- Lei è arrivato ad Ancona con un gruppo di bambini di San Severo nel 1950?
- Allora, scì.
- Ha acquisito la cadenza anconetana!
- Sì, io leggo bene anche il vernacolo! Non c’è anconetano che tenga! Leggo benissimo.
- Allora, iniziamo dal 1950, cosa succede nel suo paese alla fine di mar-zo?- I contadini erano sfruttati da questa gente che teneva il potere. C’era la miseria, la povertà.
- I suoi genitori erano braccianti?
- Sì, sì. Mio padre era un bracciante. Dopo il governo gli ha dato un pezzo di terra, che hanno passato a riscatto, dopo venticinque anni. Lui la coltivava, ma sai la vigna ti dà il vino solo a fine stagione, non è che giorno per giorno hai da mangiare. Così lui nel frattempo trovava altri lavori, quello che gli capitava, il muratore, i pozzi da scavare, così… a livello di manovalanza.
Allora torno a dire del ’50 quando c’è stato questo sciopero perché la gente si era stancata di questo sfruttamento, questa miseria… All’epoca c’era il governo Scelba138 e quindi c’era la celere che picchiava, arrestava e mio padre è stato coinvolto in una retata. Lui si trovava nei pressi della sezione del Pci, è scappato e si è rifugiato proprio lì, nella tana del lupo.
- Suo padre era un attivista del partito?
- Attivista no.
- Simpatizzante?
- Sì, sì, aveva fiducia nel partito139. E quindi quando è arrivata la polizia si sono barricati in questa sezione al primo piano. Loro credevano di es-sere al sicuro, invece dopo, lui mi ha raccontato, questi poliziotti hanno lanciato una corda a cappio e sono saliti su, nel balcone. Hanno sfondato la finestra del balcone ed hanno arrestato tutti140. Mio padre si è fatto sei mesi in galera. Lo hanno arrestato il 23 marzo ed è uscito a settembre.
- Lei quanti anni aveva?
138 Scelba era in realtà ministro dell’Interno, presidente del Consiglio era De Gasperi.
139 San Severo era considerata allora una città ‘rossa’, con una forte organizzazione sin-dacale, un partito comunista ben radicato nel territorio e un forte spirito antifascista (Iacovino, 23 marzo 1950, San Severo si ribella, cit., p. 21).
140 Gli arrestati furono 169 (ivi, pp. 117-124).
- Io avevo sei anni e mezzo. E quindi laggiù era un po’ un disastro. Dopo c’è stato un compagno, un certo Allegato, che è stato anche sindaco di San Severo, un compagno, un grande compagno, che ha organizzato l’adozione di questi bambini e ha chiesto se c’erano delle famiglie che li ospitavano, credo che qualcuno anche in Romagna sia andato. Siamo venuti su con il treno, nel treno ci hanno dato i panini con la mortadella, era la prima volta che mangiavo la mortadella.
- Si ricorda bene tutti i particolari.
- Molto, molto bene. Avevamo le bandierine tricolore, era il dopoguerra, c’era l’amor di patria.
- Era venuto a prendervi qualcuno della Cdl?
- Sì, dopo si è interessata la stessa Derna, si è interessata la Petrini141, si è interessato Lucarini Alvaro, tra l’altro è un mio cliente, si serve qui. Quindi si sono tutti dati da fare per ospitare questi bambini. Li hanno portati lì a piazza Roma dove erano le docce. Io non ci sono andato, a me hanno fatto il bagno a casa.
- Mi ha raccontato Derna che una sua zia lo ha portato a casa, Maria.
- Sì, sì. Poi loro mi hanno raccontato che avevano preso già un altro bam-bino, dopo hanno visto me, hanno lasciato l’altro e hanno preso me. Non so perché, ero entrato in simpatia, non lo so per quale motivo. Quindi mi 141 Nedda Petrini.
Derna Scandali distribuisce il cibo alla mensa della colonia dell'Udi, Ancona 1947.
hanno preso, mi hanno portato a casa. Mi ricordo che ho fatto una grande dormita, perché ero stanchissimo. Dopo sei mesi sono dovuto tornare giù, perché mio padre era uscito. Sono tornato giù, era di sera, di notte quando siamo arrivati, e c’erano tutte queste mamme, queste donne, queste zie che sono venute ad accoglierci alla stazione. Queste urla, urla di gioia! Baci, abbracci! Però io non accettavo più la vita di laggiù, perché quassù era un altro mondo. Non l’accettavo più, quindi ho fatto un po’ lo sciopero della fame. Non mangiavo più, non mangiavo. Mia madre preoccupata per questo bambino, come si fa, come non si fa. Allora che cosa ha fatto? Mia madre ha fatto la seconda elementare. Allora è andata alla Cdl e hanno cercato di rintracciare la famiglia che mi aveva ospitato. Hanno scritto una lettera alla Cdl qui di Ancona. E questa zia di Derna mi è venuta subito a prendere, di notte è venuta giù. Pensa che tenacia che ha avuto! Da sola. Che tenacia!
Da sola è scesa alla stazione, è venuta giù. Io me la sono ritrovata a casa.
È venuta a riprendermi e mi ha riportato su.
- Sua madre ha accettato questa sua scelta?
- Sì, sì. Mia madre l’ha accettata, perché vedeva che io deperivo. Forse con la speranza che fossi ritornato successivamente, invece sono rimasto sempre qui. Andavo giù ogni tanto per le visite di rito. A Natale, Pasqua, le vacanze della scuola. Io ho fatto le scuole qui, le elementari. Dopo ho trovato un mestiere. Comunque laggiù all’epoca era un disastro. C’era la fame, c’era la miseria. Nelle case non c’era l’igiene, era tutto in una stanza unica.
Il tavolo al centro, il gabinetto che non era un gabinetto, non c’era la doccia.
C’erano alcuni vicino a noi che avevano addirittura il cavallo, il somaro dentro casa. La sera rientravano, scioglievano i finimenti e il cavallo si metteva in fondo.
- Cosa ricorda di questi primi sei mesi ad Ancona?
- Accidenti, accidenti! Era tutto nuovo! E mi ricordo il primo gelato che ho mangiato. E chi lo aveva mai assaggiato un gelato! Appena siamo arrivati, dopo il bagno, la grande dormita, poi mi hanno portato fuori e abbiamo preso il gelato. C’era la panna montata e mi hanno chiesto: “Ti piace il gelato?”. E io rispondo: “Assomiglia alla ricotta!”. Perché io mangiavo la ricotta laggiù!
Mia madre faceva il pane, delle grosse pagnotte che duravano una settimana, otto giorni. All’inizio era morbido, dopo man mano che passavano i giorni questo pane diventava duro, duro. Dopo mia madre lo spezzava, lo metteva nel piatto e ci faceva il brodo di zucca, il brodo di cicoria… e sotto metteva il pane a mo’ di pancotto. La cena nostra era quella. Alla domenica c’era qual-cosina di meglio. Mi ricordo che quando faceva gli involtini era una festa, le orecchiette… era una festa quando c’erano queste cose.
- Anche suo padre ha accettato la sua scelta di rimanere ad Ancona per
sempre?
- No, mio padre non l’ha mai accettata questa cosa. Tanto è vero che ogni volta che scendevo dal treno a San Severo, mi faceva la paternale: “E stai qui, perché torni su? Io ho solo te di maschio… “. Siamo in quattro, ho tre sorelle.
- Le sue sorelle non sono mai venute ad Ancona?
- Sì, inizialmente sono venute su anche loro. Alcune famiglie le avevano ospitate, ma dopo sono tornate giù senza problemi, per me invece è stata una tragedia, mi piaceva Ancona, mi piaceva il mondo nuovo. Una sera mi ricordo, ero stato riportato giù, forse era la seconda volta… non mi ricor-do. Insomma in un ritorno giù in paese, in stazione ho fatto il diavolerio perché non volevo tornare giù. Non volevo restare lì. Calciare, mordere chi si avvicinava! Strappare i capelli a chi mi capitava a tiro! E mi ricordo che dopo alla fine, esausto, ho ceduto e mio padre mi ha portato a casa in spalla, mi ha portato sulle spalle mio padre.
- Lo viveva come un trauma ogni distacco?
- Sì, sì. E mio padre non l’ha mai accettato, mai, mai, mai. Alla fine si è rassegnato a questa mia decisione.
- Ha partecipato anche alle colonie? A Palombina?
- Le colonie? Sì, sì. A Palombina, me le ricordo molto bene. C’era anche Derna, tanto è vero che certe volte mi chiamavano ‘il fiolo di Derna’. Ecco
Derna Scandali alla colonia estiva dell'Udi, Ancona 1947.
è stata un’esperienza bellissima. È stata un po’ la mia famiglia. Ho avuto sempre ottimi rapporti con loro. La zia è morta, Maria, lei era del ’900, del giugno del ’900. Quando ha preso me aveva cinquanta anni ed è morta nell’87, a 87 anni, la figlia quando sono arrivato ne aveva trenta, Nedda.
Abbiamo degli ottimi rapporti. Ci vediamo a Natale, a Pasqua, spesso ci vediamo.