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Capitolo 3 – Presentazione della ricerca empirica

3.4 Riepilogo dei tratti tipici dei due gruppi individuat

In conclusione a questa presentazione dettagliata dell’analisi fatta sulle risposte al questionario somministrato, sembra utile dare una descrizione più generale dei due gruppi identificati attraverso l’esplicitazione delle rispettive caratteristiche distintive. Il gruppo delle 48 aziende ‘non-green’, di cui si rimanda al capitolo successivo per una trattazione più approfondita della sua composizione specifica, è accomunato da una caratteristica che domina su tutte: la disinformazione. Nei dati esposti nelle Tabelle dalla 14 alla 17, relative ai quesiti sui mezzi di informazione utilizzati per

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l’aggiornamento e sulla partecipazione ad eventi incentrati sui temi della sostenibilità, le aziende appartenenti al secondo sottocampione dichiarano in massa di non tenersi aggiornati o addirittura di non informarsi del tutto riguardo ai temi in questione. La motivazione va ricercata in un altro dato certamente significativo, espresso principalmente in Tabella 1 e poi in altri punti dell’analisi, e riguarda il fatto che i motivi per cui queste aziende hanno scelto, consapevolmente quindi, di non intraprendere questa strada sono relativi alla scala di priorità del management dell’azienda ma anche e soprattutto dei clienti. Queste aziende ritengono che, per il loro business, la sostenibilità non sia necessaria anche perché non riconosciuta e non valorizzata dai propri clienti, fattore questo che a mio parere, deriva esso stesso dalla disinformazione. Si potrebbe intendere questa evidenza anche come un rifiuto o un ostacolare dei processi di creazione della conoscenza, ed è quindi causa e conseguenza al tempo stesso della decisione di non intraprendere la ‘green way’ come altre aziende hanno fatto. Va sottolineato però come il gruppo non sia chiuso in sé stesso, in quanto esistono i margini per un cambiamento di rotta, nella misura in cui un 32,6% aggregato (Tabella 24) dichiara l’intenzione di procedere all’effettuazione di investimenti nell’ambito della sostenibilità ambientale nell’arco dei prossimi tre anni. Rimane una minoranza ma è sicuramente un’ulteriore opportunità perché la cultura della sostenibilità ambientale si diffonda sempre di più in questo tessuto imprenditoriale. Il fattore disinformazione gioca in questo caso a favore di una ulteriore caratterizzazione delle due categorie che si sta cercando qui di presentare: abbiamo già affermato che le aziende che non hanno investito sono più portate a non investire, poiché le stesse che non sono informate, tendono a rimanere disinformate. In quest’ottica la caratteristica in questione va guardata specularmente da entrambe le facce, ossia per entrambi i ‘gruppi’ si configura il concetto di sostenibilità con un’ulteriore accezione, quella di linguaggio. Attori, e quindi aziende, che parlano lo stesso linguaggio, pur operando in territori diversi, tendono a ‘comunicare’ più facilmente tra loro. Il linguaggio condiviso alimenta da un lato l’informazione tra gli appartenenti al gruppo ‘green’ e dall’altro la disinformazione tra le aziende del secondo gruppo, ma soprattutto alimenta quel processo di irreversibilità di cui si è parlato in precedenza facendo riferimento alla path- dependancy.

Per quanto riguarda il gruppo ‘green’, relativo alle 69 aziende che già hanno intrapreso un percorso nell’ambito della sostenibilità ambientale, le evidenze dell’analisi preliminare effettuata sono molto più articolate e permettono una descrizione più ampia

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del sottocampione. E’ già stato detto che sono aziende che hanno scelto, autonomamente e consapevolmente di intraprendere questo percorso, non perché vincolate in qualche modo dalle legislazioni o sovvenzionate dalla funzione pubblica. Hanno scelto per considerazioni di tipo etico proprie dei management che le guidano e perché credono realmente che l’approccio sostenibile in azienda serva per migliorare non soltanto l’efficienza della stessa e la sua reputazione presso i propri clienti o gli altri attori della filiera, ma anche l’ambiente di lavoro e l’ambiente esterno che circonda i sistemi-azienda. Sono aziende queste che hanno investito percentuali esigue dei loro fatturati (Tabella 2) e che hanno mantenuto e intendono mantenere costanti i volumi di investimento (Tabelle 3 e 24), ma che riconoscono come questi investimenti abbiano dato i loro risultati e come la ‘green way’ sia accomunabile ad un processo non reversibile, che si autoalimenta nel tempo. Gli investimenti sono stati ripartiti sia per innovazioni di prodotto, principalmente riguardanti l’accuratezza nella scelta dei materiali produttivi e la progettazione di prodotti facilmente riutilizzabili o riciclabili; sia per innovazioni di processo, riguardanti la riduzione dei rifiuti e delle emissioni nei processi produttivi; sia per altre azioni di tipo generico come il miglioramento dell’ambiente di lavoro o l’adozione di politiche di corporate social responsibility. Se è inoltre stato sottolineato che la sostenibilità ambientale non è un concetto nuovo in queste aziende, ma compreso e radicato in alcuni casi anche da molti anni, è stato altrettanto evidente come manchi ancora in realtà però una comprensione dell’importanza e delle opportunità che le attività di networking in ambito green possono creare. La collaborazione collaterale tra imprese, o verticale tra attori della stessa filiera avviene certo, ma non è organizzata in un sistema strutturato, è più lasciata alla casualità o derivante dal sistema di relazioni private degli imprenditori, e questo è sicuramente un punto che frena in qualche modo le potenzialità dei progetti già implementati e di quelli che si potrebbero sviluppare in futuro. L’informazione è inoltre, per le imprese considerate, essenziale, e di tipo attivo, a differenza di quanto si è detto per il gruppo ‘non-green’. Il riconoscimento dell’importanza della cultura della sostenibilità è un passo fondamentale per la volontà di favorire la diffusione di questo tipo di conoscenza, all’interno delle aziende stesse ma anche tra aziende diverse, fatto questo che dovrebbe aiutare il proliferare di network improntati proprio alla gestione della conoscenza sulla sostenibilità ambientale. Un altro fattore, a mio avviso, che può favorire lo sviluppo di queste reti è il sostegno della funzione pubblica, ritenuta ininfluente dal campione intervistato. Il riconoscimento innanzitutto del valore aggiunto

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che deriva da questa attitudine all’innovazione sostenibile, così come avviene da parte degli utilizzatori finali, cioè i clienti, dovrebbe esistere anche da parte delle istituzioni, con azioni concrete che supportino le aziende in tale direzione. Sarebbe utile infine che queste istituzioni promuovessero esse stesse la creazione di una domanda di prodotti ‘green’ in modo tale da favorire la nascita e la strutturazione di queste reti di cooperazione strutturate di cui le aziende considerate sembrano avere bisogno per progredire nel loro percorso verso una sostenibilità che non sia più valore distintivo sul mercato di riferimento, ma requisito necessario per operarvi.

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