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I CONFINI POLITICO-IDEOLOGICI DELLA COMUNITÀ

1.2 La Risoluzione Birkelbach

Le acquisizioni prodotte da questi dibattiti si ritrovano nei successivi tentativi di dare un contenuto ancora più preciso al concetto di “europeità”, tentativi che maturarono in seguito alla necessità di definire i contorni degli altri due confini, parzialmente sovrapponibili, vale a dire quello “ideologico” e quello generato dalla sedimentazione dell’acquis communautaire. Il primo è la frontiera che separava una Comunità di paesi liberi e democratici tanto dai paesi dell’Europa occidentale retti da regimi autoritari (la Spagna, il Portogallo e, a partire dal 1967, la Grecia), quanto dall’Europa centro- orientale sottoposta al dominio sovietico; il confine determinato dall’acquis communautaire è quello che si è andato creando tra la CEE e quei paesi dell’Europa occidentale che - pur possedendo virtualmente i requisiti politici ed economici per aderire alla Comunità - hanno inizialmente preferito non aderire alla Comunità. Per inciso, dal modo con il quale sono state affrontate le sfide portate da questi due tipi di confine, è possibile altresì verificare come i “criteri” stabiliti al Vertice di Copenaghen nel 1993 in vista dell’allargamento ai paesi dell’Europa centro-orientale72

, già dall’inizio degli anni Sessanta fossero stati individuati dal Parlamento Europeo, nelle loro linee essenziali, come requisiti indispensabili per l’adesione alla Comunità.

È grazie alla Risoluzione presentata dal socialdemocratico tedesco Willi Birkelbach e approvata nel gennaio del 1962 (in una fase caratterizzata dal dibattito sulla domanda di adesione inglese e dalle velleità di adesione della Spagna di Francisco Franco73

) che l’Assemblea

72 I criteri stabiliti a Copenaghen sono i seguenti: istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, primato del diritto, rispetto dei diritti umani e dei diritti delle minoranza, economia di mercato capaci di far fronte alla Pressione concorrenziale e alle forze del mercato presenti all’interno dell’UE, recepimento dell’acquis communautaire.

73 All’inizio degli anni Sessanta, la Spagna di Franco aveva manifestato il proprio interesse all’adesione alla CEE, e il 9 febbraio 1962 questo orientamento si era concretizzato nella lettera inviata dal ministro degli Esteri Fernando Maria Castiella a Maurice Couve de Murville (presidente in carica del Consiglio dei Ministri della CEE) nella quale si chiedeva un

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comune di Strasburgo precisa la propria posizione intorno al rapporto tra la Comunità Europea e quelle parti del territorio europeo in cui vigevano sistemi politici e/o ordinamenti economici non conciliabili con quelli adottati dalla CEE e dai suoi paesi membri. A tal fine, il Parlamento ritenne necessario fissare una “dottrina dell’adesione”74

; preliminare a questo obiettivo era la re-interpretazione della natura tendenzialmente inclusiva della Comunità, sancita dalla Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950 e poi dal preambolo del trattato di Roma (nel quale i sei Stati firmatari, dopo aver indicato le finalità generali della Comunità, invitavano “gli altri popoli d’Europa, animati dallo stesso ideale [ad associarsi] al loro sforzo”). Nella relazione che accompagnava la Risoluzione, Birkelbach iniziava infatti chiedendosi: “in quale misura si può ritenere che la Comunità è aperta?”. Secondo il documento la semplice volontà di uno Stato di aderire alla CEE era insufficiente di fronte alla mancanza di precise condizioni geografiche, politiche ed economiche.

Tralasciamo gli aspetti economici, su cui torneremo in seguito, e soffermiamoci inizialmente sui requisiti politici. L'attributo considerato imprescindibile era evidentemente l’esistenza di un regime democratico in grado di garantire un libero ordinamento politico75

. Gli Stati i cui

“impegno” della CEE all’avvio dei negoziati. La richiesta spagnola rimase comunque senza seguito. Sulla vicenda si rimanda a Charles Powell, The long road to Europe. Spain and the European Community 1957-86, in Julio Baquero Cruz & Carlos Closa Montero (eds.), European integration from Rome to Berlin 1957-2007. History, law and politics, Bruxelles, PIE Peter Lang, 2009, pp. 42-44.

74 Cfr. Assemblea parlamentare europea, Commissione politica, Processo verbale della seduta di venerdì 8 settembre 1961, Lussemburgo, APE 6174. I verbali della commissione politica dell’assemblea parlamentare citati in questo capitolo sono stati consultati Presso il Parlamento Europeo, Archive and Documentation Centre (CARDOC) a Lussemburgo. 75 Va ricordato come in seno alla commissione politica dell’Assemblea

comune, che discusse il progetto prima della presentazione alla seduta plenaria, venisse sottolineato che l’attribuzione o meno del carattere democratico a un sistema politico poteva porre problemi complessi. Ad esempio, nella seduta del 10 novembre (APE 6649) Fernand Dehousse aveva osservato che era “molto difficile dare una definizione della democrazia”. Si veda, poi su un piano diverso ma non meno sostanziale, l’intervento della tedesca Maria Probst (della CDU), la quale, nella seduta

governi erano privi di legittimità democratica e i cui cittadini non potevano partecipare liberamente alla formazione della volontà politica non potevano pretendere di essere accolti nella Comunità Europea. La relazione sosteneva inoltre che i paesi desiderosi di aderire alla CEE dovevano adottare i principi che regolamentavano l’ammissione al Consiglio d’Europa, vale a dire il riconoscimento del principio del primato del diritto e la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali76

. Uno degli aspetti più interessanti della Relazione Birkelbach è che in essa emerge una concezione dinamica della democrazia, intesa come processo estendibile - nel lungo periodo - al di là delle frontiere in cui era allora vigente77

. Questo elemento era implicito nel rapporto esistente tra le condizioni politiche per l’adesione (l’esistenza di un regime democratico) e i requisiti geografici, così come erano definiti nella relazione. Il carattere “europeo” della Comunità, quale risultava dalle frontiere, era infatti considerato una sorta di “filo conduttore” dello sviluppo generale conosciuto fino allora dalla CEE; d’altro canto se era vero che la Comunità non comprendeva “né una parte molto grande della superficie totale dell’Europa”, né la maggior parte della superficie dell’“Europa libera”, nondimeno l’affermata volontà di giungere ad un’intesa più ampia faceva della CEE la precorritrice “di un’ampia unione economica e politica europea”. In questa prospettiva, lungi dal limitarsi a constatare una situazione di fatto, la relazione ipotizzava uno scenario futuro nel quale avrebbe potuto rendersi opportuno il superamento del carattere strettamente europeo della CEE “per dar luogo a una soluzione più vasta”. In tal caso, naturalmente, si sarebbe resa indispensabile una riforma dei

della commissione politica del PE del 1-2 dicembre 1961 (APE 6876), affermò polemicamente di essere interessata a sapere “chi potrà giudicare della struttura di uno Stato che chiede l’adesione all’Unione politica”. 76 Cfr. Ugo Leone, Le origini diplomatiche del Consiglio d'Europa, Milano,

Giuffré, 1966, pp. 288-298.

77 Sarebbe interessante verificare se e quanto abbia inciso, nella concezione “dinamica” della democrazia sostenuta nella relazione Birkelbach, la suggestione provocata dalla “nuova frontiera” kennediana, che si fondava su una concezione processuale della democrazia, intesa come norma universale da estendere gradualmente a tutta l’umanità.

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trattati anche per le rilevanti “ripercussioni provocate da un’evoluzione in questo senso”78

.

L'influenza diretta delle precedenti posizioni dell'Assemblea sui PTOM si ritrovava nella sezione della relazione dedicata ai “Paesi e territori d'oltremare associati”. In quelle pagine si leggeva che nella individuazione delle soluzioni ai problemi posti dalla presenza di paesi e territori legati (sotto qualunque forma) agli Stati “desiderosi di aderire” occorreva tutelare gli interessi acquisiti dei PTOM già associati alla CEE. Non solo: l'ordine di grandezza di queste “entità territoriali” (e qui il riferimento al Commonwealth era esplicito) non doveva in alcun modo compromettere “il carattere [leggi: l'identità politica] delle Comunità europee”79

.

Dalla relazione Birkelbach, affiora con chiarezza l’importanza attribuita dall’Assemblea comune al confine “ideologico”, costituito dalla presenza di un sistema democratico80

. Questo orientamento del resto è stato confermato a più riprese, soprattutto nelle occasioni in cui il PE si è trovato a discutere della situazione politica dei paesi dell’Europa centro-orientale, come in occasione della crisi cecoslovacca del 1968, quando il Parlamento approvò una Risoluzione nella quale, dopo aver ricordato l’inestimabile contributo dato dalla Cecoslovacchia alla storia e alla cultura europea, si ribadiva con forza che “l’unione degli Stati d’Europa potrà attuarsi solo sulla base dei principi di libertà e di democrazia che hanno dato vita alle Comunità europee”81

.

78 Assemblea parlamentare europea, Documenti di seduta, Relazione presentata a nome della Commissione politica sugli aspetti politici ed istituzionali dell’adesione e dell’associazione alla Comunità dall’on. Willi Birkelbach, 15 gennaio 1962, doc. 122.

79 Ivi.

80 Il problema della neutralità ebbe rilievo, ad esempio, nel caso della domanda di adesione dell’Irlanda: cfr. Dermot Keogh e Aoife Keogh,

Ireland’s Application for membership of the European Economic Community, in Ariane Landuyt e Daniele Pasquinucci (a cura di), Gli allargamenti della CEE/UE 1961-2004, Bologna, il Mulino, 2004, vol. I, pp. 247-261.

81 Si veda la risoluzione sulle conseguenze politiche degli avvenimenti avvenuti in Cecoslovacchia inGazzetta Ufficiale delle Comunità Europee, C108, 19 Ottobre 1968.