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RIFLESSIONI SULLA PRETESA INCAPACITÀ DEI REALISTI

Nel documento Opere scelte Volume 1 (pagine 95-105)

R I F L E S S I O N I S U L L A P R E T E S A I N C A P A C I T À D E I R E A L I S T I , E D E S C L U S I V A A B I L I T À D E I L O R O A V V E R S A R I1

Una rivoluzione di sei lustri ha cambiate in gran parte le relazioni sociali e politiche dell'Europa, non che del mondo intero. Se i princìpi d'ordine e di buon governo prevalsero alla fazione demagogica, che professava massime opposte, nella generale ristaurazione però fu forza ai vincitori di adottare in parte, per cautela degli interessi recentemente nati dall'universale trambusto, l'azione governativa dei vinti.

Questa circostanza, prestando ai medesimi opportuna occasione di conservare a molti co-settari un potere individuale, ne avvenne che un principio, il quale adottato con discernimento e moderazione poteva trar seco il maggior bene degli amministrati ricevendo una soverchia estensione, minaccia fin nelle proprie basi nuovamente la buona causa. Invano il rinnovamento d'alcune scene di ribellione avrebbe dovuto servire di correttivo; il pregiudicio (così essendo permesso chiamarlo) sempre ha prevalso. Sia lecito dunque l'affrontarlo ancora una volta, abbenché serbisi dubbia la speme di vincerlo e sradicarlo.

« Noi vogliamo dei realisti », dicesi, « per collocarli nei pubblici uffizi, ma dove prenderli se tutti sono incapaci? L'abilità governa-tiva trovasi purtroppo presso i soli impiegati, che si formarono durante la rivoluzione; essi hanno solamente il talento esclusivo di ben governare; i servitori fedeli sono buona gente, ma imbecilli ».

Questa massima, ripetutamente proclamata, appoggiandosi con qualche esempio d'incapacità, facile a rinvenirsi presso tutti i governi e fra le varie opinioni, si è radicata nella mente d'alcuni fra gli stessi ot-timati della buona causa a segno che il nome di realista generalmente equivale al dì d'oggi alla taccia d'incapace, ed avvegnaché riguardisi come necessario di non urtare i nuovi interessi, s'aggiunge essere peri-coloso il comprometterli, giovare l'impiego delle persone d'equivoca fede a fine d'affezionarle alla legittimità, non doversi aver dubbio sulla devozione dei realisti, che sempre agevol cosa è il ritrovare al momento del pericolo.

i. Apparso, con firma P..., in «L'Amico d'Italia» (Torino), IV, 1825, voi. VIU, pp. 117-128.

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Una così funesta tattica avendo per chiaro motivo di stancare gli amici del trono nella loro fedeltà, e di togliere ai governi legittimi i suoi ultimi partigiani disgustandoli con spingerli fors'anche ad atti imprudenti, egli è permesso a chi nel difendere la causa del trono preal-legato aspira non meno a sostenere gl'interessi di coloro che la profes-sano, egli è permesso, dico, l'impugnare così assurdi e rovinosi princìpi.

Tolga il cielo che, declinando dalla moderazione dovuta, si cerchi d'opporre a una massima ingiusta e assoluta dei canoni esclusivi. Avversi alle reazioni, che non sono o legali o provocate di nuovo, ep-perciò indispensabili, non proporremo per correttivo a prò dei buoni la generale esclusione dei loro avversanti; solo è nostro assunto il pren-dere a dimostrare che i realisti non sono incapaci come supponesi, e che, tolto dalla vantata scienza governativa dei loro oppositori quanto v'ha d'illusorio per lasciare la sola realtà, questa non è così difficile, che ogni uomo, il quale abbia buon senso, impegno pel bene e capacità naturale, non sia in caso di professarla con successo.

Giova in primo luogo premettere che, siccome in ogni classe so-ciale nascono uomini di talento e di ottuso ingegno, non vorrà, spe-riamo, sostenersi che la provvidenza con atto di reprobazione, negando ai realisti le facoltà intellettuali dovute alla natura, tutti li faccia nascere imbecilli. Reclamando per essi niuna preminenza morale pertanto, ma solo ugual condizione, rimarrà dunque a provarsi la possibilità di avere quello sviluppo dell'ingegno, con cui s'impiegano utilmente i talenti dalla natura concessi.

Ora sì fatto sviluppo, come non potrà contendersi, ripetesi intiera-mente dall'educazione scientifica e letteraria. Se non neghiamo i pro-gressi d'alcune scienze, ci sarà permesso però l'osservare come prima della rivoluzione il mondo del tutto non fosse ignorante, e le classi più elevate della società si applicassero a coltivare la propria istruzione. I realisti vecchi impertanto sembrano non potersi asseverare del tutto non istruiti; qualche eccezione non prova contro il nostro assunto, con-ciossiacosaché, ove si dovesse venirne a citazioni, numerosi esempi si potrebbero addurre di persone che, portate nei trambusti politici a posti elevati, cui non li chiamava il proprio talento e l'educazione, pro-varono nei medesimi altrettanta ignoranza che malavoglia. I realisti poi, i quali trovansi sul mezzo del viver loro, esperimentati dalle disgra-zie, da cui, se talvolta vien depresso l'ingegno, generalmente però è renduto più attivo alla difesa, ricevettero lezioni sufficienti per imparare, e giova credere che tanto ignoranti non siano, poiché vinsero nell'inter-venuto conflitto avversari così capaci ed intelligenti. I giovani final-mente, anziché procedere retrogradi come sono accusati, conservandosi

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occupati e studiosi, e non rinunciando ai progressi della cultura intel-lettuale, ne adornano le loro menti per difendersi appunto dalla taccia d'ignoranza generalmente ad essi attribuita. L'educazione adunque, per cui viene assicurato lo sviluppo dell'intendimento, non manca ai realisti; vi sarebbero forse motivi per asserirla maggiore, che non nei loro avversari, ma moderati sempre, contentiamoci di riclamarla uguale. Stabilito il principio d'una eguale educazione, esaminiamo perché agli uni debba fruttare ignoranza, agli altri capacità esclusiva. Mi si risponde, che tale è il risultato della pratica ; essersi di fatto generalmente immutato il sistema governativo, le antiche massime e i metodi ricono-sciuti buoni una volta, a nulla più valer oggi: complicatosi il governo, averne solo la pratica conoscenza coloro, che un continuo impiego rese abili ai propri uffici, non potersi piegare le menti già provette a nuovi ordinamenti, costare di troppo una tal cosa alla natura umana, che sempre ci fa ravvisare migliori i tempi della prima nostra età. Risultarne pertanto inconcepibili pei vecchi realisti le nuove arti governative; quelli tra loro non vecchi, ma già maturi di età, non esser atti a comin-ciar altri studi, e finalmente ammettersi che i giovani tentino d'abilitarsi, ma dovere frattanto i capaci soli riunire tutti gli uffizi, soli essere posti cioè in grado di conservarli, associandosi i co-settari e facendo loro ot-tenere i posti vacanti.

Sebbene molto vi potrebbe essere a ridire su certe parti di questa generale immutazione governativa, varie tra le quali ci affrettiamo però a riconoscere utilissime, tuttavia osserviamo pacatamente perché i realisti divisi nelle tre epoche dell'umana vita, come abbiam fatto, non possano aspirare ad essere iniziati in questi nuovi misteri.

I pubblici uffizi voglionsi a parer nostro dividere in tre somme classi : i magistrati che la giustizia rendono; gli amministratori, da cui la for-tuna pubblica si governa; i militari, che la patria difendono. Ugual-mente onorevoli impieghi, che mantenendo illesi i dritti privati nel curare gl'interessi generali e particolari, difendendo l'indipendenza nazionale, come la pubblica quiete, meritano tutti di essere considerati e hanno pari diritto alla generale riconoscenza.

Stabilita sì fatta divisione, riconosciamo i progressi di questi tre rami del buon governo per dedurne se più facile di prima sia, o no, l'esercire gli uffizi preallegati.

Ella è cosa innegabile che le leggi civili, come le criminali, han ricevuto un utilissimo miglioramento. Esonerate diffatti molte parti delle medesime da una generale confusione, ridotte a più chiare e solide basi, gl'interessi privati ne risultano più facili ad esperirsi, i delitti più prontamente, con maggiore giustizia ed agevolmente puniti, illesa

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l'innocenza tal volta compromessa, le pratiche crudeli abolite. M a se leggi più chiare e facili ne governano, non sarà ella più agevole cosa altresì lo averne la conoscenza, l'interpretarle e curarne l'applicazione? E quegli antichi magistrati, cui lo studio dell'intera vita rendea fami-gliari le astruse conoscenze del foro, saranno essi inetti a rendere la giustizia, secondo la nuova più semplice legislazione? E coloro che studiarono i princìpi del diritto, i quali sono invariabili, giunti ad età matura dovranno tenersi incapaci d'applicarlo, secondo nuove norme, che più chiaro lo rendono, tuttoché sieno stati alcuni anni senza eserci-zio? I giovani finalmente, che amore di studio spinge a istruirsi, non potran pervenire ad imparare cose meno ardue di quelle dai loro padri studiate? Sostenere un opposto sistema, sarebbe negare la luce e rinun-ciare ad ogni raziocinio.

Deesi parimente ammettere che l'amministrazione economica ha fatti rapidi progressi verso il buon governo: avvegnaché le tasse più egualmente ripartite, la contabilità resa più chiara, il credito nazionale assicurato, sempre quando un reggimento giusto, forte e legittimo è stabilito, le passività pubbliche aumentate purtroppo a dismisura per le sovraggiunte turbolenze, che necessitarono maggiore azione gover-nativa e più complicata intervenzione dell'autorità nei rapporti sociali, ma regolata tuttavia con severo ordine, sono tante migliorie incontrasta-bili, che i realisti illuminati non contendono, abbenché vogliano distin-guerle da quanto havvi d'illusorio e non reale nei numerosi ordinamenti amministrativi oggi giorno stabiliti, e non a caso sempre più intricati. Ma, siccome nell'amministrazione appunto, maggiormente si vanta l'abilità degli avversari, discerniamo ora la vera dalla falsa perizia, i miglioramenti effettivi da quelli che non solo tali non sono, ma difetti veri debbonsi chiamare. Nell'amministrare la fortuna pubblica, oltre alla scrupolosa fedeltà, vuoisi in primo luogo avere per norma la fa-cilità e chiarezza. Tutti i calcoli astrusi impertanto e le speculazioni morali, che traendo ad astrazioni conducono ad errori, o quanto meno espongono ad inciamparvi, vogliono dal buon governo amministrativo bandirsi. Ora, se ammettiamo che le norme generali, con cui il riparto dei tributi è regolato, la contabilità posta in pien giorno, il credito sta-bilito, le spese pubbliche puntualmente e giustamente ordinate, qual è l'uomo di buon senso, il quale vorrà negare, che la complicazione delle formalità, le spedizioni ripetute, i numerosi inutili confronti, la smania di moltiplicare le scritturazioni, quei vari lavori spesso non ne-cessari, destinati unicamente ad ingombrare gli archivi, fatti ornai troppo angusti per contener tante carte, non siano difetti, i quali minacciano l'amministrazione moderna di una nuova confusione peggiore forse

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di quella, che al poco ordine prima esistente rimproveravasi? Su questo punto vediamo come i più dotti economisti e uomini di Stato di sommo grido sono concordi. Lo spirito di centralità volendo assorbire il governo di tutte le pratiche amministrative, è costretto a delegarle ad impiegati subalterni: avvegnacché qual è l'uomo di Stato le cui forze fisiche e morali basterebbero per sopravvedere tutto? Risultato di questa delega-zione si è la complicadelega-zione sempre crescente degli impiegati inferiori per proprio interesse coltivata, e perché rendesi di maggiore importanza e necessità l'opera loro, e perché così più agevolmente l'opinion dei medesimi, non quella dei capi, prevale nel disbrigo degli affari; quindi ne nascono le possibili sorprese, quindi quegli inconvenienti, che la maggiore buona volontà è incapace d'impedire, quindi finalmente quella taccia d'inabile ad alcuni realisti attribuita nei posti elevati da essi coperti, comunque fossero d'ingegno assai chiaro.

Ma se, rese più semplici le pratiche amministrative, diminuite quelle tante soverchie spedizioni, con cui curandosi il materiale all'ec-celso si trascura di necessità la parte morale degli affari, l'amministra-zione venisse ridotta al buon governo semplice e chiaro della economica condizione di una gran famiglia, cosa potrà rinvenirsi di tanto difficile nella medesima? I vecchi amministratori, che sapevano in fin di conto, poiché procedeva il governo loro in mezzo a pratiche confuse ed oscure, di cui si traeano d'impaccio, perché non potrebbero conservar l'ordine e la chiarezza parti essenziali dell'amministrazione? Gli uomini adulti, che un nobile zelo spinge a servire quel governo, cui sempre vissero fedeli, come non sapranno governare secondo un sistema dell'antico più facile ed ovvio? I giovani per ultimo dati a studiarlo, non riusciranno eglino ad impararlo?

Ah, si rinunci pure alle dissensioni, pongansi in oblìo i danni con tanta pazienza sofferti, ma non sia negata almeno la partecipazione a uguali diritti per servire un governo, cui tanto i nostri princìpi ci affe-zionano! Abbiansi coloro che, nati od allevati durante l'usurpazione, giunsero per essa agli uffizi, la continuazione dei medesimi, se vi si comportano da uomini onesti e fedeli, ma non si professi un'esclusione a danno dei reali : essa è tanto impolitica quanto non fondata ed ingiusta. Venendo poi alla milizia, la quale nelle arti di distruzione pur troppo si è perfezionata, osserviamo come due qualità essenziali nella medesima si richieggano: l'abilità ed il coraggio. I realisti provarono non mancar essi né della prima né del secondo. Edotti dalle prime patite sconfitte, 1 avversità gli ha fatti a sé medesimi maggiori. Costanti nella pugna, e rinnovata sempre la medesima, a malgrado delle ripetute peripezìe sofferte, giunsero alla fine ad ottener la vittoria. Ora questi uomini,

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che niuna disgrazia ha abbattuto, cui il più gran disinteressamento fece affrontare pericoli positivi e vicini, per vantaggi remoti ed incerti, non saranno essi abili a conservar ciò che col vero valore, non col tradimento, acquistarono? Se alcuni realisti antichi militari, per l'età cadente, non son più tenuti in grado di governar la milizia, ne avverrà forse, che deb-bano succeder loro quelli, che li combatterono animosamente per una causa alla nostra opposta? Non mancano giovani militari abili, coraggiosi e di sana opinione, i quali sapranno regolare con prudenza, abilità e coraggio la soldatesca, e nelle stesse file di quelli che i governi vinti ser-virono con lealtà, senza dividerne i princìpi, se ne possono trovare, poiché siamo ben lungi dal voler bandire l'esclusione di tutti.

Noi crediamo aver provato che ai realisti non manca l'educazione e l'abilità per servire il proprio governo. La loro condotta come l'in-teresse del governo istesso dimostrano la convenienza di collocarli nei pubblici uffizi. Rimane ora a provare, essere l'esclusiva capacità dei loro avversari cosa più ideale che effettiva. Certo che, se tutta la scienza di governo consiste in complicate sottigliezze, nella compila-zione di stati moltiplicò i di cui risultati inutilmente ripetonsi e nella mera materialità, avrà maggiore dottrina. L'amanuense, che da molti anni ha pratica di trascriverli, e spesso non ha che il merito di copiarli, e male per anco adattarli, traendoli da opere teoriche agli impiegati realisti anche note, di ciò che possa vantarne quell'amministratore, il quale, sapendo discernere i veri dai falsi risultamenti, apprezzasse la maggiore inutile spesa da lavori non tanto necessari cagionata, e i danni morali dalle ripetute organizzazioni prodotti, si limita a desiderare stabilità nelle istituzioni, onestà nella condotta delle pratiche, religiosa osservanza alla pubblica fede, semplicità nel governo economico, chia-rezza ed ordine nella distribuzion del lavoro. Con tali requisiti si giugne a nostro avviso a ben più utile fine di ciò, che procuri una falsa subli-mità della scienza. Gli uomini, che vedono addentro negli affari e non mirano al solo loro esteriore, sanno distinguere la vera dall'apparente dottrina. Essi non sono abbagliati da queste fattucchierìe, le quali vo-glionsi riguardare soltanto qual mezzo per riuscire nella cospirazione permanente di attaccare la legittimità, e distruggere con la medesima un'aristocrazia necessaria per essenza nelle monarchie, e stimabile sempre quando è fondata sui veri lumi ed appoggiata al merito personale, come alla giustizia, per sottentrarne un'altra, la quale poggi unicamente sulla spogliazione della prima e vinca per la forza dal diritto disgiunta.

Nello esporre siffatte dottrine noi abbiamo parlato della tendenza generale, che mirasi in Europa rispetto alla fattispecie, e siamo ben lungi dal voler fare la menoma applicazione particolare. Incapaci di scrivere

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con altra passione, fuori quella del bene nelle materie politiche, pre-sentiamo un sunto di quanto generalmente bandiscono nei loro scritti e alle tribune dei parlamenti quegli uomini sommi, i quali, non dispe-rando della buona causa, animosamente per la medesima combattono nell'Inghilterra, in Francia e nella Germania, ad onta degli ostacoli che incontrano. Se i cattivi insinuano artificiosamente con libertà le loro massime, perché i buoni, i cui interessi a quelli dei governi legittimi pur sono conformi, non potranno proclamare i princìpi, che li muovono? Perché non sarà loro permesso di chiamar l'attenzione dell'universalità dei veggenti non solo, ma quella degli ottimati che presiedono al de-stino delle varie nazioni sovra un pregiudicio, che può comprometterne l'esistenza? Si nega, lo sappiamo da taluni, la cospirazione morale, si protesta una fedeltà nuova dell'antica migliore, e si arriva a dire che i vecchi servitori colle loro esagerazioni guastano tutto e, sognando dei mali che non esistono, esasperano gli animi, rendono dubbio l'oblìo bandito sulle passate vicende e mantengono vivi dei dissidi, che il co-mune interesse vorrebbe sopiti. Queste voci più facili a spargersi, che non a provarsi, frutto in chi le proferisce di meno retta intenzione, in coloro, da cui vi si presta imprudenti fede di un'ingiustissima preven-zione, possono sorprendere degli esseri superficiali, non già gli uomini di Stato oculati ed imparziali. N o i veri realisti non sono esagerati, se alcuno tra essi dalle disgrazie infiammato può allontanarsi dalle vie della moderazione, la maggiorità illuminata non solo, ma quella nu-merica non la abbandona mai. Noi abbiamo perdonato di cuore ad antiche, ripetute, non provocate offese, solo aspiriamo a conservar ciò che non ancora è perduto. Senza ricusare i miglioramenti reali, giusta-mente c'inquietano quegli apparenti, il cui fine segreto è un nuovo tram-busto e una reprobazione per niun verso meritata.

La giustizia della nostra causa, l'esperienza di recenti mal augurati eve-nimenti, l'interesse nostro e più di tutto quello stesso dei governi ristaurati rendono legittimi i nostri voti. Possano i medesimi alfine venire esauditi6. a. Vedasi quanto scriveva nel 1 8 1 6 con incontrastabile sagace dialettica il sire di Chateaubriand nel suo aureo libro, che porta per titolo La monarchie selon la Charte 2, intorno alla pretesa incapacità dei realisti ed alla vantata abilità dei loro avversari. L'esperienza ha dimostrato comunque con poco successo come i ragionamenti di quel valente scrittore fossero appoggiati: e perché la lezione dell'esperienza f u perduta?...

2. Cfr. FRANCOIS R E N É DE CHATEAUBRIAND, De la monarchie selon la Charte, Paris, Impr. Le Normant, 1816: il volume ebbe nello stesso anno tre ristampe presso editori diversi, due a Parigi, una a Bruxelles.

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DELL'ATTUALE CONDIZIONE GOVERNATIVA

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