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Analisi dell'umidità al suolo ed in quota : un'applicazione sull'Europa

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Academic year: 2021

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POLITECNICO DI MILANO

Corso di Laurea in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio

Analisi dell'umidità al suolo ed

in quota: una applicazione sull'Europa

Anno accademico 2012/2013

Relatore: prof. Antonio Ghezzi

Elaborato di laurea di:

Stefano Nardin Matr. 755789

Giacomo Varisco Matr.755899

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Dopo un percorso lungo e faticoso siamo giunti al punto in cui si

vede la meta.

Per questo dobbiamo ringraziare molte persone, che in modi

diversi ci sono state vicino, ci hanno sostenuto, ci hanno aiutato, ci

hanno dato la forza quando credevamo di averla esaurita.

Un ringraziamento particolare va al Professor Antonio Ghezzi,

senza il quale non saremmo mai riusciti a fare questo lavoro, che

ci ha dato consigli, ci ha permesso di imparare e di crescere

attraverso la sua professionalità.

Ringraziamo inoltre tutte le persone e le istituzioni che hanno

collaborato al lavoro di tesi.

Sentitamente grazie.

Stefano Nardin

Giacomo Varisco

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(5)

i

Indice

1 INTRODUZIONE ……… 1

2 L’UMIDITÀ ……….………. 4

2.1 L’umidità atmosferica ……….…. 4

2.2 Umidità assoluta, specifica e relativa ………. 4

2.3 La condensazione del vapore acqueo ………...… 6

2.4 La formazione delle nubi ………..…. 7

2.4.1 Cause meteorologiche della formazione delle nubi ………..…. 9

2.4.1.1 Sollevamento convettivo ………. 10

2.4.1.2 Sollevamento ciclonico ……… 11

2.4.1.3 Sollevamento orografico o forzato ……….… 12

2.4.1.4 Sollevamento frontale ………..…. 13

2.4.2 Formazione delle gocce e dei cristalli di ghiaccio nelle nubi ……….… 13

2.4.3 Tipi di nubi ………... 15

2.5 Meccanismo di formazione delle precipitazioni ………... 18

2.5.1 Accrescimento per condensazione ………. 19

2.5.2 Accrescimento per coalescenza ……… 20

2.5.3 Accrescimento dei cristalli di ghiaccio: processo di Bergeron – Findeisen………... 24

2.5.4 Tipologie di precipitazione ……….….. 27

2.6 Termodinamica atmosferica ………..…... 29

(6)

ii

2.6.1.1 I sistemi termodinamici e l’equazione

di stato dei gas perfetti ……….…... 29

2.6.1.2 L’equazione di stato per l’aria secca …….… 32

2.6.1.3 Il primo principio della termodinamica per l’aria secca …………..… 33

2.6.1.4 Il gradiente termico verticale dell’atmosfera ……….... 34

2.6.2 Termodinamica dell’aria umida ……….... 35

2.6.2.1 Trasformazioni adiabatiche per l’aria umida ………..… 35

2.6.2.2 L’equazione di stato per l’aria umida ……... 37

3 GLI STRUMENTI DI MISURA DELL’UMIDITÀ DELL’ARIA ………... 41

3.1 Igrometri diretti ……….….. 43

3.1.1Igrometri meccanici ………....….. 43

3.1.2 Igrometri elettrici ………..….…. 45

3.1.3 Altri sensori diretti ………. 52

3.2 Igrometri indiretti ………..…. 53

3.2.1 Igrometri a specchio condensante ……….…. 53

3.2.2 Psicrometri ……… 57

3.2.3 Igrometri a sali saturi ……….…….…….. 61

3.2.4 Igrometri elettrolitici ………..…….….. 63

3.2.5 Altri sensori indiretti ……….……….... 64

3.3 Criteri di scelta degli strumenti di misura ………...….. 65

3.4 Il telerilevamento ………..……… 68

3.4.1 Uso dello spettro elettromagnetico nel telerilevamento ……….….. 71

(7)

iii

3.4.2. Classificazione dei sensori ………..…… 73

4 IL CLIMA IN EUROPA ……… 76

4.1 I climi e le macro regioni europee ………....… 77

4.1.1 Clima e ambiente Atlantico ……….. 82

4.12 Clima e ambiente Mediterraneo ……… 83

4.1.3 Clima e ambiente continentale ……….. 85

4.1.4 Clima e ambiente artico ………... 88

4.1.5 Clima dell'ambiente alpino ……….... 89

5 L’APPLICAZIONE ……….……….… 91

5.1 Visualizzazione e preparazione dato ………...… 95

5.2 Elaborazioni ………...………...… 97

6 DISTRIBUZIONI DI PROBABILITA’ ………..………... 104

6.1 La variabile casuale ………..………... 104

6.2 Distribuzione normale o gaussiana ……….…………... 106

6.3 Distribuzione lognormale ……….………... 110

6.4 Distribuzione gamma ……….……….... 111

7 IL SOFTWARE R ………..…… 113

7.1 Importazione dei dati in R ……….……….. 113

7.2 Adattamento ad una distribuzione nota ………... 114

7.2.1 Test di Komogorov – Smirnov ……….….. 116

7.2.1.1 Risultati test Komogorov – Smirnov …… 117

(8)

iv

7.3.1 Risultati del test di omogeneità della varianza …..…. 121

8 CONCLUSIONI ……….…. 125 8.1 Sviluppi futuri ……… 128 APPENDICE 1 ……… 130 A1.1 NCAR ……… 130 APPENDICE 2 ……… 133 A2.1 BIOMI ……….….. 133 APPENDICE 3 ……….…140

A3.1 CLIMA DETTAGLIATO PER ALCUNI DEI PRINCIPALI PAESI EUROPEI ………..….….… 140

APPENDICE 4 ……… 145

(9)

1

1

Introduzione

La ricerca di una possibile correlazione con la tematica del cambiamento climatico, il legame con la nubi ed il loro ruolo di filtro verso le radiazioni , la fondamentale influenza sulla conservazione di cibo ed oggetti, la capacità di condizionare in modo sostanziale la qualità della vita in ambienti di quotidiana frequentazione potendo determinare criticità per la salute ed il benessere della persona; queste son solo alcune delle motivazioni che hanno spinto e sostenuto il nostro lavoro e i nostri sforzi spingendoci ad investigare e caratterizzare il comportamento dell’umidità al variare di alcune condizioni al contorno.

L’obiettivo dichiarato della nostra analisi è svolgere una valutazione critica di come, e se, i diversi regimi di umidità varino in funzione alcuni parametri come latitudine, longitudine, quota e di come siano variati nel tempo, così da poter individuare legami e corrispondenza tra fattori geografici e/o temporali e la risposta atmosferica in termini di umidità.

Per queste trattazioni abbiamo utilizzato dati di umidità relativa circoscritti, per motivi di onerosità delle trattazioni, ad una superficie europea, estesa a sud a tutto il nord Africa desertico e ad ovest al primo tratto di oceano atlantico.

L’umidità, parametro atmosferico complesso e continuo, è la misura della quantità di vapore acqueo presente in atmosfera (o in generale in una massa d'aria).

Uno studio critico ed esaustivo della sua distribuzione, spaziale ed in quota, può sicuramente essere punto di partenza per migliorare e approfondire la comprensione dei fenomeni di nuvolosità.

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La presenza di vapore acqueo nell’atmosfera infatti, risulta determinante per la formazione delle nubi stesse. Nubi che sappiamo essere elemento fortemente condizionante rispetto al clima.

Esse svolgono infatti un’importante e duplice funzione: di filtro rispetto alle radiazioni solari e di luogo formazione e sviluppo delle gocce destinate alle precipitazioni.

Ciò conferma ulteriormente l’importanza dell’umidità quale fattore meteorologico in grado di influenzare fortemente la climatologia e quindi la vita quotidiana.

Il clima dipende infatti, oltre che da fattori geografici locali e morfologici, anche dai movimenti delle masse d’aria sul territorio. Lo scontro di masse d’aria con caratteri di umidità e temperatura distinti determina la formazione di cicloni ed anticicloni, permanenti e stagionali che governano la climatologia delle piogge in Europa come nel resto del mondo.

L’umidità, ha sempre condizionato l’uomo e la sua quotidianità sia per la conservazione di oggetti che di alimenti.

Ciò ha fatto si che fin dall’antichità si sia cercato di capire e misurare questo fenomeno.

I primi tentativi documentati di misura “strumentale” della umidità risalgono al 1430 circa quando Nikolaus Chrypffs (Cusano) (1401-1464) inventa il primo strumento meteorologico. Una sorta d’igrometro con il quale cercò di determinare il grado di umidità dell’aria pesando delle palle di lana. Nel 1500 circa quindi, Leonardo Da Vinci (1452-1519) costruisce un anemoscopio e un indicatore meccanico dell’umidità. Nel Codice Atlantico, una raccolta di 393 carte autografate da Leonardo e raccolte da Pompeo Leoni (1533-1608), ci sono schematizzati questi strumenti.

Nonostante la precocità dell’interesse scientifico per questo tema, risulta tuttora molto difficile trovare serie storiche di umidità complete e di lunghezza considerevole, se non puntualmente per stazioni isolate.

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Tuttavia l’umidità, essendo un parametro poco variabile, può giustificare, a seconda delle finalità dell’analisi, un utilizzo di serie di lunghezza limitata, cosa ingiustificata qualora si fosse trattato di un parametro caratterizzato da forte discontinuità, come ad esempio le precipitazioni.

Per l’analisi da noi effettuata sono stati utilizzati dati globali dal 1979 al 2010.

Si è rivelato necessario avvalersi di considerazioni statistiche che ci aiutassero e permettessero di descrivere e caratterizzare almeno in parte i nostri campioni, verificandone l’adattabilità a distribuzioni note e valutandone l’omogeneità, in riferimento ovviamente alle condizioni locali di tipo morfologico e climatico.

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L’umidità

2.1 L’umidità atmosferica

L'umidità atmosferica è determinata dalla quantità di vapore acqueo presente nell'aria. Le radiazioni solari riscaldano l'acqua e la superficie terrestre generando l'evaporazione dell'acqua sotto forma di vapore acqueo che dà vita a diversi fenomeni atmosferici (nubi, nebbia, pioggia, ecc.). Il vapore acqueo contribuisce alla formazione delle nubi, tramite il fenomeno della condensazione, e al funzionamento del ciclo dell'acqua dalla fase iniziale di evaporazione alla fase finale delle precipitazioni piovose.

2.2 Umidità assoluta, specifica e relativa

Vari sono i parametri significativi quando si parla di umidità:

Umidità assoluta: è la quantità di vapore acqueo espressa in grammi contenuta in un metro cubo d’aria. L'umidità assoluta aumenta all'aumentare della temperatura, l'umidità di saturazione aumenta più che proporzionalmente quindi l'umidità relativa tende a scendere. Quando un abbassamento di temperatura porta a far coincidere l'umidità assoluta con quella di saturazione si ha una condensazione del vapore acqueo e il valore termico prende il nome di temperatura di rugiada. In corrispondenza di questo valore se si ha una superficie fredda si ha la rugiada (brina a valori sotto lo zero), se la condensazione riguarda uno strato sopra il suolo si ha la nebbia. È un valore poco apprezzabile e per questo si preferisce l'utilizzo dell'umidità specifica. L'umidità assoluta può essere espressa in

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termini di massa di acqua per volume di atmosfera o in pressione parziale relativa del vapore rispetto agli altri componenti atmosferici (kg/m³ o Pa).

Umidità specifica: è il rapporto della massa del vapore acqueo e la massa d'aria umida; in letteratura si può trovare anche un'altra definizione: rapporto tra la massa del vapore acqueo e la massa d'aria secca. In termodinamica si preferisce questa seconda definizione perché, rapportandosi alla massa d’ aria secca, questa non varierà mai nei normali processi termodinamici (sopra la temperatura di 132 K), al contrario della massa di aria umida (per esempio: con la condensazione del vapore nell'aria umida, il fluido può essere facilmente sottratto).

Umidità relativa: indica il rapporto percentuale tra la quantità di vapore contenuto da una massa d'aria e la quantità massima (cioè a saturazione) che il volume d'aria può contenere nelle stesse condizioni di temperatura e pressione. Alla temperatura di rugiada l'umidità relativa è per definizione del 100%. L'umidità relativa è un parametro dato dal rapporto tra umidità assoluta e l'umidità di saturazione. È svincolato dalla temperatura e dà l'idea del tasso di saturazione del vapore atmosferico, e delle ripercussioni sui fenomeni evapotraspirativi delle colture. Il deficit di saturazione è dato dalla differenza tra umidità assoluta e umidità di saturazione.

Esempio: se una massa d'aria ha una temperatura propria, ad esempio, di 15 °C con una quantità di umidità relativa pari al 50%, affinché tale umidità possa raggiungere il 100% (saturazione) a pressione costante, e, magari depositarsi (condensazione) sarà necessario abbassare la temperatura della massa d'aria, ad esempio, di 5 °C, portarla cioè da 15 °C a 10 °C.

L’aria si definisce satura quando ha raggiunto la quantità massima di vapore che può contenere a quella temperatura. Quando è pura e non ci sono nuclei

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di condensazione, può contenere una quantità di vapore superiore al limite di saturazione condizione che si definisce soprassatura.

L’umidità, caratterizzata da una limitata variabilità, pur essendo una grandezza tipicamente puntuale, può essere considerata una grandezza estensiva.

Ciò permette di estendere concettualmente un valore puntuale ad un intorno areale stabilito, consentendo di inquadrare l’umidità entro i confini della teoria della meccanica del continuo.

2.3 La condensazione del vapore acqueo

Volendo trattando in modo rigoroso il tema dell’umidità non si può prescindere dal considerare ed introdurre alcuni dei fenomeni meteorologici maggiormente collegati ad essa: nubi e precipitazioni.

Le nubi sono infatti agglomerati visibili di particelle d’acqua allo stato liquido (goccioline) o solido (cristalli di ghiaccio) in sospensione nell’atmosfera, principalmente in troposfera.

Figura 2.1 Andamenti dell’ umidità relativa in funzione della temperatura

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Il loro aspetto è in continua evoluzione e trasformazione perché sono sempre in perenne movimento e cambiamento di stato.

Una nube è un insieme di centinaia di microscopiche gocce per centimetro cubo con un raggio all’incirca di 10 micron. Le dimensioni tipiche sono, infatti, dell’ordine di 10-102 micron, mentre la concentrazione (numero di

gocce per litro d’aria) varia tra 103 e 107 in funzione delle dimensioni. Con

queste dimensioni e concentrazioni il conglomerato è otticamente opaco alle lunghezze d’onda visibili per effetto della diffusione della luce e viene così, per contrasto, riconosciuto come nube.

Le precipitazioni hanno luogo quando la nube diventa instabile, quando, cioè, alcune gocce iniziano ad accrescersi a scapito delle altre.

In atmosfera, e principalmente nella troposfera, l’aria ha un contenuto di vapore nella percentuale massima del 4% in volume, con importanti variazioni sia nello spazio che nel tempo. Sebbene quindi la sua concentrazione sia piuttosto modesta, il suo ruolo è fondamentale in numerosi processi che avvengono in atmosfera.

La sua importanza è legata al fatto che è l’unico tra i gas atmosferici a subire cambiamenti di fase nell’intervallo di pressioni e temperature che si incontrano in atmosfera.

Inoltre, i calori latenti per i suoi cambiamenti di fase hanno valori molto elevati, determinando importanti scambi di calore con l’aria e, di conseguenza, sensibili variazioni di temperatura.

2.4 La formazione delle nubi

La formazione delle nubi è sempre legata a un processo di condensazione o di sublimazione del vapore acqueo presente nell’atmosfera, che dà origine alle goccioline o ai cristalli di ghiaccio.

Da un punto di vista termodinamico, perché si abbia condensazione o sublimazione del vapore devono innanzitutto essere state raggiunte le condizioni di saturazione. Se in una data massa d’aria in condizioni di saturazione, l’umidità aumenta ulteriormente, quella in eccesso condensa

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sotto forma di goccioline. Affinché il processo possa continuare con formazione di quantità sufficienti di gocce o cristalli per la formazioni della neve, e in modo che queste rimangano stabili (senza evaporare), le condizioni di saturazione devono essere mantenute abbastanza a lungo.

La saturazione di una massa d’aria, e quindi la condensazione del vapore, può essere raggiunta o mediante il raffreddamento dell’aria umida o attraverso l’umidificazione della massa d’aria.

La maggior parte delle nubi sono causate da processi di raffreddamento. Al diminuire della temperatura l’aria si avvicina alla saturazione essendo minore la quantità di vapore che vi può essere contenuta.

Da un punto di vista termodinamico il raffreddamento di una massa d’aria può essere ottenuto mediante i seguenti processi:

raffreddamento isobarico;

raffreddamento adiabatico o espansione adiabatica.

Nel raffreddamento isobarico la massa d’aria rimane alla stessa pressione e viene raffreddata con processi diabatici, ovvero tramite perdita di calore verso il sistema esterno (suolo o masse d’aria adiacenti). La temperatura, nel diminuire, può arrivare ad eguagliare la temperatura di rugiada, determinando così le condizioni di saturazione:

T  Td => U  100%

Nel caso del raffreddamento adiabatico si suppone invece che non vi sia scambio di calore fra la massa d’aria e l’ambiente circostante.

Affinché la temperatura della particella d’aria possa diminuire, senza che vi sia apprezzabile scambio di calore con l’aria circostante, deve o diminuire la pressione oppure aumentare il volume.

Di fatto il raffreddamento adiabatico è prodotto dal sollevamento della massa d’aria: incontrando pressioni via via minori (la pressione atmosferica

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diminuisce con la quota), essa subirà un processo di espansione adiabatica con conseguente raffreddamento. Anche sollevamenti che durano ore possono essere considerati adiabatici poiché l’aria è un cattivo conduttore di calore. La saturazione interviene nel momento in cui la temperatura scende fino a eguagliare la temperatura di rugiada.

L’apporto di umidità dall’ambiente esterno, in condizioni isotermiche è il secondo processo che può portare alla saturazione.

Supponendo costante la temperatura, l’apporto di umidità fa aumentare il valore di q, che può cosi raggiungere il suo valore massimo. Quando ciò avviene la massa d’aria umida raggiunge il suo punto di saturazione.

L’aumento di umidità è un processo di scambio del vapore che può avvenire o tra una superficie umida (ad esempio marina) e la massa d’aria sovrastante o per rimescolamento di due masse d’aria con caratteristiche termodinamiche differenti.

Nel primo caso, sono le leggi di trasporto turbolento nello stato limite a governare lo scambio di vapore dalla superficie verso la massa d’aria. La velocità di tele scambio è funzione sia del grado di umidità della massa d’aria che dell’intensità del vento.

Nel caso del rimescolamento sono le condizioni termodinamiche delle due masse d’aria che vengono a contatto a determinare il grado di umidità e il possibile stato di saturazione della massa d’aria risultante.

2.4.1 Cause meteorologiche della formazione delle nubi

Diverse possono essere le condizioni meteorologiche che nella troposfera danno luogo alle trasformazioni termodinamiche appena descritte.

Il raffreddamento isobarico è un fenomeno che avviene di frequente e che porta sia alla formazione di nubi che di nebbie.

Nel caso della nebbia è la superficie terrestre (suolo o mare), che si suppone più fredda (per irraggiamento o perché gelata nel primo caso, per la maggior inerzia termica rispetto all’aria nel secondo), a sottrarre calore alla massa

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d’aria sovrastante. E’ cosi che, in presenza di aria stagnante, cielo sereno e calma di vento, si formano foschie e nebbie notturne. Se la saturazione viene raggiunta soltanto nei primi 20-50 cm di aria adiacenti al suolo si ha la formazione di rugiada (se T > 0°C) o di brina (T < 0°C).

Nel caso di formazione delle nubi il raffreddamento avviene per irraggiamento dello strato d’aria umido verso strati superiori più secchi e trasparenti alla radiazione termica. Anche in questo caso il processo può durare poche ore e dar luogo a nuvolosità stratiforme.

Il raffreddamento adiabatico è prodotto dal sollevamento della massa d’aria. Ricordiamo che una massa d’aria non satura e in movimento verticale verso l’alto si raffredda di circa 1 grado ogni 100 metri.

Se l’aria è sufficientemente umida il raffreddamento dà luogo, a una certa quota (base della nube), alla condensazione del vapore sotto forma di nubi, le quali seguitano a svilupparsi verso l’alto fin dove persistono il moto verticale e le condizioni di saturazione che l’hanno originata.

I moti verticali ascendenti possono insorgere per quattro distinte cause:

 convezione;

 convergenza e divergenza;  ostacolo orografici;

 fonti.

2.4.1.1 Sollevamento convettivo

Il sollevamento convettivo si ha quando la massa d’aria viene sospinta verso l’alto dalla forza di galleggiamento (forza di Archimede), determinata da condizioni di inabilità termica rispetto all’ambiente circostante.

Dai terreni maggiormente riscaldati dal sole (un campo arato, una vasta area edificata o un suolo roccioso) si staccano, nelle ore centrali della giornata, “bolle” d’aria calda che, per via della loro minore densità rispetto all’ambiente circostante, vengono sospinte verso l’alto. In questo modo si

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originano delle correnti ascendenti (moti convettivi), le cui velocità verticali sono in genere abbastanza intense (2-10 m/s).

Se la massa d’aria è sufficientemente umida. Raggiunto un certo livello (livello di condensazione), essa condenserà dando inizio alla formazione della nube.

A questo punto il processo di condensazione, liberando il calore latente di evaporazione, contribuirà a riscaldare ulteriormente la massa d’aria, che acquisterà così una maggior instabilità: il moto convettivo può, cosi, spingersi fino a notevoli altezze (anche 10-12 km fino ai limiti della troposfera), portando alla formazione di nuvole a forte sviluppo verticale quali cumuli e cumulonembi. A distanza di molte centinaia di metri, l’aria calda riscende al di sopra delle aree più fresche, quali ad esempio il boscoa adiacente al campo arato o il prato che circonda il villaggio.

2.4.1.2 Sollevamento ciclonico

Nei grandi centri barici (cicloni, anticicloni, promontori, saccature) l’aria è costantemente animata da lenti movimenti verticali (dell’ordine di pochi centimetri al secondo) i quali sono ascendenti sulle aree di bassa pressione e discendenti su quelle di alta.

La causa di innesco di un ciclone è la parziale fuoriuscita orizzontale di aria (divergenza) in corrispondenza dei rami ascendenti (sud-occidentali) del getto polare. La divergenza nell’atmosfera genera un calo di pressione al suolo e un risucchio di aria verso l’alto per colmare il vuoto creatosi. La diminuzione di pressione al suolo richiama sul luogo aria dalle zone adiacenti: la convergenza dell’aria sul luogo di diminuzione della pressione causa infine i moti verticali ascendenti.

Queste correnti verticali producono un raffreddamento sulle aree di bassa pressione e un riscaldamento su quelle di alta pressione (fenomeno della subsidenza).

Il raffreddamento associato alle depressioni raramente supera 1-2°C in 12 ore, però è quasi sempre accompagnato da condensazione del vapore acqueo.

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2.4.1.3 Sollevamento orografico o forzato

Il sollevamento forzato si ha quando una massa d’aria in movimento orizzontale è costretta a sollevarsi di fronte a un ostacolo orografico (ascendenza orografica forzata).

Le velocità di sollevamento sono dell’ordine di 0,5-1 m/s, con una diminuzione di temperatura nell’unità di tempo superiore a quella rilevata nei grandi centri barici.

Il raffreddamento in genere causa la condensazione del vapore acqueo con estese formazioni nuvolose e precipitazioni sul lato sopravento.

Se in partenza l’aria è non satura il suo iniziale moto di ascesa avviene lungo un’adiabatica secca, raffreddandosi di 1°C ogni 100 metri, fino al livello in cui tale raffreddamento non produce la condensazione: il calore liberato dalla condensazione produce attenua il raffreddamento dell’aria in ascesa. Il sollevamento prosegue ora secondo l’adiabatica satura con un gradiente termico che dipende dai valori iniziali di temperatura, umidità specifica e velocità ascensionale. Un valore realistico per tale gradiente termico è di 0,6°C ogni 100 metri. Il movimento ascendente dell’aria sul lato sopravento di una catena montuosa (ad esempio le Alpi), con formazione di nubi e precipitazioni, viene denominato Staü. In tale fase le abbondanti precipitazioni essiccano la massa d’aria in ascesa. Quando poi questa travalica sul versante sottovento, nel loro moto discendente, subisce un riscaldamento per compressione adiabatica di 1°C ogni 100 metri.

Tale guadagno di calore, non dovendo essere utilizzato per far rievaporare le nubi formatesi nella fase di ascesa (le masse d’aria sono ormai secche), viene assorbito interamente dalla massa d’aria, che pertanto giunge al suolo più calda e secca (venti fo Föhn) di quanto non fosse in origine.

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2.4.1.4 Sollevamento frontale

Si parla di sollevamento frontale quando la componente verticale del moto ha origine dallo scontro di masse d’aria di diversa provenienza e quindi con caratteristiche termodinamiche differenti.

Una massa d’aria calda in movimento verso una zona occupata da aria più fredda è costretta a scivolare sopra quest’ultima. Il fronte caldo è la linea ideale che delimita al suolo l’invasione di aria calda verso aree prima occupate da aria fredda.

Viceversa aria fredda in movimento verso regioni occupate da aria calda si incunea sotto quest’ultima, sollevandola con violenza. Il fronte freddo è la linea che delimita al suolo l’irruzione di aria fredda verso aree prima occupate da aria più calda.

2.4.2 Formazione delle gocce e dei cristalli di ghiaccio nelle nubi

Il Raggiungimento delle condizioni di saturazione, attraverso i processi termodinamici determinati dalle condizioni meteorologiche sopra descritte, non è però sufficiente per la formazione delle goccioline e quindi delle nubi. Ogni giorno dalla superficie terrestre evaporano nell’atmosfera 1000 miliardi circa di tonnellate d’acqua.

Il vapore liberato da oceani, mari, laghi, fiumi e vegetazione viene trasportato verso l’alto dalle correnti aeree ascendenti. Nell’ascesa l’aria si raffredda, per espansione adiabatica, fino a raggiungere, prima o poi, la saturazione. A questo punto sarebbe naturale attendersi che, qualora l’ascesa prosegua, l’ulteriore raffreddamento determini l’unione delle molecole di vapore eccedente generando in tal modo le goccioline della nube (droplet). In realtà il processo non è così semplice e spontaneo, perché la neonata goccia tende a disgregarsi per evaporazione tanto più rapidamente quanto più è piccola. In particolare, in condizioni di saturazione, due molecole di vapore potrebbero restare unite soltanto per un cento milionesimo di secondo; per la formazione di una goccia di 3 molecole, la terza dovrebbe incontrare le altre

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in tale brevissimo lasso di tempo e il terzetto risulterebbe poi 100 volte più durevole, e così via.

Nelle nubi ogni goccia contiene in media 500 miliardi circa di molecole d’acqua.

Come è stato possibile metterle tutte insieme? Si potrebbe supporre che là dove si è generata la gocciolina vi siano stati, in tempi brevissimi, miliardi di urti molecolari casuali. Ma si può dimostrare che un simile evento sarebbe possibile soltanto se il numero di molecole di vapore fosse di gran lunga superiore a quello che si riscontra abitualmente in natura in condizioni di saturazione. In particolare, in 1 cm3 di aria, si formerebbe una goccia ogni

1000 anni se la concentrazione di vapore fosse il triplo di quella di saturazione, una goccia al secondo per saturazioni 4 volte superiori e 1000 gocce per concentrazioni quintuple.

Bisogna inoltre ricordare che l’equazione di Clausius-Clapeyron, che definisce le condizioni di saturazione in funzione della temperatura, vale per il vapore contenuto in una massa d’aria a contatto con una superficie piana di acqua pura. Se invece il vapore saturo è in equilibrio con le goccioline di una nube, la pressione di vapore saturo E, a parità di temperatura, deve essere maggiore rispetto alla pressione di vapor saturo in equilibrio con la superficie piana liquida.

Infatti la forza di coesione che tiene insieme le molecole in una goccia(la tensione superficiale) è minore di quella su una superficie piana liquida, cosicché le molecole di vapore riescono a fuggire più facilmente da una goccia sferica che da una superficie piana. Pertanto, in condizioni di saturazione, il vapore nell’ambiente, per mettersi in equilibrio con le gocce sferiche di una nube, deve esercitare una pressione E maggiore di quella in presenza di una superficie piana, ovvero deve essere presente in concentrazioni molto maggiori.

Teoricamente, si può arrivare a valori elevati di sovra saturazione (U = 200 – 500%), senza che si abbia la condensazione del vapore.

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15

In realtà, in natura il vapore acqueo non raggiunge mai sovra saturazioni così elevate, e allora occorre supporre che le gocce di nube si formino con qualche altro processo.

La sovra saturazione è una condizione di instabilità: fattori esterni possono rompere facilmente l’equilibrio e determinare la formazione di gocce.

La presenza in atmosfera di quantità sempre largamente sufficienti di particelle con caratteristiche igroscopiche (nuclei Igroscopici) è il motivo per cui non si osservano mai valori elevati di sovra saturazione e la condensazione avviene in condizioni vicine al punto di saturazione.

Gran parte delle particelle di pulviscolo atmosferico, con dimensioni comprese tra 0,1 e 4 micron, funge da nucleo di condensazione, ovvero agevola il “coagulo” delle molecole di vapore acqueo in microscopiche goccioline.

In assenza di nuclei igroscopici la condensazione avviene soltanto se si raffredda la massa d’aria satura al di sotto do -40°C oppure in presenza di sovra saturazioni dell’ordine dell’800%.

2.4.3 Tipi di nubi

Le nubi presentano una grande varietà di forme e dimensioni. La loro classificazione è fatta in base a:

 intervallo di quote generalmente occupate nel loro sviluppo verticale;  rapporto caratteristico tra dimensioni orizzontali e estensione

verticale.

Per convenzione internazionale è stato stabilito di suddividere verticalmente la parte dell’atmosfera, in cui le nubi si presentano abitualmente, nelle seguenti tre regioni, con riferimento alle zone temperate delle medie latitudini:

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16  regione media, cha va da 2 a 7 km;

 regione inferiore, cha va dagli strati prossimi al suolo a 2 km.

Le nubi vengono suddivise in nubi alte, nubi medie e nubi basse a seconda che occupino quote dell’alta , della media o della bassa troposfera.

Di norma alle medie latitudini le nubi alte sono costituite solo da aghi di ghiaccio e quelle basse da goccioline liquide. Le nubi medie possono presentare, a seconda della quota e della latitudine, l’uno o l’altro aspetto oppure una coesistenza delle due fasi. In genere, le nubi formate da goccioline d’acqua hanno contorni non ben delimitati e , se abbastanza spesse, presentano ombre proprie nella parte inferiore, le nubi costituite da cristalli di ghiaccio hanno invece una struttura sfilacciata e contorni non ben definiti. Con le prime si formano aureole o corone lucenti intorno al sole o alla luna, con le seconde, per effetto della rifrazione e della riflessione dei raggi solari o lunari, si formano gli aloni.

In relazione al rapporto tra dimensioni orizzontali e verticali, le nubi vengono distinte in:

Nubi cumuliformi: sono caratterizzate da dimensioni orizzontali paragonabili al loro sviluppo verticale. In genere si presentano come formazioni isolate associate a moti convettivi . Quando questi moti sono particolarmente intensi l’estensione verticale della nube può superare quella orizzontale: è il caso delle nubi temporalesche (cumulonembi) che possono estendersi dagli stati prossimi al suolo fino a notevoli altezze, spesso oltre la troposfera. In generale le nubi cumuliformi si formano per una rapida ascesa di aria umida determinata dal riscaldamento degli strati d’aria prossimi al suolo (convezione termica), dal sollevamento forzato da un a catena montuosa o quando aria più calda viene violentemente sollevata da aria più fredda in veloce movimento orizzontale (fronte freddo. Le nubi cumuliformi possono essere late, medie o basse;

(25)

17

Nubi stratiformi: le dimensioni orizzontali sono nettamente prevalenti rispetto allo spessore verticale. Il loro aspetto è abbastanza uniforme come conseguenza della stratificazione termica dell’aria in cui si formano e dell’assenza di moti convettivi. Le nubi stratiformi, molto simili agli estesi banchi di nebbia che si osservano al suolo nelle fredde giornate autunnali e invernali, si formano per raffreddamento isobarico di uno strato d’aria al di sotto del punto di saturazione, per trasporto orizzontale (avvezione) di aria più calda al di sopra di uno strato d’aria più fredda o per una lenta risalita di aria dal suolo al di sopra di una massa d’aria più fredda (scorrimento ascendente caratteristico di un fronte caldo). Le nubi stratiformi possono essere alte, medie o basse;

Nubi stratocumuliformi : presentano uno sviluppo orizzontale predominante rispetto a quello verticale, ma manifestano una irregolarità di spessore che richiama l’aspetto delle nubi cumuliformi, evidenziando una debole convezione in un’atmosfera essenzialmente stabile. Possono essere medie o basse.

In generale delle nubi stratiformi si hanno precipitazione di debole o moderata intensità, diffuse e spesso persistenti, mentre a quelle cumuliformi sono associate precipitazioni intense, a volte violente (grandine), localizzate nello spazio e di breve durata.

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18

Tenendo anche conto della loro morfologia, le nubi sono ulteriormente suddivise in 10 generi, descritti in figura 2.2:

TIPO NOME SIMBOLO CARATTERISTICHE

Alte

cirri CI

a carattere stratiforme di aspetto sottile e filiforme

cirrocumuli CC

a carattere cumuliforme di piccole dimensioni apparenti e con massa tondeggiante

cirrostrati

CS

a carattere stratiforme, sottili, ondulati, generalmente traslucidi, separati o in piccoli gruppi

medie altocumuli AC

a carattere cumuliforme di piccole medie apparente

altostrati AS a carattere stratiforme, traslucidi od opachi

basse

strtocumuli SC a carattere stratiforme irregolare

strati ST

a carattere stratiforme e continuo molto regolare

cumuli CU a carattere cumuliforme, convessi o conici

nembostrati NS

a carattere stratiforme ma di considerevole spessore

cumulonembi CB

cumuli a forte sviluppo verticale, associati a fenomeni temporaleschi

Figura 2.2 Tipologia delle nubi

2.5 Meccanismo di formazione delle precipitazioni

Un altro fenomeno legato a doppio filo al fenomeno dell’umidità è quello della genesi delle precipitazioni, di qualsiasi natura le si intenda.

Alla formazione della precipitazione concorrono vari fenomeni i cui meccanismi non sono ancora stati interamente chiariti. La teoria attualmente ritenuta valida è quella proposta nel 1933 dal meteorologo svedese Tor

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19

Bergeron. Le precipitazioni possono avvenire solo quando la forza peso delle gocce sarà maggiore della resistenza offerta dal moto ascendente che ha portato alla formazione della nube stessa e che tende a mantenere le gocce in sospensione.

Sono necessarie centinaia di milioni di goccioline presenti nelle nubi, che hanno diametri dell’ordine dei 10 –

che ha invece dimensioni molto maggiori, con un diametro variabile tra i 500

essenzialmente tre: accrescimento per condensazione, accrescimento per coalescenza e accrescimento per cristalli di ghiaccio detto processo di Bergeron – Findeisen.

2.5.1 Accrescimento per condensazione

Il primo meccanismo ipotizzato fu l’accrescimento per condensazione. L’ascensione delle masse d’aria umida determina la condensazione del vapore acqueo in agglomerati d’acqua detti gocce. La formazione di una goccia è quindi un processo non continuo che dipende dalla temperatura e della densità dell’aria e richiede uno stadio di supersaturazione. Per questa caratteristica il processo è detto di nucleazione ed è favorito dalla presenza di particelle solide nell’atmosfera. In ogni caso, anche in assenza di corpi estranei, una volta oltrepassati determinati valori di densità e temperatura si formano delle aggregazioni casuali di molecole d’acqua. Superata la soglia dello stato di equilibrio tra accoppiamenti e scissioni alcune tra queste aggregazioni riescono a raggiungere una dimensione che consente di formare un nucleo di accestimento spontaneo. Questa serie di processi richiede uno scambio di energia importante governato dal principio di minima energia libera.

Il processo di formazione di nuclei allo stato solido con formazione di granuli ghiacciati avviene invece per congelamento delle gocce liquide o, in caso di temperature più basse, per sublimazione del vapore acqueo in granuli di ghiaccio.

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20

La crescita dei nuclei di aggregazione progressiva e le dimensioni finali dipendono dalle condizioni ambientali in cui si trovano. La supersaturazione in atmosfera non è molto alta e quindi non consente una crescita troppo elevata delle gocce e dei cristalli di ghiaccio.

Tuttavia è stato dimostrato che questo fenomeno non può giustificare completamente l’ingrandirsi delle gocce. Questo perché la condensazione avviene in presenza di supersaturazione che rende attivi oltre ai nuclei fortemente igroscopici e di grandi dimensioni, anche quelli piccoli. Quindi ne consegue che il vapore acqueo non va ad ingrossare le gocce già formate ma si distribuisce su un numero maggiore di nuclei.

2.5.2 Accrescimento per coalescenza

Questo meccanismo si verifica nelle nubi con temperatura superiore a 0°C e dà luogo alle precipitazioni delle fasce intertropicali ed equatoriale. In queste nubi sono presenti gocce molto grosse originatesi su nuclei fortemente igroscopici – come quelli costituiti da cloruro di sodio – mescolate a numerose gocce più piccole formatesi su nuclei di condensazione di altra specie. Le gocce più grandi, spinte verso l’alto dalle correnti ascendenti, collidono con quelle più piccole e le inglobano, aumentando ulteriormente le loro dimensioni.

Fino a che le correnti ascensionali riescono a mantenere le gocce in sospensione, queste ultime continueranno ad accrescersi per coalescenza. Raggiunta la sommità della nube, dove le correnti sono più deboli e divergono lateralmente, le gocce vengono trascinate verso il basso dalla forza di gravità. Inizialmente le correnti ascendenti riescono ad arrestare la caduta delle gocce e a spingerle nuovamente verso l’alto. Si creano così continui saliscendi durante i quali le dimensioni ed il peso delle gocce continuano ad aumentare.

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21

Figura 2.3 Coalescenza di una goccia d’acqua

Durante la fase di caduta le gocce più grandi collidono con solo una parte delle goccioline incontrate sul loro cammino perché alcune di esse vengono allontanate dal flusso d’aria che si genera attorno alla goccia più grande.

Figura 2.4 Durante la caduta le gocce più grandi collidono con una piccola parte delle gocce più piccole incontrate sul loro cammino perché alcune di queste ultime vengono deviate dal flusso d’aria presente attorno alla goccia più grande.

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22

In realtà, la semplice collisione non garantisce il verificarsi del fenomeno di coalescenza.

Sono infatti possibili quattro modalità di interazioni tra gocce che collidono:

 Urto elastico;  Unione;

 Unione temporanea e successiva separazione, in modo che le gocce conservino le proprie caratteristiche;

 Unione temporanea e successiva suddivisione in più gocce di minori dimensioni.

Figura 2.5 Possibili modalità di collisione tra le gocce.

Il verificarsi di una determinata modalità di interazione dipende dalle dimensioni delle gocce, dalle loro traiettorie e dalle forze elettriche che le caratterizzano e che le circondano. Inoltre, ogni interazione può essere descritta attraverso due parametri:

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Efficienza di collisione, probabilità che una goccia grande possa collidere con una più piccola incontrata sul proprio cammino;

Efficienza di coalescenza, frazione di gocce che subisce il fenomeno della coalescenza tra quelle che collidono.

Il prodotto matematico di questi due parametri – che entrambi dipendono sensibilmente dalle dimensioni della goccia urtante – determina il tasso di crescita della goccia e viene detto efficienza di collezione.

Figura 2.6 Accrescimento di una goccia per coalescenza, collisione e condensazione.

Esperimenti in laboratorio indicano che l’efficienza di coalescenza si avvicina all’intero se le goccioline sono cariche elettricamente o se si è in presenza di un campo elettrico.

Queste condizioni si verificano quasi sempre nelle nubi, in particolar modo in quelle a sviluppo verticale, quindi spesso l’efficienza di collezione coincide con quella di collisione.

È quindi necessario determinare la percentuale di collisione all’interno della popolazione delle gocce per poter descrivere il meccanismo di formazione della precipitazione.

(32)

24

Date due gocce di raggi fissati R ed r, esiste un valore critico del parametro di impatto, definito come la distanza tra i centri delle due gocce, entro il quale la collisione avviene quasi sicuramente e fuori dal quale la goccia più piccola viene deflessa dal suo cammino senza che avvenga l’urto. Sperimentalmente è stato osservato che la massima efficienza di collisione – e quindi di collezione – si ha quando il rapporto tra i raggi è di circa 0.6.

È stato dimostrato che il fenomeno di crescita per coalescenza è favorevolmente influenzato dalla presenza di moti turbolenti, che permettono alle gocce di collidere e fondersi più rapidamente di quanto non avvenga all’interno di un’atmosfera in quiete. I vortici d’aria fanno si che le gocce si concentrino in gruppi più densi, aumentando così la frequenza delle collisioni.

Inoltre le gocce più grandi subiscono un ulteriore accrescimento a spese delle gocce più piccole, a causa della differenza di tensione di vapore. Infatti le gocce a diametro maggiore perdono meno molecole per evaporazione di quelle a raggio minore.

Si può infine notare che lo spettro di distribuzione delle dimensioni delle gocce risulta molto più ampio nel caso di crescita per coalescenza rispetto a quello di crescita per condensazione.

2.5.3 Accrescimento dei cristalli di ghiaccio: processo di Bergeron – Findeisen

Questo meccanismo si verifica nelle nubi fredde, dove la temperatura è inferiore a 0°C, o in nubi miste, dove sono presenti sia goccioline sopraffuse che particelle di ghiaccio.

Quando la temperatura della nuvola è sufficientemente bassa il vapore contenuto nell’aria circostante diventa saturo rispetto all’acqua e le goccioline non mostrano alcuna tendenza né ad accrescere né ad evaporare. Ma la presenza degli aghetti di ghiaccio destabilizza questa situazione di equilibrio. Questo perché la tensione di vapore in corrispondenza di saturazione è minore sul ghiaccio rispetto all’acqua e quindi le molecole

(33)

25

d’acqua, a parità di temperatura, abbattono più facilmente una superficie piana liquida che una ghiacciata.

Definendo il rapporto di saturazione come rapporto tra la tensione di vapore e e la tensione di vapore saturo E, il rapporto di saturazione Si rispetto al

ghiaccio risulta:

Si = e/Ei

da cui:

Si = e/E * E/Ei = S*E/Ei

con S rapporto di saturazione rispetto all’acqua. Poiché:

E>Ei

Si ha che:

Si>S

Il vapore in atmosfera può trovarsi in condizioni non sature rispetto all’acqua – goccioline – ma già in condizioni di sovrasaturazione rispetto al ghiaccio – cristalli di ghiaccio. La coesistenza di queste due condizioni favorisce un continuo passaggio delle molecole di vapore che dalle goccioline vanno a depositarsi sui cristalli di ghiaccio. Questi ultimi si accrescono allora progressivamente, fino a raggiungere anche i 100 μm. A causa del loro peso, cadono con notevole velocità urtando all’interno della nube le gocce ed i cristalli che hanno dimensioni e velocità di caduta minori; negli urti numerosi cristalli di ghiaccio e gocce aderiscono al cristallo più grande, congelandosi al suo contatto. Avviene quindi nuovamente un fenomeno di coalescenza, che porta alla formazione di grossi cristalli dalla cui unione hanno poi origine i

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26

fiocchi di neve. Questi cristalli arrivano al suolo come tali se la temperatura degli strati più bassi dell’atmosfera rimane sotto zero, mentre si trasformano in grosse gocce d’acqua se la temperatura è superiore.

Figura 2.7a - Accrescimento di un cristallo di ghiaccio all'interno di una nube attraverso il processo di Bergeron – Findeisen. Viene inoltre indicata la tipologia di precipitazione che raggiunge il suolo.

oppure

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27

La forma dei cristalli di ghiaccio è molto variabile. Le modalità di accrescimento del cristallo, e dunque la sua forma finale, dipendono essenzialmente dalle condizioni di temperatura ed umidità e dal grado di sovrasaturazione delle masse d’aria in cui avviene la crescita e non dalla sua forma iniziale. Infatti, quest’ultima è sempre riconducibile ad un mattoncino esagonale.

Figura 2.8 Morfologia dei cristalli in funzione delle condizioni ambientali: temperatura e sovrasaturazione rispetto al ghiaccio.

2.5.4 Tipologie di precipitazione

La temperatura alla quale si verifica la condensazione del vapore acqueo nelle masse d’aria determina la tipologia di precipitazione: pioggia, neve, grandine, nebbia, rugiada e brina.

(36)

28

Per la formazione di pioggia e neve è necessaria la presenza di granelli di polvere sospesi nell’aria che permettano l’agglomerazione delle molecole d’acqua. Quando la loro condensazione avviene ad una temperatura superiore agli 0°C e il diametro della goccia supera gli 0.5 mm si ha la pioggia. Se invece la temperatura rimane al di sotto degli 0°C, le molecole d’acqua cristallizzano e si trasformano in ghiaccio. Questi cristalli, attraversando strati d’aria a temperature superiori agli 0°C, fondono e si aggregano nuovamente formando fiocchi di neve che possono raggiungere anche dimensioni notevoli.

Un altro tipo di precipitazione è la grandine. I chicchi di grandine hanno forma sferica e dimensioni estremamente variabili tra i 5 ed i 125 mm. Sono costituiti da un nucleo centrale formato da un granello di polvere ed avvolto alternativamente da uno strato di ghiaccio trasparente e da uno strato di ghiaccio opaco. La grandine si forma quando le gocce di pioggia sono spinte da forti correnti verso l’alto, dove ghiacciano, e poi verso il basso, dove fondono in parte. Ad ogni saliscendi si forma un nuovo strato di ghiaccio ed il chicco aumenta di dimensione.

Quando invece la condensazione delle molecole d’acqua presenti nelle masse d’aria si verifica vicino al suolo si ha la nebbia.

Nella stagione calda, durante la notte, quando il suolo si raffredda maggiormente rispetto all’aria, la condensazione delle molecole d’acqua forma la rugiada.

Infine, nelle notti invernali, quando la temperatura si abbassa notevolmente, le molecole d’acqua sublimano direttamente allo stato solido formando la brina, costituita da piccoli cristalli di ghiaccio.

(37)

29

2.6 Termodinamica atmosferica

2.6.1 Termodinamica dell’aria secca

Risulta ora necessario proporre un’introduzione a delle leggi termodinamiche che governano il fenomeno umidità..

La termodinamica è quella parte della fisica che si occupa degli scambi di energia meccanica (lavoro) e termica (calore) tra i corpi e l’ambiente che li circonda.

Le principali leggi della termodinamica sono basilari per la comprensione dei fenomeni dell’atmosfera, da quelli più piccoli responsabili della formazione di una gocciolina di nube e della dispersione di un pennacchio di fumo, a quelli a grande scala collegati alla circolazione generale atmosferica.

Uno degli scenari più semplici di analisi di questi fenomeni è sicuramente quello di masse d’aria lontane dalla saturazione (aria secca).

2.6.1.1 I sistemi termodinamici e l’equazione di stato dei gas perfetti

Lo stato termodinamico di un sistema gassoso come l’atmosfera è determinato dai valori delle grandezze di pressione, volume e temperatura. Si distinguono sistemi termodinamici :

isolati (il sistema non scambia né materia né energia con l’ambiente esterno);

chiusi (il sistema scambia materia ma non energia con l’ambiente esterno);

aperti (il sistema scambia sia materia che energia con l’ambiente esterno).

Se in un sistema non avviene alcun cambiamento (cioè se pressione, temperatura, volume, composizione chimica ecc. rimangono costanti), il sistema si dice in equilibrio termodinamico. Un sistema termodinamico

(38)

30

subisce una trasformazione termodinamica quando scambia calore e/o lavoro (in una parola, energia) con l’ambiente che lo circonda.

Si distinguono trasformazioni:

isoterme (a temperatura costante); isobare (a pressione costante); isocore (a volume costante);

adiabatiche (senza scambi di calore con l’ambiente).

Nelle trasformazioni è necessario fissare per convenzione un segno (+/-) da dare alle due grandezze calore e lavoro, per distinguere se lo scambio avviene tra il sistema e l’ambiente o viceversa.

Il calore si assume positivo se acquistato dal sistema e negativo se ceduto dal sistema all’ambiente, all’opposto il lavoro si assume negativo se subito dal sistema e positivo se fatto dal sistema sull’ambiente.

Si consideri ora come sistema termodinamico un gas il cui stato sia determinato dai valori di pressione P, volume V e temperatura T.

Si definisce perfetto (o ideale) un gas che soddisfa le seguenti condizioni:

 le particelle che costituiscono il gas sono puntiformi;  tra le particelle non esistono interazioni a distanza;

 gli urti tra le particelle sono elastici (cioè avvengono senza perdita di energia)

 non si manifesta alcun tipo di fenomeno elettrico

Nessun gas reale, e l’aria non fa certo eccezione, possiede questi requisiti: si tratta di un astrazione che però ha il vantaggio di rendere più semplice lo studio dei sistemi termodinamici gassosi.

Un gas ideale infatti ubbidisce a leggi fisiche, la cui espressione matematica risulta di facile comprensione ed utilizzo:

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 legge di Boyle (trasformazione a temperatura costante) P*V= costante  legge di Charles (trasformazione a pressione costante) VT = α*V0*T

 legge di Gay-Lussac (trasformazione a volume costante) PT = α*P0*T

dove:

VT = volume del gas alla temperatura T;

V0 = volume del gas alla temperatuta di 0°C;

PT = pressione del gas alla temperatura T;

P0 = pressione del gas alla temperatura di 0°C;

α = valore costante pari a 1/(273,15 °C).

Nelle principali leggi della termodinamica l’unità di misura adottata per la temperatura è gradi Kelvin (K) e non Celsius (°C).

Il passaggio da una scala all’altra è molto semplice e governato da questa semplice relazione K=°C+273,15

Le tre leggi viste sopra sono tra loro collegate e con alcuni semplici passaggi matematici sono riassumibili in un’unica relazione detta equazione di stato dei gas perfetti :

P*V =n*R*T

dove:

n = numero di moli del gas (una mole è la quantità di gas in cui peso in grammi è numericamente pari al peso atomico o molecolare del gas);

R = costante di stato dei gas perfetti pari a 8,314 J/(mole*K).

Questa relazione, per quanto relativa ai gas ideali, ha un importanza fondamentale nello studio dei sistemi termodinamici gassosi, anche perché in molti casi il comportamento di un gas reale risulta comunque approssimabile a quello di un gas perfetto.

(40)

32

2.6.1.2 L’equazione di stato per l’aria secca

L’aria può essere considerata con buona approssimazione come un gas perfetto di peso molecolare M=29.

Pertanto anche per l’aria secca l’equazione di stato applicata a un numero n di moli è espressa da:

P*V=n*R*T

con R = 8,314 J/(mole*K) = 8314 J/(Kmole*K).

Ma, essendo n = m/M (m = massa dell’aria in chilogrammi), si ha:

P*V = (m/M)*R*T = m*(R/M)*T

La quantità R/M è una costante specifica dell’aria, di solito indicata con Ra (Ra

= 287 J/(Kg.K)).

Quindi l’equazione di stato per l’aria diviene:

P*V = m*Ra*T

o, se si considera una massa d’aria unitaria,

P*V = Ra*T.

Poiché m/V = ρ (densità dell’aria), l’equazione di stato diviene:

P = ρ*Ra*T

che è l’equazione di stato per l’aria secca.

Tale relazione è molto utile per ricavare l’espressione della densità dell’aria:

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33

2.6.1.3 Il primo principio della termodinamica per l’aria secca

Lo studio dei sistemi termodinamici ha portato alla formulazione di una delle più importanti leggi fisiche, nota con il nome di primo principio della termodinamica.

L’energia, in natura, non si crea e non si distrugge ma può solo trasformarsi da una forma a un’altra.

In particolare il lavoro, fatto o subito da un sistema, ed il calore, assorbito o ceduto, si trasformano l’uno nell’altro, o al più contribuiscono al cambiamento dell’energia interna del sistema.

Per energia interna di un gas si intende quella forma di energia che il sistema possiede già di per sé a causa del movimento e della posizione delle singole molecole che lo compongono (in fisica prendono il nome di energia cinetica e potenziale molecolare). Nei gas perfetti l’energia interna dipende esclusivamente dalla temperatura del gas.

Tenendo conto delle convenzioni sui segni di calore e lavoro viste, il primo principio della termodinamica per i gas perfetti, e quindi anche per l’aria secca, si esprime simbolicamente attraverso la relazione:

ΔU = ΔQ – ΔL

dove:

ΔU è l’energia interna del sistema;

ΔQ è il calore scambiato tra sistema e ambiente; ΔL è il lavoro scambiato tra sistema e ambiente.

Conviene ricordare che da un punto di vista matematico, il simbolo Δ (delta) rappresenta una variazione. Così l’espressione ΔU indica la variazione dell’energia interna del sistema e non il suo valore assoluto.

A seconda del tipo di trasformazione termodinamica, il primo principio della termodinamica assume ovviamente espressioni diverse.

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34

Trasformazione isoterma: poiché lo stato energetico di un gas è determinato esclusivamente dalla sua temperatura, se la temperatura è costante lo è anche l’energia del gas e si ha:

ΔU = 0; ΔQ = ΔL

Trasformazione adiabatica:

ΔQ = 0; ΔU + ΔL = 0

Trasformazione isocora:

ΔL = 0; ΔU = ΔQ

2.6.1.4 Il gradiente termico verticale dell’atmosfera

L’andamento della temperatura con la quota prende il nome di gradiente termico verticale dell’atmosfera e assume in meteorologia un’importanza fondamentale.

La stessa stabilità atmosferica e cioè l’attitudine dell’atmosfera nel favorire, impedire o comunque condizionare i movimenti verticali dell’aria, dipende direttamente da tale gradiente.

Nella troposfera la temperatura diminuisce con la quota in media di 6,5°C circa per chilometro (atmosfera in stato subadiabatico o atmosfera subadiabatica). Lo stato subadiabatico è la norma a quote oltre gli 800-1000 metri, mentre in prossimità del suolo raramente il gradiente termico verticale è di 6,5 °C per chilometro perché le prime centinaia di metri di troposfera sono influenzate dagli scambi di calore con il suolo.

Di notte, ad esempio, il raffreddamento del suolo per irraggiamento può creare inversioni termiche dello spessore anche di 200-300 metri.

Le inversioni termiche con base al suolo possono essere immaginate come un caso esasperato di atmosfera subadiabatica e possono essere osservate anche nelle masse d’aria calda provenienti da più basse latitudini, quando sorvolano

(43)

35

a lungo il mare, situazione abbastanza frequente quando sui nostri bacini soffia lo Scirocco.

Viceversa nelle ore diurne il surriscaldamento del suolo si propaga anche alla bassa troposfera, generando, nei primi 200-800 metri, una forte diminuzione della temperatura con la quota, fino a 10°C per chilometro (atmosfera in stato adiabatico) o anche di più (atmosfera in stato superadiabatico). Sul mare i gradienti termici superadiabatici si osservano solo quando una massa d’aria abbastanza fredda sorvola un mare più caldo, una situazione, anche questa, abbastanza frequente sui nostri bacini, quando aria fredda nord-atlantica sospinta da venti di Maestrale o di Libeccio, entra nel Mediterraneo, un mare che a parità di latitudine è circa 4°C più caldo del vicino Atlantico.

2.6.2 Termodinamica dell’aria umida

Dopo aver esaminato le proprietà termodinamiche dell’atmosfera nell’ipotesi,sostanzialmente astratta, di aria secca non contenente vapore acqueo o comunque lontana da eventuali processi di condensazione, verrà ora esaminata la condizione più realistica di aria umida, in grado di dar luogo, sotto determinate condizioni, a processi di condensazione del vapore acqueo in essa contenuto, caratterizzata dalla presenza di fenomeni elettrici.

2.6.2.1 Trasformazioni adiabatiche per l’aria umida

Si è già visto che una particella di aria secca, in movimento verticale, è soggetta a espansione o compressione adiabatica, a seconda che il moto sia diretto verso l’alto o verso il basso, con una conseguente variazione della temperatura della particella nella misura di 10°C per chilometro (gradiente termico adiabatico a d).

Si consideri ora invece il movimento verticale di una particella di aria satura. In questo caso la variazione ΔT di temperatura che avviene al suo interno può essere vista come somma di due distinti contributi:

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36

 una variazione Δa legata all’espansione o alla compressione adiabatica

della massa d’aria in movimento;

 una variazione Δp determinata dalla condensazione del vapore saturo

in eccesso (nel caso in cui la particella sia in moto verso l’alto) o dall’evaporazione delle goccioline d’acqua (nel caso in cui la particella si muova verso il basso).

Ad esempio nel caso di una massa d’aria satura in ascesa la trasformazione adiabatica complessiva, può essere immaginata così composta:

 un primo tratto tra il livello iniziale della pressione (p + Δp) e quello

finale alla pressione p, durante il quale la particella, per espansione, subisce un raffreddamento Δa;

 un secondo tratto, a pressione p, durante il quale la massa d’aria satura condensa l’eccesso di vapore determinato dal raffreddamento Δa. Di conseguenza l’aria viene riscaldata, a pressione costante, di una

quantità Δp legata all’ immissione del calore latente di condensazione.

Il procedimento può essere ripetuto, passo dopo passo, fin quando, nel suo movimento verso l’alto, la massa d’aria non abbia condensato tutto il vapore acqueo presente.

Una volta che la massa d’aria è giunta alla saturazione e sono iniziati i processi di condensazione, si possono verificare due situazioni differenti:

 il vapore condensato rimane all’interno della massa d’aria satura (non si ha precipitazione); se la stessa massa d’aria subisse ora un riscaldamento adiabatico (ad esempio per effetto della compressione in fase di caduta da un pendio), il vapore condensato rievaporerebbe e la massa d’aria si riporterebbe nelle condizioni iniziali (processo reversibile);

 parte del vapore condensato precipita verso terra; in questo caso riscaldando adiabaticamente la stessa massa d’aria, non si riuscirebbe

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37

a tornare esattamente alle stesse condizioni di partenza poiché mancherebbe il contributo dato al riscaldamento dalla rievaporazione dell’acqua precipitata. La trasformazione è cioè irreversibile e prende il nome di pseudo adiabatica.

In entrambi i casi, comunque, la variazione complessiva ΔT di temperatura subita dalla massa d’aria satura per uno spostamento verticale ΔZ è minore che nel caso di aria secca.

Infatti ora i due termini Δa e Δp sono di segno opposto sia nel caso di aria

satura in ascesa sia in quello di aria satura in discesa e pertanto tendono a compensarsi. Tuttavia, siccome il temine Δa prevale in assoluto sul termine

Δp, si deduce che, anche nel caso di aria satura, la massa d’aria si raffredda se

è in ascesa e si riscalda se è in discesa. Ma ora il raffreddamento o il riscaldamento subiti in uno spostamento ΔZ sono ovviamente inferiori al corrispondente caso dell’aria secca.

2.6.2.2 L’equazione di stato per l’aria umida

Nell'aria è sempre presente una piccola quantità di vapore acqueo, indicativamente circa 1% in massa, per cui si può correttamente parlare di aria umida.

L'aria atmosferica “secca” di cui sopra, è, come noto, una miscela di ossigeno ed azoto (O2 ≅ 23% e N2 ≅ 76% in massa).

La presenza di una quantità così ridotta di vapore acqueo nell’aria potrebbe apparire, ad un primo esame, di scarsa importanza tecnica.

Ma in realtà anche piccole differenze nelle “modeste” quantità di vapore presenti nell'aria possono comportare notevoli conseguenze pratiche: ad esempio influenzare la sensazione di benessere termico delle persone o influenzare, e in notevole misura, la conservazione di oggetti e manufatti, etc.

L'aria umida viene considerata nella pratica come una miscela di aria (gas) e di vapore acqueo (vapore surriscaldato), prescindendo dalla sua

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composizione in ossigeno ed azoto. Si dice, quindi, che l'aria umida è una miscela d’aria secca e di vapore acqueo.

Poiché lo stato del vapore può essere considerato “sufficientemente rarefatto” il comportamento di questo e dell’aria secca, e cioè dell’aria umida, può essere descritto con buona approssimazione mediante l’equazione di stato dei gas perfetti. In particolare, indicando con Pt la complessiva

pressione della miscela aria-vapore e con nt il totale del numero di moli

presenti nel volume V, si può scrivere:

Pt*V = nt*R*T

dove nt = na + nv ed essendo na e nv rispettivamente il numero di moli di aria e

di vapore.

L’equazione dei gas perfetti può essere ora scritta anche per ciascun componente nella forma:

Pa = na* R*T/V Pv = nv*R*T/V

dove Pa e Pv assumono il significato di pressioni parziali di questi componenti

della miscela.

Si noti che le pressioni Pa e Pv vengono così a rappresentare la pressione che

ciascun componente (aria e vapore) eserciterebbe qualora occupasse da solo, e alla stessa temperatura T, l'intero volume a disposizione V.

Esplicitando i numeri di moli si ottiene:

na = Pa*V/R*T

nv = Pv*V/R*T

nt = Pt*V/R*T

per cui, sostituendo nella relazione nt = na + nv, si ottiene la relazione tra la

pressione totale della miscela gassosa e le pressioni parziali dei componenti:

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39

Questa relazione prende il nome di Legge di Dalton ed è valida per i soli gas perfetti. Tenendo conto dei bassi valori di Pv nell’aria atmosferica (circa 1300

- 2000 [Pa]) la relazione risulta del tutto corretta.

Si consideri il diagramma (P,V) dell'acqua in figura 2.12: sul diagramma, lo stato del vapore presente nell'aria sia rappresentato dal punto 1. In questo stato (P1, V1) nell'aria sono presenti ρv1 = 1/V1 [kg/m3] di vapore. Se è nota la

pressione totale Pt della miscela e, ad esempio, la pressione atmosferica,

risulta anche determinata la composizione della miscela in moli nv/nt

potendosi scrivere:

Pv/Pt = nv/nt

S’immagini, ora, che la temperatura dell'aria atmosferica diminuisca a parità però della pressione Pt. Durante questo processo la pressione parziale Pv si

mantiene costante, finché la composizione dell'aria umida, definita dal rapporto nv/nt, rimane inalterata.

(48)

40

La trasformazione 1→2 sul diagramma (P, V) è isobara (la temperatura diminuisce fino al valore T2). Nello stato 2, il vapore è ormai saturo. Se la

temperatura diminuisce ulteriormente lo stato del vapore non potrà che spostarsi a destra lungo la curva limite del vapore saturo verso più elevati valori del volume specifico (minori densità). In corrispondenza, la pressione Pv e il numero di moli di vapore presenti nella fase aeriforme nv

diminuiranno e si separerà l’acqua, nell'aria si formerà una minuta dispersione di goccioline (nebbia).

La temperatura T2 è detta temperatura di rugiada dell’aria. L'appannamento

della superficie esterna di un bicchiere contenente una bibita gelata (formazione di minutissime goccioline d’acqua sulla superficie esterna) è dovuta proprio al raggiungimento della temperatura di rugiada dell’aria sulla tale superficie.

Si supponga ora di considerare nuovamente lo stato rappresentato dal punto 1.

È possibile immaginare di raggiungere la saturazione anche muovendosi a temperatura costante e cioè muovendosi sul diagramma verso sinistra, fino a giungere al punto 3 (T3 = T1).

Ciò potrebbe essere realizzato mantenendo costante la temperatura dell'aria in un ambiente e aggiungendo a poco a poco vapore fino a che la Pv,

aumentando progressivamente, non giunge al massimo valore consentito cioè al valore della pressione di saturazione Ps (T1). In altre parole, la

saturazione del vapore può essere raggiunte sia raffreddando l'aria a Pt =

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