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Una questione molto delicata è la ripartizione dell’onere della prova nel contesto della vicenda cautelare.

I diversi meccanismi di imputazione operanti a seconda che l’autore del reato presupposto sia un soggetto che rivesta posizioni apicali oppure subalterne assumono rilevanza anche nel sub procedimento cautelare.

64 L. D. CERQUA ,L’applicazione delle misure cautelari interdittive nei

confronti degli enti: le prime pronunce della giurisprudenza, Rivista 231, num. 3-2006 , p. 163 evidenzia come possa sorgere qualche dubbio sulla correttezza della decisione a proposito del qualificato carattere assoluto della nullità nel provvedimento cautelare viziato da ultra petizione , riferito dalla Suprema Corte alla partecipazione del P.M. al procedimento, trattandosi di un caso non rientrante tra quelli disciplinati dall’ art 178 lett. b) c.p.p. , riguardante la diversa ipotesi dell’iniziativa del P.M. nell’esercizio dell’azione penale.

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Nel primo caso, è sufficiente che il soggetto ponga in essere un reato ,fra quelli previsti dal decreto, nell’interesse o a vantaggio dell’ente ,affinché scatti la responsabilità amministrativa della persona giuridica. Nel caso di dipendenti invece l’ente risponde solo se la commissione del reato è stata resa possibile dall’inosservanza di obblighi di direzione e vigilanza.

In entrambi i casi l’adozione ed efficace attuazione di modelli organizzativi idonei ad evitare reati della stessa specie di quello verificatosi, è causa di esclusione di responsabilità dell’ente.

Nonostante tali similitudini però le due fattispecie sono molto diverse per quanto riguarda le condizioni di esonero dalla responsabilità amministrativa.

Quando il reato è stato commesso da sottoposti , l’adozione di modelli idonei esclude di per se stessa, ex art. 7 comma 2 d.lgs. 231 / 2001 , l’inosservanza degli obblighi di direzione e vigilanza che abbiamo visto essere il presupposto fondante la responsabilità in capo agli enti in questo caso.

Ove invece la responsabilità della persona giuridica derivi da condotte poste in essere da apicali, l’attuazione di tali modelli non sarebbe idonea ad escluderla in quanto l’esonero è condizionato dagli ulteriori requisiti di cui all’art. 6 del d.lgs. 231/2001 : affidamento del compito di vigilare sul funzionamento e sull’osservanza dei modelli organizzativi ad un organismo autonomo dell’ente che, a sua volta non abbia omesso o realizzato un insufficiente vigilanza, nonché elusione fraudolenta dei modelli da parte degli autori del reato.

Tale affermazione, almeno secondo la dottrina e la giurisprudenza maggioritaria, si traduce in una diversa distribuzione dell’onere della prova anche in sede cautelare.

In caso di reati posti in essere dai vertici l’accusa dovrà limitarsi a dimostrare, in chiave indiziaria , che è stato commesso uno dei reati previsti, che l’autore è un soggetto apicale e che il

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fatto delittuoso è stato realizzato nell’interesse o vantaggio dell’ente. L’assenza di ogni colpa organizzativa, che si concretizza nell’adozione di un efficace modello organizzativo e nella sussistenza delle condizioni di cui all’art. 6 d.lgs.231/2001, si configura come fatto impeditivo che grava interamente sulla difesa. Da più parti è stata messa in luce la particolare difficoltà di fornire una simile prova, soprattutto con riguardo alla dimostrazione tesa a negare l’omessa vigilanza da parte dell’organo a ciò preposto (art. 6. lett. d d.lgs. 231/2001), autentica probatio diabolica ( quest’ultima considerazione sicuramente valida rispetto alla decisione definitiva si stempera tuttavia in sede cautelare ove l’avvenuta adozione dei soli modelli organizzativi può rivelarsi sufficiente per escludere l’applicazione della misura interdittiva, posto che sarebbe cosi evitato il pericolo di commissione di ulteriori reati, unica esigenza cautelare prevista dal decreto.)65

Alcuni autori66 hanno inoltre evidenziato come per gli elementi impeditivi di cui all’art. 6 d.lgs. 231/2001 non può che valere la regola di cui all’art. 273, 2° comma c.p.p. :<< nessuna misura può essere applicata se risulta che il fatto è stato compiuto in presenza di cause di giustificazione o non punibilità >>.

Ciò significa che è spostato sull’imputato il rischio che le indagini precedenti alla richiesta cautelare non abbiano approfondito la possibilità che sussista un esimente, derivando una regola di giudizio diversa da quella dibattimentale. << Il dubbio probatorio sulla presenza di una causa di giustificazione o di non

65 S. RENZETTI , Misure cautelari applicabili agli enti. Primi interventi della

Cassazione, Rivista Cassazione Penale 2007, p. 4234 ; G . FIDELBO , Le misure cautelari, in G. LATTANZI (a cura di), Reati e responsabilità degli enti. Guida al d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231 , cit.,p. 525

66 G. VARRASO, Il procedimento per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, cit. , p. 194

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punibilità della quale non si può a rigore affermare che ‘risulta’, parrebbe non impedire l’esercizio del potere de libertate mentre, se la situazione rimanesse la medesima sino alla conclusione del giudizio di merito, l’esito sarebbe l’assoluzione dell’imputato a norma dell’art 530, 3° comma c.p.p. >>.67

Ciò dimostra come il pubblico ministero sia quasi esonerato dal verificare i fattori impeditivi della responsabilità di cui all’art 6 d.lgs. 231/2001, ponendosi un onere probatorio in capo all’indagato o all’imputato soprattutto in sede di contraddittorio anticipato.

Autorevole dottrina68 ha rilevato come il legislatore sia caduto in una incongruenza: scelta la strada dell’equiparazione tra la responsabilità dell’ente e responsabilità penale nell’ambito delle garanzie che presidiano il corrispondente accertamento, egli avrebbe dovuto uniformarsi ,anche quanto al procedimento cautelare, al divieto di considerare colpevole l’imputato fino a condanna definitiva ( art. 27, 2° comma Cost.) od anche alla presunzione di innocenza di cui deve giovarsi << ogni persona accusata di un reato (…) sino a quando la colpevolezza non sia stata legalmente accertata >> ( art. 6 § 2 Convenzione europea dei diritti dell’uomo ; analoga formula è contenuta nell’art. 14 § 2 Patto internazionale sui diritti civili e politici ). Il legislatore avrebbe cercato di eludere il problema qualificando come “ amministrativa” la responsabilità delle persone giuridiche, ma si tratta di una soluzione difficilmente giustificabile nel contesto di un sistema ispirato alla tendenziale assimilazione tra enti e persone fisiche

67 D. NEGRI, Fumus commissi delicti.. La prova per le fattispecie cautelari ,

Torino , 2004, p. 123

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P. MOSCARINI , P. CADOPPI – G. GARUTI – A. VENEZIANI, Enti e responsabilità da reato, cit. , p. 596, A. PRESUTTI, Artt. 45 – 52, in PRESUTTI – BERNASCONI – FIORIO (a cura di), La responsabilità degli enti. Commento articolo per articolo al d. legisl. 8 giugno 2001, n. 231, cit., p. 590

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sotto il profilo delle garanzie procedimentali; ciò potrebbe portare l’interprete a rilevare una contraddittorietà in grado di porre dubbi sotto il profilo costituzionalistico della ragionevolezza (art. 3 Cost.).

Parte della dottrina 69 ha tentato di armonizzare questa scelta legislativa con la presunzione di innocenza partendo dalla nota ambivalenza della regola costituzionale di cui all’art. 27 , 2° comma Cost. Con riguardo alla regola di trattamento , pare plausibile affermare che l’intima correlazione di essa con la tutela dell’inviolabilità della libertà personale delle persone fisiche comporti che, quando il soggetto sottoposto a procedimento non sia una persona fisica ma un soggetto collettivo, risulti compatibile con la Costituzione, in fase cautelare, che il rischio della mancata prova gravi sull’accusato.

Al contrario della regola di trattamento, la regola di giudizio implicata nella presunzione di innocenza troverà piena espansione . In questo caso la norma di riferimento per la distribuzione dell’onere della prova non sarà l’art. 6 d.lgs. 231/2001, che è norma di diritto sostanziale , ma l’art 530 , 3° comma c.p.p. ove è stabilito che se vi è dubbio sull’esistenza di una causa esimente il giudice pronuncia sentenza di assoluzione ai sensi dell’art 530 ,1° comma c.p.p. E’ infatti alla stregua delle norme processuali che si può stabilire quali siano le conseguenze nel giudizio della mancata prova piena da parte della persona giuridica sottoposta a procedimento circa l’avvenuta adozione ed efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione di cui all’art. 6 d.lgs. 231/2001.

Qualora invece il reato base sia stato commesso da soggetti in posizione subordinata, l’onere probatorio dell’accusa appare più gravoso, poiché il pubblico ministero dovrà provare, sul piano

69 M .L. DI BITONTO, Studio sui fondamenti della procedura penale d'impresa,

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indiziario, anche l’inosservanza degli obblighi di direzione e vigilanza , provando quindi una vera e propria colpa di organizzazione che in tale ipotesi integra un elemento costitutivo della fattispecie .

Se riflettiamo sulla circostanza per cui il potere di iniziativa cautelare, ex art. 45 , 1° comma , appartiene al pubblico ministero , appare plausibile che quest’ultimo, per garantirsi un onere probatorio decisamente meno impegnativo, << punterà sempre in alto >>, contestando un reato a carico di soggetti apicali; sarà il giudice procedente poi , in sede di contraddittorio anticipato, ad operare una corretta ricostruzione dei fatti.

Si pone a questo punto un importante dubbio per quanto riguarda la prova dell’adozione preventiva dei modelli organizzativi nel caso di reati imputati a soggetti posti in una posizione subordinata: a chi spetta provarne l’avvenuta adozione ?

Il problema sorge dal modo in cui il legislatore articola il fatto impeditivo: non nega direttamente la responsabilità dell’ente ma esclude l’inosservanza degli obblighi di direzione e vigilanza. Secondo parte della dottrina70 poiché l’inosservanza degli obblighi di direzione e vigilanza costituisce un elemento costitutivo della fattispecie e l’art. 7 d.lgs. 231/2001 ne esclude l’esistenza in caso di adozione dei modelli organizzativi, l’accusa deve dimostrare la mancata adozione di questi ultimi. Secondo altri71 invece, la mancata prova circa l’avvenuta efficace attuazione dei modelli sarebbe, anche in tal caso, a rischio dell’ente.

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G. FIDELBO, Le misure cautelari, in G. LATTANZI (a cura di), Reati e responsabilità degli enti. Guida al d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231 , cit ., p. 475

71 P. .FERRUA, Le insanabili contraddizioni nella responsabilità dell’impresa ,

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La giurisprudenza di merito 72 opta la prima conclusione, ribadendo che, per la configurabilità della responsabilità dell’ente per reati commessi da soggetti sottoposti all’altrui direzione e vigilanza, << è necessario che la commissione del reato sia stata resa possibile dalla violazione degli obblighi di vigilanza e controllo alla cui osservanza la struttura è tenuta >>, e procedendo alla verifica della mancata attuazione di un modello organizzativo.

1.7 Giudizio cautelare e giudizio di merito: regole di