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Riflessioni su Mosaico di Pace

L‟analisi fin qui descritta e l‟esperienza di Danilo Dolci ci portano adesso ad esaminare il contributo, in termini di proposta e riflessione, scaturito dal dibattito che si aprì nella fase di escalation del conflitto con la mafia. Sono diverse le ipotesi di soluzioni nonviolente contro il fenomeno su cui ci si soffermerà. Il confronto ha coinvolto studiosi, saggisti e attivisti nonviolenti di estrazione laica e cattolica e ha portato all‟individuazione di alcuni rimedi concreti per una lotta costruttiva contro la violenza di un fenomeno particolarmente radicato nelle società meridionali e fortemente in espansione come modello criminale anche nel resto del territorio nazionale. Il dibattito si è acceso in seguito alla pubblicazione di articoli, saggi e libri. Dei più rilevanti analizzeremo sinteticamente il contenuto seguendo un ordine cronologico.

Nel 1990, due anni prima dell‟attacco più violento di Cosa nostra, Mosaico di Pace, rivista mensile di Pax Christi, pubblicò due articoli su nonviolenza e mafia firmati dal sacerdote Giorgio Pratesi e dalla geografa e attivista nel sociale Giuliana Martirani.1 Nello scritto di Pratesi il punto di partenza è dato dal riconoscimento della debolezza delle istituzioni nei confronti del fenomeno e anzi si sottolinea come le collusioni con la politica rendano ancora più complicata la soluzione del problema. Ed è già chiaro, e siamo nel 1990, che la mafia non è più immaginabile come un corpo estraneo alla società ma come fenomeno che si manifesta al suo interno godendo di consenso e complicità. La quota di società civile che non si riconosce nel modello subculturale mafioso viene vista da Pratesi in posizione arretrata, rinunciataria, pessimista. Gli intestatari della lotta contro le cosche sono delegittimati da una visione segnata da disillusione e assenza dello Stato. Eppure, secondo Pratesi, già allora c‟erano tutti motivi per non rimanere inoperosi. Per una serie di ragioni e di segnali: l‟esaurimento dell‟atteggiamento passivo nella gente, una Chiesa più attiva nel territorio

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Cfr. G.Pratesi, Come contrastare la mafia?, G. Martirani, Voi sparerete le vostre Lupare e noi

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meridionale afflitto da soprusi e intimidazioni, movimenti più intraprendenti nella società civile, esperienze politiche incoraggianti come quella di Orlando a Palermo2, la crescita di una gioventù sempre più in linea con quella dell‟intero Paese verso la modernità, il fenomeno del pentitismo. Il metodo nonviolento viene indicato come rimedio antimafia nella sua dimensione di prassi del tutto opposta a quella della mafia. Questa si serve della violenza per ottenere obiettivi di potere, intimidisce, opera nell‟interesse di singoli o del gruppo di riferimento, si autolegittima, si fonda su silenzio e omertà. Il nonviolento invece gioca tutto sull‟ascolto, sull‟affermazione dei diritti, si mette in discussione, ha per strategia il dialogo e il confronto.

Nell‟immaginare pioneristicamente una strategia nonviolenta, l‟autore dell‟articolo invoca subito intraprendenza e una scelta di campo culturale con una piena dissociazione da ogni tipo di atteggiamento connivente con lo stile mafioso. Strategie educative, sensibilizzazione e motivazione di gruppo sono le strade sulle quali tracciare un percorso fatto anche di azioni semplici come marce e spettacoli. Giorgio Pratesi punta tutto sulla gente, sulla necessità di dar fiducia ad una collettività lontana dalle istituzioni. Si anticipa il tema dell‟empowerment, la costruzione della partecipazione consapevole alla vita sociale. Un‟altra intuizione sta nell‟avere individuato nell‟isolamento dei protagonisti della lotta l‟anticamera della sconfitta. Ed è per questo che il metodo nonviolento può fornire quella solidarietà indispensabile ai minacciati ai quali necessità il coraggio di andare avanti nella propria sfida. Pratesi tocca dunque più aspetti, la questione strutturale, data dal rapporto già in profonda crisi fra collettività e istituzioni, e la questione culturale che non assolve la società dalle connivenze con la mafia. E l‟avere individuato nella nonviolenza un possibile grimaldello sui due fronti conflittuali, dà l‟idea di come fossero già maturi i tempi per una riflessione sulla complessità del fenomeno e sulla domanda di approccio multidisciplinare.

È originale anche il contributo al dibattito offerto nell‟articolo successivo da Giuliana Martirani che si concentra sul ruolo delle parrocchie e sul concetto di obiezione di coscienza applicato al sistema mafioso. Il suo è un dettato etico-religioso- nonviolento che indica il modo per organizzare la speranza-conversione suggerendo “sette virtù parrocchiali”. Alla Martirani non sfuggono alcuni aspetti antropologici importanti per la mafia e per la sua maniera di alimentare il consenso. La questione del

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leader: per Martirani va promossa nelle parrocchie l‟obiezione di coscienza nei confronti del capo e va praticata la riaffermazione di Dio come il solo capo. E poi attraverso il metodo dell‟obiezione di coscienza si dovrebbe: sottrarre ai mafiosi il potere di mediazione istituendo alternativi collegi arbitrali parrocchiali; sottrarre ai loro sodali l‟esclusiva dell‟organizzazione delle feste patronali con la relativa pretesa di donazioni (chiamate para-tangenti) sostituendole con festeggiamenti di fratellanza; puntare ad evitare che i ragazzi finiscano nella rete del reclutamento mafioso creando cooperative scolastiche per affrontare il tema della dispersione e dell‟avviamento al lavoro; operare per scardinare il sistema delle protezioni finalizzate alla giustizia sommaria secondo le modalità mafiose. E ancora, si potrebbe praticare l‟obiezione di coscienza nei confronti degli istituti bancari conniventi con il sistema mafioso e l‟obiezione di coscienza da parte dei sacerdoti nei confronti di mafiosi anche se professano fede per mantenere alto il loro prestigio presso la comunità.

Anche nel caso della Martirani si è di fronte ad un contributo di particolare valore perché affronta il tema della responsabilità della Chiesa contro la mafia, del suo ruolo di agenzia culturale e sociale. È anche particolarmente efficace il ricorso all‟obiezione di coscienza come categoria della nonviolenza da esercitare contro una forma sbagliata di potere. Si è di fronte ad una sorta di epistemologia cattolica- nonviolenta che avrebbe meritato successivi approfondimenti e sperimentazioni sul campo.

4.2 L’articolo di Guglielmo Minervini e un saggio su Osservatorio Meridionale