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Riguardo al primo ordine di considerazioni, sembra in effetti che il

realismo morale esprima un grado elevato di compatibilità con alcuni aspetti salienti della fenomenologia morale: gli agenti morali si domandano quale azione o condotta sia giusta o sbagliata rispetto ad un insieme di circostanze, utilizzano un linguaggio valutativo, esprimono convinzioni su cosa è buono o cattivo, attribuiscono valore o qualità morali a fatti o persone, si esprimono in modo dichiarativo riguardo all’esperienza morale, si impegnano in discussioni su cosa è corretto o doveroso e ritengono che vi possa essere una qualche forma di “errore morale”.31

Sebbene il realismo non esprima una forma di credenza morale ingenua o di senso comune, le pratiche linguistiche e l’esperienza soggettiva che accompagna l’agire morale individuale sembrano favorire una prospettiva realista e cognitivista: tipicamente, quando gli interlocutori morali difendono le proprie ragioni si sentono impegnati nella difesa di un punto di vista che viene ritenuto vero, corretto o adeguato in virtù di un insieme di condizioni in qualche misura esterne e indipendenti dalle proprie inclinazioni soggettive. L’impegno comune degli interlocutori morali sembrerebbe essere quello di arrivare a scoprire o a riconoscere una verità o una correttezza che è data prima e indipendentemente dalla possibilità di giungere ad un accordo e che si vorrebbe conseguire o accertare attraverso la discussione e l’argomentazione. Da questo punto di vista, apparirebbe insolita o inspiegabile la forza emotiva o prescrittiva che accompagna gli atteggiamenti e i giudizi morali degli interlocutori se non vi fosse la convinzione reciproca che alcune azioni sono giuste o sbagliate, che alcuni individui o stati di cose hanno o non hanno valore, che è possibile, in via di principio, accertare la verità o la falsità di qualcosa.

Vi è però una immediata obiezione a questa evidenza: una evidenza di segno contrario, altrettanto compatibile con l’esperienza morale ordinaria, mostra chiaramente che esistono controversie morali intrattabili e un

31 Cfr. Brink, Moral Realism and the Foundations of Ethics, cit., cap. 2 e Shafer-

disaccordo diffuso e persistente in relazione a qualsiasi problema morale si voglia prendere in considerazione. Sembra che la migliore spiegazione di questa evidenza di segno contrario sia quella che non esistono fatti morali. Questa obiezione, che è alla base di molte forme di scetticismo e di relativismo, è stata formulata espressamente contro il realismo morale da John Mackie:

L’argomento a partire dalla relatività ha come sua premessa la ben nota variabilità nei codici morali da una società all’altra e da un periodo all’altro e inoltre le differenze nelle credenze morali tra gruppi e classi differenti all’interno di una società complessa. Una tale variabilità in se stessa è semplicemente una verità della morale descrittiva, un fatto di antropologia che non implica prospettive etiche né di primo né di secondo livello. Tuttavia, può indirettamente supportare il soggettivismo di secondo livello: differenze radicali tra giudizi morali di primo livello rendono difficile trattare questi giudizi come la manifestazione di verità oggettive.32

Mackie ritiene che il disaccordo morale sia più grave del disaccordo in altri domini dell’esistenza, per esempio nel dominio dei fatti naturali. Riguardo ai fatti naturali il disaccordo non mostra, secondo Mackie, che non vi sono fatti e questioni oggettive su cui gli studiosi possono divergere, ma semplicemente che sono in gioco differenti inferenze speculative o ipotesi non ancora suffragate in modo adeguato. Nel caso dei fatti morali invece, il disaccordo è strutturale e ineliminabile, dal momento che presuppone l’adesione a modelli di vita incompatibili dall’interno dei quali origina l’idealizzazione e l’approvazione dei valori supposti universali. Mentre quindi le controversie scientifiche sono in linea di principio risolubili, quelle morali sono per principio irrisolubili e la migliore spiegazione di questo disaccordo e che il realismo morale è falso.

La pretesa di oggettività che a livello fenomenologico accompagna le credenze morali sarebbe quindi soltanto l’esito di un meccanismo di oggettivizzazione che ipostatizza i sentimenti e le preferenze, individuali o di un certo insieme di agenti morali, e che origina dal bisogno di credere in una istanza autoritativa intrinsecamente normativa, oggettiva ed esterna ai soggetti morali.33

Tuttavia, possiamo replicare, questo argomento contiene una premessa che il realismo non ha motivo di accettare, ovvero l’idea che gli agenti morali,

32 Cfr. Mackie, Ethics. Inventing Right and Wrong, cit., trad. it., pp. 41-42.

33 Per una ricostruzione della prospettiva metaetica di Mackie cfr. B. De Mori, Teoria

dell’errore e “stranezza” ontologica: Mackie e l’attualità dell’antirealismo in etica, «Etica & Politica», 1, (2005), http://www.units.it/etica/2005_1/DEMORI.htm.

considerati da un punto di vista idealizzato, ovvero in condizione di disporre di tutta la conoscenza morale necessaria, non potrebbero non trovarsi in disaccordo rispetto ad una qualche controversia morale. L’obiezione di Mackie può costituire una difficoltà per il costruttivismo, che indentifica la verità con la conoscenza ottenuta in condizioni idealizzate, non per il realismo morale: non vi è ragione di ritenere che l’accordo, anche in condizioni epistemiche idealizzate, sia una condizione che il realismo deve implicare e che le controversie siano tutte risolubili almeno in via di principio. Come osserva a questo proposito Brink:

[...] il realista deve considerare come in linea di principio risolubili solo la maggior parte delle controversie genuine. Alcuni interlocutori possono essere così sistematicamente in errore che, sebbene la nostra controversia con loro verta su una questione fattuale oggettiva, non possiamo convincerli che certe affermazioni sono vere, e non ci si dovrebbe aspettare che siamo in grado di farlo. Vi sono anche altre controversie morali genuine che non sono risolubili nemmeno in linea di principio. Infatti, anche un realista morale può sostenere che alcune controversie morali genuine non ammettono un’unica risposta corretta. La condizione di parità sul piano morale è possibile e possono esserci considerazioni incommensurabili, ognuna delle quali è oggettivamente apprezzabile. Le controversie su affermazioni morali in parità e su valori incommensurabili sono risolubili in linea di principio solo nel senso che deve essere possibile in linea di principio mostrare a interlocutori che non siano sistematicamente in errore che la loro controversia non ha una soluzione unica. Ovviamente c’è un limite oltre il quale non possiamo ritenere che le controversie riguardino affermazioni in parità o incommensurabili e nel contempo difendere l’esistenza di fatti morali oggettivi e di proposizioni morali vere.34

Ma vi è una ragione ulteriore per la quale il realismo morale può trascurare l’argomento della relatività: non necessariamente tutta l’evidenza di cui dovremmo disporre per riconoscere la verità morale può essere disponibile. Il disaccordo può dipendere sia dalla mancanza, a livello individuale, di un insieme di condizioni e prerequisiti di natura soggettiva che impediscono il riconoscimento del valore, sia dalla mancanza di convergenza su un insieme di fatti complessi, di natura non morale, la cui conoscenza potrebbe essere vincolante per l’acquisizione di alcune verità morali, sia, infine, dalla possibilità che rispetto ad alcuni fatti morali si manifesti una sorta di

opacità o chiusura cognitiva che preclude permanentemente la nostra

accessibilità epistemica ad un qualche insieme di proprietà, morali e non

morali, proprietà che potrebbero rimanere elusive e generare un disaccordo persistente e immodificabile.35

Infine, il realismo morale può opporre all’argomento della relatività una semplice constatazione: non sembra adeguato sostenere che nel tempo non vi sia stata alcuna convergenza rilevante nelle credenze morali. Quello che i fatti sembrano indicare, in una prospettiva diacronica, è che si è verificato un reale progresso morale, una modificazione delle credenze che ha originato nel tempo un significativo ampliamento dei confini della rilevanza morale.

In definitiva, non tutte le controversie morali sono componibili, alcune forse nemmeno in linea di principio, ma il realismo morale, nella sua versione non costruttivista, non deve richiedere che questa condizione venga soddisfatta per poter affermare l’esistenza di fatti morali e verità morali.

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