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Risultati del test di omogeneità della varianza

7.3 Analisi di omogeneità della varianza

7.3.1 Risultati del test di omogeneità della varianza

Abbiamo confrontato a coppie le serie di dati di umidità media annua delle quote fra esse contigue, per un totale di tre confronti per punto: uno fra le quote 1000 Hpa e 850 Hpa, uno fra 850 Hpa e 700 Hpa ed un altro tra 700 Hpa e 500 Hpa, con il fine di capire se i diversi campioni potessero avere la stessa origine.

Si è scelto di effettuare il confronto solamente tra quote adiacenti dello stesso punto, scartando fin da subito un possibile confronto tra tutte e quattro le quote perché altrimenti, dato la natura dei dati e della variabile, l’analisi non avrebbe condotto ad un risultato significativo.

Qui di seguito abbiamo riportato come esempio i risultati ottenuti per il punto di longitudine 70° e di latitudine 40°; considerando che le 1000.850

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indica il confronto effettuato tra le serie di dati corrispondenti alle quote riferite a 1000 Hpa e 850 Hpa, le850.700 quello tra 850 Hpa e 700 Hpa ed infine le700.500 quello per tra 700 Hpa e 500mb.

> le1000.850<-levene.test(dati1,gruppi1,location="mean", kruskal.test=T)

> le850.700<-levene.test(dati2,gruppi2,location="mean", kruskal.test=T) > le700.500<-levene.test(dati3,gruppi3,location="mean", kruskal.test=T) > le1000.850

rank-based (Kruskal-Wallis) classical Levene's test based on the absolute deviations from the mean ( none not applied because the location is not set to median )

data: dati1

Test Statistic = 6.3155, p-value = 0.01197 > le850.700

rank-based (Kruskal-Wallis) classical Levene's test based on the absolute deviations from the mean ( none not applied because the location is not set to median )

data: dati2

Test Statistic = 0.0607, p-value = 0.8054 > le700.500

rank-based (Kruskal-Wallis) classical Levene's test based on the absolute deviations from the mean ( none not applied because the location is not set to median )

123 data: dati3

Test Statistic = 3.693, p-value = 0.05464

Visto che siamo riusciti a definire che non tutte le serie storiche provengono da distribuzioni normali abbiamo deciso di eseguire i test sull’omogeneità della varianza utilizzando un test non parametrico, il test di Levene, che ci permettesse di slegarci dai parametri delle distribuzioni e paragonare cosi campioni di dati aventi anche origini differenti.

Anche in questo caso si è realizzata una semplice statistica da cui è emerso che, considerando campioni omogenei per un valore del p-value > 0.1 :

 Il 79% del campione, pari a 107 confronti su 135 fra le quote riferite a 500 Hpa e 700 Hpa, risulta omogenei;

 L’84% del campione, pari a 113 confronti su 135 fra le quote riferite a 700 Hpa e 850 Hpa, risulta omogeneo ;

 Il 36% del campione, pari a 49 confronti su 135 fra le quote riferite a 850 Hpa e 1000 Hpa, risulta omogeneo.

Nella pagina seguente, a titolo di esempio, riportiamo i risultati ottenuti dai confronti tra i campioni posti a 500 Hpa e quelli a 700 Hpa:

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Conclusioni

L’obiettivo della nostra analisi, come precedentemente detto, è stato descrivere ed inquadrare la questione relativa all’umidità in Europa effettuando analisi temporali, spaziali ed in quota.

L’umidità, come detto, è un fenomeno atmosferico complesso, variabile nello spazio e nel tempo e regolato dall’interazione tra caratteri geografici statici e caratteri dinamici. Questa interazione dipende a sua volta da innumerevoli fattori:

 Latitudine e incidenza dei raggi solari;  Stagionalità;

 Distribuzione di mari e terre emerse;  Correnti e venti;

 Orientamento dei grandi sistemi montuosi;  Rilievi e loro esposizione topografica;  Acque continentali.

Il nostro studio è stato effettuato su serie storiche di dati di umidità relativi a 135 stazioni distribuite su un territorio vasto e morfologicamente variegato.

Dai risultati delle analisi temporali non abbiamo potuto evidenziare alcuna corrispondenza significativa tra il cambiamento climatico e l’evolversi nel tempo dei vari regimi di umidità.

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Questo potrebbe ritenersi dovuto fondamentalmente all’utilizzo di un campione troppo limitato nel tempo, 30 anni si sono rivelati essere un orizzonte temporale eccessivamente ridotto per analisi di questo tipo,

Il campione utilizzato si è ad ogni modo confermato essere affidabile e completo; caratteristiche verificate grazie al test effettuato con l’ausilio di Google Earth per individuare le caratteristiche al suolo. Questo test ci ha fornito un ottima corrispondenza tra i valori di umidità relativa e ciò che è stato riscontrato al suolo.

Una volta raccolti per ogni stazione di misura (ad es. il punto lat:30; long:10) tutti i dati disponibile mese per mese (ad es. Tutti i Luglio del 1979 al 2009), divisi per quota (ad es. 700 Hpa), si è proceduto con l’analisi spaziale con l’obiettivo di individuare eventuali trend.

Abbiamo cercato di individuare, qual’ora ci fossero andamenti dominanti utilizzando i valori di pendenza riassuntivi dell’andamento dell’umidità media nel trentennio considerato. L’elaborazione effettuate pur avendo evidenziato alcune omogeneità locali non presenta caratteristiche di uniformità ed univocità tali da permettere di poter effettuare considerazioni credibili ed esaustive.

Per provare a chiarire questo genere di risultati riteniamo sarebbe stato necessario avere competenze tecnico-scientifiche specifiche di tipo meteorologico non a nostra disposizione, oltre a disporre di dataset relativi ad un orizzonte temporale più esteso.

Successivamente abbiamo verificato l’adattabilità del dato a distribuzioni note quali la normale, la lognormale e la gamma.

Per quanto riguarda distribuzione lognormale e gamma i valori del P – value sono molto inferiore a qualsiasi soglia di accettabilità, facendoci così escludere un adesione del nostro campione a questo tipo di distribuzioni.

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Riportiamo di seguito i valori percentuali relativi la soglia di accettabilità ottenuti dall’applicazione del test di Kolmogorov – Smirnov per il caso di distribuzione normale:

Dove sono stati utilizzati i seguenti range, definiti in letteratura, per descrivere qualitativamente il grado di significatività

Dai risultati ottenuti risulta che la distribuzione normale possa adattarsi ai nostri dati con una percentuale che varia dall’84% della quota di 500 Hpa fino al 90% per la quota di 850 Hpa.

Questo mostra buona aderenza con le caratteristiche di continuità e poca variabilità del parametro umidità.

Per i restanti campioni non siamo stati in grado di attribuire nessuna distribuzione di probabilità, non riuscendo a caratterizzare in questo modo una percentuale di dati oscillante dal 16% al 10%.

Le analisi in quota sono state svolte sempre tramite il software R con l’obiettivo di valutare l’omogeneità tra quote adiacenti.

Il test utilizzato in questo caso è stato il Levene Test. L’obiettivo perseguito è stato provare a capire se i dati appartenenti a quote adiacenti potessero appartenere allo stesso “universo statistico”, investigando cosi se la misura di umidità relativa ad una data quota potesse risultasse indipendente oppure no rispetto a quella della quota subito superiore o inferiore.

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Anche in questo caso si è realizzata una semplice statistica. Considerando campioni omogenei quelli per un valore del P-value > 0.1 abbiamo verificato quanto segue:

Spicca il 36% di omogeneità tra gli 850 Hpa e 1000 Hpa, valore particolarmente basso.

Questo dato risulta fisicamente giustificato dal passaggio che avviene in questa zona da regime turbolento, al suolo, a regime laminare, in quota. Indirettamente inoltre, conferma l’influenza della tipologia di suolo e della morfologia sul regime di umidità misurato.

8.1 Sviluppi futuri

Affinché il lavoro fin qui presentato possa divenire spunto per future trattazioni che approfondiscano e migliorino la conoscenza sul tema trattato riteniamo possano essere intraprese diverse strade.

Si potrebbe sicuramente ampliare il perimetro di trattazione, così da poter effettuare valutazioni su scala globale rendendo le potenziali conclusioni il più aderenti possibili alla complessità dei fenomeni meteorologici.

A tal proposito si potrebbe affinare il passo di discretizzazione nella speranza di ottenere una più completa ed attendibilità individuazione di eventuali trend e/o ciclicità.

Sarebbe utile considerare l’eventualità di effettuare nuovamente questo tipo di analisi incrociando dati di umidità relativa e/o assoluta di diversa origine, ad esempio, oltre ai dati satellitari utilizzando database ottenuti tramite spazializzazione di dati puntuali forniti da radiosondaggi, scelta che tra le altre cose permetterebbe di verificare indirettamente la bontà del dato satellitare.

Noi non abbiamo perseguito questo tipo di strada per diverse ragioni: N° Stazioni omogene su 135 Percentuale omogeneità

500→700 107 7900%

700→850 113 84

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 elevato spesa necessaria per ottenere dati di questo tipo,

 tra i database a libero accesso spesso non vi sono riportati dati relativi a tutte le quote di interesse

 l’orizzonte temporale fornito, ad oggi, non è ancora soddisfacente per alcuni tipi di analisi

Sarebbe sicuramente interessante impostare nuove analisi, considerando un maggior numero di quote così da poter in qualche modo fare considerazioni più attendibili sul profilo di umidità.

Con il passare degli anni sarà ovviamente possibile avere accesso a serie sempre più lunghe e precise affinando naturalmente futuri risultati, permettendo di approfondire ad esempio il collegamento umidità- cambiamento climatico.

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Appendice 1

A1.1 NCAR

NCAR nasce a partire da un piccolo gruppo di scienziati innovativi, molti dei quali docenti universitari, come risposta creativa alla grande sfida che ha affrontato la nazione statunitense negli anni tra il 1930 e il 1950. Nel 1930 i principali dipartimenti di meteorologia erano stabiliti presso il Massachusetts Institute of Technology, l'Università di Chicago, e le altre principali università degli Stati Uniti.

Il loro obiettivo era quello di indagare scientificamente i principi fisici che sono basilari per definire il comportamento dell'atmosfera. Nel giro di un decennio, le operazioni militari della seconda guerra mondiale, che a differenza di quelli di qualsiasi precedente guerre si basavano su assalti che erano non solo via terra e mare bensì anche aerei, erano fortemente dipendenti e condizionate dalle condizioni atmosferiche estese a vaste regioni, dal Nord Atlantico al Pacifico del Sud, dai poli ai tropici .

Le competenze meteorologiche dei vari dipartimenti universitari crebbero così rapidamente che i servizi militari inviarono propri membri per imparare i fondamenti della meteorologia. Il compito di questi ufficiali incaricati spaziava dalla produzione di banali previsioni meteo giornaliere a ben più importanti e strategiche pianificazioni per le varie operazioni militari, come il D-Day in Normandia. I servizi militari furono supportati in questo periodo anche da enti di ricerca meteorologica così da produrre un miglioramento nella comprensione del tempo e del clima. I piloti militari in missione di bombardamento a lungo raggio hanno scoperto la presenza ad alta quota di “fiumi” d’aria in rapido movimento, ora note come correnti a getto (jet streams), ormai riconosciuti come elementi chiave per la previsione della circolazione atmosferica su larga scala.

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Nonostante gli imponenti programmi di formazione degli anni ‘40, il settore delle scienze atmosferiche perse terreno negli anni del dopoguerra, diventando una sorta di cugino povero di molti altri rami della scienza. Circa il 90% dei meteorologi americani nella metà del secolo sono stati impiegati dal governo federale, principalmente nella produzione di previsione anziché impegnarli in progetti di ricerca sulle tematiche fondamentali del clima. Il numero di nuove persone che entravano in campo era tristemente basso facendo si che la meteorologia vantasse la più piccola percentuale di dottorati rispetto a qualsiasi altra disciplina scientifica.

Nel 1956, l'Accademia Nazionale delle Scienze ha incaricato un comitato di eminenti scienziati ad indagare e valutare lo stato degli studi in materia di meteorologia. Notando la dimensione e la complessità dei problemi atmosferici e le risorse inadeguate per la loro risoluzione, la commissione ha raccomandato un aumento esponenziale del sostegno alla ricerca di base. Accoppiato con il nuovo finanziamento, la commissione propose di istituire un Istituto nazionale (in seguito chiamato un centro nazionale) sulla ricerca atmosferica che fosse gestito da un consorzio di università con il sostegno della National Science Foundation.

La missione dell'Istituto avrebbe dovuto essere quella di:

 Affrontare i problemi fondamentali dell'atmosfera su scala adeguata alla loro natura globale.

 Strutturare le strutture di ricerca necessarie per un tale approccio su larga scala.

 Fornire un approccio interdisciplinare coordinato a questi problemi cosa che non sarebbe stata possibile procedendo a livello di singoli dipartimenti universitari.

 Preservare l'alleanza naturale tra ricerca e istruzione, senza squilibrare i dipartimenti universitari.

Nel 1960, ha avuto inizio per mano del NCAR, a Boulder in Colorado, un programma della National Science Foundation (NSF), gestito

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dall’organizzazione no profit “Universiy Corporation for Atmospheric Research” (UCAR). Al momento in cui ha finanziato la creazione del NCAR, il programma NSF era stati in vigore solamente da dieci anni.

Oggi, NCAR fornisce la ricerca universitaria e la comunità scientifica con strumenti quali aerei e radar per osservare l'atmosfera e con la tecnologia e l'assistenza per interpretare e utilizzare queste osservazioni prodotte, tra cui l'accesso a supercomputer, modelli computerizzati di interpretazione e previsione della realtà ed un servizio di supporto diretto agli utenti.

Gli scienziati del NCAR e delle Università si trovano quindi a collaborare sui vari temi di ricerca quali ad esempio la chimica atmosferica, il clima, la fisica delle nubi e delle tempeste, i rischi meteorologici per l'aviazione e le interazioni tra il sole e la terra. L’obiettivo degli studi in tutte queste aree e quello di cercare di capire e quantificare quello che può essere il ruolo degli esseri umani sia nella determinazione del cambiamento climatico che in risposta ai sempre più frequenti eventi meteorologici estremi.

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Appendice 2

A2.1 Biomi

Il clima locale determina la formazione di un ambiente caratteristico, chiamato bioma.

Il bioma è l'insieme di animali e vegetali che vivono in un determinato luogo o ambiente geografico che hanno raggiunto un elevato grado di adattamento all'ambiente naturale che li ospita con particolare riferimento alla flora ed al clima.

Si distinguono biomi terrestri e biomi dell'idrosfera. L'identificazione di un bioma terrestre si basa sulle specie proprie e sulle caratteristiche fondamentali dell'ambiente.

A2.1.1 La tundra

In geografia fisica, il termine tundra, indica un'area dove la crescita degli alberi è ostacolata dalle basse temperature e dalla breve stagione estiva. Il termine tundra deriva dal termine lappone tunturia, che significa "pianura senza alberi".

Tundra è quindi per estensione la vegetazione tipica delle zone polari artiche, composta principalmente da muschi, licheni e pochi arbusti.

È pertanto una vegetazione tipica di climi molto rigidi. Geograficamente, si estende nelle zone ai margini delle regioni perennemente ricoperte dai

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ghiacci, dove il terreno già a pochi centimetri dalla superficie è ghiacciato (permafrost).

In queste regioni, l'inverno è molto rigido mentre l'estate è corta e fresca, Per questo le specie animali che vi vivono concentrano la loro attività nel periodo estivo. Tutte le specie tipiche di questo habitat possiedono cicli riproduttivi molto veloci, entro l'arrivo dei primi freddi devono completare la propria riproduzione, lo sviluppo ad età adulta e prepararsi per la lunga e fredda stagione invernale.

A2.1.2 La taiga

La taiga è un bioma caratterizzato da foreste di conifere. Si tratta di una regione geografica umida subartica, dove il clima è meno rigido e l'estate è più lunga.

La vegetazione è formata da abeti, larici e pini, con foglie aghiformi sempreverdi.

Le foreste di conifere sono molto importanti anche del punto di vista economico: gran parte del legname prodotto per l'industria deriva proprio dallo sfruttamento di queste foreste.

La taiga offre riparo e alimentazione anche a molti animali della tundra, che sopraggiungono spinti dai rigori invernali.

È localizzata nella zona nord del globo e si trova quasi sempre sotto la tundra.

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A2.1.3 Grasslands (praterie)

La prateria è una vasta estensione di terreno erboso, in genere pianeggiante. È caratteristica delle zone dell'America settentrionale (Mississippi, Montagne Rocciose) con scarsa umidità, livelli di precipitazione inferiori a 500 mm anno e suolo coperto di neve durante l'inverno.

Prevalgono le specie erbacee (Graminacee e leguminose annue) con cespugli e rari alberi isolati; nelle zone dove la temperatura è maggiore e minore l'umidità si sviluppano anche agavi e cactus.

A2.1.4 La steppa

La steppa è una formazione vegetale erbacea.

È caratteristica delle regioni tropicali, subtropicali e temperate con periodi piovosi corti.

Manca la vegetazione arborea, ad eccezione di cespugli bassi. Sono presenti piante erbacee graminacee di breve durata, rigogliose durante la breve stagione delle piogge.

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A2.1.5 Deciduous forest (foresta temperata)

La foresta temperata è un tipo di foresta presente sia nell'emisfero boreale che in quello australe.

Nella regione boreale si estende alle regioni di clima temperato oceanico, a quelle a clima medio europeo, a clima nord-europeo ed a clima continentale. Nella regione australe è caratterizzata da vegetazione sempreverde a causa della maggiore umidità (araucarie, eucalipti).

A2.1.6 Mediterranean chaparral (bioma mediterraneo)

Il bioma mediterraneo è una zona di transizione che si trova nell'emisfero boreale tra la fascia temperata e quella tropicale.

La flora è costituita da conifere e sughere che sono state in parte rimosse dall'azione umana e dagli arbusti aromatici e sempreverdi che fanno parte della macchia mediterranea.

Caratterizzato da estati aride e piogge concentrate soprattutto nei periodi autunnali ed invernali.

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A2.1.7 Deserto

In geografia si definisce deserto ogni area inadatta all'insediamento umano, del tutto o quasi disabitata, in cui non piove quasi mai, il terreno è arido e non coltivabile.

Esistono due tipi principali di deserto:

 le aree a clima caldo (deserto roccioso, sabbioso, a dune), presenti nelle regioni tropicali, caratterizzate da accentuata aridità, vegetazione ridotta o assente, mancanza di corsi d'acqua perenni. L’escursione termica tra il giorno e la notte è elevata per la mancanza di umidità e per la distanza dal mare;

 le aree a clima freddo (deserto freddo, deserto bianco), presenti nelle regioni settentrionali e meridionali a margine dei continenti boreali e australi (Groenlandia, Artide e Antartide), caratterizzate da freddo intenso e perenni distese di neve e ghiaccio.

A2.1.8 Savana

La savana è un habitat delle regioni calde tropicali in cui le piogge cadono con regolarità stagionale. È costituita da vaste distese di graminacee, alte fino a

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due metri, disseminate di cespugli e di rari alberi isolati (come acacia, baobab o euforbia).

La savana è diffusa in America, in Australia ed in Africa e nelle zone con scarsa piovosità si trasforma in steppa.

Le savane (Africa occidentale e sudoccidentale), si sviluppano in regioni caratterizzate da clima arido, con precipitazioni annue comprese tra i 100 e i 400 mm; tali zone variano dalle foreste a volta aperta, con una modesta presenza di erbe, alle vere e proprie savane, nelle quali invece le erbe sono dominanti e gli alberi sono molto rari.

A2.1.9 Foresta tropicale

La foresta equatoriale (o pluviale) è una foresta fittissima e particolarmente ricca di specie vegetali. Nelle zone presso l'Equatore si estendono immense foreste pluviali, che in passato erano assai più estese di oggi. La più grande foresta del mondo è quella dell'Amazzonia, nell'America del Sud. Essa copre un territorio di circa 7 milioni di chilometri quadrati (pari a circa venti volte l'Italia). La seconda foresta pluviale per estensione si trova in Africa Centrale e ricopre il bacino del fiume Congo. Queste regioni forestali forniscono una grande quantità di ossigeno, valutata in metà di tutta quella contenuta nell'atmosfera.

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A2.1.10 Bioma alpino

La vegetazione alpina varia a seconda delle zone altitudinali:  alla quota più alta ci sono muschi e licheni;

 scendendo verso il basso si incontrano boschi di conifere e quindi faggeti;

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Appendice 3

A3.1 Clima dettagliato per alcuni dei

principali paesi europei

Osserviamo ora la descrizione climatica delle singole nazioni in cui sono presenti le stazioni di rilevamento che abbiamo analizzato.

A3.1.1 Finlandia

Tra i paesi scandinavi la Finlandia è quella con il clima più rigido. L’inverno freddo e secco, della durata di sette mesi, da ottobre ad aprile, cede il passo velocemente ai tre mesi estivi, caldi e piovosi.

A3.1.2 Norvegia

La Norvegia gode di un clima abbastanza temperato soprattutto lungo le coste e nelle isole, nonostante l’elevata altitudine. Questo grazie all’influenza della corrente Nord Atlantica che ne mitiga alquanto le temperature. Questo particolare fenomeno impedisce la formazione dei ghiacci marini durante l’inverno.

Le Alpi Scandinave dividono la Norvegia in due aree climaticamente distinte:  Le zone sud orientali e nord orientali hanno un clima di tipo

continentale.

 Le coste occidentali hanno un clima di tipo marittimo con inverni relativamente miti ed estati fresche e piovose.

A3.1.3 Danimarca

La Danimarca è caratterizzata da un clima temperato marittimo, con frequenti precipitazioni dovute ai venti atlantici, portatori di aria umida e mite, ma non abbondanti a causa della mancanza di rilievi montuosi. Le

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temperature non scendono mai eccessivamente, nemmeno in pieno inverno, grazie alla corrente nordatlantica.

A3.1.4 Regno unito

Il clima nel Regno Unito è temperato marittimo ma presenta forte variabilità. I venti umidi oceanici favoriscono le precipitazioni e riducono l’escursione termica annua spirando aria mite in inverno e fresca d’estate. Il clima può cambiare repentinamente nell’arco di una stessa giornata ed i fenomeni sono spesso circoscritti.

A3.1.5 Francia

La Francia gode di un clima generalmente temperato anche se la presenza del massiccio centrale e la lontananza dal mare concorrono a variarne il clima in senso tendenzialmente continentale. Possiamo distinguere quattro diverse zone climatiche:

 Clima oceanico umido che caratterizza la fascia atlantica dai Pirenei alla Manica con estati fresche e inverni miti. Le precipitazioni sono

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