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La rilevanza della compatibilità economica per tutti gli interventi di welfare deriva dall’osservazione di un semplice dato di fatto: in Italia, un terzo della spesa pubblica è

Capitolo III: La Facoltà di Scienze della Formazione: una opportunità per lo sviluppo dell’impresa sociale.

Risposta 4: La rilevanza della compatibilità economica per tutti gli interventi di welfare deriva dall’osservazione di un semplice dato di fatto: in Italia, un terzo della spesa pubblica è

dedicata al sociale, e per sociale intendo riferirmi al complesso di istruzione, sanità e assistenza.

Questo indicatore da solo dà l’idea che il controllo, anche economico di questo insieme di interventi, sia una cosa assolutamente significativa ed importante. E’ di tutta evidenza che non è più possibile continuare a ragionare come si è fatto in passato.

Il settore della previdenza è quello che più soffre dei risultati disastrosi delle politiche assistenzialistiche e clientelari degli anni ’60 e ’70. Alcuni esempi lampanti possono essere rappresentati dalle pensioni sociali erogate dall’INPS, laddove queste prestazioni, che non derivano da contribuzione, non dovrebbero gravare su un ente previdenziale; anche il calcolo delle prestazioni effettuato solo sulla base del principio retributivo insieme ad altri privilegi e storture burocratiche hanno contribuito a creare le condizioni della crisi che stiamo scontando nei giorni nostri.

In un’ottica di lungo periodo (proiezioni al 2050) dovrà essere la cosiddetta previdenza integrativa, basata soprattutto sulla capitalizzazione del TFR, a permettere ai futuri pensionati di mantenere il livello di reddito di cui beneficiano. E’ chiaro quindi che questo settore della previdenza complementare rivestirà nel prossimo futuro un ruolo strategico nell’architettura generale del sistema di welfare.

Evidenzio inoltre che la critica principale che si può avanzare all’intero apparato previdenziale così come viene ereditato dal passato è quella della “non-programmazione”, il fatto di avere

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cioè adottato una logica di breve periodo, basata su interventi estemporanei, senza prendere in considerazione altri importanti elementi. Il sistema ha sofferto di una notevole distorsione laddove non è stato in grado di prevedere che il progresso del sistema sanitario e il conseguente miglioramento delle condizioni di vita avrebbero implicato di per sé una speranza di vita crescente e quindi la necessità di esborsi pensionistici a loro volta maggiori.

Oggi in Italia ci sono due milioni di invalidi non autosufficienti ultrasessantacinquenni, stime accurate dichiarano che nel 2050 ce ne saranno cinque milioni. Il vero problema sociale è rappresentato oggi dall’anziano non autosufficiente: è quindi assolutamente necessaria ed urgente l’integrazione fra sistema previdenziale, assistenziale e sanitario per un miglior coordinamento dell’intero apparato delle politiche sociali a tutti i livelli.

Bisognerebbe inoltre, a mio avviso, incentivare un sistema di assicurazione, anche in parte pagata dal pubblico, che permetta di poter garantire a tutti i servizi assistenziali in caso di non autosufficienza. E’ una polizza che si chiama Long Term Care (LTC) già attiva negli Stati Uniti e in molti altri paesi europei; in Italia dato il limitatissimo numero di assicurati è purtroppo molto cara. Essa garantisce e copre l’assicurato per le eventuali spese assistenziali conseguenti a situazioni di invalidità grave e di lungodegenza che si potrebbero verificare dopo i sessantacinque anni di età. Per rendere simili iniziative più accessibili all’utenza ci dovrebbe essere un sistema di incentivazione pubblica, o di messa a disposizione all’interno del pacchetto della previdenza complementare, di un’assicurazione di questo tipo. La logica assicurativa infatti prevede che maggiore è il numero degli assicurati e comparativamente minore sarà il premio da versare, per cui in prospettiva il sistema di incentivazione permetterà alle persone di sottoscrivere polizze LTC a costi ragionevoli. Si pensi, a titolo di esempio, al risparmio che la Regione realizzerebbe qualora l’intera popolazione regionale fosse assicurata: la spesa sanitaria per gli ultrasessantacinquenni disabili sarebbe drasticamente ridotta e

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libererebbe contestualmente una quantità di risorse che potrebbe essere dedicata ad altri settori dell’assistenza o del sociale.

Alcune di queste politiche sono in fase di studio avanzato da parte della Regione Trentino- Alto Adige che ha istituito il fondo pensione territoriale. In questo senso, il sistema di previdenza complementare, completamente privato, eventualmente integrato con una serie di servizi assistenziali che non sono assicurabili, forniti su base locale, si rivelerà un elemento fondamentale e determinante del sistema assistenziale del futuro anche non troppo lontano.

Per concludere sull’argomento, si potrebbe affermare che l’obiettivo della compatibilità finanziaria degli interventi di welfare deve essere sempre perseguito e possibilmente raggiunto, bisogna tuttavia in prospettiva stimolare la creazione di strumenti assicurativi di tipo privatistico per riuscire a creare dei sistemi in cui ci sia una parte a carico del pubblico, una parte a carico del privato e soprattutto creare quelle condizioni economiche di libera concorrenza in modo che il mercato, se controllato e regolato, possa da solo creare degli strumenti validi economicamente con un effetto benefico per tutta la popolazione.

Per fare questo dobbiamo pensare e prevedere la società del 2050 con scenari temporali di parecchi anni. Un sistema pensionistico complementare si costruisce e deve reggere per 50- 100 anni, si devono quindi creare oggi i presupposti per la politica assistenziale anche dei prossimi decenni. Non è più possibile seguitare nell’aspettare di avere il problema concreto per poi cercare di risolverlo, perché a quel punto sarà troppo costoso, non solo in termini economici ma anche in termini di tensione sociale.

La logica da adottare in questo senso, non deve essere quella degli interventi estemporanei ma quella di interventi basati su scenari di medio-lungo termine in un’ottica di integrazione dei vari settori previdenziale, assistenziale e sanitario.

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Le politiche di welfare degli anni ’60 e ’70 non si sono minimamente poste il problema di capire quella che sarebbe stata la società del nuovo millennio. Questo è stato, a mio parere, il grosso fallimento della politica del welfare; non la politica di per sé, ma il fatto di non avere cercato di guardare oltre per capire cosa sarebbe successo, sebbene dei segnali d’allarme ci fossero già all’epoca. Il sistema sanitario nazionale ha permesso alla gente di vivere più a lungo, si è incentivata la ricerca farmacologica, si è abbattuto il costo dei medicinali in modo che tutti si potessero curare è ovvio che l’effetto indotto sarebbe stato l’allungamento della vita media e della speranza di vita: l’obiettivo era questo e quindi ci si sarebbe dovuto porre anche il problema delle sue implicazioni: un numero crescente di persone non-autosufficienti, perché allungamento della vita significa creare persone non-autosufficienti, pensioni erogate per periodi mediamente più lunghi, spese sanitarie crescenti per certe fasce della popolazione. E’ chiaro quindi che l’aumento della spesa sanitaria implica di conseguenza, in prospettiva, anche un aumento della spesa assistenziale e previdenziale.

Domanda 5: Stato e mercato sono gli attori della realtà economica attuale, quali sono a Suo