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1.3 Nuove tecniche di risk profiling: la direttiva MIFID II

1.3.2 Il risk profiling

Come detto in precedenza, la definizione del profilo di rischio del cliente rappresenta una delle attività più complesse del consulente, anche in vista della verifica dell’adeguatezza e dell’appropriatezza.

Tra le informazioni da raccogliere assumono particolare rilevanza due dati: la capacità di sopportazione delle perdite e la tolleranza al rischio47.

La complessità della misurazione è riconducibile al fatto che, ad esempio, la teoria della finanza classica considera il rischio di un investimento come una grandezza mirabile, che può essere facilmente quantificata e riassunta in un singolo parametro, come la varianza, il downside risk, il beta. D’altra parte, la teoria della finanza comportamentale si concentra sulla percezione del rischio del singolo investitore, quindi su di una variabile altamente soggettiva, che dipende sia dalle caratteristiche psicologiche che dalla sfera emotiva di ciascuno. Questo riduce considerevolmente l’efficacia delle misure di rischio standard e, di conseguenza, anche della verifica della sostenibilità dell’investimento. In altre parole, le informazioni sopracitate possiedono sia profili soggettivi che oggettivi, i primi riconducibili ad aspetti psicologici ed attitudinali, i secondi maggiormente collegati ad elementi fattuali, come l’età, il genere, l’istruzione, lo stato di coniugio, quello familiare, con particolare riguardo alla presenza di figli, il tipo di lavoro ed il bisogno di liquidità negli investimenti.

Se si pensa che questo tipo di informazioni sono spesso raccolte attraverso autodichiarazioni da parte degli stessi investitori attraverso una o più domande dirette,

47 Si noti la distinzione tra il concetto di tolleranza al rischio e capacità di assumere rischi

suggerita da Roszkowski et al. (2005): la tolleranza al rischio è un costrutto psicologico che rappresenta il tipo ed il livello di emotività del soggetto nell’affrontare situazioni che coinvolgono il rischio finanziario; la capacità di assumere rischi esprime l’entità di rischio che il soggetto può effettivamente assumere, vista la sua condizione socio-economica.

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sorge il dubbio sulla loro affidabilità. Iezzi48 sostiene che queste autodichiarazioni circa l’avversione al rischio si possano considerare affidabili nella misura in cui vengano lette come approssimazioni della vera avversione e si proceda, quindi, ad eliminare le distorsioni causate da sovra o sottovalutazione attraverso modelli statistici49.

Sempre in quest’ottica, nella predisposizione dei questionari che generalmente vengono sottoposti ai clienti per la profilatura, l’impresa di investimento dovrebbe rispettare alcune accortezze.

In primis, le domande dovrebbero essere poste in modo tale da evitare distorsioni percettive e cognitive che potrebbero alterare la risposta fornita dall’investitore e compromettere la validità e l’affidabilità dei risultati.

In particolare, l’affidabilità delle informazioni raccolte attraverso un questionario può essere assicurata considerando diversi aspetti. Il fine è quello di mettere il cliente nella condizione di fornire le informazioni corrette all’impresa, e per farlo è necessario assicurare la chiarezza e la comprensibilità delle domande. Per comprendere come questo concetto possa essere tradotto in termini pratici, si riportano a titolo esemplificativo alcuni elementi su cui si dovrebbe porre particolare attenzione:

▪ Il layout e la struttura, soprattutto per quanto riguarda il format e le caratteristiche di lettura, come il font, la spaziatura e la divisione dei paragrafi, la maniera in cui sono presentate le domande e come è organizzato lo spazio per le risposte; ▪ Il tipo di format delle domande e risposte, ad esempio dovrebbero essere limitato

l’uso di domande a batteria, per la raccolta di più informazioni su temi diversi da un’unica domanda, o la previsione dell’opzione “no answer” più volte, con riferimento a domande sulla situazione finanziaria; invece, le imprese dovrebbero utilizzare un numero di domande che permettano di carpire i bisogni e gli obiettivi effettivi dei clienti;

▪ La formulazione e il linguaggio: in generale, il linguaggio usato dovrebbe essere semplice, facile da comprendere e soprattutto non ambiguo: l’utilizzo di gergo, acronimi e linguaggio tecnico potrebbe alterare l’affidabilità delle risposte fornite dall’investitore. Questo è un elemento di particolare rilievo quando si intende valutare la conoscenza e l’esperienza del cliente, nonché il suo grado di risk

48 Iezzi, S. (2008), Investors’ risk attitude and risky behaviour: a Bayesian approach with

imperfect information, Banca d’Italia – Temi di discussion, 692, settembre.

49 Cosiddetto Approccio Data Augmentation. Per approfondimenti in merito ai metodi utilizzabili

si veda anche Kimball, M. S., C. R. Sahm e M. D. Shapiro (2009), Risk preferences in the PSID: Individual imputations and family covariation, NBER working paper n. 14754, febbraio.

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tolerance, dal momento che spesso gli investitori sono chiamati ad auto-valutare

le loro competenze in ambito finanziario, conducendo a risposte che potrebbero essere chiaramente distorte a causa di bias quali overconfidence ed eccesso di ottimismo.

Dal punto di vista sostanziale, il Legislatore europeo ha previsto delle informazioni minime50 che il questionario di profilatura dev’essere in grado di raccogliere. Secondo queste direttive, devono essere presenti almeno tre sezioni:

1. Esperienza e conoscenza in materia di investimento riguardo il tipo specifico di prodotto o servizio finanziario:

▪ tipi di servizi, operazioni e strumenti finanziari con i quali il cliente ha dimestichezza;

▪ natura, volume e frequenza delle operazioni su strumenti finanziari realizzate dal cliente e il periodo durante il quale queste operazioni sono state eseguite; ▪ professione e livello d’istruzione.

2. Situazione finanziaria:

▪ fonte e consistenza del reddito regolare; ▪ investimenti e beni immobili;

▪ impegni finanziari regolari; ▪ attività, comprese quelle liquide. 3. Obiettivi d’investimento:

▪ periodo di tempo per il quale il cliente desidera conservare l’investimento; ▪ preferenze in materia di rischio;

▪ profilo di rischio;

▪ finalità dell’investimento.

Per comprendere questo tipo di informazioni, viste le criticità emerse fin qui nella narrazione, la finanza comportamentale può offrire un rilevante contributo.

In generale, l’intento delle politiche di investimento e dell’attività di consulenza è quello di individuare l’asset allocation in grado di massimizzare l’utilità del cliente, coerentemente con le sue preferenze in termini di rischio, e al contempo assicurare che lo

50A livello nazionale ogni intermediario finanziario, garantendo il rispetto delle previsioni MIFID,

ha la facoltà di personalizzare la struttura del questionario. Nel contesto italiano, si è osservato che il questionario spesso comprende quattro sezioni e non tre, perché si tende a distingue tra esperienze in materia di investimenti e conoscenze in materia di investimenti. Altre volte le sezioni arrivano a cinque, comprendendo una sezione dedicata alle informazioni socio/demografiche.

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stesso possa pagare le proprie passività. In questo senso, l’advisor deve comprendere che tipo di passività soddisfano meglio le esigenze del cliente, avendo riguardo anche del fatto che alcune posizioni sono viste come propedeutiche al mantenimento di un certo status e su queste vige il concetto di “safety first”; per altre, un maggior livello di rischio è accettato. Una misura di rischio potrebbe configurarsi con il Value at Risk (VaR). Con il VaR, il cliente accetterebbe una posizione come sicura quando non perderebbe più soldi di quelli di cui dispone, in non più dell’𝛼% dei casi. Tuttavia, il VaR ha alcuni limiti. Tra questi, applicare il VaR a account mentali differenti potrebbe essere difficoltoso nonché comportare conseguenze indesiderate, dal momento che il risultato della somma dei VaR di diversi account potrebbe essere distorto e non offrire, così, una visione corretta sull’effettiva esposizione al rischio del cliente.

Per oltrepassare queste criticità, si può ricorre al Conditional Value at Risk (CVaR), definito come:

𝐶𝑉𝑎𝑅 = E(𝑥|𝑥 ≤ 𝑉𝑎𝑅(𝛼))51

Così, il CVaR rappresenta il valore atteso condizionale della variabile x, al di sotto del livello del VaR, calcolato con un livello di significatività pari a 𝛼.

In linea teorica, le preferenze sul rischio del cliente sono descritte dai concetti di avversione al rischio e avversione alle perdite. Dunque, carpire le preferenze di rischio fa risaltare differenze considerevoli tra gli individui.

Tuttavia, a partire da uno studio di Kahneman e Tversky52 si può affermare che il valore di avversione al rischio si attesta entro un intervallo compreso tra 0,39 e 1,15, mentre l’avversione alle perdite raggiunge valori fino a 2,15. I risultati dello studio in termini di avversione al rischio sono riportati nella Figura 8, rappresentati sul grafico perdite/guadagni:

51 Artzner, P., F. Delbaen, J. M. Eber e D. Heath (1999), Coherent Measures of risk, Mathematical

Finance 9: 203-228.

52 Kahneman, D. e A. Tversky (1992), Advances in Prospect Theory: Cumulative Representations

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Figura 8: Livelli eterogenei di avversione dl rischio.

L’eterogeneità sui profili degli individui è riscontrabile anche osservando la loro risk awareness, come ad esempio la percezione sulle probabilità di vincita (𝛾+) e di perdita (𝛾−), come si mostra in Figura 9.

Figura 9: Eterogeneità nelle percezioni delle probabilità degli individui.

In generale, si può concludere che gli individui si differenziano sostanzialmente in termini di risk preferences e risk awareness. Se il consulente non considera opportunamente queste differenze, potrebbe trovarsi a consigliare un asset allocation che non corrisponde con i bisogni del cliente.

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