1 Introduzione
L’evoluzione della produzione normativa italiana in tema di pari opportunità, avvenuta nel corso di oltre un secolo, rispecchia il tentativo del legislatore di rispondere ai profondi cambiamenti in campo economico, sociale, culturale e politico che hanno interessato, in misura diversa, i cittadini di entrambi i sessi. I cambiamenti culturali e politici degli ultimi cinquant’anni hanno mutato la percezione dei divari di genere che da mero riflesso di un diffuso costume sociale sono diventati una questione di pubblico interesse che ha determinato, seppur con fortune alterne, una crescente sensibilità al tema da parte del legislatore nazionale. Dall’adozione della forma repubblicana alla nascita dell’Unione europea i cambiamenti politici e culturali hanno fatto discendere sul legislatore l’obbligo di legiferare anche per quanto riguarda il tema delle pari opportunità per dare attuazione sia ai principi sanciti dalla Costituzione sia alle direttive adottate in sede comunitaria.
La legislazione nazionale ha dispiegato i suoi effetti anche sull’azione del legislatore regionale e sulle figure istituzionali regionali. In questo senso, il ruolo delle Regioni in tema di pari opportunità è stato meglio definito dalla riforma costituzionale del 20011 che ha assegnato alle Regioni, nel rispetto della legislazione nazionale, il non facile compito di promuovere in via sostanziale l’uguaglianza di genere. I riflessi più evidenti della normativa nazionale vanno ricercati in una serie di figure e organi istituzionali di cui le Regioni si sono dotate nel corso del tempo e su cui è utile soffermarsi.
Dopo una veloce rassegna della legislazione italiana in tema di pari opportunità, con particolare riguardo alle norme che presentano riflessi a livello regionale, questo lavoro approfondirà le funzioni e i compiti assegnati agli organismi regionali di parità.
2 Il quadro normativo nazionale
2.1 L’evoluzione normativa
Il divieto di qualsiasi discriminazione basata sul sesso è sancito dalla Costituzione (1948) che determina per lo Stato italiano l’obbligo di intervenire attivamente per promuovere la partecipazione di tutti i cittadini alla vita economica e sociale del Paese in condizioni di sostanziale uguaglianza e di pari dignità; ne consegue l’obbligo per il legislatore di promuovere la piena integrazione delle donne nel tessuto sociale ed economico del Paese. Tale obbligo si traduce in una serie di norme contro ogni forma di discriminazione “diretta”, ma queste tutele non si dimostreranno sufficienti a conseguire gli obiettivi di parità prefissati. Solo dalla fine degli anni settanta si assiste a una crescente sensibilità del legislatore rispetto al fenomeno della discriminazione “indiretta” (si veda infra). È in questi anni che prende avvio una produzione normativa rispondente alla necessità di uniformare l’ordinamento giuridico nazionale con le direttive europee e di ratificare alcune importanti convenzioni internazionali in tema di pari opportunità. Aumenta, inoltre, nel legislatore la consapevolezza che le norme, per favorire il raggiungimento dell’uguaglianza di genere, devono necessariamente distinguere tra uomini e donne. Per facilitare la diffusione dei principi di parità, negli anni ottanta, il legislatore istituisce il Comitato nazionale per l'attuazione dei principi di parità di trattamento e uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici2 con compiti consultivi e di monitoraggio ma senza effettivi poteri di intervento, introduce la figura della Consigliera e del Consigliere di parità nazionale e istituisce la Commissione regionale per l’impiego3. Il primo vero riconoscimento giuridico della fattispecie della discriminazione indiretta avviene nel 1985 con la ratifica della Cedaw4. Inoltre, dal 1987 i contratti collettivi nazionali del pubblico impiego hanno iniziato a
1 Art. 3, comma 7, della L.Cost. 3/2001 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).
2 D.M. n. 96/1983.
3Art. 4, comma 4, L. 863/1984.
4 Cfr. la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna di New York (Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination Against Women) del 18 dicembre 1979, ratificata dall’Italia con L. 132/1985. L’art. 1 della Cedaw è stato rifuso nel 2006 nel Codice delle Pari opportunità e, in seguito, abrogato con le modifiche apportate nel 2010.
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prevedere l’istituzione dei Comitati paritetici per le pari opportunità5 con il compito di vigilare sulle pratiche discriminatorie, di sensibilizzare il personale sul tema delle pari opportunità e di raccogliere ed elaborare dati disaggregati per genere sulla condizione dei dipendenti.
La produzione normativa degli anni novanta è caratterizzata da rilevanti novità quali l’istituzione della Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità tra uomo e donna6, l’introduzione delle quote rosa7 nei consigli comunali e provinciali, fondamentali disposizioni contro la violenza sessuale e le violenze nelle relazioni familiari8, l’estensione alle libere professioni dell’indennità di maternità9 e l’istituzione del servizio militare femminile su base volontaria10. Nel 1996 è stato istituito il Ministero per le Pari opportunità e nel 1997 il Dipartimento per le Pari Opportunità. L’innovazione normativa più rilevante in tema di discriminazione indiretta si deve, però, alla legge 10 aprile 1991, n. 12511 (Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro) che, oltre a introdurre lo strumento delle azioni positive12, la fattispecie della discriminazione indiretta, gli strumenti di tutela, la parziale inversione dell’onere della prova, la reciprocità nei lavori domestici e nella cura dei membri del nucleo familiare, ha istituito il Comitato nazionale di parità presso il Ministero del lavoro e ha definito i compiti della Consigliera nazionale, regionale e provinciale di parità. Altre due leggi con importanti riflessi sulle politiche e normative regionali sono la legge 25 febbraio 1992, n. 21513 (Azioni positive per l'imprenditoria femminile) per la promozione delle pari opportunità nell’attività economica e imprenditoriale e la legge 8 marzo 2000, n. 53 (Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città) che introduce la banca delle ore, la flessibilità oraria, i congedi di paternità per favorire la decreto di attuazione della direttiva 2002/73/CE15 che fornisce delle definizioni puntuali delle forme di discriminazione diretta e indiretta e delle molestie, e amplia l’ambito di intervento delle norme contro le discriminazioni di genere a tutti i tipi di lavoratori e lavoratrici.
Nel 2006 è emanato il Codice delle pari opportunità tra uomo e donna16 (d’ora in avanti il Codice, che verrà analizzato nel sottoparagrafo successivo), che rappresenta un tentativo di approcciare in modo sistematico e multidimensionale il tema delle pari opportunità e sintetizza la strada percorsa dal legislatore nazionale negli ultimi trent’anni e il cambiamento radicale di prospettiva rispetto al ruolo della donna nella sua qualità, più complessa, di soggetto attivo nella società civile e nella vita economica del Paese.
Infine, nel 2011 sono state introdotte le quote di genere nei consigli d’amministrazione e di controllo delle società quotate17.
5 Cfr. il D.lgs. 29/1993 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego) e successive modifiche e, inoltre, il D.lgs. 165/2001.
6L. 164/1990.
7 Le quote rosa sono state introdotte dalla L. 164/1990 e dichiarate incostituzionali dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 422 del 6 settembre 1995.
8 LL. 66/ 1996 e 154/2001.
9 L. 379/1990.
10 L. 380/1999.
11 Cfr. l’art. 9 della L. 53/2000. La L. 125/1991 è stata modificata dal D.lgs. 196/2000 (Disciplina dell’attività delle consigliere e dei consiglieri di parità e disposizioni in materia di azioni positive) che ha introdotto i Piani triennali di azioni positive nelle pubbliche amministrazioni. Fatta eccezione per l’art. 11, la L. 125/1991 è stata abrogata dall’art. 57 del D.lgs. 198/2006.
12 Promosse dalla Raccomandazione del Consiglio delle Comunità Europee n. 635 del 13 dicembre 1984, riconosciute dall’art. 119 del Trattato di Amsterdam (1997) ratificato L. 209/1998. Cfr. l’art. 23 della Carta di Nizza (2000) sui diritti fondamentali dell’Unione europea recepita dal Trattato di Lisbona (2007) ratificato dall’Italia con L. 130/2008. Infine, l’art. II-82 della Carta costituzionale europea (2004) obbliga gli stati membri ad adottare azioni positive atte a perseguire l’uguaglianza di genere.
13 E’ stata parzialmente abrogata con D.P.R. 314/2000.
14 D.lgs. 151/2001.
15 D.lgs. 145/2005.
16 D.lgs. 198/2006, rinnovato nel 2010 dal D.lgs. 5/2010 (Attuazione della direttiva 2006/54/CE relativa al principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego - rifusione).
17 L. 120/2011 (Modifiche al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, concernenti la parità di accesso agli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate in mercati regolamentati).
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2.2 Il Codice delle pari opportunità tra uomo e donna
Il Codice riordina le norme contro le discriminazioni di genere18, ridefinendo le fattispecie discriminatorie in dirette, indirette e persecutorie19. La discriminazione è diretta20 quando una condizione soggettiva (il sesso, l’esercizio della funzione genitoriale, lo stato di gravidanza) è causa di un trattamento consapevolmente differenziato tra i soggetti ovvero indistinto di situazioni oggettivamente diverse (Della Rosa, 2010). La discriminazione indiretta21 si ha quando una situazione o un requisito apparentemente neutro, ma ricorrente con diversa frequenza all’interno di un certo gruppo di persone, può “mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell’altro sesso”. L’individuazione della discriminazione indiretta, dunque, può basarsi su valutazioni di tipo qualitativo e non necessariamente su confronti quantitativi-statistici tra gruppi. Infine, l’inclusione dei comportamenti persecutori tra le discriminazioni è un elemento di novità poiché consente “l’applicabilità ai casi di molestie di tutti gli strumenti che l’ordinamento predispone contro le discriminazioni” (Bonardi, 2005).
Il Codice individua nelle Regioni, nelle Province, nei Centri per l’impiego, nelle forze sociali e nei soggetti privati gli attori deputati a promuovere attivamente le pari opportunità e a intervenire in presenza di violazioni (invertendo parzialmente l’onere della prova)22. È enfatizzato, inoltre, il ruolo svolto dagli organismi di parità su più livelli (nazionale, locale e all’interno delle singole realtà aziendali) per la promozione dell’uguaglianza di genere in maniera capillare sul territorio, indicando le azioni positive e il principio di gender mainstreaming quali strumenti deputati al perseguimento delle pari opportunità tra uomo e donna.
Le azioni positive23 permettono di operare una distinzione tra i generi e rispondono all’esigenza di trattare in modo eguale situazioni eguali e in maniera differenziata situazioni diverse24; queste possono avere finalità educative, compensative e strategiche25. Infine, per permettere alle azioni positive di essere efficaci e garantirne la temporaneità è di fondamentale importanza la misurazione ex ante dei fenomeni discriminatori (ad es.
i differenziali tra uomini e donne in termini di salario, tasso di attività e di occupazione, tasso di alfabetizzazione, presenza nei luoghi decisionali26 e nelle consulte elettive, ecc.) e la valutazione ex post dell’efficacia delle azioni adottate. A questo scopo è indispensabile avere a disposizione basi dati disaggregate per genere che siano dettagliate, accurate e con elevata profondità temporale.
Con il rinnovamento del 2010 il Codice ha fatto proprio l’orientamento per cui le previsioni di legge dovrebbero perseguire l’indistinguibilità tra i generi come situazione ex post cui tendere attraverso l’individuazione di precisi ambiti di intervento (occupazione autonoma e dipendente, imprenditoria femminile, conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, genitorialità, molestie, presenza delle donne nei luoghi decisionali e nelle consulte elettive), di direttrici strategiche (tutela dei soggetti discriminati e politiche attive) e adottando un approccio sistematico, il gender mainstreaming, affinché il principio delle pari opportunità non sia “più visto come un obiettivo perseguibile sulla base di specifiche politiche di intervento, ma come una finalità che permea di sé, in modo trasversale, tutte le attività pubbliche” (cfr. Dalla Rosa, 2010)27. Tuttavia, il Codice costituisce a sua volta
18 Nella stesura del 2010 il Codice ha specificato ulteriori forme di discriminazione, tra cui quella rispetto all’esercizio della funzione genitoriale, quella retributiva e di trattamento pensionistico.
19 Per condotte persecutorie si intendono le molestie, le molestie sessuali e ogni forma di ritorsione compreso l’ordine di discriminare.
20 Tale approccio al fenomeno delle discriminazioni dirette è stato per la prima volta recepito dalla legislazione nazionale con i DD.lgs.
215/2003 e n. 216/2003 che hanno attuato rispettivamente le direttive 2000/43/CE e 2000/78/CE.
21 Tale approccio al fenomeno delle discriminazioni indirette è stato per la prima volta recepito dalla legislazione nazionale dal Codice per le pari opportunità tra uomo e donna nel 2006 in recepimento della direttiva 2002/73/CE, in seguito abrogata dalla 2006/54/CE, in cui sono confluite le direttive 97/80/CEE, la 2000/43/CE e la 2000/78/CE.
22 Il Codice individua i soggetti legittimati ad agire (artt. 36-37), gli strumenti di tutela, a chi spetta l’onere della prova, le sanzioni irrogabili.
In particolare, quando il lavoratore fornisce dati idonei a presumere l’esistenza di comportamenti discriminatori l’onere della prova è invertito e spetta al convenuto. Tuttavia, gli strumenti di tutela extragiudiziale offerti dal Codice si sono rivelati del tutto inadeguati con la conseguenza che la tutela dei soggetti discriminati avviene per via giudiziaria comportando un forte aggravio in termini di tempo e di costi.
23 Azioni differenziate indirizzate a un preciso target di soggetti.
24 Si tratta di una massima aristotelica(cfr. De Marzo, 2007).
25 Le prime sono quelle volte a promuovere la cultura di genere in tutti gli ambiti della società come la famiglia, il lavoro e la scuola. Le seconde mirano a riequilibrare situazioni che penalizzano uno dei generi e sono quindi temporanee per loro natura, in quanto destinate a durare finché dura lo squilibrio. Infine, le azioni strategiche ovvero di lungo periodo sono quelle che coinvolgono tutti gli stakeholders e mirano a favorire la presenza delle donne in ambiti da cui è tradizionalmente esclusa o da cui si autoesclude.
26 Il Codice disciplina le quote rosa per l’elezione dei membri del Parlamento europeo. Tuttavia, è completamente disatteso l’importante tema della presenza delle donne nei luoghi decisionali.
27 Secondo l’art. 1, comma 4, del Codice “l'obiettivo della parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere tenuto presente nella formulazione e attuazione, a tutti i livelli e ad opera di tutti gli attori, di leggi, regolamenti, atti amministrativi, politiche e attività”.
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un punto di partenza per il legislatore in quanto concetti quali il gender mainstreaming, il bilancio di genere28 e le misure per la genitorialità non hanno trovato una concreta e diffusa applicazione e rischiano di rimanere lettera morta se non sarà introdotto per gli organi legislativi a tutti i livelli l'obbligo di rendicontare in chiave di genere l'attività normativa, predisponendo un’analisi di impatto di genere dei disegni di legge da approvare e un sistema di sanzioni efficaci nel caso di mancata ottemperanza a tale obbligo.
Ampi margini di miglioramento permangono riguardo ad alcuni importanti ambiti di intervento quali l’accesso delle donne ai luoghi decisionali, alle consulte elettive e le discriminazioni multiple che coinvolgono altre caratteristiche della persona quali le condizioni di salute, l’orientamento sessuale, l’etnia o la razza.
3 Gli organismi di parità a livello regionale e locale
La legislazione nazionale ha dispiegato i suoi effetti anche sull’azione del legislatore regionale e sulle figure istituzionali regionali ridisegnando il ruolo delle Regioni in tema di pari opportunità. In questo senso, il ruolo delle Regioni è stato meglio definito dalle riforme costituzionali del 200129 e del 200330 la cui lettura in combinato disposto dell’art. 51 della Costituzione, comma 1, e dell’art. 117 della Costituzione, comma 7, nel riconoscere il principio dell’uguaglianza di genere, fa discendere sulle Regioni l’obbligo di rimuovere “ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica” e di promuovere “la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive”. Ne consegue che alle Regioni è assegnato il compito di promuovere, anche attraverso lo strumento delle azioni positive31, le pari opportunità tra uomo e donna rispetto a importanti temi quali l’occupazione dipendente e autonoma, l’imprenditorialità femminile, la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, le molestie, la presenza delle donne nei luoghi decisionali e nelle consulte elettive e, in più in generale, l’uguaglianza sostanziale (art. 3 della Costituzione) dei cittadini.
Pur nel rispetto delle norme di rango costituzionale, delle direttive comunitarie e della legislazione nazionale32 che costituiscono un quadro di principi generali all’interno del quale è possibile muoversi, le Regioni sono chiamate a favorire la piena partecipazione delle donne alla vita sociale ed economica del Paese. I riflessi più evidenti della normativa nazionale sulle Regioni si sostanziano in una serie di figure e organi istituzionali di cui le stesse si sono dotate nel corso del tempo.
Gli organismi di parità. – Il Codice comprende gli organismi di parità istituti con la L. 125/1991 negli artt.
8-20 del Libro I, Titolo II, Capi III e IV definendone le competenze. Le Consigliere e i Consiglieri di parità hanno il compito di promuovere e controllare l'attuazione dei principi di pari opportunità e non discriminazione tra donne e uomini nel mercato del lavoro, interagendo con tutti quei soggetti che, a vario titolo, sono coinvolti nel tema delle pari opportunità e della lotta alla discriminazione di genere, al fine di creare sinergie positive33. Il Comitato Nazionale di parità e pari opportunità nel lavoro, istituito presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ha il potere di richiedere alla Direzione provinciale del lavoro di acquisire presso i luoghi di lavoro informazioni sulla situazione occupazionale maschile e femminile rispetto alle assunzioni, alla formazione e alla promozione professionale34. La rete nazionale delle Consigliere e dei Consiglieri di parità, presieduta dalla Consigliera nazionale, ha l’obiettivo di favorire lo scambio di informazioni, di esperienze, di buone prassi e di favorire l’accrescimento delle competenze dei partecipanti35.
Ci soffermeremo sulle funzioni e i compiti assegnati alle seguenti figure istituzionali:
1. La Consigliera regionale di parità, le Consigliere e i Consiglieri provinciali di parità e la loro rete.
28 Sul bilancio di genere cfr. il capitolo 4 della prima parte di questo volume.
29 L.Cost. 3/2011.
30 L.Cost. 1/2003.
31 Tale compito è desumibile da una lettura in combinato disposto degli artt. degli artt. 3, comma 2, art. 37, comma 1, art. 51, comma 1 e art. 117, comma 7 della Costituzione.
32 Il riferimento è alla L. 125/1991 e successive modifiche.
33 Artt. 12-20.
34 Artt. 8-11.
35Artt. 19. La rete nazionale include tutte le consigliere e consiglieri regionali e provinciali e si riunisce almeno due volte l’anno.
33 2. La Commissione regionale per le pari opportunità (CRPO).
3. I Comitati per le pari opportunità (CPO) nelle amministrazioni pubbliche regionali.
Consigliera regionale di Parità, Consigliere e Consiglieri provinciali di parità e la loro rete. – Queste figure istituzionali, cui sono assegnate dalla L. 125/1991 e successive modifiche36 funzioni consultive, propositive, di tutela e di vigilanza, hanno il compito di adoperarsi per la rimozione delle discriminazioni di genere in ambito lavorativo e di vigilare sulle condotte che ne costituiscano violazione. Ai sensi dell’art. 15 del Codice, i Consiglieri e le Consigliere di parità fanno parte delle Commissioni regionali e provinciali tripartite previste dagli artt. 4 e 6 del D.lgs. n. 469 del 1997; partecipano ai tavoli di partenariato locale e ai comitati di sorveglianza di cui al regolamento 21 giugno 1999, n. 1260 del Consiglio Europeo; inoltre, sono componenti delle Commissioni di parità del corrispondente al livello territoriale ovvero di organismi diversamente denominati che svolgono funzioni analoghe.
Le Consigliere e i Consiglieri di parità per assumere l’incarico devono possedere esperienze pluriennali in tema di mercato del lavoro, di lavoro femminile e pari opportunità (artt. 12-13 del Codice); requisiti addizionali possono essere previsti dalle Regioni a statuto speciale (RSS) e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano. Per le Regioni a statuto ordinario (RSO) il mandato, rinnovabile una sola volta, ha una durata di quattro anni e la nomina avviene con decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministro per le Pari Opportunità, su designazione delle Regioni e delle Province, sentite le Commissioni regionali e provinciali tripartite. I requisiti e la durata del mandato sono fissati con proprie leggi dalle RSS e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano. Per le RSS la nomina della Consigliera regionale di parità avviene con decreto37 del Presidente della Regione o dell’Assessore competente. Per le Province autonome di Trento38 e di Bolzano39 la nomina avviene con delibera delle rispettive giunte. Con la sentenza n. 167 del 21 aprile 2006 la Corte Costituzionale ha stabilito che la nomina può avvenire in via surrogatoria con decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali nel caso in cui le amministrazioni preposte non procedano alla nomina della Consigliera.
Queste figure svolgono le seguenti funzioni:
1. Propositive. Le Consigliere e i Consiglieri di parità hanno il compito di promuovere azioni positive (artt. 42-50 del Codice), attività formative e culturali in tema di pari opportunità, la diffusione e lo scambio di buone prassi, la predisposizione da parte di operatori pubblici e privati di interventi che favoriscano le pari opportunità al loro interno, la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
2. Di vigilanza, con il compito di monitorare i risultati conseguiti dai progetti di azioni positive.
3. Di tutela, con il compito di rilevare eventuali pratiche di discriminazione di genere da parte degli operatori pubblici e privati di loro competenza, di proporre misure di intervento (art. 37 del Codice) per rimuoverle e di proporre, su delega, azioni in giudizio di fronte al Giudice del Lavoro o al TAR competente in forma individuale o collettiva qualora “non ritengano di avvalersi della procedura di conciliazione” ovvero “in caso di esito negativo della stessa”.
4. Consultive. La Consigliera regionale di parità ha il compito di ragguagliare il legislatore regionale sulla coerenza delle norme proposte con il principio di gender mainstreaming. Ad esempio, in tema
4. Consultive. La Consigliera regionale di parità ha il compito di ragguagliare il legislatore regionale sulla coerenza delle norme proposte con il principio di gender mainstreaming. Ad esempio, in tema