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4.2 Risoluzione spaziale assiale

4.2.1 Risoluzione spaziale assiale ad alto contrasto

La risoluzione spaziale ad alto contrasto nel piano dell’immagine rappresenta la ca- pacità di distinguere piccoli dettagli che presentano alte differenze di numeri TC. La valutazione della risoluzione spaziale può seguire un approccio qualitativo o quanti- tativo. Da un punto di vista qualitativo la risoluzione spaziale può essere determinata soggettivamente osservando l’immagine di una sequenza di dettagli (ad esempio una serie regolare di barre) e valutando il limite di distinzione degli stessi. Per far questo si deve disporre di un fantoccio con inserti ad alto contrasto ed acquisire un’immagi- ne assiale centrata sulla regione in cui si trovano gli inserti. A partire dall’immagine ottenuta si determina il massimo numero di pattern nei quali si riesce a distinguere chiaramente le barre1:

Figura 4.2.1 Immagine TC di un fantoccio per la risoluzione spaziale ad alto contrasto utilizzata per una valutazione

qualitativa. Immagine tratta da [3].

Sebbene questa prova sia vicina alla pratica clinica, in cui il radiologo osserva ed interpreta le immagini TC, non è certamente esaustiva ai fini di una caratterizzazione oggettiva del sistema in esame. Sarebbe corretto eseguire anche un approccio quan- titativo che prevede il calcolo della Point Spread Function (PSF) e della Modulation

Transfer Function (MTF).

La risoluzione spaziale assiale di un’immagine TC è influenzata da diversi fattori. Il processo di acquisizione e ricostruzione dell’immagine può essere visto come una sequenza di eventi, ognuno dei quali influenza la risoluzione spaziale dell’immagine finale.

Per una valutazione della risoluzione spaziale di un sistema TC è necessario consi- derare innanzitutto le caratteristiche del fascio di raggi X adoperato. A tal proposito un parametro molto importante è la dimensione della macchia focale del fascio di raggi X (vedi relazione (A.3.1)). Il fatto che la sorgente di raggi X non sia puntiforme implica la presenza di zone di penombra durante l’acquisizione, che portano ad uno sfocamento dell’immagine:

Figura 4.2.2 Esempio di come le dimensioni della macchia focale possano influire sulla risoluzione spaziale. Immagine

tratta da www.prodentalcpd.com.

Una macchia focale maggiore darà luogo quindi ad una risoluzione spaziale minore nell’immagine.

4.2 Risoluzione spaziale assiale 125

L’interazione del fascio di raggi X con l’oggetto in esame può avvenire mediante di- versi processi, tra i quali vi sono anche processi diffusivi (scattering Compton e Ray- leigh). Questa tipologia di eventi contribuisce al degrado della risoluzione spaziale dell’immagine in quanto i fotoni diffusi possono raggiungere il rivelatore ed essere quindi interpretati erroneamente come fotoni non interagenti. Questi fotoni sono dunque una fonte di rumore nell’immagine che può compromettere la distinzione di dettagli nella stessa.

Un altro fattore da considerare è che il sistema di rivelazione non associa una po- sizione puntuale all’interazione a causa delle dimensioni finite dei rivelatori. Questo contribuisce al degrado della risoluzione spaziale ed è il motivo per cui la ricer- ca volge parte del suo interesse verso la realizzazione di rivelatori con componenti elementari sempre più piccoli. Oltre alle dimensioni del singolo elemento di rivela- zione, ai fini della risoluzione spaziale è importante anche il numero di rivelatori effettivi che contribuisce all’acquisizione di una slice (per semplicità si pensi al caso di acquisizione assiale). Il numero di rivelatori infatti determina il campionamento delle proiezioni ed un campionamento più fitto consente la rivelazione di dettagli di minore dimensione.

Per quanto riguarda il processo di acquisizione, un parametro che influenza la risoluzione spaziale è il campionamento angolare, determinato dal numero di pro- iezioni necessarie per la ricostruzione di una singola slice. Anche in questo caso un campionamento più fitto darà luogo ad una migliore risoluzione spaziale.

In fase di ricostruzione un parametro legato alla risoluzione spaziale è la dimensio- ne del FOV sia di scansione (Scan-FOV) che di quello di ricostruzione (Display-FOV). Lo Scan-FOV definisce il campionamento dell’oggetto dal quale deriva l’informazio- ne primaria per la successiva ricostruzione. Il Display-FOV è la dimensione di rico- struzione dell’immagine e definisce quindi la dimensione del pixel della matrice di ricostruzione. L’immagine ricostruita è un’immagine digitale tipicamente composta da una matrice di 512×512 pixels, la dimensione dei pixels della matrice sono date dal rapporto tra le dimensioni del Display-FOV e quelle della matrice (ad esempio 512).

Inoltre, anche i filtri di ricostruzione e di elaborazione (post-processing) adoperati a seconda dei casi influenzano la risoluzione spaziale.

Tutti questi fattori influiscono sulla risoluzione spaziale assiale del sistema; queste circostanze implicano che un segnale “puntiforme” in ingresso è elaborato dal siste- ma come un segnale di dimensione finita e ciò quantifica la risoluzione spaziale. La funzione che descrive l’allargamento delle dimensioni di un segnale puntiforme in ingresso è la PSF:

Figura 4.2.3 Esempio di PSF. Immagine tratta da [31] e modificata.

è la manifestazione dei processi fisici di acquisizione e ricostruzione dell’immagine. Maggiore è la larghezza della PSF e peggiore sarà la risoluzione spaziale del siste- ma. Per misurare la PSF in un sistema TC tipicamente vengono adoperati fantocci che contengono un inserto filiforme ad alto contrasto oppure sferette ad alto con- trasto. Il diametro dell’inserto può essere dell’ordine dei 100 µm. Nel caso in cui la PSF non presenti variazioni significative in tutto il FOV allora il sistema è detto sta- zionario (o spazio-invariante). In generale i sistemi TC presentano caratteristiche di non stazionarietà. Ad esempio il campionamento angolare nel processo di acquisi- zione può dare luogo ad un degrado della risoluzione spaziale man mano che ci si allontana dall’isocentro [3]. Tuttavia, per la valutazione della risoluzione spaziale, si assume di norma che il sistema TC sia stazionario; questa approssimazione spesso è comunque non troppo grossolana.

Figura 4.2.4 Esempio di sistema stazionario e non stazionario. Immagine tratta da [31].

Per un sistema lineare e stazionario, da un punto di vista matematico, l’immagine in uscita al sistema è data dalla convoluzione dell’immagine in ingresso con la PSF:

O(x, y) = ˆ +∞ −∞ ˆ +∞ −∞ I(x0, y0)P SF (x − x0, y − y0)dx0dy0 = I(x, y) ? P SF (x, y) (4.2.1) in cui O(x, y) è l’immagine finale, I(x, y) è l’immagine in ingresso al sistema. Nel caso in cui non si ha a disposizione un fantoccio specifico per le misure di PSF è possibile stimare la Line Spread Function (LSF), che è definita come la risposta ad una linea di impulsi lungo una direzione fissata. La LSF caratterizza al pari della PSF il sistema dal punto di vista della risoluzione spaziale se questo è isotropo, poiché in tal caso non dipende dall’orientazione scelta.

4.2 Risoluzione spaziale assiale 127

Figura 4.2.5 Esempio di LSF. Immagine tratta da [31] e modificata.

Matematicamente la LSF è definita come [31]: LSF (x) =

ˆ +∞

−∞

P SF (x, y)dy (4.2.2)

Sia le misure di PSF che di LSF possono risultare complicate a causa della presenza di rumore nelle immagini. In questi casi è possibile valutare la Edge Spread Function (ESF) acquisendo un’immagine del bordo di un blocco di materiale (edge) posto all’interno del fantoccio estraendo dall’immagine un profilo ortogonale all’edge. La ESF è legata alla LSF (e quindi anche alla PSF) dalla seguente relazione [31]:

ESF (x) = ˆ x

−∞

LSF (x0)dx0 (4.2.3)

Per cui la LSF può essere ricavata come derivata della ESF.

Figura 4.2.6 Rappresentazione della PSF, della LSF e della ESF. Immagine tratta da [31].

Le tre funzioni viste (PSF, LSF e ESF) rappresentano le grandezze fondamentali per la valutazione della risoluzione spaziale di un sistema di imaging quale la TC. Queste funzioni descrivono la risoluzione spaziale del sistema nel dominio spazia- le. Un approccio largamente adoperato è quello di valutare la risoluzione spaziale del sistema nel dominio delle frequenze spaziali. Il concetto di frequenza spaziale è

essenzialmente analogo a quello di frequenza temporale. Per semplicità si può pen- sare ad una variazione periodica dei livelli di grigio (segnale spaziale) in una zona dell’immagine; se i livelli di grigio variano in un intervallo piccolo allora la frequen- za di ripetizione del segnale sarà elevata, mentre se la variazione avviene su una scala spaziale maggiore la frequenza spaziale sarà minore. Quindi oggetti “piccoli” nell’immagine sono associati ad alte frequenze spaziali ed oggetti “grandi” a basse frequenze spaziali. Questo è il motivo per cui si associano i dettagli dell’immagine alle alte frequenze spaziali ed il “grosso” dell’immagine alle basse frequenze spaziali.

Figura 4.2.7 Concetto di frequenza spaziale: a) bassa frequenza spaziale; b) media frequenza spaziale; c) alta

frequenza spaziale.

La relazione tra le dimensioni spaziali di un oggetto e la frequenza spaziale a cui è associato nell’immagine digitale deriva dalla relazione di Nyquist del campiona- mento. Per cui se f è la frequenza spaziale associata ad un dettaglio nell’immagine e d la sua dimensione spaziale allora la relazione tra le due quantità è semplice-

mente d = 1

2f. Tipicamente le dimensioni di f sono mm

−1 (derivante da cicli/mm o linee/mm) oppure cm−1.

I sistemi lineari e stazionari possono essere descritti nel dominio delle frequenze spaziali adoperando l’analisi di Fourier. I sistemi TC vengono generalmente assunti lineari e stazionari, anche se non sempre queste proprietà sono verificate. Mentre l’algoritmo FBP è lineare gli algoritmi di ricostruzione iterativa sono intrinsecamen- te non lineari e non offrono garanzie di stazionarietà. Occorre dunque adoperare cautela nel generalizzare a tutte le tipologie di algoritmi l’analisi di Fourier per la valutazione della risoluzione spaziale nel dominio delle frequenze.

Analogamente alla PSF, LSF e alla ESF, la grandezza che viene calcolata per va- lutare la risoluzione spaziale nel dominio delle frequenze è la MTF. La MTF è data matematicamente dal modulo della trasformata di Fourier della PSF (detta Optical

Transfer Function, OTF) [2]:

M T F (fx, fy) = |OT F (fx, fy)| = |

ˆ +∞

−∞

ˆ +∞

−∞

P SF (x, y)e−2πi(xfx+yfy)dxdy| (4.2.4)

Se si assume il sistema isotropo la MTF può essere ricavata dalla LSF. In questo caso la MTF sarà in funzione della frequenza spaziale radiale definita come fr = pf2 x + fy2: M T F (fr) = | ˆ +∞ −∞ LSF (x)e−2πixfrdx| (4.2.5)

Si noti che se la M T F (fx, fy) è radialmente simmetrica, per avere la M T F (fr) basta effettuare una media radiale.

4.2 Risoluzione spaziale assiale 129

Per capire come la MTF sia legata alla risoluzione spaziale dell’immagine è proba- bilmente utile dare un’altra definizione, equivalente, ma più intuitiva. La MTF può essere definita come il rapporto tra la modulazione in uscita al sistema e quella in ingresso al sistema:

M T F (f ) = Mout Min

(4.2.6) in cui M = Imax−Imin

Imax+Imin (con I intensità dei livelli di grigio) è la modulazione (o

contrasto normalizzato) ed f la frequenza spaziale in una specifica direzione. La definizione (4.2.6) esprime che la MTF descrive l’elaborazione del contrasto, da par- te del sistema di imaging, al variare della frequenza spaziale. L’esempio di figura (4.2.8) chiarisce il concetto:

Figura 4.2.8 Esempio del trasferimento della modulazione da parte di un sistema di imaging. Immagine tratta da

www.dxomark.com e modificata.

In figura (4.2.8) si osserva come diminuisce il contrasto dell’immagine all’aumen- tare della frequenza spaziale. Questo è dovuto al fatto che la risoluzione spaziale del sistema di imaging è limitata; ad alte frequenze spaziali il sistema non è in gra-

4.2 Risoluzione spaziale assiale 131

do di distinguere nitidamente gli oggetti. Tutto ciò comporta una diminuzione della MTF alle alte frequenze spaziali, come mostrato in figura (4.2.8). Per un sistema di imaging ideale la curva MTF dovrebbe essere costante (pari ad 1 se normalizzata), senza diminuire alle alte frequenze spaziali. In genere il valore pari al 10% dell’am- piezza della curva MTF è assunto come limite della risoluzione spaziale. Dato che la MTF è direttamente correlabile al concetto di risoluzione di linee/mm spesso è preferita rispetto alla PSF (LSF) per la valutazione della risoluzione spaziale del si- stema. Inoltre, nella maggioranza dei casi, i filtri adoperati in fase di ricostruzione ed elaborazione delle immagini hanno una interpretazione più intuitiva nello spazio delle frequenze spaziali e dunque la MTF può dare una descrizione più diretta del loro effetto sull’immagine finale rispetto alla PSF.