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La resurrezione della carne

La vita in vers

5.16 La resurrezione della carne

Si tratta di un’opera fondamentale, che ha avuto una grande influenza sulla poesia dei contemporanei: si pensi al Caproni del

Muro della terra (raccolta del 1969). Il componimento narra di un

incontro-visione, ancora una volta tratta dall’infanzia, di una figura

del mondo dei morti, molto probabilmente un antenato:

Emerse senza rumore dall’antro Semibuio di semiluce: non

Luce di lampada, era luce del giorno Che di lontano, a staffetta, per corridoi,

sottopassaggi, sottoscala, veniva. Probabilmente là dove fu la vera luce il giorno

era diventato già sera. Seminudo

egli emerse, semitorpido nelle membra, semisveglio negli occhi di muta ristrettezza immane.

Da dove ritornava? Ora mi dico: dai morti - per ammonirmi, interrogarmi, discutere La mia presenza: tu

qui cosa fai? cosa vuoi? Niente,

avrei potuto rispondere, dormivo nel mio letto, contento del domani come ogni ragazzo. Ma ciechi e lenti i suoi atti per affrontarli erano: e poi il brulicame ai suoi piedi, sul pavimento di muffa un impasto di vermi, che diventava salendo di qualche centimetro ambre ancora gelatinose – e finalmente,

a mezz’aria al confine con il massimo lume di quella penombra, schiene curve, movimenti, rilievi di vertebre,

ulne, fratture, òmeri, ossa in cerca di giusta sede in carni estranee, senza ancora forma.

169 Ma egli perfettamente

compiuto intorno senza parola il braccio grigiobruno volgeva, scuoiato, segnato di nervi -il suo piccolo popolo mi mostrava.

«Io non ho colpa. Ho paura di tanto strazio, io piango le tue lacrime, io atterrisco d’angoscia nel sonno: perché tu mi guardi, minacci un castigo?» Mie parole non osavo dirgli,

ma che egli intese nella sua immane tristezza: infatti da me si distolse, guardò le pareti, fetide di croste, di segni osceni – levò le mani in alto, appoggiò sulle palme,

si accostò al muro coi denti…Allora io capii che voleva mordere quei veleni – no! gridavo – morire,

come uno da lungo tempo malato.

Il titolo richiama uno dei dogmi principali del cristianesimo,

mediante il quale viene annunciato il ricongiungimento di tutte le

anime al proprio corpo il giorno della seconda venuta di Cristo,

quella del Giudizio Universale. Chiaramente la poesia trae

ispirazione dall’Inferno dantesco, specie nel rapporto dialogico tra il defunto e il poeta che nei versi viene ampiamente riportato,

seguendo appunto l’esempio di Dante. Ma la più precisa fonte del componimento è senz’altro biblica, come si può dedurre dal confronto della terza strofe con la “Visione delle ossa secche”, tratta

170 La mano dell'Eterno fu sopra me, mi portò fuori nello Spirito dell'Eterno e mi depose in mezzo a una valle che era piena di ossa. Quindi mi fece passare vicino ad esse, tutt'intorno; ed ecco, erano in grandissima quantità sulla superficie della valle; ed ecco, erano molto secche. Mi disse: «Figlio d'uomo, possono queste ossa rivivere?». Io risposi: «O Signore, o Eterno, tu lo sai». Mi disse ancora: «Profetizza a queste ossa e di' loro: Ossa secche, ascoltate la parola dell'Eterno. Così dice il Signore, l'Eterno, a queste ossa: Ecco, io faccio entrare in voi lo spirito e voi rivivrete. Metterò su di voi la carne, vi coprirò di pelle e metterò in voi lo spirito, e vivrete; allora riconoscerete che io sono l'Eterno». Così profetizzai come mi era stato comandato; mentre profetizzavo, ci fu un rumore; ed ecco uno scuotimento; quindi le ossa si accostarono l'una all'altra. Mentre guardavo, ecco crescere su di esse i tendini e la carne, che la pelle ricoprì; ma non c'era in loro lo spirito. Allora egli mi disse: «Profetizza allo spirito, profetizza figlio d'uomo e di' allo spirito: Così dice il Signore, l'Eterno: Spirito, vieni dai quattro venti e soffia su questi uccisi, perché vivano». Così profetizzai come mi aveva comandato e lo spirito entrò in essi, e ritornarono in vita e si alzarono in piedi: erano un esercito grande, grandissimo. Poi mi disse: «Figlio d'uomo, queste ossa sono tutta la casa d'Israele. Ecco, essi dicono: "Le nostre ossa sono secche, la nostra speranza è svanita e noi siamo perduti". Perciò profetizza e di' loro: Così dice il Signore, l'Eterno: Ecco, io aprirò i vostri sepolcri, vi farò uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi ricondurrò nel paese d'Israele. Riconoscerete che io sono l'Eterno, quando aprirò i vostri sepolcri e vi farò uscire dalle vostre tombe, o popolo mio. Metterò in voi il mio Spirito e voi vivrete, e vi porrò sulla vostra terra; allora riconoscerete che io, l'Eterno, ho parlato e ho portato a compimento la cosa», dice l'Eterno111.

Inoltre l’atmosfera inquietante, più simile a un’allucinazione, affonda le radici anche nella poesia sepolcrale tipica del

romanticismo inglese, come ad esempio la celebre Elegy written in

a country churchyard di Thomas Gray, a sua volta ispiratrice dei Sepolcri foscoliani. Quanto all’intertesto possiamo rintracciare echi

del Montale delle Occasioni nelle schiene curve del verso 22, che

richiamano le curve schiene di Buffalo:

171 Un dolce inferno a raffiche addensava

nell'ansa risonante di megafoni turbe d'ogni colore. Si vuotavano a fiotti nella sera gli autocarri. Vaporava fumosa una calura

sul golfo brulicante; in basso un arco lucido figurava una corrente

e la folla era pronta al varco. Un negro sonnecchiava in un fascio luminoso che tagliava la tenebra; da un palco attendevano donne ilari e molli l'approdo d'una zattera. Mi dissi: Buffalo! - e il nome agì.

Precipitavo

nel limbo dove assordano le voci del sangue e i guizzi incendiano la vista come lampi di specchi.

Udii gli schianti secchi, vidi attorno curve schiene striate mulinanti nella pista.

Il brulicame del verso 17 è invece estratto dai Canti Orfici di Dino

Campana (Cap. II, Il viaggio e il ritorno):

[…] La notte, la gioia più quieta della notte era calata. Le porte moresche si caricavano e si attorcevano di mostruosi portenti neri nel mentre sullo sfondo il cupo azzurro si insenava di stelle. Solitaria troneggiava ora la notte accesa in tutto il suo brulicame di stelle e di fiamme112.

Ancora una volta è la colpa atavica sentita dal personaggio a

trasformarsi nel peggiore incubo notturno, rotto solo dal grido finale

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del ragazzo, che racconta ex post l’evento vissuto (o sognato). Resta memorabile il mancato scambio verbale tra il giovane e

l’ombra familiare (giunta in un incubo notturno a fargli visita) considerando, anche qui, l’ironia che ne emerge tra le righe: lo spettro, disperato dalla vista del presente in cui vive il suo povero

discendente, aspira non tanto alla sua resurrezione ma alla seconda

morte, ossia alla sua fine definitiva, come ha scritto il critico

letterario Mario Boselli:

[…] Non di resurrezione si tratta ma del desiderio della seconda morte, con un raffinato contrappunto di ironia113.

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