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Da De Saussure ad Eco, attraversando tutta la contemporaneità, il problema dell’intertestualità, dell’influenza, della riscrittura è rimasto vivo nell’interesse degli studiosi, costituendo ancora oggi un argomento di estrema attualità, soprattutto nel campo della letteratura comparata, dove viene analizzato in quanto processo generativo di nuove opere letterarie.

Il già citato saggio di Irene Fantappiè, Riscritture, è particolarmente utile per mettere in luce alcuni degli aspetti più interessanti relativi a questo argomento. Il primo di essi riguarda il modo in cui il testo secondo muta il testo primo: nel paragrafo iniziale di questo capitolo si è affermato che una riscrittura in senso stretto consiste nella ripresa, parola per parola, di un testo; questa definizione tuttavia non è esauriente perché le modalità della trasposizione sono innumerevoli: può essere riscritta una struttura, dei temi, dei personaggi e nel passaggio da testo primo a testo secondo può modificarsi il genere, il punto di vista, l’ambientazione. Non c’è un modo univoco che designi precisamente una riscrittura e questo è uno dei motivi per cui questo campo d’indagine è di difficile definizione.

Secondo Irene Fantappiè, la riscrittura «presuppone la ricezione e interpretazione di un testo da parte dell’autore, e implica la ricezione e interpretazione di più testi da parte del lettore».56 Questo sta a significare che la lettura del testo primo condiziona in maniera sensibile il processo generativo dell’opera e che il lettore, una volta postosi di fronte al

55 Cfr. UMBERTO ECO, Ironia intertestuale e livelli di lettura in Sulla letteratura, Milano, Bompiani, 2002, p. 251.

56

IRENE FANTAPPIÈ, Riscritture, nel coll. Letterature comparate a cura di Francesco de Cristofaro, Roma,

testo, è invitato ad eseguire una lettura su più livelli. L’importanza della ricezione, da parte di entrambi i soggetti, è stata sottolineata perché contingente, storicamente e individualmente determinata e quindi in grado di incidere sul processo di scrittura /lettura in modi molto diversi tra loro.

Anche quello dell’autore è un problema rilevante in materia di riscrittura. Secondo l’autrice del saggio la «voce autoriale» si trova a dover dividere il suo potere con la «voce del testo» dal momento che l’opera riscritta, appunto, non è rappresentativa soltanto del suo autore ma anche di quello del testo primo. Le due voci vengono a sovrapporsi generando quel messaggio su molteplici livelli a cui si è fatto riferimento in precedenza. Secondo Borges la riscrittura, oltre a far coincidere due momenti temporali diversi, si configura come una «attribuzione erronea» perché il testo riscritto deve essere considerato di entrambi gli autori e, al contempo, di nessuno di essi. Quella della riscrittura, dunque, è un’autorialità complessa e dialettica.57

Altro aspetto toccato da Irene Fantappiè è quello del rapporto tra riscrittura e memoria. Riprendendo il discorso della studiosa tedesca Renate Lachmann, Fantappiè sostiene che la riscrittura sia una «riconfigurazione di spazi di memoria». Il fatto che dei testi preesistenti vengano riscritti e immessi nel circolo di una letteratura contemporanea ha conseguenze sia dal punto di vista della memoria che da quello dell’oblio. Riscrivere un testo significa recuperarlo e dargli nuova vita ma allo stesso tempo significa anche annullarne la forma originale e quindi, in senso lato, distruggerlo. La riscrittura, inoltre opera una selezione della memoria perché, se è vero che i testi riscritti possono godere di una rinnovata presenza nel mondo delle lettere, questa è frutto di una scelta arbitraria che coinvolge solo una parte di essi.

Nel suo saggio Fantappiè affronta poi alcuni concetti emersi all’interno di diversi approcci metodologici alle riscritture e degni di una menzione anche in questa sede. I più significativi sono i concetti di interferenza e rewriting; il primo nasce nell’ambito dell’approccio polisistemico alla riscrittura e vede la trasposizione di un testo primo in un testo secondo come importazione di elementi da un source» a un

«sistema-target». Nel caso specifico della riscrittura, dunque, il sistema letterario si amplia

attraverso l’importazione di elementi da sistemi che vengono scelti per il loro prestigio.

57

Cfr. IRENE FANTAPPIÈ, Riscritture, nel coll. Letterature comparate a cura di Francesco de Cristofaro, Roma, Carocci, 2014, p. 144.

Generalmente questo tipo di acquisizione - che viene definita appunto interferenza - è messa in atto quando un sistema necessita di elementi che non trova al suo interno.58 Il concetto di rewriting viene invece sviluppato da André Lefevere che lo definisce come «adattamento di un’opera letteraria per un pubblico diverso con l’intenzione di influenzare il modo in cui quel pubblico legge quell’opera».59 L’accenno all’effetto della ricezione del testo sul pubblico è molto importante e acquisisce un valore ancora maggiore se affiancato al concetto di «constraints», ovvero di vincoli culturali, ideologici, politici, che secondo Lefevere agiscono sulla ricezione del testo riscritto, ma soprattutto sulla scelta del testo primo da trasporre. Anche in questo caso, dunque, viene sottolineato come tali vincoli possano influenzare l’evoluzione del sistema letterario andando a canonizzare determinati testi e autori a scapito di altri.

Il rapporto intrattenuto dal testo originale con quello riscritto è cambiato nel corso dei secoli in maniera abbastanza radicale; se anticamente l’opera riscritta aveva la stessa dignità dell’originale, in epoca moderna - in particolare a partire dal periodo coloniale - si è cercato sempre più di porre l’accento sulla supremazia del testo primo. L’equilibrio è poi cambiato nuovamente negli ultimi decenni del secolo scorso quando, soprattutto attraverso la mediazione dei postcolonial studies, si è tornati a proclamare il valore delle riscritture come strumento attraverso il quale appropriarsi dei classici per assimilarli e trasformarli in qualcosa di totalmente nuovo.60

Si è parlato di classici perché è tra di essi che vengono scelte le opere più frequentemente soggette a procedimenti di riscrittura, come si vedrà nello specifico nell’ultimo capitolo. I testi che saranno analizzati di seguito - Iliade, Orlando furioso, Promessi sposi - possono essere a tutti gli effetti definiti dei classici e di questi ne hanno le caratteristiche: sono fortemente radicati nel patrimonio culturale collettivo, hanno lasciato traccia di sé non solo nella letteratura ma nell’arte in generale e, per quanto possano essere letti e riletti, sono in grado di generare continuamente nuove comprensioni e di essere quindi sempre attuali.

58 Cfr. IRENE FANTAPPIÈ, Riscritture, nel coll. Letterature comparate a cura di Francesco de Cristofaro, Roma, Carocci, 2014, p. 151-152.

59

Ivi, p. 153.

CAPITOLO II

BARICCO, OMERO, ILIADE

1. Le origini del progetto

Omero, Iliade è il primo lavoro di riscrittura dell’autore Alessandro Baricco, pensato

inizialmente non tanto come opera letteraria quanto come riadattamento del capolavoro omerico ai fini di una lettura pubblica e non più personale.

La scelta di Baricco ricade su di un’opera che, come si è già visto, è stata oggetto di numerosissime riprese nel corso dei secoli: moltissimi sono stati coloro che hanno voluto riscrivere, riassumere, reinterpretare questo testo monumentale; l’operazione che fa Alessandro Baricco, quella cioè di adattare l’Iliade per una lettura pubblica, è però particolarmente innovativa perché riporta il testo molto vicino alle sue origini, quando veniva conosciuto e trasmesso attraverso il canto degli aedi e non grazie a letture private.

Omero, Iliade - rappresentato per la prima volta nel settembre 2004 e pubblicato in forma

cartacea nello stesso anno - si colloca in un momento cronologico molto vicino a quello attuale e si carica quindi di tutte le caratteristiche della modernità, come si avrà modo di vedere nel paragrafo dedicato alla struttura dell’opera.

Le ragioni che hanno spinto l’autore a scegliere proprio il testo omerico sono esplicitate nella postfazione dell’opera, Un’altra bellezza. Postilla sulla guerra; qui Baricco evidenzia come gli anni correnti siano caratterizzati dalla presenza, straniante ma costante, di conflitti che hanno come conseguenza portato alla luce tutto quell’«armamentario che è stato per tempo immemorabile il corredo di un’umanità combattente».1 In un contesto del genere, sostiene, la scelta di rileggere e riscrivere l’Iliade - una vera e propria esaltazione del confitto - non rappresenta un paradosso bensì qualcosa di perfettamente sensato, e questo per due motivi che ora si vedranno. Innanzitutto, dice l’autore, l’Iliade è sì un «monumento alla guerra» ma è anche capace di trasmettere, magari in maniera velata, le ragioni dei vinti accanto a quelle dei vittoriosi, il desiderio di pace che emerge della voce dei personaggi e dalle loro azioni meno eclatanti. Baricco ha chiamato questo aspetto «il lato femminile dell’Iliade», quello che traspare dalle suppliche di Elena, di Andromaca, che cercano di convincere i loro compagni a

1

ALESSANDRO BARICCO, Un’altra bellezza. Postilla sulla guerra, in Omero, Iliade, Milano, Feltrinelli, 2004, p. 157.

rinunciare ai combattimenti, ma che è visibile anche in una certa ritrosia a combattere degli uomini, i quali, secondo lo scrittore, rimandano più volte lo scontro frapponendovi assemblee, discussioni, riflessioni. Questa caratteristica dell’Iliade, secondo Baricco, «lascia intravedere una civiltà di cui i Greci non furono capaci, e che tuttavia avevano intuito»2, pertanto continuare su quella strada - quella, cioè, di un auspicato pacifismo - intravista ma non ancora battuta, è uno dei compiti che Baricco sente come dovere da portare a compimento attraverso la riscrittura dell’originale omerico.

Il secondo motivo che ha portato alla scelta dell’Iliade sta in un’altra sua caratteristica, complementare a quella che si è appena delineata, ovvero nella continua esaltazione che nell’opera viene fatta di eroi, armi, combattimenti, dei quali viene messa in luce prima di tutto la bellezza. Questo aspetto, caratteristico non soltanto della cultura antica ma vivo anche in tempi molto più recenti, rappresenta la guerra come momento di «realizzazione estetica e morale», quasi fosse l’unico mezzo in grado di andare oltre la mediocrità quotidiana dando agli individui la possibilità di mettersi in gioco ed essere veramente se stessi.3 Per Baricco è fondamentale che ogni discorso sulla guerra metta in luce la costante esaltazione della bellezza che ne è stata fatta nei secoli in modo che, a partire da quel particolare concetto di bellezza, se ne possa sviluppare un altro di alternativo: «soltanto nel lavoro paziente e nascosto di milioni di artigiani che ogni giorno lavorano per suscitare un’altra bellezza» l’autore vede la strada per costruire un discorso di pace, ed è proprio per contribuire a questa ambizione che Baricco sceglie di riscrivere il guerresco testo dell’Iliade.