ricevendo il potere spirituale in modo immediato da Dio e il potere temporale indirettamente, attraverso una giurisdizione terrena, alla stregua di qualunque altro sovrano laico.
La posizione sostenuta dai gesuiti era funzionale alla Chiesa di Roma contro l’affermazione del potere assoluto del monarca per come si stava profilando in Inghilterra, ma, per la medesima ragione, suscitava la diffidenza di Filippo II, che non apprezzava particolarmente l’importanza attribuita al consenso e alla riaffermazione della sovranità popolare. Lo stesso accadrà nel secolo XVIII, quando sarà oggetto di persecuzione e denigrazione da parte delle monarchie assolutiste; il Marchese di Pombal, ad esempio, li definì Perturbadores de Tronos e Amotinadores de Povos. Tuttavia, affermando la totale separazione dei poteri temporale e spirituale, il pensiero gesuita si inseriva nel filone critico che fin dal medioevo vedeva nell’esistenza del Papato un fatto terreno, separato dal suo ruolo spirituale.
Le tesi trattate da P. Suarez non erano originali, ma la sua argomentazione, completa ed esauriente, attribuiva loro una forza capace organizzare definitivamente la questione, molto sentita in Portogallo e difesa da João das Regras alle Cortes di Coimbra del 1385, quando l’assemblea degli stati popolari avvallò l’attribuzione della corona al Mestre de Avis.
Pedro Calafate, História do pensamento filosófico português, II, Renascimento e Contra-Reforma, Lisboa; Caminho, 2001, pp. 559-584
45 In Sedecias e Manasses P. Luís da Cruz mostra due sovrani che perdono il trono per aver trascinato i loro
popoli in una guerra ingiusta; il castigo li colpisce per la presunzione e l’indifferenza dimostrata nei confronti dei loro sudditi. L’idea sottesa a tale rappresentazione è che seppure il re dispone di un potere assoluto, conferitogli per origine divina, Dio lo eleva tra gli uomini affinché li protegga e li conduca al bene. Un sovrano che non usi il proprio potere nel rispetto del popolo che Dio gli ha affidato non è gradito a Dio e per questo incorre nella sua punizione. Entrambe le teorie, quella di P. Mariana relativa al tirannicidio, e del contratto tra il popolo e il sovrano di P. Suarez, vengono quindi condensate nel teatro di P. Luís da Cruz. Claude-Henri Frèches, op. cit., p. 413
46 Oltre alle questioni relative alla politica portoghese, è evidente l’intensa attività di tutela politica operata
dal generale Acquaviva, il quale nel 1610 giunse a proibire la trattazione in forma scritta del tema del tirannicidio per non trascinare la Compagnia di Gesù in dannose diatribe politiche; evidentemente, la drastica decisione del Generale testimoniava l’irrigidimento del clima politico europeo, dove non avrebbe più potuto trovare spazio il dibattito di tipo giuridico e morale iniziato con Machiavelli.
La scomparsa di D. Sebastião nel 1578 deve essere considerata prima di tutto come un mero episodio storico all’origine di una serie di conseguenze concrete quali la crisi dinastica e la successiva instaurazione della Monarchia Duale. La disputa per il potere fece sì che quell’evento venisse in vari modi raccontato e utilizzato a scopo puramente politico da una pluralità di soggetti, ma l’infausto epilogo cui sembrava predestinata la casa reale portoghese da tempo ormai sembrava minacciarla e il clima culturale e morale dell’epoca, profondamente imbevuto di misticismo e sensibile ai presagi, interpretò la disfatta africana come tragico intervento provvidenziale, in un disegno più ampio di castigo e redenzione. Si aggiunga a questo che proprio la soluzione politica della Monarchia Duale, probabilmente la sola opportuna da un punto di vista pragmatico, rivelò agli occhi dei portoghesi la natura non sacra della regalità, in particolare di quella di Filippo II, cui si affidava un regno che avrebbe continuato ad esistere orfano del suo re. Se nei palazzi dell’alta politica la monarchia era considerata come mero ordinamento giuridico, del quale il sovrano era il principale ministro, il senso comune investiva la regalità di un aura soprannaturale, come se il primo tra gli uomini, conduttore del regno per riassumerne e indirizzarne le volontà, venisse da quelli acclamato in virtù delle sue manifeste qualità superiori. La scomparsa di D. Sebastião lasciava nell’indeterminatezza il destino del Paese, combattuto tra la necessità d’impedire che il regno si perdesse insieme al suo simbolo e il senso di colpa di essergli sopravvissuto47. Solo preservando il regno in attesa del ritorno del re disperso tale tensione poteva essere tollerata48.
I padri gesuiti allusero per molto tempo al rammarico di non aver saputo o potuto distogliere il re dalla disastrosa avventura marocchina: a nulla erano valse le obiezioni dei
47 Dell’ostinazione di D. Sebastião a voler ripetere le gloriose azioni dei propri predecessori contro i mori e
del pertinace rifiuto a contrarre matrimonio per assicurare la successione al trono spesso si attribuì la causa all’educazione rigidamente religiosa dei padri gesuiti e all’altrettanto esaltata formazione cavalleresca e marziale che aveva ricevuto dal suo precettore. D. Francisco Manuel de Melo, Alterações de Évora, a cura di Joel Serrão, Lisboa, Portugália, 1967: “Sucedeu a la puericia del Rei sua fervorosa adolescencia, sendo tais seus sucessos, quais havemos ouvido as lágrimas de nossos passados; e porque a causa exterior de seu lastimoso fim era de alguma sorte adjudicada à severa disciplina em que os padres haviam criado o mancebo, quanto foi no Reyno mayor la lastima e queixume de sua perda, e mais constante a opinião da origem dela, tanto mais na companhia se arreigava o sentimento da tragédia daquele príncipe.”
48 Eduardo Lourenço, Portugal como Destino, 3ª, Lisboa, Gradiva, 2001, p. 134: “Era um rei frágil de um
reino frágil que a sua morte punha à beira da inexistência. O ritual do poder já interiorizara com força suficiente a ideia de que um rei morre, mas não morre o rei sem que a sua morte seja a fim do reino. E do reino ninguém queria nem podia querer o fim. Sobretudo o povo anónimo – que não tinha reino senão porque tinha rei. Que mais explicações são necessárias para compreender a génese, a fortuna, a persinstência e as succesivas metamorfoses de um mito que se tem ajustado como uma luva à existência sempre em transe de si mesma do nosso mortal e imortal reino?”
Gonçalves da Câmara né le tragicommedie di P. Luís da Cruz, dove i sovrani che conducevano al massacro il proprio popolo venivano duramente castigati49; ma in effetti, anche le franche reprimende di Filippo II erano rimaste inascoltate. Subito dopo il disastro, in molti rifiutarono di credere che il re fosse morto: nessuno disse di averlo visto soccombere e molti furono i prigionieri per i quali si pagarono elevatissimi riscatti, tra cui il futuro duca di Bragança D. Teodósio; anche dopo molti anni poteva accadere che qualche disperso tornasse in patria, così che l’ipotesi di un eventuale salvezza del re, probabilmente sotto mentite spoglie per evitare il riconoscimento da parte degli arabi, poteva non essere del tutto destituita di fondamento.
Tuttavia, le ricerche che Filippo II fece condurre non diedero esito positivo, se non che nel 1582 vennero tumulate nel monastero dei Jerónimos le spoglie mortali del presunto re D. Sebastião; probabilmente il nuovo re del Portogallo intendeva così sconfiggere anche l’ultimo dei suoi contendenti, ma in realtà la battaglia contro il fantasma dell’Encoberto era appena all’inizio: da allora, qualunque riferimento all’esistenza in vita e al ritorno di D. Sebastião non indicava tanto un’aperta opposizione alla Monarchia Duale in quanto entità politica, quanto il radicamento profondo di una dissidenza intima in relazione alla realtà storica circostante.
In quest’ottica vennero recuperate le profezie di Bandarra50, pubblicate nel 1603 da D. João de Castro51, ma già ampiamente diffuse in ambito popolare così come venivano interpretate in relazione alla situazione portoghese anche le oscure rivelazioni del profeta
49 Nel Sedecias di P. Luís da Cruz, alla cui rappresentazione D. Sebastião assistette estasiato presso
l’Università di Coimbra nel 1570, insieme a D. Henrique, si metteva in scena la ribellione di Sedecias a Nabucodonosor e il tremendo castigo che questi gli inflisse, facendolo assistere al massacro dei figli, accecandolo e quindi conducendolo in ceppi a Babilonia. Vani erano stati i consigli dei suoi ministri, che lo avevano pregato di non opporsi al babilonese e di considerare se così facendo avrebbe guadagnato l’amore del suo popolo o solo ricchezze, poiché per un re vera ricchezza è solo l’amore del suo popolo, mentre l’opulenza è insopportabile e porta invidia e tradimenti. António Melo, “O Iosephus de Luís da Cruz: um
exemplum duma pedagogia empenhada”, in Actas do I Congresso Internacional, Humanismo novilatino e
pedagogia, Braga, Universidad Católica Portuguesa, 1999, pp. 289-304
50 Gonçalo Anes Bandarra visse nella prima metà del secolo XVI e fu calzolaio a Trancoso, villaggio
prossimo di Évora, dove nel 1541 l’Inquisizione lo condannò per aver composto trovas di tono profetico in cui annunciava il ritorno del vero re del Portogallo e dell’età dell’oro per tutto il regno. Noto presso l’Università gesuitica di Évora, alla scomparsa di D. Sebastião il Santo Sapateiro venne riconosciuto come l’annunciatore del suo ritorno.
51 Antico sostenitore di D. António e condannato all’esilio da Filippo II, dal 1593 si era da quello allontanato
per una diversa visione delle strategie relative la riconquista del trono portoghese. Autentico fomentatore del sebastianismo come elemento di opposizione alla Monarchia Duale pubblicò le quartine di Bandarra e probabilmente partecipò al piano della ricomparsa del quarto Sebastião a Venezia nel 1598, rivelatosi poi il calabrese Marco Tullio Catizzone e impiccato in Spagna nel 1603. Joaquim Veríssimo Serrão, op. cit., pp. 387-392 e Maria Leonor Machado de Sousa, “D. Sebastião. História e mito em Portugal e Espanha”, in Em
biblico Daniele52. Lo stesso accadeva con D. Afonso Henriques, fondatore della monarchia portoghese che sconfisse i mori dopo aver ricevuto la visione estatica della croce nel campo d’Ourique; D. Sebastião aveva portato con sé la spada dell’illustre avo e con quella la speranza di ricevere il medesimo favore divino rivelato durante la Riconquista. Una sorta di legame soprannaturale sembrò delinearsi tra il primo e l’ultimo dei sovrani portoghesi, tanto che cinque monaci in preghiera presso il suo tumulo giurarono di aver udito tre colpi battere al suo interno all’affermazione di uno di essi a proposito del prossimo ritorno di D. Sebastião53. Da allora si moltiplicarono le notizie di avvenimenti miracolosi, scrupolosamente raccolte dalle cronache del tempo, tese a dimostrare la natura misteriosa e divina della scomparsa del re54; anche il suo ritorno, infatti, esulava dalla logica umana della storia per essere inglobato in quella imperscrutabile della provvidenza. Il sebastianismo, pertanto, inteso come sentimento mistico carico di aspettative messianiche, non implicava necessariamente un’aperta opposizione alla Monarchia Duale e al governo castigliano, quanto piuttosto uno sfasamento tra la realtà storica e la sua percezione dovuto all’inserimento di quella in un’ottica provvidenzialista e trascendente. Inoltre, il sentimento della perdita non era ancora stato trasformato nel complesso mito che avrebbe preso forma solo dopo la Restaurazione nell’opera di P. António Vieira. Lo stesso dicasi della elaborazione ideologica del sebastianismo prodotta dalla propaganda bragantina, che circondò l’acclamazione di D. João IV di una serie di eventi miracolosi tali da farlo coincidere con l’Encoberto finalmente rivelato55.
Indubbiamente durante la Monarchia Duale il sebastianismo alimentò l’atavica avversione popolare verso il vicino castigliano, ma non fu mai causa sufficiente per dare origine a moti e sollevazioni indipendentiste: le Alteracões di Évora del 1637 ed altre circoscritte ribellioni locali rispondevano piuttosto ad una pressione fiscale eccessiva o a decisioni considerate arbitrarie e ingiuste. Lo stesso dicasi per la Compagnia di Gesù, che pur
52 Il profeta biblico Daniele, per illuminazione divina seppe interpretare il sogno di Nabucodonosor,
spiegando che il gigante composto di vari metalli indicava la successione di quattro età imperiali, dell’oro, dell’argento, del rame e del ferro misto ad argilla. A quel tempo sarebbe sorto l’ultimo impero affidato a un popolo che avrebbe distrutto tutti i precedenti per durare in eterno. Le profezie di Daniele e la sua apocalisse, che ponevano la venuta del figlio dell’uomo al termine della successione alla signoria di quattro animali, sembravano annunciare il ritorno di D. Sebastião e, in seguito, servirono come sostegno dottrinale alla teoria del Quinto Impero di P. António Vieira. Daniele, 2.; 7. 14; 9. 24-27; 10. 16; 11. 1-7, 16-25, 36-45.
53 Pero Roiz Soares, Memorial (1565-1628), leit. e rev. por M. Lopes de Almeida, Acta Universitati
Conimbricensis, Coimbra, 1953, pp. 378-379
54 Ibidem, p. 390 e p. 403
55 Diogo Ramada Curto, “Ritos e cerimónias da monarquia em Portugal (séculos XVI a XVIII)”, in F.
riservando alla casa dei Bragança un trattamento degno di una casa reale e diffondendo dai pulpiti il sentimento di un’appartenenza nazionale altra da quella castigliana, evitò sempre scontri diretti con la corona e inserì la difesa della propria autonomia economica e giuridica nell’ambito degli accordi stabiliti a Tomar.
Infatti, così come l’avvento della Monarchia Duale venne deciso in un ristretto ambito oligarchico, che dimostrò un’assoluta indifferenza per il sostegno popolare di cui godeva D. António, anche la Restaurazione del 1640 ebbe origine da una congiura aristocratica, decisa per il venir meno dei requisiti minimi necessari al mantenimento dell’amministrazione congiunta con la Castiglia. Naturalmente il ritorno di una casa reale portoghese fu motivo di grande giubilo per il paese, ma il popolo praticamente non partecipò all’insurrezione e servì soprattutto a combattere la prolungata guerra di frontiera che terminò solo nel 1668.
È necessario perciò considerare la reale portata storica del sebastianismo, che poté impensierire Filippo II nei primi anni del suo regno fino alla morte di D. António, depurandola della propaganda nazionalista prodotta dopo la Restaurazione. Nel secolo XVII, infatti, quella nostalgia per la recente scomparsa del re divenne sempre più autentico rimpianto dell’ormai lontano secolo d’oro portoghese, delle scoperte e della costituzione del grande impero commerciale, ora pericolante ed oneroso da mantenere. Dall’angosciata attesa del futuro si era passati ad una rassegnata riflessione sul passato, dimostrata dalla grande quantità di studi e pubblicazioni di tema storico e genealogico che contribuirono sostanzialmente all’elaborazione dell’identità nazionale e statale.
In ultima analisi, il sebastianismo servì forse per rivestire di un’apparente omogeneità il solo elemento che tutte le classi e i gruppi sociali portoghesi condividevano: l’indefessa ostinazione a rivendicare il rispetto dello spirito contrattuale dello statuto di Tomar, che la politica volta al rafforzamento della corona castigliana intrapresa da Olivares lasciava sempre più disatteso.
Ignorato dal re dopo la partenza di Filippo III nel 1619, il Portogallo venne sempre più amministrato secondo le modalità tipiche di una provincia piuttosto che con la dignità dovuta al regno che Filippo II aveva riconosciuto nominandone viceré l’arciduca Alberto, di sangue reale, come era espressamente richiesto dalle Cortes.
Quello però fu l’ultimo degli Asburgo a ricoprire tale carica, e sebbene alla sua rimozione lo stesso Filippo II si fosse abilmente sottratto all’impasse di scegliere come suo successore il duca di Bragança nominando un collegio di cinque governatori, in seguito i viceré di Lisbona non furono più annoverati nell’ambito della famiglia reale così come non sempre vennero reclutati tra la grande aristocrazia lusitana.
Che lo statuto di Tomar fosse rimasto in gran parte non applicato fu evidente a tutto il paese durante gran parte del perdurare della Monarchia Duale, tuttavia esso rappresentava materialmente l’esistenza di un contratto vincolante per la corona castigliana, che ufficialmente non poteva decidere del Portogallo come se della Castiglia si trattasse; molto simile, del resto, era lo statuto del regno di Aragona, ma se nel 1626 il re dovette convocare le Cortes a Barcellona affinché ratificassero il progetto dell’Unión de Armas, lo stesso non avvenne in Portogallo. E proprio questo fu uno dei motivi che condussero alla secessione portoghese, poiché l’obbligo per l’aristocrazia di finanziare campagne militari non direttamente collegate alla difesa del regno e di contribuire fiscalmente al mantenimento della guerra convinse la nobiltà della necessità di cercare una soluzione alternativa alla Monarchia Duale, ormai decisamente orientata verso una concreta unificazione56.
Ancora una volta, dunque, prevalse in Portogallo una logica di tipo feudale, così che quando il sovrano venne meno al patto che aveva stretto con i suoi nobili vassalli, questi dedicarono i loro omaggi a un principe che garantisse loro il mantenimento delle prerogative acquisite in virtù del loro status. La proclamata riscossa nazionalista venne a nobilitare una reazione puramente ideologica ed economica57, tesa ad allontanare il rischio di rimanere imprigionati in una monarchia assoluta, prefigurazione dello stato nazionale moderno.
Ipoteticamente, i soli centri di potere che avrebbero potuto trarre giovamento dal rafforzamento dello stato centrale furono le amministrazioni pubbliche, con la loro schiera di piccola nobiltà da governança da terra58. La gestione territoriale si basava sulla
56 J. H. Elliott, La Spagna e il suo mondo 1500-1700, Einaudi, Torino, 1996, pp. 251-253 57 António de Oliveira, Poder, op. cit., p. 16
58 A una prima nobilitazione dovuta al valore simbolico dell’ufficio ricoperto si aggiunse, dal 1611, la
sostanziale chiusura della casta in seguito ad un’ordinanza di Filippo III che formalmente limitava l’accesso alle cariche pubbliche solo a soggetti che avessero titolo ed esperienza in tale ambito. José Mattoso, op. cit., IV, p. 288
costituzione di una burocrazia poco verticalizzata, ma estesa sul paese come una fitta tela di ragno: ogni consiglio municipale avrebbe dovuto rendere conto direttamente alla segreteria del re, mancando quasi completamente di strutture amministrative intermedie. Lo stesso accadeva in ambito giuridico, per cui chi non era soddisfatto dalla sentenza di primo grado, generalmente delegata al giudice del luogo, poteva ricorrere alla giustizia reale, competendo ai poteri signorili solo il grado intermedio.
Di fatto, per dare sostanza alla concessione di un titolo nobiliare, le giurisdizioni territoriali spesso venivano scorporate e rimodellate a seconda delle esigenze, quasi sempre contro la volontà delle popolazioni residenti che preferivano rimanere sotto il controllo diretto della corona e non vedere involarsi le loro rendite fiscali verso casse private. Il fenomeno fu molto intenso durante il periodo della Monarchia Duale, quando il numero dei titolati quasi venne raddoppiato59 e la somma delle rendite ecclesiastiche poteva ammontare a una quota pari a quasi il cinquanta per cento del bilancio statale60.
La prassi con cui la corona si garantiva la fedeltà dell’aristocrazia andava sostanzialmente contro la costituzione di un territorio uniformemente posto sotto il controllo centrale e vano sarebbe stato il successivo tentativo di imporre ai nobili titolari delle giurisdizioni di contribuire fiscalmente a favore dello stato.
Inoltre, proprio l’attribuzione di poteri giurisdizionali periferici a signori locali, in particolare nel nord del paese, dove erano presenti case aristocratiche di antico lignaggio, incrementò la diffusione delle reti clientelari, tanto che le case titolari potevano nominare amministratori e giudici nei loro territori e sostenere o indicare dei candidati a cui affidare incarichi pubblici fuori dai domini di loro competenza. A discapito dello stato centrale era anche l’uso di assegnare cariche amministrative vitalizie o ereditarie, facilmente convertite
59 Nei trent’anni intercorsi tra il 1611 e il 1640 vennero creati 23 nuovi titoli, il numero totale di case nobili
portoghesi passò da 25 a 46 e le case che estinsero vennero sostituite da nuovi soggetti. Il 70% dei nuovi titoli si collocava nella categoria dei conti. José Mattoso, op. cit., IV, p. 325.
60 Nel 1632 le rendite ecclesiastiche delle diocesi minori potevano variare tra i 7000-8000 Cruzados, ma le
arcidiocesi principali potevano raggiungere i 60.000 Cruzados di Évora, i 42.000 di Coimbra e i 40.000 di Lisbona. La somma di tali rendite costituiva la metà del bilancio del regno del 1627. António de Oliveira,
in oggetti di vendita e donazione, quindi legalmente estromesse dal controllo della corona61.
Lo stato centrale poteva avvalersi soltanto delle ispezioni del corregedor, che però aveva accesso limitato ai territori di competenza della corona e a pochi possessi signorili, e del