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IL RIPARTO DELLE COMPETENZE NELLE POLITICHE PER L’ABITARE E LE MODIFICHE ISTITUZIONAL

1.3 Il diritto alla casa nei fondamenti del diritto internazionale, comunitario e nazionale

Da un esame complessivo della normativa internazionale, comunitaria e nazionale emergono una pluralità di “situazioni giuridiche soggettive” afferenti al bene casa (De Gregoriis, 2011). Volendo sintetizzare, si possono distinguere tre tipi di situazioni: il “diritto all’abitazione”, che si riferisce sia all’ambito generale dei diritti umani (definiti per lo più nel contesto internazionale) sia al rispetto di determinati standard e requisiti minimi qualitativi (diritto all’adeguatezza dell’abitazione, definito per lo più a livello nazionale e locale109); il “diritto sull’abitazione”, che riguarda prevalentemente la sfera del rispetto della vita privata e la tutela costituzionale del domicilio110; infine, deve essere considerata la tutela che il “diritto di accesso alla casa”, come gli altri diritti “sociali” riconosciuti, riceve nei riguardi delle discriminazioni nell’erogazione dei beni e servizi da parte del soggetto pubblico111 (sia in ambito internazionale che nazionale).

Ai fini del presente lavoro, si farà riferimento prevalentemente al primo profilo, ossia al diritto all’abitazione. Esso è menzionato da molte fonti internazionali, il cui valore è riconosciuto nel nostro ordinamento sia da leggi di ratifica sia dall’art. 11 Cost., anche se il “diritto alla casa” richiamato nei vari documenti non ha una definizione univoca. Le norme strettamente connesse al diritto all’abitazione possono essere ricondotte a quattro fonti: i. la Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo112; ii. la Carta internazionale dei diritti

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Per la precisione, il diritto ad una abitazione adeguata è menzionato anche in ambito internazionale, come species del diritto ad un adeguato standard delle condizioni di vita in generale: nell’art. 11 della Convenzione Internazionale sui diritti economici, sociali e culturali; nell’art. 25, c. 1, della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (vedi testo e note successivi). Sul tema si veda il General Comment n. 4, The right to adequate housing, CESCR, UN Doc. HRI/GEN/1/Rev.9 (Vol.I), 13, December 1991.

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Nell’ordinamento italiano, si può parlare di “diritto sull’abitazione” anche in riferimento alla dottrina che ha tentato di desumere il diritto alla casa o all’abitazione dall’art. 14 della Costituzione, che tutela l’inviolabilità del domicilio, in mancanza di un’espressa enunciazione normativa in proposito (De Gregoriis, 2011).

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In questo caso, l’interesse alla casa fa parte del più generale ambito della tutela prevista per i servizi erogati dall’amministrazione pubblica, che non rientra tra gli interessi del presente lavoro.

112 Come è noto, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, firmata a Parigi il 10.12.1948, è un documento promosso dall’Organizzazione delle Nazioni Unite all’indomani della seconda guerra mondiale per codificare i diritti umani fondamentali. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo rappresenta il primo passo verso la formulazione della successiva “carta internazionale dei diritti dell’uomo”, dal valore sia giuridico che morale.

dell’uomo e le Convenzioni con cui è stata ratificata113; iii. la Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale114; iv. la Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW)115.

I primi due documenti sono, come è noto, i più importanti perché sanciscono l’inclusione del diritto alla casa nell’ambito dei diritti fondamentali dell’individuo.

La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo menziona esplicitamente il diritto all’abitazione nell’art. 25, par.1, il quale recita: «Ogni individuo ha il diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari, ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità vedovanza, vecchiaia o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà».

Con la successiva “Carta internazionale dei diritti dell’uomo” e, in particolare, mediante la Convenzione Internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, il diritto alla casa è stato ribadito e (meglio) specificato mediante il richiamo all’adeguatezza delle condizioni abitative (art. 11, par. 1): «Gli Stati parti del presente Patto riconoscono il diritto di ogni individuo ad un livello di vita adeguato per sé e per la sua famiglia, che includa alimentazione, vestiario, ed alloggio adeguati, nonché al miglioramento continuo delle proprie condizioni di vita. Gli Stati parti prenderanno misure idonee ad assicurare

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La successiva “carta internazionale dei diritti dell’uomo” del 1966 venne ratificata con tre documenti (1976): la Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali; il Patto internazionale sui diritti civili e politici; il Protocollo facoltativo relativo a quest’ultimo.

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La Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale è stata approvata il 21 dicembre 1965 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Con essa, gli Stati firmatari si impegnano a contribuire all’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale e a promuovere la comprensione tra tutte le razze. Più specificamente, l’articolo 5 lettera e) di questa Convenzione prevede che: «In ottemperanza agli obblighi fondamentali di cui all’articolo 2 della presente Convenzione, gli Stati Parte si impegnano a vietare e ad eliminare la discriminazione razziale [...], in particolare nell’esercizio dei seguenti diritti: [...] e) I diritti economici, sociali e culturali, ed in particolare: i. i diritti al lavoro, alla libera scelta del proprio lavoro, a condizioni di lavoro eque e soddisfacenti, alla protezione dalla disoccupazione, ad un uguale salario per uguale lavoro, ad una remunerazione equa e soddisfacente; ii. il diritto di costituire ed iscriversi a sindacati; iii. il diritto alla casa; iv. il diritto a servizi pubblici sociali, sanitari, di assistenza medica e di sicurezza sociale; v. il diritto all’istruzione e alla formazione; vi. il diritto ad un eguale grado di partecipazione alle attività culturali».

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Approvato nel 1979, è il più importante documento internazionale in materia di diritti delle donne. Per quanto riguarda specificamente il diritto alla casa, viene menzionato in relazione alle donne in aree rurali [art. 14, c. 2 lett. h)]: «Gli Stati parte devono prendere ogni misura adeguata per eliminare la discriminazione nei confronti delle donne nelle zone rurali al fine di assicurare la loro partecipazione allo sviluppo rurale ed ai vantaggi che ne derivano, su una base di uguaglianza tra uomini e donne ed in particolare garantendo loro il diritto: [...] h) di beneficiare di condizioni di vita adeguate, in particolare per quanto concerne l’alloggio, i servizi sanitari, la fornitura dell’acqua e dell’elettricità, i trasporti e le comunicazioni».

l’attuazione di questo diritto, e riconoscono a tal fine l’importanza essenziale della cooperazione internazionale, basata sul libero consenso».

Benché l’Europa, come istituzione sovranazionale di governo, si occupi di politiche sociali e di temi che hanno forti attinenze con le politiche per l’abitare (e che in qualche modo le includono), il diritto alla casa non fa parte delle politiche in cui l’UE è intervenuta direttamente né costituisce uno degli obiettivi di medio termine che gli Stati membri firmatari dei diversi trattati si sono prefissati di raggiungere (Ghekiere, 1999; Minelli, 2004; Nomisma 2010). A fronte del riconoscimento formale del “diritto all’assistenza abitativa” nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea116, il diritto alla casa nei suoi aspetti positivi (cioè come definizione di prestazioni sociali minime ed implementazione di politiche mirate) non ha avuto attuazione a livello comunitario117. Di diritto all’abitazione, non si parla in modo esplicito nella Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali118 (Roma, 1950). La Corte europea dei diritti dell’uomo (che, in generale, riconosce ampia discrezionalità alle autorità locali nella determinazione delle politiche sociali), infatti, ha avuto modo di pronunciarsi su questo tema soltanto in relazione al principio di non discriminazione. Più di recente, invece, la Carta Sociale Europea119 (entrata in vigore il 1° settembre 1999120) ha stabilito nell’art. 31 che: «Per garantire l’effettivo esercizio del diritto all’abitazione, le Parti s’impegnano a prendere misure destinate: 1. a favorire l’accesso ad un’abitazione di livello sufficiente; 2. a prevenire e ridurre lo status di senza tetto in vista di

116 L’art. 34, par. 3 recita: «Al fine di lottare contro l’esclusione sociale e la povertà, l’Unione riconosce e rispetta il diritto all’assistenza sociale e all’assistenza abitativa volte a garantire un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti, secondo le modalità stabilite dal diritto comunitario e le legislazioni e prassi nazionali».

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Molti studi hanno affrontato il tema della mancanza di una dimensione comunitaria del diritto alla casa. Tra essi, per i numerosi riferimenti ai contenuti degli agli atti e delle policy della UE, riferibili al tema del diritto all’abitazione, si cita: AA.VV., Il diritto alla casa, rapporto di ricerca redatto dal Servizio Studi e Ricerche dell’Assemblea legislativa della Regione Emilia Romagna e dal Center for Constitutional Studies and Democratic Development (centro interuniversitario Johns Hopkins University e l’Università di Bologna), Bologna, ottobre 2010.

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Con la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU, Roma, 1950) gli stati firmatari si sono impegnati a rispettare, nel proprio ordinamento giuridico nazionale, i diritti garantiti dalla stessa Convenzione. La verifica dell’attuazione della CEDU provvede un organo specifico, denominato Corte europea dei Diritti dell’Uomo, con sede a Strasburgo.

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La Carta sociale europea è un Trattato del Consiglio europeo, fatta a Strasburgo il 3.5.1996, che protegge i diritti dell’uomo e ne sancisce le libertà, stabilendo contemporaneamente un sistema di controllo per garantire il loro rispetto da parte degli Stati firmatari.

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La Carta sociale europea è stata ratificata con legge 9.2.1999, n. 30. Il Ministro degli affari esteri, con comunicato pubblicato in G.U. n. 234 del 5.10.1999, ha reso noto che lo scambio degli strumenti di ratifica della medesima Carta è avvenuto il 6.7.1999, con conseguente entrata in vigore al 1° settembre dello stesso anno.

eliminarlo gradualmente; 3. a rendere il costo dell’abitazione accessibile alle persone che non dispongono di risorse sufficienti». Benché tale atto preveda un preciso impegno da parte degli Stati firmatari, la definizione dei limiti e dei parametri con cui misurare il raggiungimento degli obiettivi della carta rimane una competenza dei singoli stati, poiché - ad esempio - lo standard per le condizioni di salubrità ed igiene, secondo le indicazioni dello stesso Consiglio, è definito negli ordinamenti nazionali.

Richiami al diritto alla casa sono inoltre contenuti nel Trattato di Nizza (Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) del 26 febbraio 2001121, che affronta l’ampia problematica dell’esclusione sociale. L’art. 34 della Carta di Nizza (sicurezza sociale e assistenza sociale) recita: «l’unione riconosce e rispetta il diritto all’assistenza sociale e all’assistenza abitativa.. », quale mezzo per combattere i fenomeni di esclusione sociale e povertà.

Manca quindi un riconoscimento esplicito del diritto alla casa come diritto tutelato in modo attivo dall’Unione; la questione viene interamente demandata alle politiche nazionali e ciò è in parte dovuto al fatto che i paesi membri presentano situazioni, di fatto e di diritto, molto differenziate (non tutti hanno nel proprio ordinamento il riconoscimento del diritto alla casa né hanno attuato le stesse tipologie di policy) rispetto alla quali l’UE sino ad ora non ha inteso agire122.

La questione del diritto all’abitazione viene comunque affrontata nell’ambito di documenti riferiti ad altri temi (Minelli, 2004), quindi trasversalmente - per così dire - come nel caso della programmazione dei fondi 2000-2006, che prevedevano iniziative di riqualificazione urbana delle città (programmi Urban I e Urban II – programmi PIC), politiche per la libera circolazione delle imprese e delle merci o altri aspetti economici e “produttivi” inerenti l’alloggio, la sostenibilità energetica, la competitività urbana e territoriale123. L’iniziativa più incisiva sul tema della casa è quella legata alle strategie comunitarie per la coesione dell’UE che, tramite i fondi strutturali, ha perseguito la finalità di sostenere lo sviluppo, la competitività e la riqualificazione delle città europee124. La Comunità europea riconosce,

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Il Trattato di Nizza è stato ratificato in Italia, con la legge 11.5.2002, n. 102.

122 Alcune associazioni per la tutela del diritto alla casa hanno proposto più volte, nel corso degli anni e anche di recente, che l’Unione europea modifiche ed integri le proprie azioni dirette al settore abitativo, imponendo agli stati membri norme e garanzie pubbliche per l’accesso alla casa di tutti i cittadini.

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Sono infatti state emanate direttive sulle costruzioni, sulle assicurazioni degli immobili, sui bandi di gara per l’appalto a ditte di costruzione, sui sistemi di tassazione degli immobili, sugli investimenti del fondo per lo sviluppo regionale (FESR) e della Banca europea degli investimenti (BEI), ecc. (AA.VV., Il diritto alla casa, op. cit.).

124 Il gruppo interservizi “sviluppo urbano” della Commissione europea ha messo a punto, per esempio, una guida aggiornata per illustrare le iniziative nel campo delle politiche urbane. Nessuno di questi interventi, però, riguarda la tutela positiva del diritto alla casa.

inoltre, l’importanza “sociale” della questione abitativa, attraverso l’attribuzione – ad esempio - di un favor, cioè riconoscendo agli interventi di edilizia sociale l’esenzione dall’obbligo di notifica degli aiuti di Stato. Da ciò deriva, ad esempio, la definizione di “alloggio sociale” del 2008, con cui in Italia sono state recepite le indicazioni comunitarie125.

Nella Costituzione Italiana non c’è un riconoscimento diretto del diritto alla casa. Ad esso non è dedicato un articolo specifico, tuttavia si può rinvenire un fondamento “diffuso” nel corpus delle disposizioni costituzionali126.

Un riferimento esplicito all’abitazione è contenuto nell’art. 47, c. 2, ove si afferma che «la Repubblica [...] favorisce l’accesso del risparmio alla proprietà dell’abitazione». Tuttavia, l’art. 47 della Costituzione è giudicato insufficiente a fondare il diritto alla casa perché verte su un profilo specifico concernente la proprietà privata (art. 42 Cost.), attribuendo una preferenza alla casa come bene su cui indirizzare il risparmio127.

Come anticipato all’inizio del presente paragrafo, il diritto alla casa assume rilievo in altre disposizioni costituzionali, più precisamente nell’art. 14, che stabilisce l’inviolabilità del domicilio128, e negli art. 2 e 3, comma 2, in cui trovano pieno riconoscimento,

125 Cfr. paragrafo successivo, sulla definizione di alloggio sociale. 126

La materia rappresentata dall’edilizia residenziale pubblica presenta “un indubbio rilievo dal punto di vista costituzionale a motivo dell’esistenza, accanto al tradizionale “diritto sull’abitazione”, di quel “diritto all’abitazione” che, seppure non espressamente previsto dalla Costituzione, sembra tuttavia presupposto da molte norme quali ad esempio quelle sull’inviolabilità del domicilio e sulla formazione della famiglia” (A. Zito, La gestione del patrimonio destinato a finalità abitative, in Annuario 2003 dell’Associazione italiana dei professori di diritto amministrativo).

127 Sulla difficoltà di desumere l’esistenza di un «diritto alla casa» dal comma 2 dell’art. 47 Cost., si vedano Crisafulli, Paladin, Commentario breve alla Costituzione, Padova, 1990, secondo i quali il riferimento all’abitazione ivi contenuto lascerebbe intendere (soltanto) un favore verso la proprietà destinata ad abitazione del proprietario («accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione»). Si veda inoltre D. Sorace (in Scritti in onore di Costantino Mortati. L'organizzazione e le funzioni dello Stato- persona, lo Stato-comunità, le autonomie degli enti pubblici territoriali, Vol. II, Giuffrè, Milano, 1978), il quale nota come la Costituzione nell’art. 47 si limiti «a richiedere che siano favorite alcune delle possibili destinazioni del risparmio popolare, quelle cioè che possono soddisfare un certo tipo di bisogni o di interessi dei piccoli risparmiatori». Sul punto, si veda, tra gli altri, C. Stato, sez. VI, 30-09-2008, n. 4694, secondo cui l’intento del legislatore della dismissione è stato quello di adottare misure di risanamento della finanza pubblica e non quello di assicurare una casa «di proprietà» agli originari conduttori delle abitazioni; per questo non può trovare spazio alcun profilo di violazione dell’art. 47, 2º comma, cost. («la Repubblica [...] favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione»).

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A tale proposito, si veda Martines, secondo cui «nella sua formulazione più semplice, l’interesse primario dell’abitare trova espressione nella tutela costituzionale del domicilio» (T. Martines, Il «Diritto alla casa», in AA.VV., Tecniche giuridiche e sviluppo della persona, Bari, 1972), inteso quindi come riconoscimento del ruolo dell’abitazione nell’assicurare il libero svolgimento della vita privata. In senso contrario, si veda invece A. Pace, Problematica delle libertà costituzionali, Padova, 1985, vol. II. Tali riferimenti sono citati in De Gregoriis (2011).

rispettivamente, “i diritti inviolabili dell’uomo” ed il principio di uguaglianza e pari dignità nell’accedere alle condizioni (economiche e sociali) che garantiscono il pieno sviluppo della persona129. Il riferimento a tali ultimi due articoli, i quali non menzionano mai la questione abitativa, è desunto indirettamente, mediante una interpretazione estensiva e non chiusa del dettato costituzionale130. Viene cioè riconosciuta la possibilità di interpretare la norma alla luce delle evoluzioni sociali, economiche e culturali, che possono quindi “richiedere” il riconoscimento di nuovi diritti131.

1.4 Ripartizione delle competenze tra Stato, Regioni ed enti locali

Il trasferimento delle funzioni amministrative in materia di edilizia residenziale pubblica è iniziato con la L. 865/1971 ed è stato completato nel 1998, con il Dlgs 112/1998 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni e agli enti locali, in attuazione del capo I delle L. 59/1997)132. Il quadro disegnato dal Dlgs 112/1998 è stato sostanzialmente confermato dalla successiva riforma del Titolo V della Costituzione, che non fornisce una nuova classificazione della materia né una sua diversa consistenza133. Sono stati mantenuti nella sfera statale (ex art. 59, Dlgs 112/1998) unicamente i compiti relativi: alla determinazione dei principi e delle finalità di carattere generale e unitario nella materia, anche nel quadro degli obiettivi generali delle politiche sociali; alla definizione dei livelli minimi del servizio abitativo, nonché degli standard di qualità degli

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L’elaborazione giurisprudenziale e gli studi svolti sul tema hanno valorizzato altresì la portata dell’art. 3, comma 2, Cost. sul concreto assetto dei rapporti economico-sociali. In virtù della sua formulazione e della sua connotazione finalistica, questo articolo assume grande importanza per l’individuazione dell’ambito soggettivo di tutela: infatti, l’assenza di un’adeguata abitazione impedisce il pieno sviluppo della persona umana, e ciò deve indurre il legislatore a intervenire con la propria capacità normativa.

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I primi tentativi giurisprudenziali di definire il contenuto del “diritto ad un’abitazione” risalgono a C. Cost. 217/1988, che ha qualificato espressamente tale situazione giuridica soggettiva come diritto sociale, suscettibile di essere fatto valere anche nei confronti dello Stato, nonché alla sentenza C. Cost. 404/1988, che ha invece focalizzato l’attenzione sui diritti inviolabili protetti all’art. 2 Cost. (De Gregoriis, 2011). 131

“La materia dell’edilizia residenziale pubblica rappresenta storicamente il punto di emersione a livello di ordinamento giuridico di una grande questione sociale quale è quella connessa al bisogno abitativo ed alla conseguente situazione di disagio di chi ha difficoltà ad accedere allo status di proprietario, secondo la logica del mercato”. (A. Zito, op. cit.).

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Si ricorda, tra l’altro, che nelle materie che l’art. 117 Cost., anche anteriormente alla riforma del titolo quinto attuata con legge costituzionale n. 3 del 2001, attribuisce alla competenza legislativa regionale, le leggi statali si applicano fino a quando le Regioni non abbiano provveduto con proprie leggi a disciplinarle, rimuovendo, attraverso il concreto esercizio del proprio potere legislativo, la precedente normativa dello Stato (cfr., da ultimo, Cass. civ., sez. I, 5.6.2006, n. 13191).

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Come evidenziato dalla recente giurisprudenza in materia, il quadro sistematico delineato dal Dlgs 112/1998 non è stato modificato dal nuovo Titolo V, nel senso che la consistenza della materia non ha subito variazioni dipendenti da una nuova classificazione o da una diversa sistematizzazione legislativa (cfr. Corte Cost. 21.3.2007, n. 94; Coste Cost. 23.5.2008, n. 166).

alloggi; al concorso, unitamente alle regioni ed agli altri enti locali interessati, all’elaborazione di programmi di edilizia residenziale pubblica aventi interesse a livello nazionale; alla acquisizione, raccolta, elaborazione, diffusione e valutazione dei dati sulla condizione abitativa (a tali fini è stato istituito l’osservatorio della condizione abitativa134); alla definizione dei criteri per favorire l’accesso al mercato delle locazioni dei nuclei familiari meno abbienti e agli interventi concernenti il sostegno finanziario al reddito. Sono state conferite, invece, alle regioni ed agli enti locali (ex art. 60, Dlgs 112/1998) tutte le funzioni amministrative non espressamente indicate tra quelle mantenute allo stato e, in particolare, quelle relative: alla determinazione delle linee d’intervento e degli obiettivi nel settore; alla programmazione delle risorse finanziarie destinate al settore; alla gestione ed attuazione degli interventi, nonché alla definizione delle modalità di incentivazione; alla determinazione delle tipologie di intervento anche attraverso programmi integrati, di recupero urbano e di riqualificazione urbana; alla fissazione dei criteri per l’assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale destinati all’assistenza abitativa, nonché alla determinazione dei relativi canoni. Contestualmente all’avvenuto trasferimento delle competenze è stato soppresso il CER (comitato per l’edilizia residenziale).

Benché la novità di maggior rilievo consista nell’attribuzione alle regioni delle funzioni di

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