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RIPARATIVA DELLA REGIONE AUTONOMA TRENTINO-ALTO ADIGE/SÜDTIROL

Valeria Tramonte

Il Centro di Giustizia Riparativa della Regione Trentino-Alto Adige si occupa di favorire e promuovere pratiche riparative anche nel proce- dimento penale minorile sulla base di accordi istituzionali e protocolli con l’autorità giudiziaria e con i servizi sociali del Dipartimento Giusti- zia Minorile e di Comunità. Non mi dilungherò nel descrivere cosa si intenda per giustizia riparativa, tanto più che non ne esiste un’unica definizione indiscussa; il titolo del convegno offre, d’altra parte, una rapida quanto efficace sintesi degli elementi e delle finalità di ogni pro- cesso riparativo.

Dopo che un reato è stato commesso, si dice ci sia molto lavoro da fare. Ciò è sicuramente vero dal punto di vista processuale, ambito nel quale al reato seguono accertamenti, procedure, verifiche e iter com- plessi, ma lo è anche da un punto di vista diverso e, per il diritto penale, in qualche modo “nuovo” e poco esplorato: l’ambito delle relazioni. C’è necessità, dopo che è stato commesso il reato, di confrontarsi con le

responsabilità: la responsabilità richiamata nel percorso riparativo è

concetto diverso dalla responsabilità penale; si tratta di una responsabi- lità che potremmo definire relazionale, una responsabilità verso qualcu- no, che comprende la responsabilità dell’autore di reato verso la perso- na che ha subìto le conseguenze della sua azione e la responsabilità del- la comunità nel suo complesso nell’assumere un ruolo attivo nella ge- stione delle conseguenze del reato. Il processo di gestione di queste conseguenze richiede che ci sia partecipazione, che autore di reato, vit- tima e comunità si lascino coinvolgere aderendo al percorso e condivi- dendolo. Si giunge così alla riparazione, che potrà assumere contenuto vario e dipendente dalle esigenze e dalle disponibilità degli attori coin-

volti e che potrà riguardare attività, restituzioni, gesti simbolici. Solo con la presenza di tutti questi elementi (responsabilità, partecipazione, riparazione) il percorso si potrà dire completato.

Sappiamo che il procedimento penale minorile è stato, pur in assen- za di precise previsioni normative a riguardo, un “laboratorio” per i primi esperimenti di giustizia riparativa nel nostro paese. E non è un caso che il primo esperimento riparativo moderno registrato sia quello di una mediazione reo-vittima realizzata nel 1974 in Ontario (Canada), nei confronti di due minori accusati di atti di vandalismo commessi contro ventidue persone. In quell’occasione, il giudice, insieme al pro-

bation officer e ad un volontario, propose ai ragazzi una serie di incon-

tri con ciascuna vittima, volti ad offrire la possibilità per i giovani di scusarsi e di prendere accordi riguardanti le modalità di riparazione del danno. La finalità rieducativa propria del procedimento penale minorile e la sensibilità degli operatori sociali e del diritto alla ricerca di solu- zioni personalizzate, adatte al caso concreto1, hanno reso possibili le

prime sperimentazioni riparative; da lì, le pratiche si sono via via svi- luppate, diffuse ed in alcuni casi istituzionalizzate.

Il Centro di Giustizia Riparativa ha avviato il servizio di mediazione penale minorile, che è uno degli strumenti di giustizia riparativa, nel- l’anno 2005, ed in più di dieci anni d’attività ha ricevuto circa 350 invii da Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Trento e Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni di Trento del Di- partimento Giustizia Minorile e di Comunità. I casi riguardano per lo più reati di furti, lesioni personali, ingiurie, minacce, percosse, rapina e violenza privata. Circa la metà dei casi totali e poco meno del 100% dei casi arrivati all’incontro tra le parti ha avuto esito positivo. L’esito posi- tivo porta con sé nella quasi totalità dei casi una riparazione, prevalen- temente di tipo simbolico, delle conseguenze causate dal reato. Per quanto riguarda l’iter di mediazione, vale la pena specificare che dopo aver ricevuto la richiesta di mediazione da Procura (ex art. 9) o USSM (ex art. 12 o 28), che hanno normalmente già acquisito un primo con- senso da parte del minore, il mediatore prende contatto con le parti pro-

1 Cfr. M. B

OUCHARD, Breve storia (e filosofia) della giustizia riparativa, in Que- stione Giustizia, 2015, n. 2, 66 ss.

ponendo loro un colloquio durante il quale esprimere il loro punto di vista e verificare se un incontro di mediazione è possibile.

Solo se le parti saranno d’accordo, dato il carattere di volontarietà del percorso, si svolgerà l’incontro di mediazione vero e proprio. A conclusione della mediazione o del tentativo, il Centro invierà un esito all’ente che ha richiesto l’intervento di mediazione. La mediazione può essere non effettuabile, nel caso in cui l’incontro non possa tenersi, po- sitiva o negativa. Nella comunicazione dell’esito due esigenze devono essere contemperate: da una parte il bisogno dei mediatori di rispettare la confidenzialità degli incontri e di tutelare la deontologia professiona- le; dall’altra l’esigenza dell’ente inviante di ricevere un esito che con- tenga informazioni sufficienti per contribuire a motivare eventuali deci- sioni. Il mediatore fornirà dunque un esito sintetico ma esaustivo e, se le parti saranno d’accordo, potrà fornire ulteriori elementi utili per comprendere l’andamento della mediazione. Una mediazione si dice positiva quando le parti sono riuscite a comunicare in modo da acquisi- re una consapevolezza nuova e diversa dell’altro rispetto alla situazione di partenza e quando si è giunti ad un accordo di riparazione simbolica o di restituzione materiale.

Alcuni cenni al tema della riparazione: la riparazione simbolica con- siste in un gesto o un’attività volta a riparare e ricostruire la relazione (di fiducia, di amicizia, di vicinato, ecc.) che aveva subito una frattura. La riparazione simbolica così delineata non rappresenta una misura af- flittiva e il mediatore dovrà vigilare sul fatto che così non sia intesa da vittima o minore. Essa dovrà sempre rispondere a criteri di ragionevo- lezza e di proporzione. La restituzione materiale dei danni subiti, se rappresenta l’interesse e il desiderio di entrambe le parti, può essere un contenuto della mediazione; non potrà invece essere una condizione per partecipare alla mediazione, capovolgendo l’ordine logico che la legit- tima. La restituzione può cioè risultare come contenuto dell’accordo che le parti concludono in mediazione ma non essere una richiesta da soddisfare preliminarmente.

Vorrei ora soffermarmi su alcuni profili più specifici. Primo tra que- sti è la motivazione alla partecipazione a programmi di giustizia ripara- tiva, tema da sempre piuttosto discusso, soprattutto nel caso della me- diazione penale minorile. Alcuni ritengono che la mediazione possa

essere percepita dal minore come imposta da un soggetto dotato di au- torità come il giudice, oppure interpretata dallo stesso minore come una strategia difensiva più favorevole ai suoi interessi2. Ancora, alcuni sot-

tolineano la possibilità che, di fronte a un rifiuto del minore di parteci- pare alla mediazione, il giudice minorile escluda eventuali soluzioni indulgenziali3, configurandosi quindi il rifiuto come una mancata as-

sunzione di consapevolezza dei danni arrecati alla parte offesa e, in ul- timo, come mancato ravvedimento. Questi rilievi critici vanno dunque tutti nella direzione di sottolineare che l’adesione al percorso da parte del minore può essere forzata e non connotata da spontaneità.

Mentre si ritiene sia da evitare che la mediazione sia imposta o per- cepita come un atto dovuto, così come che al rifiuto del minore seguano conclusioni circa la sua responsabilizzazione, non sembra invece neces- sariamente inficiare l’utilità del percorso un’adesione inizialmente strumentale all’incontro, aspetto che peraltro è fuori dal controllo degli operatori. Se da un lato è necessario favorire la riflessione del minore sul significato della partecipazione, dall’altro è inopportuno e finanche pericoloso spingersi sino a voler indagare la ragioni profonde della par- tecipazione al percorso. Dobbiamo basarci sul dato che il minore inten- de adoperarsi in favore della vittima utilizzando uno strumento a sua disposizione e apprestare i mezzi affinché questo incontro possa avve- nire nelle condizioni adatte, ricordando al minore durante il percorso la libertà nell’adesione e nel prosieguo. Un certo grado di strumentalità è fisiologico e non si ritiene vada a detrimento dell’intero processo; oc- corre chiaramente tenere quest’aspetto sotto controllo, per cui va spesso riverificato e ricordato, durante il procedimento di mediazione, che la partecipazione è libera e che non è presente alcun tipo di vincolo.

Del resto anche le motivazioni della vittima possono essere quanto mai varie: variano al variare del reato e della situazione relazionale in cui esso è emerso. Diversità nella relazione corrispondono infatti a dif- ferenze nelle motivazioni e aspettative della vittima; nel caso l’autore

2 M.G. P

INNA, La vittima del reato e le prospettive di mediazione nella vigente legi-

slazione processuale penale, in F. MOLINARI, A. AMOROSO (a cura di), Criminalità

minorile e mediazione, Milano, 1999, 31 ss.

3 P. P

AZÉ, Caratteri, potenzialità e limiti della mediazione nel procedimento penale

del reato sia un coetaneo conosciuto, la vittima, così come lo stesso au- tore del reato, sente spesso l’esigenza di ridefinire la relazione con lui e si aspetta che la mediazione offra un’occasione di comunicazione e confronto; diverso è invece il caso della vittima adulta, che nei confron- ti dell’autore di reato sconosciuto può avere mere pretese restitutive. Anche nel caso limite in cui la motivazione iniziale alla partecipazione sia meramente utilitaristica, l’incontro rappresenta comunque un’espe- rienza relazionale, un momento di possibile cambiamento dell’idea che ciascuno aveva creato, in sé, dell’altro. Non è detto, dunque, che una motivazione iniziale strumentale determini un incontro vissuto strumen- talmente; per questo motivo, non si condividono le perplessità di chi sostiene che l’iniziale motivazione estrinseca pregiudichi necessaria- mente il significato relazionale ed educativo del percorso.

Altra questione riguarda le conseguenze dell’esito sul procedimento penale in corso: un esito negativo o non effettuabile non dovrebbe avere mai nessuna conseguenza sanzionatoria nel procedimento penale; nel caso dell’esito positivo, mentre sono facilmente prevedibili le conse- guenze per reati perseguibili a querela di parte, risulta più complicato definire quali potrebbero essere le conseguenze nel caso di reati perse- guibili d’ufficio. Si può immaginare che in alcuni casi l’esito positivo della mediazione e la responsabilizzazione del minore così attivata pos- sano costituire i requisiti idonei ad affievolire la pretesa punitiva statua- le4, rendendo quindi più probabili esiti quali il non luogo a procedere

per l’irrilevanza del fatto. Come osserva a tale proposito Grazia Man- nozzi,

la mediazione – lavorando, per così dire, dall’interno del conflitto – ha in sé la capacità di gettare una nuova luce sull’intero fatto di reato. La stessa riparazione, se maturata attraverso la mediazione e se avvenuta prima dell’inizio del dibattimento ‘riduce’ significativamente la dimen- sione del danno, riducendo perciò l’efficacia ostativa di uno dei para- metri per la valutazione della tenuità del fatto5.

4 F. R

ESTA, Dall’offesa alla relazione. Mediazione penale e giustizia “ricostrutti- va”, in http://www.ristretti.it/commenti/2010/gennaio/pdf11/articolo_resta.pdf.

5 G. M

ANNOZZI, La Giustizia senza spada: uno studio comparato su giustizia ripa- rativa e mediazione penale, Milano, 2003, 255.

Quali sono dunque gli effetti attesi in caso di mediazione positiva? La mediazione offre un’opportunità di sensibilizzazione e responsa- bilizzazione rispetto alle conseguenze dannose della condotta posta in essere, riduce il rischio di minimizzazione dell’agito e di spersonalizza- zione della persona offesa, può fornire ulteriori elementi all’autorità giudiziaria per avvalersi di vari strumenti previsti dal rito minorile. Alla vittima offre la dimostrazione della risposta dell’ordinamento al reato, capace di attenuare la frustrazione che un’esperienza di vittimizzazione porta con sé, e permette di avere uno spazio d’ascolto e di espressione delle proprie esigenze, anche di riparazione. È un prezioso strumento per perseguire gli obiettivi educativi del processo penale minorile e può accompagnare, con il suo contenuto responsabilizzante, le soluzioni processuali che comportano l’astensione dal giudizio o dalla pena. È uno strumento dalle grandi potenzialità. Per questi motivi sarebbe op- portuno favorire l’esperire tentativi di mediazione sempre laddove pos- sibile, certo nei limiti stabiliti dai principi del nostro ordinamento, quali ad esempio l’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale. Esistono spazi per la mediazione che rimangono ad oggi quasi inesplorati (si pensi ad esempio alla mediazione in fase di esecuzione di pena) così come pratiche di giustizia riparativa che hanno dimostrato di essere ef- ficaci, che, quando non completamente trascurate, restano sperimenta- zioni senza seguito. Penso ad esempio al conferencing, ai circles, alle mediazioni allargate. Il Centro ha nel tempo avviato sperimentazioni alle quali intende dare in futuro sistematicità inserendole tra le attività ordinarie. L’apertura a pratiche riparative diverse dalla VOM, che ha peraltro motivato il cambiamento nella denominazione del centro, è in linea con ciò che è previsto dai documenti internazionali in materia ed efficacemente realizzato in altri paesi europei.

Momenti di approfondimento e confronto come quelli offerti da questo convegno assumono in questa prospettiva particolare rilievo, nell’analizzare profili critici e possibili soluzioni adottabili e nell’esplo- rare nuovi percorsi da attivare insieme agli altri attori coinvolti. Ci au- guriamo dunque che il dialogo possa proseguire per favorire nuove e proficue sinergie tra le istituzioni e i servizi in rete.

LA GIUSTIZIA RIPARATIVA NEL PROCEDIMENTO