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La riforma della scuola e la Formazione Professionale: il “ciclo breve”

2.1. Premessa

Nel decennio considerato, in particolare durante l’VIII e IX legislatura, i due rami del Parlamento sono stati a più riprese impegnati in defatiganti discussioni re- lative alla riforma della scuola secondaria superiore.

La storia parlamentare del dopoguerra aveva conosciuto numerosi tentativi di ri- forma: nelle prime sette legislature si contano 31 progetti di legge (cfr. Prospetto n. 1), presentati da ministri, o da singoli parlamentari e con maggiore o minore organicità ri- formatoria (circoscritta ad alcuni indirizzi di studi superiori o all’intera filiera).

Ciò che caratterizzano l’VIII e la IX legislatura rispetto alle precedenti è, da una parte, il consistente impegno del Parlamento su questa tematica (16 progetti di legge), dall’altra, il livello di convergenza raggiunto tra le forze politiche presenti in Parla- mento, attestato da tre testi unificati, (livello alto ma, comunque, non sufficiente a da- re un esito positivo, anche se più volte sfiorato, alla vicenda), ma soprattutto le pro- blematiche, alle quali si voleva dare una risposta.

La prima problematica riguarda l’innalzamento dell’obbligo scolastico da 8 a 10 anni, la seconda è relativa al c.d. “ciclo breve” o “corto”. Se sul primo problema il con- senso era pressoché unanime (su questa materia il confronto con gli altri Paesi, tutti con percorsi più lunghi, era imbarazzante) sul secondo, invece, si registrarono prese di posizioni fortemente divergenti.

Nell’economia del nostro lavoro il dibattito dentro e fuori il Parlamento rappre- senta un evento importante, perché, in ultima analisi, come vedremo, si tratta di de- finire il soggetto istituzionale che governa la formazione professionale nel nostro Paese.

Occorre preliminarmente precisare il significato del termine “ciclo breve”; un ter- mine osteggiato da molti che non vedevano di buon occhio il termine “breve” in que- stioni educative. Sembrava comportare, almeno a livello di precomprensione, elementi di gerarchizzazione ingiusta, di tassonomia indebita, di riduzionismo qualitativo39.

Quando si parla di ciclo breve, si intende far riferimento al corso o ai corsi di stu- dio che si concludono con una Formazione Professionale di primo livello, cioè con la cosiddetta qualifica; mentre con ciclo lungo si intende il percorso formativo che si con- clude con il diploma di maturità alla fine di una secondaria quinquennale40.

39Qualcosa di simile, alla fine del secolo scorso, era successo al termine “scuola secondaria”. Nel

n. 133 (1886) della Sentinella delle Alpi di Cuneo si poteva leggere: “L’istruzione da noi con termine cancelleresco ed improprio chiamata secondaria è in realtà la più importante di tutte, come quella che più intimamente si connette coll’educazione nazionale, e colla formazione dell’indole, del carattere e del cuore”, cit. in Check-up sul ciclo corto, in PROFESSIONALITà, n. 6, febbraio 1983, p. 3.

40Ma ci sono altri termini che entrarono nel dibattito che accompagnava l’elaborazione e la dis-

cussione delle proposte di legge e che servivano a connotare i modelli di secondaria che si volevano rea- lizzare: a) concezione terminale/non terminale. Per concezione “terminale” si intendeva la teoria se- condo la quale la scuola costituisce un’esperienza formativa ed abilitativa del tutto sufficiente, compiuta

Prospetto n. 3 - Progetti di riforma della scuola secondaria superiore nelle prime sei legislature

(1948-1979)

in se stessa, “perfetta” nella sua giustificazione autonoma; la concezione “non terminale”, al contrario, considerava la scuola come un’esperienza relativamente insufficiente, bisognosa di integrazioni, ne- cessariamente perfezionata completata dalle aperture al mondo extrascolastico. La medesima contrap- posizione è presente nella distinzione fra una teoria “a-condizionale” dei curricoli scolastici, per la qua- le essi devono venire influenzati il meno possibile dalle condizioni esterne alle tradizioni scolastiche ed una, invece, “condizionale”, secondo cui i curricoli scolastici devono rispondere il più possibile alle condizioni ed alle sollecitazioni esterne alla scuola stessa. SCURATIC., Terminalità e non terminalità

della scuola secondaria superiore, in PROFESSIONALITà, n. 2, ottobre 1980, p. 32; b) Onnicomprensivi-

tà, licealizzazione, deprofessionalizzazione. Sono concetti o immagini che fanno riferimento ad una se-

condaria superiore con finalità quasi esclusivamente di formazione generale. Tale orientamento si era diffuso negli anni ’60 -’70 ed era legato a scelte di carattere “non-terminale” e “a-condizionale”; c) mo- nocomprensività, delicealizzazione, iperprofessionalízzazione. Questi concetti rappresentano il polo op- posto alla precedente posizione e si ricollegano a scelte di tipo “terminale” e “condizionale”; d) poli-

centrismo e discontinuità educative. Stanno ad indicare una pluralità di agenzie formative (il termine

viene utilizzato in contrapposizione alla visione della scuola come unico soggetto educante) e le espe- rienze di alternanza formazione-lavoro. Cfr. COLASANTOM., Sistema formativo e professionalità: alcu-

ni criteri di riferimento sul piano sociologico, in PROFESSIONALITà, n. 8, maggio 1981, p. 33.

41Atto parlamentare n. 2100 del 13.7.1953. Presentato alla Camera, mai messo all’o.d.g. 42Atto parlamentare n. 2485 del 24.2.1958. Presentato al Senato.

43Atto parlamentare n. 2486 del 24.2.1958. Presentato al Senato. 44Atto parlamentare n. 2485 del 24.2.1958. Presentato al Senato. 45Atto parlamentare n. 2486 del 24.2.1958. Presentato al Senato.

46Diramato solo alla Presidenza del Consiglio il 30.6.1966: schemi di DDL separati sull’Ordina-

mento dei licei artistici, dei licei classici, dei licei scientifici, degli istituti magistrali, degli istituti tecnici, degli istituti professionali, degli istituti d’arte e dei conservatori di musica, delle scuole magi- strali.

47Sottoscritto da senatori appartenenti a più partiti della coalizione governativa.

48Atto parlamentare n. 2378 presentato al Senato il 26.7.1967 ed approvato solo dalla sesta com-

missione.

49Atto parlamentare n. 617 presentato al Senato il 26.5.1969.

50La bozza elaborata negli aa. 1969/1970 non è mai stata resa pubblica ufficialmente.

51Progetto conosciuto come “legge ponte”, approvato dal Consiglio dei Ministri il 3.12.1970,

approvato in Commissione alla Camera il 18.2.1971, approvato (con modifiche) in Commissione al Senato il 30.3.1971, non approvato (per un voto) in Commissione alla Camera il 7.4.1971.

52Atto parlamentare n. 3945. Presentato al Senato il 18.1.1972. 53Testo ciclostilato.

segue segue

54Atto parlamentare n. 260 presentato alla Camera il 14.6.1972 e, con ritocchi esclusivamente for-

mali, anche al Senato il 15.06.1972 da Papa e altri (PCI) con Atto parlamentare n. 80.

55Atto parlamentare n. 1975 presentato alla Camera il 4.4.1973. 56Atto parlamentare n. 3852 presentato alla Camera il 26.6.1975. 57Atto parlamentare n. 3928 presentato alla Camera il 15.7.1975. 58Atto parlamentare n. 3963 presentato alla Camera il 23.07.1975.

59Atto parlamentare n. 3933 presentato alla Camera il 10.09.1975. Identico testo presentato al

Senato dall’On. Plebe e altri (MSI-DN) il 16.09.1975 con Atto parlamentare n. 2250, dall’On. Nen- cioni e altri (MSI-DN) l’08.07.1976 con Atto parlamentare n. 25.

60Atto parlamentare n. 4010 presentato alla Camera il 22.09.1975. 61Elaborato nel marzo del 1976.

segue segue

62Atto parlamentare n. 341. Presentato alla Camera l’11.08.1976. Identico testo presentato al Se-

nato dall’On. Nencioni e altri (MSI-DN) l’08.7.1976 con Atto parlamentare n. 25.

63Atto parlamentare n. 1002. Presentato alla Camera l’11.01.1977. 64Atto parlamentare n. 1068. Presentato alla Camera il 26.01.1977. 65Atto parlamentare n. 1275. Presentato alla Camera il 21.03.1977. 66Atto parlamentare n. 1279. Presentato alla Camera il 22.03.1977. 67Atto parlamentare n. 1355. Presentato alla Camera il 14.04.1977. 68Atto parlamentare n. 1400. Presentato alla Camera il 28.04.1977. 69Atto parlamentare n. 1437. Presentato alla Camera il 06.05.1977. 70Atto parlamentare n. 1480. Presentato alla Camera il 24.05.1977. 71Atto parlamentare n. 1279. Presentato alla Camera il 22.03.1977. segue

72COLASANTOM., Sistema formativo e professionalità: alcuni criteri di riferimento sul piano so-

ciologico, in PROFESSIONALITà, n. 8, maggio 1981, p. 33.

73Il Convegno fu voluto dal pedagogista Aldo Visalberghi (1919-2010) che, d’intesa con il CERI

(Centro per la Ricerca e l’Innovazione dell’Educazione) dell’OCSE, pensò di fare confrontare un gruppo di esperti italiani con un gruppo di esperti internazionali. Il Convegno si chiuse con l’approva- zione di 10 punti che contenevano soluzioni che saranno a vario titolo oggetto di progetti di leggi negli anni seguenti. Il documento approvato si apriva con questa premessa, “1a scuola secondaria su-

periore deve costituire una struttura unitaria articolata nel suo interno tramite un sistema di materie e attività comuni, altre opzionali e altre ancora elettive, tali da permettere un progressivo orienta- mento culturale in direzioni specifiche. L’asse pedagogico comune assicura, in forme non rigide, una preparazione linguistícologico-matematica e tecnologico-scientifica e un’apertura critica sui pro- blemi storíco-sociali. Le scelte individuali lo integrano senza compartimentazioni cristallizzate”.

Conteneva inoltre molti dei temi rimasti a lungo nel dibattito sulla secondaria: la distinzione fra for- mazione culturale e formazioni professionalizzanti che comunque dovevano cominciare non prima della fine del biennio comune ed essere demandate a soggetti esterni alla scuola, alle Regioni; la con- clusione del percorso della scuola secondaria superiore al diciannovesimo anno di età anziché al di- ciottesimo. L’abolizione degli esami di riparazione e l’introduzione dell’orientamento; la formazione universitaria degli insegnanti e la loro riqualificazione in servizio; la partecipazione studentesca e delle famiglie e delle autonomie locali; il diploma finale unitario con menzione dell’orientamento se- guito; il radicamento degli istituti nei comprensori di riferimento.

74Il ministro Riccardo Misasi (1932-2000; del gruppo parlamentare della DC) aveva tentato,

senza successo, di portare avanti la riforma della Secondaria sulle linee approvate nel Convegno di Frascati. Fu allora nominata una Commissione parlamentare (presenti tutte le forze politiche, ad esclusione del M.S.I.) presieduta dall’on.le Oddo Biasini (1917-2009; del gruppo parlamentare del P.R.I.), con l’incarico di formulare una proposta organica di riforma delle superiori. La Commissione concluse i propri lavori nel 1972 e per la prima volta prese corpo nelle sedi ufficiali un’ipotesi di scuola comprensiva, una scuola cioè con struttura unitaria, articolata al suo interno in un sistema di materie comuni, opzionali ed elettive e completamente estranea a finalità professionali.

Il termine “primo livello” è naturalmente inteso in senso formativo e non in senso contrattuale.

Il ciclo breve rappresenta una tematica nuova; almeno rispetto ad un recente passato. Infatti si inserisce in una concezione che assume come criteri la differen- ziazione (di percorsi in relazione a differenti bisogni formativi degli utenti) e il po-

licentrismo (pluralità di agenzie formative)72. Una concezione che si pone in con-

trasto con l’ipotesi largamente prevalente negli anni ’70: quella della unitarietà

(Convegno di Frascati del ’7073e della Commissione Biasini del ’7274), della depro-

fessionalizzazione e della licealizzazione e che, a sua volta, rappresentava un supe- ramento della concezione poliliceale della secondaria superiore degli anni ’60 (vedi “Pacchetto Gui”).

2.2. Sistemi scolastici di altri Paesi

Prima di individuare le ragioni che giustificano l’introduzione del ciclo breve, vediamo le soluzioni adottate dai sistemi scolastici di altri Paesi europei e dagli USA e Giappone; in particolare la durata dell’obbligo d’istruzione, l’adozione di un percorso unico o differenziato durante l’obbligo, la realizzazione di percorsi forma- tivi dentro il percorso obbligatorio e le modalità di realizzazione.

a) In tutti i Paesi considerati (con eccezione della Grecia e del Giappone) la diffe- renziazione degli studi (indicata dal colore rosso nel Prospetto n. 4) comincia già durante il periodo di formazione obbligatoria.

b) Nessun Paese presenta un ciclo unico (e spesso neppure unitario) per tutti gli studenti dai 14 ai 16 anni. A partire dai 14 anni (eccetto in Grecia) gli studenti sono già divisi per tipo d’istruzione. In molti Paesi, anzi, la differenziazione degli studenti comincia ancor prima.

c) In tutti i Paesi, dopo i quindici anni, gli studenti si suddividono, quantitativa- mente, in tre gruppi: un terzo entra nella vita attiva (spesso con obbligo d’i- struzione a tempo parziale); un terzo continua gli studi alla ricerca di una scelta definitiva (ma spesso li interrompe dopo uno o due anni); un terzo orien- tato verso studi lunghi.

d) In nessun Paese l’istruzione di secondo grado dura fino ai 19 anni di età per tutti gli ordini di scuola.

e) Per l’accesso all’Università il curriculum di studi prerequisiti comporta al- meno12 anni di formazione in tutti i Paesi.

f) Differenti le modalità con cui sono realizzati percorsi di Formazione Professio- nale nella scuola o in collegamento con essa. In Belgio, ad esempio, la durata dell’istruzione a tempo pieno è di 9 anni, seguiti, per coloro che non conti- nuano gli studi, da una formazione a tempo parziale per altri 3 anni. Coloro che entrano in apprendistato, che prepara generalmente all’esercizio delle atti- vità indipendenti, hanno 72 ore di formazione generale nel primo anno e 132 ore negli altri tre anni. Ai giovani che fanno, invece, formazione in azienda vengono assicurati periodi di studio (12-15 ore la settimana, per circa 40 setti- mane) pari a 360 ore annue fino all’età dei 16 anni e pari a 240 ore annue dai 16 ai 18 anni di età (tale formazione avviene in 90 Centri appositamente isti- tuiti).

In Germania, l’obbligo scolastico a tempo pieno si protrae per 9 anni; dopo, per tutti coloro che iniziano un’attività lavorativa, anche come apprendisti, esiste l’obbligo di frequentare apposite scuole, per un giorno alla settimana, fino all’età di 18 anni.

L’Olanda (a partire dal 1985) ha introdotto l’obbligo scolastico per 12 anni a tempo pieno, conservando i due anni a tempo parziale preesistenti per coloro che non continuano gli studi. Ma le modalità di attuazione, rispetto agli altri Paesi, sono assolutamente inedite. La formazione può iniziare all’età di 4 o cin- que anni, con 12 ore obbligatorie e 10 facoltative alla settimana e proseguire, poi, a tempo pieno per complessivi 12 anni, cosicché l’obbligo cessa rispettiva- mente a 16 o 17 anni. Per quanti a questa età entrano nel mondo del lavoro ci sa- rà l’obbligo di frequentare attività formative per 2 giorni alla settimana, durante il primo anno e per un giorno alla settimana durante il secondo anno.

g) La possibilità di acquisire una prima formazione professionale durante l’ob- bligo esiste a partire dai 12 anni in Irlanda, Lussemburgo e Olanda; a 13 anni

in Belgio75, a 14 anni si può iniziare la formazione professionale in Francia,

Spagna e (con corsi opzionali) negli USA (cfr. Figura n. 9).

h) La formazione professionale durante l’obbligo scolastico avviene o a scuola o in apprendistato o sul lavoro. Quando avviene a scuola si distinguono, dapper- tutto, i corsi per la formazione dei quadri intermedi dai corsi per la formazione della manodopera qualificata. Quando avviene in apprendistato o sul lavoro è sostenuta da appositi Centri per la formazione generale a tempo parziale. Rispetto a questo quadro l’Italia si caratterizza:

– per un obbligo d’istruzione di soli 8 anni (il più basso tra tutti i Paesi considerati); – per un percorso dell’obbligo indifferenziato (insieme al Giappone e alla Grecia) e, quindi, per una collocazione della Formazione Professionale in età successiva a quella dell’assolvimento dell’obbligo.

75Dove a partire dai 14 anni si può accedere sia all’apprendistato che ai corsi di formazione a tem-

po parziale, cui sono tenuti tutti coloro che a quell’età entrano nel mondo del lavoro.

C’è un’ulteriore caratteristica tutta italiana: per la Formazione Professionale post-obbligo esiste un doppio ordinamento, che vede la compresenza degli Istituti Professionali di Stato e i Centri di Formazione Professionale delle Regioni: en- trambi con il compito di formare la manodopera qualificata e con gli Istituti profes- sionali che offrono la possibilità di accedere all’Università.

2.3. Perché un ciclo breve?

Sostanzialmente per due motivi: a) per rispondere ad una domanda sociale, quantitativamente rilevante, a cui il sistema scolastico offre risposte inadeguate; b)

per rispondere ad una domanda del sistema produttivo76.

Dai dati riportati nei rapporti del CENSIS si rileva che quanti hanno conse- guito un diploma di maturità (cioè quelli che hanno concluso il ciclo lungo), costi- tuiscono l’11,4% della popolazione e rappresentano, in una leva di giovani coe- tanei, meno del 40%.

Ciò fa ritenere che, potenzialmente, l’insieme dei cicli brevi interessa più del 60% dei giovani, cioè quasi due su tre. In questa percentuale sono compresi quelli che non hanno concluso la secondaria di primo grado (le scuole medie), quelli che alla fine di tale ciclo non proseguono per nessun percorso formativo, gli iscritti alla Formazione Professionale regionale, gli iscritti agli Istituti Professionali Statali (triennali che fanno conseguire un diploma di qualifica), coloro che frequentano corsi extra scolastici, i drop-out della secondaria superiore77.

Se si pensa, allora, che una leva, per questa fascia di età, era stimabile nei primi anni ’80 attorno alle 700.000/800.000 unità e che i cicli brevi dovevano avere, in generale, una durata di tre anni, si può valutare che il 60% citato corri- sponde in valore assoluto a circa 1.400.000 unità.

In quegli anni i cicli brevi “formali” (IPS e CFP) erano frequentati da circa 600.000 giovani, cioè da meno della metà del dato potenziale.

Gli altri 800.000 giovani escono dalla scuola forniti di un livello di istruzione basso e, comunque, ridotto, o rientrano, almeno in parte, in attività non formali (corsi di ogni tipo, aziendali, locali, privati) o informali (mass-media e attività cul- turali in senso lato).

Tuttavia i dati quantitativi, pur essendo molto elevati, non sono l’aspetto più importante. La domanda sociale (individuale o aggregata) esprime più esigenze di qualità che di quantità. E da questo punto di vista riceve, in termini di attenzione culturale e politica, una risposta molto debole, se confrontata con quella data ad altri elementi del sistema formativo.

Infatti, ad un giovane che domanda di percorrere un ciclo lungo si risponde con un’offerta di curriculum quinquennale scolastico coerente, non finalizzato a ruoli professionali troppo specializzati e settoriali, ma per ampi campi di professio- nalità di base, in modo da consentire la specializzazione successiva in sedi oppor- tune (posto di lavoro, corsi post-diploma, corsi regionali, università...).

76PESCIAL., Obiettivi e funzioni del ciclo corto sul piano sociale e professionale, in PROFESSIO-

NALITà, n. 6, 1983, pp. 18-20.

77Questi ultimi sono in espansione, ma sul fenomeno non si conosce molto di più del dato quan-

titativo grezzo, perché non esistono sufficienti ricerche a livello nazionale che interpretino, oltre alle motivazioni del ritiro, anche le eventuali tendenze al rientro in sedi formative diverse. Di conseguenza in non pochi casi alcune delle posizioni sopra elencate si sovrappongono.

Ai giovani che chiedono, invece, un ciclo breve (magari dopo un’iniziale e traumatica esperienza di ciclo lungo) per poter entrare nel mondo del lavoro con una qualifica, si risponde con l’offerta degli IPS e dei CFP.

Ma l’offerta degli IPS, per quanto proponga una gamma di qualifiche abba- stanza ampia, non è preparatoria ad ogni tipo di lavoro che non richieda la laurea o il Diploma di scuola secondaria superiore.

E i CFP hanno una durata biennale, che se consentono (talora con fatica) a far raggiungere una qualifica, non consentono, però, a quanti lo desiderino, il rientro a scuola.

La domanda, che proviene dal sistema produttivo, presenta un’accentuata ete- rogeneità di attese e non univocità di bisogni.

In particolare: altro è l’atteggiamento verso la formazione della grande impresa, che insiste su di una buona preparazione generale di base, altro è quello delle picco- le imprese chiamate da sempre ad una azione di professionalizzazione specifica.

Inoltre: il tipo di preparazione specifica al lavoro richiesto appare funzione di una serie di variabili, fra le quali è determinante il grado di accelerazione del pro- gresso tecnico e scientifico. Vi sono settori produttivi (e quindi ambiti professio- nali), dove vengono privilegiate le conoscenze definibili come di identità (cono- scenze chiaramente precisate e acquisibili, secondo logiche di natura addestrativa). Vi sono altri settori nei quali, invece, le modificazioni degli apparati produttivi ren- dono rapidamente obsolete le conoscenze acquisite in termini di identità e che, quindi, richiedono principalmente conoscenze di supporto (o di base).

Questi ultimi settori, ormai, sono la maggioranza e, quindi, ne deriva un cre- scente bisogno di lavoratori con una solida preparazione culturale, capacità di au- toapprendimento, di adattamento, di flessibilità, di riconversione, di sostituibilità.

Lo sviluppo rapido della moderna economia italiana tra il 1950 e il 1965 (il miracolo economico) è avvenuto per opera di forze lavoro con bassissima istru- zione formale, tanto che si può affermare che lo sviluppo dell’istruzione è stato più una conseguenza che un fattore dello sviluppo economico.

Nei prossimi anni il rapporto si invertirà: sarà lo sviluppo dell’istruzione a de- terminare lo sviluppo economico. A qualsiasi livello di qualificazione professio- nale: laurea diploma e qualifica. Ma quest’ultimo gradino non è diffuso in propor- zione alla popolazione attiva che occupa questo livello.

2.4. Le possibili soluzioni istituzionali

Nel dibattito furono avanzate tre soluzioni.

Nella prima veniva ipotizzato il monopolio “del ciclo corto” da parte della scuola statale che determinava, di fatto, la scomparsa della formazione di primo li- vello regionale, nella seconda posizione il monopolio passava al sistema regionale che inglobava al suo interno l’istruzione professionale, nella terza istruzione statale e formazione regionale continuano a coesistere, anche se il ciclo breve viene realiz- zato dagli Istituti professionali statali.

In due soluzioni su tre, la prima qualificazione regionale o scompare o ha un ruolo residuale.

Occorre sottolineare, però, che la prima e la terza soluzione rappresentano un fenomeno di discontinuità rispetto alla concezione del sistema formativo italiano e alle previsioni della Legge quadro n. 845/78.

2.4.1. La tesi del sistema unitario nazionale e statale

Questa tesi prevede che tutta la prima formazione sia compito della Pubblica Istruzione, attraverso la generalizzazione dei cicli corti in tutti gli indirizzi e, quindi, in tutte le Scuole secondarie: accanto al ciclo lungo si avrebbero i cicli più brevi; equivalenza di bienni, con programmi in parte comuni e in parte differen-

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