecc.);

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L’inserimento dei reati tributari, oltre ad avere riflessi operativi, ha ge- nerato, come naturale accadesse, in- terrogativi di ordine processuale e che saranno, nei modi e nei tempi classici dell’iter procedimentale, sottoposti all’attenzione della Corte Costituzio- nale.

Primo fra tutti, l’aspetto relativo al principio del ne bis in idem.

Invero, ciò che accade quando una società commette un reato fiscale è che l’ente risponderà, oltre che penal- mente insieme all’autore del reato, in funzione del rapporto organico, anche amministrativamente, in quanto con- tribuente. Inoltre, dal momento che il D.Lgs. n. 231/2001 non sembra avere natura unicamente amministrativa, bensì penale, ne potrebbe derivare un cumulo di sanzioni della stessa natu- ra. Allo stato, infatti, dalla condotta del reo deriverebbero:

• processo penale per la persona fi- sica al superamento delle soglie di legge;

• processo tributario per l’ente in veste di contribuente;

• processo penale per l’ente ex D.L- gs. n. 231/2001.

La stessa azione, costituente vio- lazione tributaria, reato penale e am- ministrativo/penale(!!) condurrebbe a tre sentenze distinte con altrettante differenti sanzioni.

Relativamente alla tematica in questione (ne bis in idem), la Corte

di Strasburgo intervenuta nel caso Nodet c. Francia (che ha preceduto di pochi mesi il Decreto Fiscale 2019), ha affermato come, ai sensi dell’art. 4 Prot. 7 CEDU, sia da ammettersi -in linea teorica- la duplicazione dei pro- cedimenti per lo stesso fatto, a patto che in concreto gli stessi finiscano per integrarsi a vicenda, divenendo nei fatti un solo procedimento in cui l’uno pone l’attenzione su elementi ulterio- ri rispetto a quelli contemplati dall’al- tro, sì da determinare una sostanziale

“reductio ad unum del bis”. Viceversa, laddove la sanzione origini dal me- desimo elemento, si è al cospetto di un’illegittima duplicazione del pro- cessi e violazione della regola del “mai due volte per la stessa cosa”.

Così, nel giugno 2019 la Corte EDU ha ritenuto il sistema della lotta agli abusi di mercato francese meritevole di censure, in quanto caratterizzato (come quello italiano), per il doppio binario amministrativo-penale, ma i cui sistemi sanzionatori erano conno- tati da identiche finalità repressive e fondate entrambe sul medesimo fat- to illecito. Precisa altresì la Corte che se invece i procedimenti fossero sta- ti volti a sanzionare aspetti contigui, ma diversi, del fatto materialmente commesso, la finalità dei due proces- si avrebbe potuto essere considerata eterogenea, e perciò legittima.

Ebbene, se questi sono i parametri di compatibilità cui aspirare, il nostro

sistema penal-tributario si ritiene non risparmiare perplessità, poiché:

• le condotte descritte dal D.Lgs. n.

471/1997 e dal D.Lgs. n. 74/2000 sono pressoché identiche e so- vrapponibili, sia per formulazione, sia per giudizio di disvalore;

• hanno entrambi i sistemi finali- tà palesemente sanzionatorie, dal momento che quello tributario non ha il solo obiettivo di recupe- rare l’imposta evasa, poiché lad- dove il contribuente non si mostri collaborativo, il recupero diviene coatto e si estrinseca attraverso la confisca per equivalente (art. 12- bis del D.Lgs. n. 74/2000);

• la scelta legislativa di abbassare la soglia di rilevanza penale non fa altro che ridurre ulteriormente il discrimine tra illecito amministra- tivo e illecito penale.

Nel medesimo caso Nodet c. Fran- cia la Corte di Strasburgo ha racco- mandato, confermando l’orienta- mento espresso nel precedente caso Bjarni Ármannsson c. Islanda, sempre in ossequio al principio del ne bis in idem, che non debba ripetersi la me- desima attività probatoria, non tanto perché i due sistemi non debbano ba- sarsi sui medesimi elementi oggettivi e soggettivi (come già detto, devono considerare elementi diversi, sia pure contigui al medesimo evento), bensì per evitare un danno nel complesso sproporzionato per l’imputato.

• libro degli inventari (nel quale annotare l’elencazione, descrizione, valutazione delle attività e delle passività con- ferite; nonché il valore del capitale di conferimento. Negli anni successivi al primo, il libro inventari deve indicare la consistenza dei beni raggruppati in categorie omogenee per natura e valore, nonché il valore attribuito a ciascun gruppo e contenere altresì il bilancio d’esercizio: stato patrimoniale, conto economico e nota integrativa);

• libro IVA (ovvero libro delle fatture passive, delle fatture attive e dei corrispettivi ove presenti;

• libro magazzino;

• libro dei beni ammortizzabili contenente i cespiti soggetti ad ammortamento;

• libro unico del lavoro (contenente i dati relativi ai singoli lavoratori - presenza e retribuzione);

• libro degli strumenti finanziari;

• libro obbligazioni

• libro soci;

• bilancio di esercizio (stato patrimoniale, conto economico, nota integrativa e rendiconto finanziario).

Infine, per la SOTTRAZIONE FRAUDOLENTA AL PAGAMENTO DI IMPOSTE

sarà possibile prevedere nel report dei flussi tra OdV e funzioni aziendali l’invio, con periodicità da concordare, della seguente documentazione:

• procedure di riscossione coattiva;

• libro cespiti (nel quale vengono annotate in ordine cronologico tutte le operazioni di gestione - acquisti, vendite, incassi, pagamenti, ecc.);

• libro degli strumenti finanziari;

• bilancio di esercizio (stato patrimoniale, conto economico, nota integrativa e rendiconto finanziario).

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MELIUSform - Gruppo24Ore

10

In estrema sintesi, per la Cor- te EDU sarebbe meglio dar luogo ad un’istruttoria il più possibile unitaria per i distinti procedimenti, purché poi i risultati siano valutati in maniera in- tegrata.

Sul punto occorre rilevare che nel nostro ordinamento è ammessa:

• la trasmigrazione degli elemen- ti probatori raccolti nel processo tributario a quello penale: si pensi al processo verbale di constata- zione (P.V.C.), risultato dell’attività istruttoria compiuta dall’ammini- strazione finanziaria all’esito delle verifiche fiscali sul contribuente, ordinariamente acquisito poi nel processo penale, ancorché nella stessa sede possano poi ricercarsi ulteriori elementi integrativi;

• la stessa sentenza pronunciata all’esito del processo tributario viene acquisita nel processo pe- nale, fatta salva la possibilità per il giudice di discostarsene, in vir- tù del principio del libero convin- cimento, sia pur motivandone le ragioni.

Può pertanto concludersi che l’at- tuale sistema, così come strutturato, non può dirsi pienamente coerente

con quello cui gli organi Ue vorrebbe- ro si informassero tutti gli Stati mem- bri, ovvero che non si duplichi l’attivi- tà istruttoria per evitare un maggiore sfavore all’imputato: tuttavia, la pe- netrazione dei principi e delle regole eurounitarie trova unico limite nel rispetto dei principi fondamentali di diritto interno, tra cui quelli che reg- gono l’amministrazione giudiziaria nazionale.

Parimenti, soffermandoci sul pa- norama nazionale, l’Ufficio del Massi- mario della Corte di Cassazione nella sua relazione [3] riferisce testualmente

“non sussiste la violazione del ne bis in idem (…) quando tra il procedimento amministrativo e quello penale sussista una connessione sostanziale e tempo- rale efficientemente stretta, tale che le due sanzioni siano parte di un unico si- stema sanzionarono secondo il criterio dettato dalla suddetta Corte nella deci- sione A. e B. contro Norvegia”. Si tratta tuttavia di criteri che appaiono con- naturati da una evidente incertezza:

cosa debba intendersi per “connessio- ne temporale efficientemente stretta”

e come può considerarsi esistente la

“connessione sostanziale” tra due giu- dizi di competenza di organi giurisdi-

zionali differenti (penale e tributario) a cui si applicano regole procedurali distinte (che solo in determinate cir- costanze possono incrociarsi senza neppure determinare un impatto de- cisivo, si pensi alla valenza della sen- tenza tributaria nel processo penale) e oggetto di decisione da parte di giu- dici diversi.

Ancora, ulteriore criticità dall’in- troduzione dei reati tributari nel mondo 231 è rintracciabile nella di- scrasia tra persona fisica e giuridica a mente dell’art. 13 del D.Lgs. 74/200 e il l’art. 8 del D.Lgs. n. 231/2001. Secon- do il primo, infatti, “i reati di cui agli articoli 2, 3, 4 e 5 non sono punibili se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante in- tegrale pagamento degli importi dovuti (…)” con l’effetto di liberare la perso- na fisica dal processo penale. Di tale possibilità non potrà beneficiare l’en- te poiché a mente del citato art. 8 “la responsabilità dell’ente sussiste anche quando: (…) b) il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia (…)”.

L’evidente differenza di trattamento tra i due imputati non tarderà ad es- sere oggetto di questioni di legittimità costituzionale.

[3] Cfr. Relazione su novità legislative n. 3/2020 del 9 gennaio 2020.

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LA QUALIFICA SOGGETTIVA DELL’ODV: IL PARERE DEL GARANTE NON HA FORNITO ALCUNA SOLUZIONE ESAUSTIVA

v (Avv. Valerio Silvetti, MSP Legal)

definisce gli aspetti relativi al funzio- namento compresa l’attribuzione delle risorse, i mezzi e le misure di sicurezza (art. 6, commi 1 e 2 d.lgs. n. 231/2001)”.

(…) “Analogamente, tenuto conto che l’OdV non è distinto dall’ente, ma è parte dello stesso, si ritiene che - va- lutate anche le attribuzioni e le ca- ratteristiche indicate nell’art. 6, d.lgs.

n.231/2001 - non possa essere conside- rato responsabile del trattamento inte- so come soggetto chiamato ad effettuare un trattamento “per conto del titolare”, ovverosia una “persona giuridicamente distinta dal Titolare, ma che agisce per conto di quest’ultimo” secondo le istru- zioni impartite dal titolare (art. 28 del Regolamento).

L’Autorità conclude, dunque, rite- nendo che “l’OdV nel suo complesso, a prescindere dalla circostanza che i membri che lo compongano siano in- terni o esterni, debba essere considera- to “parte dell’ente”. Il suo ruolo - che si esplica nell’esercizio dei compiti che gli sono attribuiti dalla legge, attraverso il riconoscimento di “autonomi pote- ri di iniziativa e controllo” - si svolge nell’ambito dell’organizzazione dell’en- te, titolare del trattamento, che, attra- verso la predisposizione dei modelli di organizzazione e di gestione, definisce il perimetro e le modalità di esercizio di tali compiti. Tale posizione si intende ricoperta dall’OdV nella sua collegiali- tà, tuttavia, non può prescindersi dalla necessità di definire anche il ruolo che, in base alla disciplina in materia di protezione dei dati personali, deve es- sere previsto per i singoli membri che lo compongono. Lo stesso ente, in ragione del trattamento dei dati personali che l’esercizio dei compiti e delle funzioni affidate all’OdV comporta (ad esempio, l’accesso alle informazioni acquisite at- traverso flussi informativi), designerà - nell’ambito delle misure tecniche e or- ganizzative da porre in essere in linea con il principio di accountability (art.

24 del Regolamento) - i singoli mem-

bri dell’OdV quali soggetti autorizzati (artt. 4, n. 10, 29, 32 par. 4 Regolamento;

v. anche art. 2-quaterdecies del Codice).

Tali soggetti, in relazione al trattamen- to dei dati degli interessati, dovranno attenersi alle istruzioni impartite dal titolare affinché il trattamento avven- ga in conformità ai principi stabiliti dall’art. 5 del Regolamento”.

Volendo tirare le fila del ragiona- mento del Garante, l’OdV:

• non può qualificarsi Titolare del trattamento;

• non può qualificarsi Responsabile esterno;

• deve qualificarsi (rectius i suoi membri singolarmente considera- ti) come soggetto autorizzato.

Le motivazioni giuridiche assunte dal Garante per arrivare alle predette conclusioni, come si è visto, non sono poi così articolate e si esauriscono nei passaggi che seguono:

• la qualifica di Titolare del tratta- mento è esclusa poiché non è l’O- dV a determinare finalità e mezzi del trattamento: le prime sono in- fatti previste dalla legge, i secondi dal Titolare;

• la qualifica di Responsabile ester- no è esclusa poiché l’OdV non è di- stinto dall’ente, ma è “parte” dello stesso.

Per esclusione e perché come detto l’OdV è “parte dell’ente”, i suoi mem- bri sono qualificati “soggetti autoriz- zati (artt. 4, n. 10, 29, 32 par. 4 Regola- mento; v. anche art. 2-quaterdecies del Codice)”.

Tali conclusioni appaiono censu- rabili per le ragioni che di seguito si diranno.

Prima fra tutte, la limitata ammis- sione di operatività del parere in esa- me: la stessa Autorità, in premessa di quello che è il suo ragionamento, scrive “in via preliminare, si precisa che il presente parere ha ad oggetto solo il ruolo, ai fini privacy, che l’O- dV assume con riferimento ai flussi di informazioni (…) rimanendo escluso il

C

on l’entrata in vigore del Rego- lamento (UE) 2016/679 la ma- teria concernente il trattamen- to dei dati personali ha subito una rivoluzione copernicana caratteriz- zata da un approccio completamente rivisitato. I titolari sono stati, infatti, chiamati a rivedere processi azienda- li, misure di sicurezza, attribuzione di responsabilità -interne ed esterne- e tanto altro, sotto la scure della c.d. ac- countability. In tale riorganizzazione generale, referenti aziendali e membri di OdV si sono domandati come rego- lare le rispettive posizioni in termini di compiti, doveri e responsabilità.

Si sono invero create diverse cor- renti di pensiero, anche contrapposte, che considerano l’Organismo quale Titolare del trattamento, Responsa- bile esterno e incaricato/designato/

autorizzato.

Sulla questione ha dato poi rispo- sta (parziale e non condivisibile per i motivi che si diranno) il Garante per la protezione dei dati personali con proprio parere del 12 maggio scorso [1]. Il documento che si compone di quat- tro pagine e cinque capitoli ripercor- re dapprima la richiesta di intervento -come si è detto funzionale a com- prendere la qualificazione soggettiva ai fini privacy dell’OdV- per poi trat- tare le definizioni rispettivamente di Titolare, Responsabile del trattamen- to e Designati/Persone Autorizzate al trattamento, nonché i requisiti e le funzioni proprie dell’OdV.

Giunto ad affrontare il passaggio sulla qualificazione soggettiva, il Ga- rante riferisce “si ritiene che l’OdV, pur essendo dotato di autonomi pote- ri di iniziativa e controllo, non possa essere considerato autonomo titolare del trattamento (art. 4, n. 7 del Rego- lamento), considerato che i compiti di iniziativa e controllo propri dell’OdV non sono determinati dall’organismo stesso, bensì dalla legge che ne indica i compiti e dall’organo dirigente che nel modello di organizzazione e gestione

[1] Cfr. Parere sulla qualificazione soggettiva ai fini privacy degli Organismi di Vigilanza previsti dall'art. 6, d.lgs. 8 giugno 2001, n.

231, link https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9347842.

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nuovo e diverso ruolo che l’organismo potrebbe acquisire in relazione alle se- gnalazioni effettuate nell’ambito della normativa di whistleblowing”. Tut- tavia, al whistleblowing occorrereb- be aggiungere anche le altre attività svolte dall’OdV e che non parrebbero essere state considerate dal Garante.

L’OdV, infatti, riceve i flussi (soprac- citati) dalle risorse aziendali grazie ai quali avvierà le proprie attività di verifica, ben potendo tuttavia anche decidere di trasferire tali informa- zioni -contenenti eventualmente dati personali- a soggetti terzi che indivi- duerà in maniera del tutto autonoma senza ricevere alcuna istruzione dal Titolare. Questa, infatti, è la ratio del noto budget di competenza dell’OdV e il Titolare rimarrà del tutto allo scuro della decisione dell’OdV, del trasferi- mento dei dati, delle modalità di trat- tamento, delle misure di sicurezza e di conservazione di tali dati adottate dal destinatario. A questo punto pare na- turale domandarsi se il soggetto au- torizzato (il c.d. incaricato/designato) abbia tale autonomia operativa. Così non sembrerebbe leggendo il testo dell’art. 2-quaterdecies del Codice pri- vacy che all’opposto limita tali sogget- ti a “specifici compiti e funzioni” e non a scelte eventuali e del tutto autono- me rispetto al sapere e al volere del Titolare. Sul punto la stessa Autorità scriveva “su un piano del tutto diver- so rispetto alla figura del responsabile (esterno, art. 28 ndr) si pone, invece, colui che effettua senza apprezzabili margini di autonomia operazioni di trattamento sotto l’autorità del titola- re o del responsabile (v. art. 29 del Re- golamento). La possibilità di attribuire specifiche funzioni e compiti a soggetti designati dal titolare o dal responsa- bile, assimilabili al ruolo di incaricati

del trattamento, è ora previsto dall’art.

2-quaterdecies del Codice in materia di protezione dei dati personali, introdotto dal D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101” [2].

Sotto questo punto di vista, dun- que, a voler seguire il ragionamento dell’Autorità l’OdV non effettuerebbe attività con “apprezzabili margini di autonomia” anche relativamente al trattamento dei dati personali. Tutta- via, è lo stesso OdV a poter scegliere se e a chi trasferire documenti, contenen- ti anche dati personali, senza alcuna ingerenza da parte del Titolare (!).

Lo schema in cui opera l’OdV parrebbe, dunque, assimilarsi alla classica triangolazione tra Titolare, Responsabile esterno e Sub-respon- sabile.

Ancora, non pare potersi condivi- dere neppure la logica del Garante che nel ritenere l’OdV “parte dell’ente” non lo ritiene configurabile quale respon- sabile esterno. Qui l’Autorità sembre- rebbe contraddire se stessa, poiché se è vero che l’Organismo -nel suo com- plesso- è effettivamente “parte dell’en- te” è altrettanto vero che i membri che lo compongono hanno una propria autonomia -anche giuridica. Ed in- fatti la stessa Autorità prescrive la no- mina per i singoli membri quali“sog- getti autorizzati”. Delle due l’una: o si tratta di un organismo da intendersi -sempre- in modo unitario o si con- siderano i singoli membri. Non si può ritenerlo come “parte dell’ente” al fine di escluderne la qualificazione di Re- sponsabile esterno e poi prescrivere la nomina dei singoli membri (!).

D’altronde è sempre la stessa Au- torità a insegnarci di dover pensare e scindere i protagonisti del trattamen- to dei dati tramite analisi “effettuata sul piano sostanziale e non formale ˗ delle attività in concreto svolte” [3].

Quanto precede non considera neppure il ruolo dell’OdV quale de- stinatario delle segnalazioni tramite canale whistleblowing.

Per questa attività, infatti, ci si po- trebbe spingere anche oltre la quali- ficazione del Responsabile esterno.

Le modalità di trattamento nonché le finalità (se non ci si vuole limitare e rilegarle a meri esercizi di stile, es.

il rispetto della legge!!) sono stabili- te dal destinatario che nella grandis- sima maggioranza dei casi è certa- mente l’OdV. Inoltre, si consideri che l’Organizzazione potrebbe anche non conoscere il segnalante, poiché l’art.

6 co. 2-bis prevede la possibilità di far inviare le segnalazioni da parte di apicali e sottoposti (dunque in astrat- to noti al Titolare), tuttavia la prassi ci restituisce un dato differente, ovvero molte società permettono l’utilizzo del proprio canale informatico anche a soggetti esterni (clienti, fornitori, partners, etc.). Da un punto di vista sostanziale, dunque, l’Organizzazio- ne potrebbe non conoscere -neppure ipoteticamente- i dati personali con- tenuti nelle segnalazioni.

Per tali ragioni appare verosimile una qualifica dell’OdV di Titolare del trattamento, oppure di Contitolare (art. 26).

In conclusione, si ritiene utile un ripensamento delle posizioni assunte dal Garante, valorizzando maggior- mente gli aspetti sostanziali e non formali.

Quanti Professionisti, membri di OdV, decidono in totale autonomia le modalità adottate per trattare i dati personali che ricevono. E quanti Pro- fessionisti delegano, peraltro, attività o parti di attività ad altri Colleghi e/o Collaboratori. Superiamo la forma, preoccupiamoci della sostanza.

[2] Risposta a un quesito relativo al ruolo del consulente del lavoro dopo la piena applicazione del Regolamento (UE) 679/2016. Cfr.

https://www.garanteprivacy.it/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9080970.

[3] ut supra.

(13)

COVID-19 E 231: COMPRENDIAMO LE EFFETTIVE - EVENTUALI - RESPONSABILITÀ DEGLI ENTI.

v (Avv. Valerio Silvetti, MSP Legal)

decesso di un bambino di nove anni entrato all’interno di in un cantie- re tramite un varco nella recinzione.

Salito su un solaio, il bimbo precipi- tava attraverso un lucernaio. I giudici di merito, in tale sede, condannavano il datore dell’impresa esecutrice dei lavori, precisando che le misure di prevenzione antinfortunistiche sono poste a tutela anche delle persone estranee, il cui ingresso in un cantie- re, vicino alla strada pubblica e in un quartiere popoloso, è prevedibile. Il giudice di legittimità, nel confermare la condanna, ribadiva che la qualità di estraneo non è di per sé incompa- tibile con l’esistenza di un dovere di protezione in carico al datore [1].

Compreso, dunque, lo scena- rio soggettivo all’interno del quale muoversi in materia di salute e si- curezza occorre rilevare la frenesia normativa che ha caratterizzato, tra le altre, il periodo di lockdown do- vuto alla pandemia. Di seguito una schema riassuntivo che ne fotografa lo scenario.

Concentrandoci su quanto di no- stro interesse, occorre considerare il DPCM del 22 marzo, art. 1, co. 3 (non più in vigore) che richiamava il ri- spetto dei contenuti del Protocollo condiviso tra Governo e Parti sociali del 14 marzo e il DPCM del 26 aprile (questo ancora vigente), che richiama il rispetto dei contenuti del Protocollo

I

l tema è stato sviscerato più e più volte in questi mesi. La finalità di tale contributo non sarà per- tanto quella di tracciare il perime- tro normativo all’intento del quale muoversi, poiché possiamo -ormai- darlo per scontato (Codice civile, Testo Unico salute e sicurezza e art.

25-septies del D.Lgs. n. 231/2001).

Un aspetto che tuttavia si vuole segnalare poiché utile, ai fini pratici, è il profilo soggettivo dei lavorato- ri da dover considerare. In altri ter- mini occorre chiedersi se possiamo considerare “lavoratore”:

• il tirocinante;

• l’apprendista;

• lo stagista;

• i collaboratori saltuari;

• i lavoratori di ditte esterne/ap- paltatori/subappaltatori;

• gli allievi;

• il collaboratore familiare;

• i lavoratori “in nero”;

• il committente;

• e gli estranei…

La risposta è certamente positi- va e la sua fonte la si rintraccia per la maggior parte all’intento dell’art.

2 del T.U. 81/2008 e per le restanti categorie (di fatto limitate ai lavora- tori irregolari, committenti e estra- nei) da precedenti giurispruden- ziali. Come sempre occorre, invero, muoversi rintracciando la ratio del Legislatore (la “via maestra” che ci permette di non perdere la rotta tra i meandri delle disposizioni che talvolta -in prima battuta- posso- no sembrare confusionarie, nonché contraddittorie tra loro). Ebbene la

“ratio”, nel caso di specie, è infatti quella di dover tutelare la persona fisica, indipendentemente dalla sua qualifica, dalla tipologia di rappor- to che la lega con l’organizzazione e con il Datore di lavoro.

Ci si preoccupa, dunque, della so- stanza e non della forma.

Tanto che, come si accennava, la Corte di Cassazione ha ritenuto re- sponsabile un datore di lavoro per il

[1] Corte di cassazione, sezione IV penale, sentenza 43168/2014.

I PROVVEDIMENTI ATTUALMENTE VIGENTI

Decreto-legge 16 giugno 2020, n. 52 Dpcm 11 giugno 2020

Decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 Dpcm 18 maggio 2020

Dpcm 17 maggio 2020

Decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33 Dpcm 12 maggio 2020

Decreto-legge 10 maggio 2020, n. 30 Decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29 Decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28 Dpcm 26 aprile 2020

Dpcm 10 aprile 2020

Decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23

HANNO CESSATO LA LORO EFFICACIA

Dpcm 10 aprile 2020 Dpcm 1 aprile 2020 Dpcm 22 marzo 2020 Dpcm 11 marzo 2020 Dpcm 9 marzo 2020

Decreto-legge 9 marzo 2020, n. 14 Dpcm 8 marzo 2020

Decreto-legge 8 marzo 2020, n. 11 Dpcm 4 marzo 2020

Decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9 Dpcm 1 marzo 2020

I PROVVEDIMENTI ATTUALMENTE VIGENTI

Decreto-legge 8 aprile 2020, n. 22 Decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19 Decreto-legge 17 marzo 2020 n. 18 Decreto-Legge convertito con modi- ficazioni dalla L. 24 aprile 2020, n. 27 Decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6 Decreto-Legge convertito con modi- ficazioni dalla L. 5 marzo 2020, n. 13 Delibera del Consiglio dei Ministri 31 gennaio 2020

Ordinanza del Ministro della salute 30 gennaio 2020

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condiviso tra Governo e Parti sociali del 24 aprile.

Il primo passaggio fondamentale

di questa versione -aggiornata- del Protocollo è la disciplina della man- cata attuazione delle misure in esso

contenute, poiché nella prima versio- ne non era presente alcuna previsione al riguardo. Nell’attuale si legge:

Il Protocollo elenca tredici misure di precauzione rappresentative del grado di tutela minimo che ogni real- tà lavorativa deve garantire all’interno degli ambienti di lavoro, così articola- te:1) informazione;

2) modalità di ingresso in azienda;

3) modalità di accesso dei fornitori esterni;

4) pulizia e sanificazione in azienda;

5) precauzioni igieniche personali;

6) dispositivi di protezione indivi- duale;

7) gestione spazi comuni (mensa,

spogliatoi, aree fumatori, distribu- tori di bevande, etc);

8) organizzazione aziendale (trasfer- te, turnazione, smart work, etc);

9) gestione entrata e uscita dipen- denti;

10) spostamenti interni, riunioni, eventi interni e formazione;

11) gestione di una persona sintoma- tica in azienda;

12) sorveglianza sanitaria/medico competente/RLS;

13) aggiornamento del protocollo di regolamentazione.

Consideriamo, inoltre, che tali

presidi ben potranno essere integra- ti con altri, equivalenti o più incisivi, secondo le peculiarità della singola organizzazione, ma certamente non disattesi. E ciò non solo per via della possibile sospensione dell’attività di cui si è detto, piuttosto perché l’art.

29-bis del DL n. 23/2020, poi conver- tito, con modificazioni, dalla legge 5 giugno 2020, n. 40 ha specificata- mente previsto che il rispetto delle predette misure è da considerarsi quale adempimento per il datore di lavoro, idoneo a soddisfare le richie- ste dell’art. 2087 c.c..

La disposizione, come si ricorderà, è stata oggetto di forte dibattito e ha avuto forte risonanza mediatica, stante le preoccupazioni del mondo imprenditoriale per il riavvio delle at- tività, come da Fase2. Ciononostante, lo scrivente si colloca tra quella parte della dottrina che riteneva, nei fat- ti, discutibile una previsione di tale portata, non tanto per il contenuto, quanto per la ratio giuridica. In altri

termini, infatti, ci si è interrogati sul- la necessità di tale precisazione, oltre che della legittimità del c.d. “scudo penale”, che tuttavia, per come è for- mulata la disposizione può conside- rarsi un pericolo scampato.

A ben guardare infatti, da un punto di vista penalistico, l’addebitabilità di una positività è comunque subordi- nata all’onere della prova posta a ca- rico del Pubblico Ministero. Sarà l’Uf-

ficio della Procura a dover accertare:

• la condotta antigiuridica (c.d. pro- filo oggettivo);

• il profilo soggettivo (prevedibilità ed evitabilità dell’evento) e soprat- tutto;

• il nesso di causalità tra violazione ed evento.

Quanto al nesso causale, il Pub- blico Ministero dovrà dimostrare che l’omissione ascrivibile al datore di la-

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voro sia stata causa del contagio e che lo stesso abbia poi determinato l’infe- zione che, nella peggiore delle ipotesi, ne ha causato il decesso.

La c.d. probatio diabolica sarà, dun- que, legare l’eventuale omissione del datore alla causa del contagio.

Agevole, invero, immaginare che lo stesso lavoratore abbia anche una vita sociale e che l’infezione possa esser derivata da contesti distinti dal luogo di lavoro.

Tale riflessione, ovviamente, perde di significato per alcuni casi -divenuti di cronaca giudiziaria- che hanno in- teressato:

• Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA);

• Ospedali e/o più in generale strut- ture sanitarie;

• Organizzazioni con più lavoratori contagiati.

In tali contesti, infatti, sarà più semplice ricondurre le molteplici po- sitività ad una condotta “disattenta”

da parte del datore di lavoro.

In questo scenario deve calarsi il sistema 231 e la sua inversione dell’o- nere della prova di cui all’art. 6 del ci- tato Decreto. Ed è per questo che, non il modello, ma l’intero “sistema 231”

dovrà funzionare e aver reagito con la giusta determinatezza, mettendo in campo tutte le sue articolazioni, quali:

• una appendice specifica per rece- pire i contenuti dei protocolli;

• aver avviato flussi comunicativi con il Medico Competente, RSPP e/o Consulente in materia di salu- te e sicurezza sul lavoro;

• aver integrato i flussi informati- vi in modo da ricevere aggiorna- menti e notizie utili alla materia in questione.

Sarà fondamentale, ex post, poter riuscire a dimostrare che:

• il modello è stato aggiornato (sep- pur non direttamente) per fron- teggiare il rischio Covid-19;

• i lavoratori (a mente della indivi-

duazione soggettiva con cui tale contributo ha preso avvio) sono stati informati, formati e tutelati;

• l’OdV ha avuto modo di interlo- quire con le funzioni aziendali di riferimento (Medico competente, RSPP, RLS e altre figure consulen- ziali);

• l’OdV ha verificato il rispetto dei contenuti del protocollo con pro- prie verifiche.

In tal senso, l’Organismo ben po- trebbe utilizzare una check-list che, nel ricalcare le previsioni del proto- collo, ne concretizzerebbe i conte- nuti, ponendo l’organizzazione di- nanzi a possibili/eventuali criticità.

Il documento acquisirebbe, altresì, una indiscutibile utilità in termini di onere della prova ex post e di input ad azioni di miglioramento. A mero titolo esemplificativo, senza presun- zione alcuna di esaustività ma quale spunto riflessivo, si offre il contenuto che segue.

CHECK-LIST DI VERIFICA DELL’ATTUAZIONE DEL PROTOCOLLO 24 APRILE 2020

1) l’azienda ha fornito informazione ai lavoratori circa:

– possibilità di precludere loro l’accesso all’interno del perimetro aziendale in caso di temperatura corporea supe- riore ai 37,5°;

– vietarne l’accesso, all’intento del perimetro aziendale, in caso di contatti -avvenuti negli ultimi 14 giorni- con soggetti risultati positivi al Covid-19, o di persona proveniente da zone a rischio secondo le indicazioni dell’OMS;

– il rispetto di tutte le direttive impartite dalla società (regole di accesso, mantenimento delle distanze di sicurezza, utilizzo dei DPI);

– il dovere di informare immediatamente il datore o altra risorsa aziendale designata della presenza di qualsiasi sintomo influenzale durate l’espletamento dell’attività lavorativa;

– invio della certificazione medica prima del rientro in ufficio in caso di pregressa positività;

2) l’azienda ha fornito informazione ai soggetti terzi (clienti, fornitori, collaborati, consulenti, partner) circa:

– possibilità di precludere l’accesso all’interno del perimetro aziendale in caso di temperatura corporea superiore ai 37,5°;

– vietarne l’accesso all’interno del perimetro aziendale in caso di contatti -avvenuti negli ultimi 14 giorni- con sog- getti risultati positivi al Covid-19, o di persona proveniente da zone a rischio secondo le indicazioni dell’OMS;

– percorsi di ingresso, transito e uscita mediante percorsi dedicati al fine di ridurre le occasioni di contatto con il personale in forza nei reparti/uffici dell’organizzazione;

– l’utilizzo di servizi igienici a loro dedicati;

3) l’azienda ha stabilito flussi comunicativi con aziende terze (appaltanti e/o committenti) in caso di positività di loro personale venuto in contatto con quello della propria organizzazione;

4) ove l’azienda sia situata nelle aree geografiche a maggior rischio di contagio, sono state predisposte al momento della riapertura, in aggiunta alle ordinarie attività di pulizia, misure di sanificazione straordinaria degli ambienti, delle postazioni di lavoro e delle aree comuni;

5) il datore di lavoro ha provveduto alla mappatura delle diverse attività in azienda, al fine di individuare i dispositivi di protezione individuale (DPI) più idonei, in un’ottica di valutazione complessiva del rischio;

6) il datore di lavoro ha predisposto linee guida per l’utilizzo delle aree comuni dell’azienda, quali il contingentamento degli accessi, la ventilazione continua, la riduzione dei tempi di sosta, la sanificazione degli spogliatoi, la sanifica- zione giornaliera e periodica;

7) nella fase di riattivazione del lavoro (pur essendo ancora favorito l’utilizzo dello smart working), nel rispetto del distanziamento sociale imposto, sono state tentate soluzioni innovative come il riposizionamento delle postazioni, la turnazione del personale;

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8) sono stati scaglionati gli orari di ingresso e di uscita del personale, possibilmente distinguendone anche i locali;

9) il personale è stato adeguatamente formato circa l’utilizzo di strumenti di collegamento a distanza, per quanto ri- guarda le riunioni, le attività formative, incontri, presentazioni, ecc. (salvo il ruolo specificamente rivestito non ne consenta l’espletamento);

10) i lavoratori sono stati istruiti sulla necessità di comunicare con l’ufficio del personale l’avvertenza di potenziali sintomi da infezione. Il datore di lavoro si è inoltre organizzato in maniera tale che per il tempo di isolamento del lavoratore, in attesa del personale sanitario, lo stesso venga dotato di presidi individuali di protezione, ove ne fosse sprovvisto;

11) al momento della riattivazione del lavoro, è stato coinvolto il personale medico per l’identificazione del personale con situazioni di fragilità e per il reinserimento di personale con pregressa infezione da Covid-19, al fine di valutare la necessità di implementare le misure di protezione;

12) per l’applicazione e la verifica dell’osservanza del Protocollo, è stato istituito in azienda un apposito Comitato inter- no, ovvero si sono assunti contatti con il Comitato Territoriale competente;

13) l’azienda ha avuto casi positivi e nel caso come sono stati gestiti. Prima del rientro in ufficio l’azienda ha ricevuto idonea certificazione medica attestante la guarigione e la possibilità di rientrare operativo in azienda;

14) l’azienda ha avviato un flusso comunicativo periodico con il proprio medico competente;

15) il DVR è stato aggiornato considerando il rischio biologico Covid-19 e la Direttiva (UE) 2020/739 della Commissione del 3 giugno 2020.

La Direttiva (UE) 2020/739 del- la Commissione del 3 giugno 2020, a parere dello scrivente, pone infatti fine ad altra nota e dibattuta questio- ne che in questi mesi si era sviluppata attorno alla necessità di aggiornare il

DVR a seconda della tipologia di atti- vità e al consequenziale rischio biolo- gico già insito nella stessa organizza- zione. Indipendentemente dalla citata Direttiva, anche in questo frangente, si è ritenuto di valorizzare gli aspetti

sostanziali rispetto a quelli formali, come peraltro suggerito dai provve- dimenti che nel corso del tempo sono stati pubblicati, prima dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro [2] e poi dall’I- NAIL [3].

[2] Cfr. il documento "Adempimenti datoriali - Valutazione rischio emergenza coronavirus”, con nota n. 89 del 13 marzo pubblicata dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro.

[3] Cfr. il “Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione”, pubblicato dall’INAIL, aprile 2020 raggiungibile al link https://www.inail.it/cs/internet/docs/

alg-pubbl-rimodulazione-contenimento-covid19-sicurezza-lavoro.pdf.

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News

Il Sole 24 ORE

REATI TRIBUTARI, ORA SI CERCA DI PUNIRE ANCHE SOLO IL TENTATIVO

v (Antonio Iorio, Il Sole 24 ORE – Estratto da “Norme & Tributi”, 10 luglio 2020)

L'oggetto della tutela penale è in- fatti costituito per questi reati dalla presentazione della dichiarazione in quanto è con tale atto che si quanti- fica l'imposta dovuta e quindi si con- sumano effettivamente le reali con- dotte evasive.

Ora, secondo il decreto, salvo che il fatto integri l'emissione di false fat- ture, il tentativo si applica quando gli atti diretti per commettere i reati di dichiarazione fraudolenta e dichiara- zione infedele siano compiuti anche in territorio estero ai fini di evadere l'Iva per un valore complessivo non inferiore a 10 milioni di euro.

Ne consegue che se prima della presentazione della dichiarazione si ometta la contabilizzazione di ri- cavi con Iva evasa non inferiore a 10 milioni di euro ovvero siano conta- bilizzate fatture false (con evasione Iva non inferiore ai citati 10 milioni), si avranno i delitti tentati rispetti- vamente di dichiarazione infedele e fraudolenta. In ogni caso (oltre alla soglia dei 10 milioni) è necessario l'e- lemento della transnazionalità.

In concreto però non sembra age- vole ipotizzare questi delitti. Innan- zitutto, l'elemento della transnazio- nalità («anche nel territorio di altro Sato membro») dovrebbe comporta- re che la condotta illecita si realizzi in un Paese estero oltre che in Italia.

Tuttavia, la previsione che in altro

Stato estero debbano realizzarsi solo

«gli atti diretti a commettere i de- litti» ma non l'illecito vero proprio dovrebbe far presupporre che la po- tenziale evasione vada ipotizzata in Italia. Se, infatti, nello stesso Stato si eseguissero sia gli atti diretti a com- mettere i delitti, sia la possibile con- sumazione del reato (presentazione della dichiarazione) la norma non troverebbe applicazione per assenza della transnazionalità.

Vi è poi un'ulteriore complicazio- ne: il tentativo è escluso ove il fatto integri il reato di emissione di docu- menti falsi. Non è chiaro se l'emissio- ne debba verificarsi simultaneamen- te in capo all'utilizzatore o in capo a qualunque soggetto emittente.

Aderendo alla prima interpreta- zione, la normativa troverebbe ap- plicazione in ipotesi quasi scolastica:

lo stesso contribuente dovrebbe sia emettere, sia dedurre come costo, il medesimo documento (falso) peral- tro facendo riferimento a due Stati Ue differenti. Condividendo invece la seconda interpretazione, che appare la più verosimile, di fatto si esclude- rebbe quasi sempre il tentativo di di- chiarazione fraudolenta in quanto se viene contabilizzata una falsa fattura dall'acquirente qualcuno avrà com- messo il reato di emissione del me- desimo documento escludendo così l'operatività della nuova previsione.

L

e nuove ipotesi di tentativo di dichiarazione fraudolenta e di- chiarazione infedele, introdotte con il decreto di recepimento della direttiva sulla tutela penale degli in- teressi finanziari Ue, approvato dal Consiglio dei ministri nella serata del 6 luglio (…) non sembrano, in pratica, agevolmente configurabili.

Le novità, per quanto attiene la normativa penale tributaria riguar- dano due profili: introduzione del delitto tentato per alcuni reati tribu- tari; estensione ad altri reati tribu- tari della normativa sulla responsa- bilità degli enti (decreto legislativo 231/2001).

L'articolo 6 del Dlgs 74/2000 ha previsto, a suo tempo, che i delitti di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture false e con altri ar- tifici e di dichiarazione infedele non fossero mai puniti a titolo di tentati- vo. Ciò, in coerenza con un principio direttivo contenuto nella legge dele- ga del tempo, che intendeva delimi- tare la rilevanza penale alla sola pre- sentazione della dichiarazione senza estenderla (come in passato) ai fatti prodromici.

Escludendo il tentativo, in altre parole, il contribuente che in corso d'anno (quando ancora la dichiara- zione non è stata presentata) omette di fatturare o riceve fatture false non può essere perseguito penalmente.

(19)

NECESSARIO L’ELEMENTO DELLA TRANSNAZIONALITÀ

v (Laura Ambrosi, Il Sole 24 ORE – Estratto da “Norme & Tributi”, 10 luglio 2020)

ai 10 milioni di euro.

La previsione della responsabilità delle società per questi delitti com- porterà un nuovo aggiornamento dei modelli organizzativi da parte del- le imprese che hanno già adottato il sistema di prevenzione disciplinato dal Dlgs 231/2001 e, di conseguenza, ulteriori oneri. Peraltro, la peculiari- tà comune a tutte le fattispecie (eva- sione superiore a 10 milioni di euro e transnazionalità) dovrebbe restrin- gere in modo significativo le società effettivamente interessate a “preve- nire” questi delitti.

Occorre ricordare infatti che l’a- dozione del modello organizzativo e delle altre misure previste dal Dlgs 231/2001 (Odv, formazione eccetera) consente alla società la non punibi- lità in caso di commissione di que- sti reati da parte dei propri vertici.

È evidente che se per l’attività svolta tali reati non siano neanche astratta- mente ipotizzabili, l’inserimento del

modello di queste nuove condotte potrebbe non avere alcun senso.

Da segnalare infine, che le sanzio- ni introdotte a carico delle società nel cui interesse siano commessi i delitti in questione variano da 300 a 400 quote. Il valore di ciascuna quota a sua volta, a discrezione del giudi- ce, varia da 258 a 1.549 euro. Queste nuove sanzioni appaiono alquanto sproporzionate rispetto a quelle in- trodotte con il Dl 124/2019.

Basti pensare che in base al Dl 124/2019 una dichiarazione fraudo- lenta contenente una fattura falsa con evasione di soli 10 euro, espone la società a una sanzione fino a 400 quote, se invece non si fatturano 100 milioni di euro e quindi si evadono 22 milioni di Iva in dichiarazione, in base al decreto appena approva- to, la società rischia la sanzione per dichiarazione infedele decisamene inferiore di 300 quote nonostante l’imponente importo evaso.

L

’entrata in vigore del decreto le- gislativo di recepimento della direttiva Pif comporterà certa- mente ulteriori oneri a carico delle imprese. Infatti, oltre all’introduzione del tentativo per alcuni reati tributa- ri, le nuove disposizioni prevedono anche l’ampliamento della responsa- bilità amministrativa degli enti a ulte- riori reati tributari. Si ricorda che con il Dl 124/2019, convertito nella legge 157/2019, tale responsabilità era sta- ta già estesa ai delitti fiscali più gravi (dichiarazioni fraudolente, emissione false fatture, sottrazione fraudolenta, occultamento scritture contabili). Ora vengono inseriti anche la dichiarazio- ne infedele Iva, l’omessa dichiarazio- ne Iva e l’indebita compensazione Iva.

Anche queste fattispecie, analoga- mente a quanto previsto per il ten- tativo, devono essere caratterizzate dalla transnazionalità (commessi an- che nel territorio di altro Stato mem- bro) e dall’evasione Iva non inferiore

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