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La rilevanza dei voti esercitati per conto terzi ai fini della configurabilità del

                                                                                                               

41 Cfr NOBILI –VITALE, La riforma, cit., 151 e s., i quali tuttavia sia con riguardo al controllo di diritto che a quello di fatto, sembrano sostenere che esso debba considerarsi soggetto alla disciplina in esame anche quando sia soltanto “temporaneo”, ciò che rileva per gli autori pare esclusivamente la possibilità di esercitare in assemblea quei voti attraverso i quali tale controllo viene attuato. Con riferimento al requisito della stabilità del controllo si veda in particolare LAMANDINI, Il controllo, cit., 216 e s., il quale, pur ammettendo che l’influenza dominante debba senza dubbio essere caratterizzata da stabilità e che tale tratto sia comune a tutte le figure di controllo, ritiene che nel controllo di fatto vi siano variabili idonee ad incidere su di essa, sottolineando in particolare l’assenteismo degli altri soci che deve, per esempio, permanere tale da consentire alla quota di capitale posseduta dal “controllante” di mantenere la suddetta influenza in assemblea. Aggiunge quindi che “l’indispensabile requisito

della stabilità è elastico e che, al suo livello di minor intensità, esso va inteso in senso quasi negativo, quale situazione di potere non meramente occasionale o transitoria”. Per l’Autore dunque stabilità

non deve interpretarsi come “inesistenza di alternative ad essa o impossibilità di un suo

sovvertimento”. Cfr. in argomento altresì RESCIO, I sindacati di voto, cit., 621, il quale, dopo aver affermato che nell’ipotesi del controllo di fatto l’influenza dominante dipende da assenteismo dei piccoli azionisti tale da offrire ad una minoranza del capitale la maggioranza relativa in assemblea - situazione che “l’osservazione della realtà indica come raramente reversibile” - indica quindi quali debbano essere – in generale - le qualità del controllo di fatto: “stabilità;

pronosticabilità di sua futura persistenza; non dipendenza da libera (in ogni assemblea) scelta dei soci, scelta ‘libera’ nel senso di non giuridicamente dovuta né materialmente necessitata”

42 COLOMBO - OLIVIERI, Il bilancio consolidato, cit., 678 e s., ove gli Autori anzitutto affermano che la fattispecie di cui all’art. 2359 c.c. deve necessariamente essere caratterizzata dal requisito di una (almeno relativa) stabilità in quanto “intanto si è in grado di esercitare

un’influenza dominante sull’assemblea (e, di conseguenza, sulla società), in quanto la disponibilità dei voti a tal fine necessari sia assicurata per un periodo sufficientemente lungo e non, ad esempio, per una singola riunione assembleare”, salvo poi riconoscere che non sia affatto agevole indicare un

termine decorso il quale la partecipazione attribuisca al titolare il controllo; quindi gli stessi Autori suggeriscono, posta la rilevanza ai fini del controllo del potere di nomina e revoca degli amministratori, che “l’incognita di cui si discute coincida con il tempo necessario a nominare i

Ferma restando allora la necessità di approfondire gli esatti confini del requisito della stabilità, dall’analisi fin qui svolta pare potersi desumere che un controllo debba riconoscersi in capo a colui - o coloro – che siano in grado, con il proprio voto, di orientare le scelte dell’assemblea ordinaria e, in particolare, la nomina dell’organo amministrativo grazie alla disponibilità della maggioranza dei voti in assemblea - ovvero al potere di esercitarvi una influenza dominante nei termini sopra ricordati.

Riprendendo quindi una questione in precedenza lasciata in sospeso, risulta ora opportuno stabilire quali voti assumano rilevanza per integrare le fattispecie considerate dai numeri 1 e 2 dell’art. 2359 c.c.

A riguardo è necessario anzitutto richiamare il terzo comma della norma in commento, nello specifico laddove esclude dal novero dei voti rilevanti quelli “esercitati per conto terzi”43.

Mentre, infatti, si prevede espressamente che debbano computarsi, ai fini del primo comma, anche i voti spettanti a società controllate, fiduciarie nonché a persona interposta44, sono invece esclusi quelli eventualmente spettanti per conto terzi e,

                                                                                                               

43 LAMANDINI, Il controllo, cit., 26, nt. 20 esclude senza dubbio che ai fini del controllo si calcolino le azioni il cui voto spetti per delega, mentre ritiene rientranti nel computo quelle del minore di cui dispongano i genitori "in ragione delle ampie prerogative di usufrutto e

amministrazione che la legge riserva loro"; si veda altresì DONVITO, Commento all’art. 2359, cit., il quale esclude la rilevanza dei voti esercitati per conto terzi, sul presupposto che in tali casi – l’Autore non fa distinzioni – prevarrebbe l’interesse del terzo e non di colui che esprime il voto; in senso parzialmente contrario si veda SBISÀ, Commento all’art. 2359 c.c., cit., 466, che proprio con riferimento all’ipotesi di delega ritiene fondamentale “stabilire se il diritto di voto

deve essere esercitato dal delegato nel proprio interesse, o nell’interesse del possessore delle azioni o quote”; conforme CARBONETTI, Commento all’art. 2359 c.c., cit. Con riguardo proprio all’esercizio del voto in forza di delega opera un distinguo MIOLA, Commento all’art. 93, cit., 769, il quale, posto che in ogni caso debba preventivamente accertarsi nell’interesse di chi viene esercitato il voto in concreto, distingue poi il caso in cui detti voti debbano computarsi ai fini del controllo di diritto o di fatto; nella prima ipotesi, infatti, ritiene che essi assumano senza dubbio rilevanza, mentre si esprime in termini dubitativi per quanto concerne il controllo di fatto, posto che “l’esigenza di certezza delle situazioni giuridiche richiede che la

disponibilità di voti in misura tale da esercitare l’influenza dominante nell’assemblea presenti carattere di continuità; il che non è riscontrabile in presenza di deleghe conferite necessariamente per singole assemblee, potendosi valutare solo ex post la stabilità della fonte generatrice del controllo di fatto”. Cfr.

infine SCHIUMA,Controllo, cit., 88, la quale dopo aver dedotto - con ragionamento a contrario - che debba dunque considerarsi controllante solo colui che disponga dei voti per conto proprio, pare sostenere che la situazione soggettiva configurabile in capo al controllante debba necessariamente equivalere alla titolarità di un diritto reale sulla partecipazione, posto che per l’Autrice “rientrano nella fattispecie i diritti di proprietà o altri diritti reali sulle

partecipazioni (rectius, sulle prerogative derivanti dalle partecipazioni) sociali, ma non i diritti di credito”. Pare tuttavia a chi scrive che non vi sia una corrispondenza necessaria tra possibilità

di esercitare il voto per conto proprio e titolarità di un diritto (necessariamente) reale sulla partecipazione.

44 Cfr. SBISÀ, Società e imprese controllate, cit., 910 s, il quale rileva che ai fini dell’individuazione del rapporto di controllo debbono ritenersi equivalenti al possesso diretto tutte le forme di possesso indiretto di quote di partecipazione, assumendo tuttavia rilevanza le modalità attraverso le quali tale disponibilità si realizza, dovendosi distinguere tra voti spettanti a società fiduciarie ed interposta persona, ovvero possesso indiretto tramite società controllata. Sul punto si vedano altresì COLOMBO - OLIVIERI, Il bilancio, cit., 685, secondo i quali ciò che conta è esclusivamente la disponibilità di fatto del voto, mentre “un ruolo apparentemente

dunque, esercitati in nome e per conto di altro soggetto, senza ulteriori specificazioni a riguardo.

La norma dunque espressamente esclude, ai fini del computo dei voti necessari perchè si configuri in capo ad un soggetto la qualifica di controllante - di diritto o di fatto – che possano ritenersi rilevanti voti che, seppur in concreto esercitati in assemblea da un determinato soggetto, siano tuttavia riconducibili a terzi. Apparentemente sembrerebbe dunque venire in considerazione proprio l’ipotesi della delega di voto, tipico strumento - come si è visto nel primo capitolo di questo lavoro - tramite il quale colui che effettivamente presenzia l’assemblea esprime un voto altrui.

L’esclusione dal computo dei voti rilevanti di tutti quelli riconducibili a terzi mi pare tuttavia, anche alla luce delle considerazioni fino ad ora svolte, debba considerarsi una conclusione eccessivamente semplicistica.

A ben vedere, infatti, ciò che rileva ai fini della nozione di controllo disciplinata dal codice civile, come più volte ricordato nel corso di questo lavoro, è la disponibilità del voto, o meglio la possibilità di esercitare in assemblea detto voto, orientandolo secondo il proprio interesse. Controlla infatti la società colui in grado di orientare la volontà assembleare, fondamentalmente con riguardo alla nomina degli amministratori.

Assumendo dunque rilevanza fondamentale l’interesse posto alla base del voto espresso, piuttosto che l’imputazione formale dell’azione che ad esso dà diritto - o la persona legittimata ad esercitarlo in sede assembleare - appare chiaro, come in dottrina autorevolmente sostenuto45, che anche nel caso di voti spettanti a terzi sia

necessario sempre indagare se colui che esercita in concreto detto voto sia legittimato a farlo nel proprio – o anche nel proprio – interesse.

In tali ipotesi, infatti, i voti espressi dovranno necessariamente essere considerati ai fini della determinazione del controllo, potendosi ragionevolmente

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                             

secondario e strumentale svolge lo strumento giuridico che tale disponibilità assicura”.

45 SBISÀ, Commento all’art. 2359 c.c, cit., 465 s., secondo il quale è sempre necessario valutare nell’interesse di chi viene esercitato il voto, risultando tale indagine particolarmente necessaria in tutte quelle ipotesi in cui “le circostanze di fatto non siano univoche” poichè proprio l’articolo 2359 “impone di tenere conto del reale potere di decisione” e stabilisce che non si debbano computare ai fini della qualifica di controllante (solo) i voti spettanti per conto terzi; in senso analogo anche MIOLA, Commento all’art. 93, cit., 770, il quale espressamente chiarisce che indipendentemente dalla sussistenza o meno di una scissione tra esercizio del voto e titolarità del medesimo sia “decisivo, per la sussistenza del controllo, accertare nell’interesse di chi viene

esercitato il diritto di voto”, e che pertanto non debbano ricomprendersi i voti spettanti a

soggetto diverso dal titolare della partecipazione, ma solo ed esclusivamente se debbono essere esercitati nell’interesse di colui che ne è stato spogliato - o nell’interesse di terzi - potendosi dunque dedurre a contrario che di tali voti si terrà conto qualora possano essere esercitati nell’interesse proprio da colui che ne dispone in concreto. A riguardo si vedano anche NOBILI –VITALE, La riforma, cit., 151, i quali, seppur con riferimento alla dizione della norma antecedente al 1991, già sottolineavano che per determinare l’esistenza di una situazione di influenza dominante si dovesse tenere conto “anche delle azioni o quote di proprietà

ritenere che chi orienta il voto secondo il proprio interesse di esso disponga, anche ai sensi del primo comma della norma in esame, senza che possa venire in rilievo l’esenzione dei voti esercitati per conto terzi46 che troverà applicazione, allora, solo ove

il voto venga espresso in assemblea da un soggetto esclusivamente nell’interesse del titolare della partecipazione.

2.4 Le nozioni c.d. speciali di controllo ed il fondamentale rilievo attribuito alla