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5. Conclusioni 26

5.2   Riflessioni generali 27

Questo stage presso il laboratorio Appunti OFFS, mi ha dato l’opportunità di comprendere ancora più da vicino l’importanza degli inserimenti in ambiente “normale” delle persone disabili. Sia per loro, per sentirsi parte della società e non essere emarginati, ma anche per le altre persone.

Queste esperienze permettono di accorciare le distanze tra la società e i disabili, permettono di conoscerli e di imparare a vivere con la consapevolezza che fanno parte del mondo tanto quanto noi e per questo hanno i nostri stessi diritti. Inoltre la vicinanza permette di vedere non solo le parti negative della persona, ma di scoprire anche che nella sua particolarità, essa ha i suoi pregi e le sue competenze.

“Il bisogno di essere accolti è probabilmente l’esigenza primaria per qualsiasi essere umano che si affaccia al mondo.”35

                                                                                                               

35  LEPORI  Carlo,  viaggiatori  inattesi-­‐appunti  sull’integrazione  sociale  delle  persone  disabili,  

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Credo che questa frase esprima la verità e credo che il ruolo dell’educatore sia anche questo: lavorare affinché tutte le persone, in questo caso i disabili, possano essere accolti dagli altri. A questo proposito, metaforicamente per me l’educatore è un ponte. Il ponte viene utilizzato per collegare due estremità e penso che il ruolo dell’educatore sia quello di collegare le persone di cui si occupa, qualsiasi utenza sia, con il resto della società. L’incontro tra le persone è una delle forme di arricchimento maggiore, perché grazie a questo abbiamo modo di imparare dall’altro. Ognuno ha qualcosa da insegnare, qualcosa da dare e allo stesso tempo anche ogni persona avrà modo di “prendere” da qualcun altro.

Spesso quello che frena le persone è la paura del diverso, quante volte mi sono sentita dire: “io non potrei mai lavorare con queste persone.” Per questo ritengo che sia importante creare occasioni in cui la gente abbia la possibilità di confrontarsi con la diversità. Le molteplici esperienze lavorative e di colonia che ho avuto, mi hanno fatto capire quanto questo sia fondamentale e questo ultimo stage mi è servito da conferma. Lavorare dove persone disabili e persone normodotate condividono lo stesso contesto e hanno degli scambi di natura sociale è stato davvero bello per me. Ho potuto constatare da vicino la felicità degli impiegati nel sentirsi utili e riconosciuti, nell’avere un ruolo socialmente valorizzato nella società. D’altra parte la scoperta dei dipendenti OFFS, che la diversità non è per forza qualcosa di negativo da cui stare alla larga. Nell’allegato n°4 è possibile trovare tutte le risposte date alla domanda “cosa pensa in generale delle persone impiegare nel laboratorio”, che aiuta a comprendere le mie parole, grazie ai bellissimi commenti che sono stati fatti. In generale credo che sarebbe bello se ci fosse la possibilità di creare altre realtà come quella del laboratorio Appunti OFFS.

 

             

     

Bibliografia  

Libri:

- BALSAMO Carmen, Incontrare/ribaltare: riconoscersi tra diversità e disabilità – percorsi di sensibilizzazione dal nido alle superiori, Carocci Editore, 2004

- CAUSIN Paolino, De Pieri Severino, Disabili e rete sociale – modelli e buone pratiche di integrazione, FrancoAngeli, 2006

- GARDOU Charles, Diversità, vulnerabilità e handicap – per una nuova cultura della disabilità, Erickson, 2006

- GSHWEND HANSPETER, Traversine e traversie – l’Officina, il Ticino e la ferrovia del Gottardo, Fontana Edizioni, 2015

- IANES Dario, La speciale normalità – strategie di integrazione e inclusione per le disabilità e i bisogni educativi speciali, Erickson, 2006

- LEPORI Carlo, Viaggiatori inattesi – appunti sull’integrazione sociale delle persone disabili, FrancoAngeli, 2011

- RAVACCIA F., Handicappati: l’inserimento nel mondo del lavoro, Patron – Bologna, 1982

- SIDOLI Rita, CABRINI Mara, Disabilità adulta – problematiche educative e sociali, Diritto allo studio – università di Cattolica, 2008

- WEHMAN P., RANZAGLIA A., BATES P., Verso l’integrazione sociale – manuale di formazione delle abilità di vita nell’adolescente handicappato, Erickson, 1984

- WOLFENSBERGER Wolf, La valorizzazione del ruolo sociale – una breve introduzione al concetto di valorizzazione del ruolo sociale inteso come concetto prioritario per la strutturazione dei servizi alle persone, Editions Des Deux Continents Genève, 1991

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Documenti cartacei

- Linee direttive della Fondazione Diamante - Brochure del Laboratorio Appunti OFFS

- VALSANGIACOMO Nelly, MARIANI ARCOBELLO Francesca, Altre culture – ricerche, proposte, testimonianze, Fondazione Pellegrini Canavescini

- FONTANA Daniele, Tra socialità e mercato c’è un territorio

 

Allegati  

- Allegato 1: Intervista a Mario Ferrari, ex direttore della Fondazione Diamante - Allegato 2: Il questionario

- Allegato 3: Lettera di presentazione - Allegato 4: Risposte alle domande aperte

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Un’azienda dentro ad un’azienda: l’incontro tra Officine di Bellinzona e laboratorio protetto della Fondazione 1  

ALLEGATO N° 1

INTERVISTA MARIO FERRARI – EX DIRETTORE DELLA FONDAZIONE DIAMANTE

1) Come mai il laboratorio è stato inserito alle offs?

   

Non si prende mai la decisione di inserire. Nascono delle relazioni sul territorio e le relazioni spesso portano i progetti, e quindi ecco non è che avevamo l’idea di mettere qualcosa alle OFFS, però grazie ai contatti che si sono evoluti tramite il responsabile Ettore, abbiamo potuto costruire questa possibilità. Perché l’integrazione è fatta da tantissime cose, quindi portare le persone disabili, gli utenti, dentro una realtà produttiva è un mezzo per l’integrazione, cioè è una delle modalità di integrazione. Ce ne son tante, ci possono essere inserimenti individuali, abbiamo i 4 servizi di inserimento professionale dentro alle aziende, ma sono inserimenti in genere fatti su ogni singola persona. Poi noi avevamo comunque l’esperienza della Migros, l’esperienza della Migros era un’esperienza di inserimento d’un gruppo di persone con un operatore, dentro una realtà aziendale come la Migros. Con però una differenza, a pagare i salari è la Migros, mentre qui abbiamo tentato un altro modello, da una parte l’inserimento quindi in una grossa azienda nazionale, però inseriti come azienda noi stessi Cioè noi stessi eravamo una piccola azienda che riceveva in subappalto dei lavori. Un’azienda dentro ad un’azienda. Naturalmente supportata dal lavoro che ci veniva dato dalle ferrovie. Però essendo azienda, in fondo abbiamo poi sviluppato i nostri servizi anche per terzi. Quindi avendo noi una nostra autonomia, questa è una realtà abbastanza particolare. Però il principio da cui partivamo, ed è sempre stato uno dei principi dell’integrazione, è quello di rendere le persone reali. A renderle reali, non sono gli educatori, ma è il contesto reale che rende reali queste persone. Quindi far svolgere a queste persone un ruolo reale, un ruolo produttivo reale, rende reali anche queste persone, le rende più uguali, più vicine agli altri operai. Tant’è vero che mi ricordo all’inizio che quasi c’era una assiduità maggiore da parte dei nostri utenti, un rigore quasi maggiore da parte dei nostri utenti, che degli operai. Quindi questa era la sfida, abbastanza complessa e c’è voluto anche tempo per farlo capire agli operai delle officine. Ma in generale abbiamo avuto un atteggiamento positivo e di bella attenzione. Però all’inizio è sembrata una cosa un po’ strana, non è che sia stato così semplice. Abbiamo trovato nell’allora direttore un’attenzione molto elevata a questo progetto, che poi ha fatto costantemente dei passi avanti, solo funzionale all’officina poi ha avuto anche un espansione nello svolgere altre attività per conto terzi.

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2) L’ideazione e l’attuazione sono state fatte in collaborazione?

C’è stata collaborazione, il progetto si ispirava al progetto della Migros, però l’abbiamo creato con un modello economico diverso. In cui noi offrivamo dei servizi e i salari eravamo noi a pagarli, quindi avevamo anche uno stimolo produttivo diverso. Però questo come dico, è uno degli strumenti di integrazione, uno dei modelli di integrazione. D’altra parte non so, altre esperienze come quella. Inserire un nostro piccolo progetto, però in una funzione grande come quella delle ferrovie, o se pensiamo al Bistrò 57 era quello di inserirlo in un progetto enorme, gigantesco, come quello della galleria del Gottardo. Dopo peccato che le condizioni han portato a doverlo chiudere, però era un’idea forte. Quindi come dicevo, per rendere reali le persone bisogna inserirle in contesti reali. Questo era il primo principio. Per farli crescere è bene inserirli anche in progetti grandi. Dove le persone si sentano protagoniste di un progetto grande. Questo è un po’ lo scopo. Lo si può fare in tanti modi, perché per esempio anche con Cabla prima eravamo dentro in un “cosettino” piccolo, piccolo laboratorio nostro, separato. Dopo l’abbiamo messo dentro in un contesto di altre realtà produttive, con cui non abbiamo grosse relazioni, però mi ricordo che gli utenti essendo passati da questo “laboratorietto” separato e avendo costruito come una specie di “fabrichetta”, cioè avendo realizzato un reparto, si erano sentiti maggiormente valorizzati dal loro ruolo, dei veri operai, dei veri protagonisti. Quindi il progetto deve anche portare a un protagonismo, protagonismo lavorativo e nel contempo sociale. Ecco perché il terzo elemento è quello che quando tu metti in piedi un’impresa sociale come questa, il compito non è solo quello di dar lavoro e dar ruolo agli utenti, ma è anche quello di cambiare la sensibilità e l’attenzione degli altri. Quindi valuterai tu se questo con la tua ricerca se è capitato qualcosa di positivo e questa è una bella domanda. Nelle fasi di costruzione del progetto per non essere solo integrazione ma anche inclusione, devi sensibilizzare le parti sociali ma sensibilizzare anche il capo operaio, capo officina, così, in modo da avere dentro all’azienda dei punti d’appoggio, dei pilastri.

3) Avete fatto degli incontri preparatori?

Chiaro, delle riunioni regolari, non solo per spiegare ma anche per seguire il progetto, per monitorarlo, per verificarlo, quindi non eravamo solo noi, ma anche loro che partecipavano. E poi naturalmente puoi giungere a quegli avvenimenti anche a volte un po’ drammatici, come quando volevano chiudere le officine, in cui tu partecipi anche alla crisi dell’officina. Quindi abbiamo partecipato solidalmente, dando piccoli servizi, nel momento dello sciopero alle Officine c’è stata anche lì una coesione in questo momento particolarmente complesso.

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Un’azienda dentro ad un’azienda: l’incontro tra Officine di Bellinzona e laboratorio protetto della Fondazione 3  

4) Inizialmente ci sono state persone sfavorevoli al progetto?

Non ricordo questo dico la verità, sfavorevoli no. Il problema magari, se ci può essere un pregiudizio del genere, era il problema della qualità del servizio. Questo naturalmente come per Cabla, quando fai pezzi di ascensore, ci sono anche problemi di natura assicurativa. Quindi qui svolgi lavori magari meno complessi chiaramente, però ecco ci si può accostare anche a problemi di insicurezze e cose del genere, e di garanzia della qualità. Quindi forse un certo ostacolo è stato quello di riuscire a dimostrare che la qualità del prodotto era analoga a quella che può produrre un altro operaio normale. Questo è un pregiudizio da superare, perché qui c’erano comunque controlli di qualità. D’altra parte la stessa cosa per la lavanderia, quando tu devi poi fornire un prodotto che abbia tutte le caratteristiche di una lavanderia normale. Ma anche qui se fai dei pezzi per le Officine a un certo punto devi essere in grado di fornire. Fare un lavoro di grossa qualità. Quindi far superare questo pregiudizio, lì ci è voluto un po’ di tempo, qui però lo devi dimostrare coi fatti, che le lampade son fatte in maniera perfetta, adeguata. E questa è anche una lotta per l’integrazione, perché dimostri concretamente le tue capacità. Il pregiudizio è la sfida da superare.

5) Il primo incontro tra utenti e operai come si è svolto?

Senz’altro positivo. L’atteggiamento era positivo e non mi sembra neanche che c’era questa preoccupazione che portassimo via lavoro o cose del genere, perché in fondo avevano scelto tipi di attività che erano adeguati. Va detto che però qui, si era già inserita un’attività dell’istituto Madonna di Re, c’erano già degli utenti che venivano a fare dei piccoli lavori. Noi però avevamo gente più attrezzata, avevamo utenti più preparati, e quindi non si è creato nemmeno un conflitto tra la presenza dell’istituto madonna di re, a quel momento diretto dal Don colombo, e noi che siamo venuti dopo ci siamo inseriti con un ruolo più professionale. Però c’era già una presenza, c’era già una collaborazione con l’istituto qui di Bellinzona, quindi c’era già stata anche una sensibilizzazione grazie a loro. Il concetto di Normalizzazione era questo, era quello di inserire le persone in contesti normali. Non che li rendevi normali, perché non puoi sciogliere la difficoltà, l’handicap e così. Fargli vivere più possibile una vita normale. Dopo naturalmente ognuno col suo sacchetto di pregi e difetti che si porta dietro, ma questo l’ha anche l’operaio. Ma quando tu lo metti dentro in questo contesto è chiaro che la percezione del loro ruolo sociale cresce. Quando tu citi Wolfensberger, questa era la realizzazione dei sette punti legati alla valorizzazione del ruolo sociale, che comunque abbiamo cercato di sviluppare in questo contesto. La percezione d’essere utente di un laboratorio protetto, e poi aver questa percezione di essere un operaio delle officine, vedi che storia che c’è. Quindi la creazione di queste imprese sociali era anche per togliere quel marchio che pur

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senza volere, anche il laboratorio in parte dava. Perché è il luogo riservato solo a queste persone. Mentre questo quindi diventa una delle possibilità interessanti per permettere una percezione di sé stessi diversa. Di operaio. Forse l’altra cosa in rapporto agli inserimenti individuali che sono perfetti, è che qui togli all’azienda l’onere e la responsabilità delle difficoltà relazionali o di altro tipo che può avere una persona. Nel senso che il supporto professionale e pedagogico glielo mette dentro l’azienda. Mentre chiaramente quando fai gli inserimenti individuali c’è l’operatore che passa a vedere com’è la situazione. Lì devi quindi costruire in maniera più forte un supporto interno. La persona è dentro a titolo individuale. Quello è ancora un passo successivo e più avanzato. Però senz’altro questo è uno dei modelli che non è così facile da realizzare. Perché capisci oggi le aziende sono così fragili, già nei rapporti di lavoro, precariato e altre cose, su chiamata e così, per cui non c’è più spesso una compattezza dell’azienda che ti da stabilità. Quindi questi progetti, noi abbiamo avuto questi due, Migros e questo. Ma credo che se andassimo oggi a proporre a Migros un progetto così, non accetterebbero più, ma forse neanche le FFS. Credo che oggi i contesti son così cambiati e purtroppo anche questa attenzione non c’è, è diminuita purtroppo. Anche se come dico abbiamo avuto direttori che hanno avuto buone intenzioni, perché poi in fondo è un’esperienza che diventa anche un capitale sociale, che l’azienda può vendere. Uno può pregiarsi di aver questo tipo di sensibilità. E quindi quando un’azienda fa il suo bilancio sociale, può inserire tra le altre cose anche questo, che è molto interessante.

6) All’inizio del progetto si è dovuto modificare l’ambiente per

l’utenza?

Ma più che altro abbiamo ricavato gli spazi. È stata una conquista degli spazi più che altro. Anche le officine hanno regole molto severe sul piano della sicurezza, più che altro quindi la contrattazione è stata per allargare gli spazi. Sia questi, sia quelli della lavanderia, quindi è stata più una contrattazione di questa natura. C’è sempre stata una bella collaborazione anche sugli investimenti e sulla messa a disposizione degli spazi. Quindi non è che l’officina si sia modificata, perché già come dico hanno norme di sicurezza tali che sono adeguate alle nostre. D’altra parte ostacoli particolari, a livello fisico non ce n’erano. Quindi no, da questo profilo l’officina non ha dovuto modificarsi. Più che altro ci siamo un po’ estesi. Una complessità di questo è poi seguire le officine e anche la contrattazione continua del tipo di lavoro, del tipo di pagamento del lavoro. Queste sì, questa è sempre stata una costante. La responsabilità di fornire lavoro, in parte era loro, ma era anche nostra nel senso di cercarlo e di conquistarlo e di contrattarlo. Sia il tipo di lavoro che andava bene, la tipologia del lavoro, quella adeguata agli utenti, e il prezzo del lavoro, per non finire a lavorare sotto costo e in malo modo. Le pressioni che loro ricevono a livello

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Un’azienda dentro ad un’azienda: l’incontro tra Officine di Bellinzona e laboratorio protetto della Fondazione 5  

Nazionale, le possono far ricadere su tutti i reparti ma anche sul nostro. Quindi questa è una dinamica che c’è sempre stata, in certi momenti è stata più dura più difficile. Conquistarsi il lavoro, la quantità di lavoro, e la qualità per avere un prezzo adeguato, per poi distribuirlo in termini di paghe. Per inserirsi in una modalità che sia dignitosa per tutti.

7) Il contatto tra operai e utenti avveniva solo a livello lavorativo o

anche in altri momenti?

Per alcune feste. C’era lo scambio a livello di lavoro. Poi dopo si mangiava fuori e quindi non c’era neanche l’occasione. No da quel profilo, adesso non lo so, ma in quel momento c’erano i contatti, ma erano fondamentalmente contatti di lavoro. Si sono molto arricchiti nel momento dello sciopero. Lì sì, nel momento dello sciopero noi abbiamo offerto dei servizi, abbiamo fatto da mangiare, lì abbiamo partecipato e quindi in questo momento di crisi, di solidarietà reciproca, all’ora gli scambi sono aumentati. Però fondamentalmente erano scambi di natura professionale.

Non sembra vero ma la divisa in qualche modo sottolinea questo ruolo. Mettere i pantaloni, mettere la giacca, questo da un ruolo. Non è una sciocchezza, è una cosa importante e significativa.

Sarebbe bello vedere a livello di direzione e a livello nazionale, come utilizzano questa esperienza. Forse andare a vedere come hanno presentato sugli organi ufficiali questo laboratorio. Può essere una pista, parte del tuo lavoro. Oltre alle interviste, vedere sugli organi ufficiali, come è presentato.

Rispetto al primo incontro, la mia impressione è che abbiamo cominciato a lavorare. Quindi non è che ci sia stata una riunione. Fondamentalmente ho l’impressione che non c’è stata una presentazione. Abbiamo cominciato a operare, e operando ci siamo presentati.

8) Ci sono state nel tempo delle lamentele o dei malcontenti?

No, ci sono stati gli avvicendamenti di direzione, che quelli sì hanno creato problemi. Ad ogni avvicendamento ci sono stati problemi di relazione, perché li bisognava ricostruire, per assicurarci il lavoro. Bisognava ricostituire i ponti. Capitava che un direttore lo lasciassero a casa da un giorno all’altro, quindi si rompevano delle cose.

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ALLEGATO N°2

QUESTIONARIO  PER  I  DIPENDENTI  OFFS  DI  BELLINZONA  

 

 

Dati  anagrafici     1) Età  

meno  di  20           21-­‐30            31-­‐40               41-­‐50             più  di  50         2) Sesso    maschio               femmina       3) Stato  civile   nubile/celibe           convivente                sposato/sposata                divorziato/divorziata           vedovo/vedova         Domande  introduttive    

4) Da  quanti  anni  lavora  alle  OFFS   _________  

 

5) In  che  reparto/ufficio  lavora?   __________________________  

 

6) Nel  suo  reparto/ufficio  si  occupa  

della  produzione          dell’amministrazione      

7) Lei  fa  uso  del  servizio  di  lavanderia  del  Laboratorio  Appunti?     Sì            No    

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Un’azienda dentro ad un’azienda: l’incontro tra Officine di Bellinzona e laboratorio protetto della Fondazione  

8) Se  ha  risposto  di  no,  può  indicare  come  mai  non  ne  fa  uso?    

______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ _______________  

 

9) Le  capita  di  incontrare  gli  impiegati  del  Laboratorio  Appunti   tutti  i  giorni      

almeno  due  volte  alla  settimana     qualche  volta  al  mese        

mai    

Se  ha  risposto  “mai”  può  andare  direttamente  alla  domanda  27    

10)  Solitamente  gli  incontri  avvengono    nel  mio  reparto/ufficio    

 nel  Laboratorio  Appunti      all’esterno  dei  reparti                altrove               (sono  possibili  più  risposte)    

Domande  in  merito  agli  incontri  nel  vostro  reparto/ufficio  o  in  laboratorio    

11) Quando  gli  incontri  avvengono  nel  suo  reparto/ufficio  trova  che  

gli  impiegati  del  laboratorio  hanno  un  comportamento  adatto  all’ambiente                     gli  impiegati  del  laboratorio  non  hanno  un  comportamento  adatto  all’ambiente      

     

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12) Se  le  dovesse  capitare  di  recarsi  presso  il  Laboratorio  Appunti  per  una  necessità  a   chi  si  rivolgerebbe?  

a  un  impiegato     a  un  operatore     al  responsabile      

13) Se  le  capitasse  di  rivolgersi  a  un  impiegato  perché  lo  farebbe?    

penso  sia  competente  nel  suo  lavoro       per  gentilezza,  ma  poi  chiedo  conferma  a  un  operatore  o  al  responsabile       in  quel  momento  non  c’è  un  operatore  o  il  responsabile  a  cui  rivolgermi        

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