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Riflessioni conclusive

Nel documento Gentes - anno I numero 1 - dicembre 2014 (pagine 104-107)

Vale la pena, in chiusura di questo articolo, conclude-re con due osservazioni.

In merito alla cosiddetta “pubblicità politica”, è in-teressante notare che, attraversato il periodo del dopoguerra e gli anni della maturazione democra-tica del paese, se ne è potuta osservare una ripresa. Anche oggi, infatti sulla scorta dei cambiamenti nel frattempo intervenuti nel panorama mass-mediatico e sociopolitico, ritroviamo una analoga tendenza del-la politica ad adottare le strategie pubblicitarie fina-lizzate ad accorciare le distanze e a porre emittente e destinatario sullo stesso piano, per instaurare una sorta di complicità. Riprendendo Antonelli (2007: 74) possiamo dire che la comunicazione politica ha re-imparato negli ultimi anni «ad adeguare il proprio linguaggio a quello del destinatario (come da sempre fa la pubblicità), abbandonando progressivamente la vecchia autoreferenzialità focalizzata sul mittente (il cosiddetto “politichese”). »

Infine, nel rapporto di parentela, ormai assodato, che si è stabilito tra le due forme di comunicazione finora esaminate, è lecito chiedersi: è solo la propaganda a modellarsi sugli schemi comunicativi della pubblicità, o anche quest’ultima si può ispirare alle strategie del-la propaganda politica?

Nel moderno scenario pubblicitario si registrano ta-lora esperimenti di questo tipo: risulta emblematica, ad esempio, la comunicazione del marchio di abbi-gliamento Benetton, affidata, nel periodo 1982-2000, agli scatti provocatori del fotografo Oliviero Toscani21.

21 Dal 1982 al 2000, Toscani trasforma l’azienda Benetton in uno dei marchi più conosciuti a livello mondiale; con il suo stile rivoluzionario e anticonformista ne definisce la strategia di comunicazione rifiutando i canoni pubblicitari tradizionali,

Nel caso in oggetto, il brand, alla stregua di un leader politico, forte del suo éthos, l’autorevolezza conquista-ta sul mercato, sale in cattedra e si arroga il diritto di proporre e, o, imporre, il proprio “punto di vista” su argomenti di particolare importanza sociale. Si pensi alle scioccanti tematiche del razzismo, della guerra, dell’AIDS, dell’ecologia, della pena di morte ecc. È la prima volta che ciò accade nel mondo della pubblicità commerciale.

In proposito, è legittimo chiedersi quanto tali opera-zioni siano contrassegnate da ‘innocenza comunica-tiva’, quanto sia lecito lo sconfinamento dal dominio del marketing a quello ideologico, quanto i compor-tamenti e le decisioni di acquisto del destinatario, in questo caso del consumatore, possano essere condi-zionate o influenzate dal prestigio di un marchio che diviene produttore di senso, di ‘valori’ immateriali e non di oggetti. Certamente non si tratta di messaggi esplicitamente formulati per promuovere temati-che pubblitemati-che o di carattere sociale; al tempo stesso, tuttavia, non possono essere definiti messaggi com-merciali, anche se l’obiettivo finale di ottenere una ricaduta positiva sull’immagine aziendale contiene, innegabilmente, un fine commerciale.

(soprattutto per la scelta di temi e atmosfere) e scegliendo l’elusione del prodotto. Toscani, per i suoi metodi pubblicitari, ispirati allo stile dello shock advertising, è stato oggetto di numerose critiche che, in alcuni casi, si sono tradotte in denunce e condanne da parte del giurì della pubblicità.

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