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IL SOGNO E L'UOMO-DIO LASCITO BERGSONIANO NELL'ESPERIENZA DEL REALE.

5.2 Rinascita e fascismo.

Per Papini il vero cardine tra pensiero e azione è la figura dell'artista, che trova spazio per la sua realizzazione in un sistema politico che si faccia forza dell'arte per trasformare l'uomo. Possiamo ipotizzare che nell'ottica di Papini il fascismo assolveva a questo compito, insieme a un'impostazione elitaria e gerarchica che egli non aveva mai abbandonato; fin dai tempi del Leonardo, egli aveva considerato gli intellettuali un “genere umano” diverso e superiore rispetto agli uomini appartenenti ad altre categorie sociali. Questa superiorità era data non solo da alcune capacità maggiormente sviluppate rispetto agli altri, ma soprattutto alle maggiori responsabilità che queste stesse potenzialità comportavano nei confronti degli uomini. Ciliberto, in Tra “societas

christiana” e cesarismo: Giovanni Papini236, sostiene che il fascismo di Papini si fondava innanzi tutto sulle colonne portanti del suo pensiero, ossia l'impegno intellettuale e la missione guida dell'Italia nel mondo, rimanendo però estraneo alle vicende storiche in sé e per sé, inconsapevole della massivizzazione del fascismo nei confronti del popolo. Inizialmente Papini era addirittura avverso alla figura di Mussolini. Leggiamo in una lettera a Soffici il 15 dicembre 1919: “L'Italia in apparenza è oggi rappresentata da tre energumeni sifilitici: D'Annunzio,

Bologna, 1989, pp. 15-20.

236 M. Ciliberto, Tra “societas christiana” e cesarismo: Giovanni Papini, in Atti del Convegno di studio nel centenario dalla nascita, cit., pp. 77-104.

Mussolini e Marinetti. Ma tu sai che l'avvenire non è in loro”237. I primi

avvicinamenti al regime e al duce avverranno solo dieci anni dopo. “La conversione politica di Papini corrisponde a un mutamento d'asse significativo della politica e delle ideologie fasciste negli anni trenta. S'intreccia nello stesso tempo a una variazione e a una accentuazione in senso nettamente imperialistico ed espansionistico del suo cattolicesimo”. Si registra quindi una estraneità alla dimensione istituzionale della politica, che altro non è che “un peso ignobile”, che deve essere limitato alle spalle di uno solo. Ciliberto riporta dalle pagine del Diario di Papini (2 ottobre 1942): “La politica è sempre e solo questa: machiavellismo; gioco brutale di forza e di potenza; maneggio di cose sporche, strutturalmente corrotte.”238 Cristo in Papini è il più grande riformatore. Il cristianesimo di

cui si sente parte è quello militante, quello intriso di consapevolezza della diversità rispetto al mondo terrestre: “è questo l'ideale scelto e proposto da Papini con la “conversione”: un modello integralistico di 'societas', espansivistica e imperialistica. Nel quale fede, santità, religione dissolvono la politica, lo Stato, che perdono, a questa luce, autonomia, ragion d'essere”239. Nel regime fascista, che nel '34 passa dai provvedimento forti

in politica interna a quelli in politica estera, Papini vedeva il culmine della storia italiana, l'ultimo episodio della lunga battaglia per la liberazione

237 Ivi, p. 91 238 Ibidem. 239 Ibidem.

definitiva e la proclamazione del ruolo dell'Italia come guida morale, civile e politica dell'Europa. Lo attirava inoltre, secondo Ciliberto, la figura del capo, del duce:

“Concorreva al mutamento il quasi generale consenso del popolo, non tanto al fascismo, quanto al suo capo; molte istituzioni e provvidenze certamente lodevoli; l'impulso dato alle opere pubbliche; il conseguimento di un ordine interno e di un esterno prestigio mai prima di allora goduti; ultimamente si era aggiunta la Conciliazione dell'11 febbraio 1929, che, componendo l'antico dissidio fra Chiesa e Stato, mosse fortemente il cuore italiano e cristiano del nostro scrittore e lo indusse a considerare con altro animo chi l'aveva tenacemente perseguita.”240

Quindi in questo ruolo di mecenate per le arti e la cultura letteraria in generale agli occhi di Papini il fascismo era un punto atteso da molto tempo, dove a un'azione politica decisa, senza temporeggiamento né compromessi, si univa una crescita culturale. Il sistema totalitario derivava secondo lui da una naturale presa di coscienza, infatti era da considerarsi una follia il voler creare una strategia d'azione politica che potesse tenere insieme più volontà diverse.

“Sono i temi della propaganda politica reazionaria di Papini: ma essi, con la 'conversione', si compongono e si strutturano in una visione fondata sull'intreccio organico di teologia, storia e politica. La necessità della tirannide ha un fondamento radicalmente religioso, connesso alla consapevolezza della 'bestialità' dell'uomo non toccato dalla grazia e dalla redenzione. Il parlamentarismo, la democrazia, il comunismo non sono solo cattive ideologie politiche; sono strutturalmente inadeguati alla natura autentica dell'uomo, alla malignità della sua natura di 'bruto inguaribile'. E tuttavia il fatto che Papini sostenesse queste posizioni non significa che egli fosse già fascista. Fascismo e Reazione non sono termini immediatamente convertibili: in primo luogo perché il fascismo è una forma specifica di reazione, con una propria storia fra gli anni Venti e gli anni Trenta[...]”241

240 R. Ridolfi, Vita di Giovanni Papini, cit., p. 155.

Possiamo rifarci a testi in cui Papini non parlò esplicitamente di fatti di attualità per capire quale modello politico e sociale cercasse di divulgare e legittimare. Il modello a cui Papini guarda, sia nel Dante vivo242 sia in La

grandezza dei Medici243 sono più ideali letterari che non veri e propri modelli costituzionali. Ancora una volta la visione dell'uomo di Papini sfugge dalle determinazioni canoniche ed attuali e trova i suoi punti di riferimento in ambiti dove l'arte e la connessione uomo-realtà passavano attraverso la valorizzazione dell'elemento individuale e spirituale, della libertà dell'espressione artistica e dell'avanzamento dell'arricchimento interiore dell'uomo. Tale progresso non doveva avvenire grazie a riforme o a leggi bensì attraverso lo sforzo del singolo e del “mecenate”, da un punto di vista materiale”, verso la liberazione dell'uomo dai cardini di ruoli precostituiti. La dimensione che l'uomo di Papini doveva ricercare era nuova, completamente al di fuori di qualunque possibilità venisse offerta dal mondo circostante.

La visione politica di Papini aveva insita in sé la necessità di una rivalutazione della memoria dell'Italia. Come ai tempi di Lacerba denunciava che nessuna delle grandi rivoluzioni aveva avuto origine in Italia, così con il Centro del Rinascimento si inserì idealmente in quella

242 G. Papini, Dante vivo, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 1933.

243 G. Papini, La grandezza dei Medici, in L'imitazione del Padre. Saggi sul Rinascimento, Le Monnier, Firenze, 1947 (le pagine a cui ci riferiremo in seguito sono appartenenti alla terza edizione accresciuta del testo).

corrente di rivalutazione del passato culturale italiano, per poter dare alla nazione un valore aggiunto grazie al quale confrontarsi con le altre potenze nazionali. L'internazionalità di Papini, il confronto con le culture straniere era stato un punto centrale del suo percorso intellettuale fin dai tempi del Leonardo. Il mancato 'risorgimento', il fallimento del futurismo, la sconfitta morale e materiale della prima guerra mondiale – quella stessa guerra che lui aveva tanto desiderato ma di cui successivamente si pentì – avevano alimentato un generale sentimento di riscatto.

“[...] la sottolineatura significativa della centralità del governo mediceo quale modello che preannuncia un processo di accentramento, conquista e consenso a livello nazionale e non solo cittadino, è pronunciata da Papini, il 6 aprile 1939, nel discorso inaugurale alla mostra di palazzo Medici Riccardi. Il genio politico dei Medici prefigura un vero e proprio sistema politico che si può agevolmente ricavare dalla pratica effettiva delle prime generazioni, ma che si conserva fino alla fine del Granducato, assicurando la pace sociale nel rispetto dell'etica cristiana.”244