LAWSONIA INTRACELLULARIS NEL CINGHIALE SELVATICO
6.3 Risultati e discussione
L’esame macroscopico delle porzioni intestinali non mostrava segni tipici di ileite proliferativa in nessun caso, anche se, talvolta, la parete ileale appariva ispessita, ma senza alterazioni superficiali o essudato macroscopicamente evidente. Nessun soggetto campionato mostrava sintomatologia o stato di nutrizione scadente, inoltre il contenuto rettale e intestinale non è mai apparso diarroico o emorragico. Da tutte le sezioni esaminate, prima in ematossilina–eosina, poi dopo colorazione immunoistochimica, non è stata evidenziata reazione positiva alla presenza di Lawsonia intracellularis, a fronte di controlli positivi reattivi. Questo risultato non ci ha permesso di approfondire molti degli obiettivi prefissati, ma abbiamo comunque potuto avanzare considerazioni sulle scelte adottate per condurre lo studio e sull’esito della prova.
Innanzitutto, queste precise porzioni intestinali e i linfonodi connessi sono stati identificati come organi target in base a quanto riportato in letteratura. Se, infatti, l’ileo negli ultimi 10 cm è la sede più frequentemente campionata (Jensen et al., 2006; Jensen et al., 2010), è importante prelevare una porzione di colon, nel tratto spiroide, poiché nel suino in caso di negatività a livello ileale, il colon potrebbe comunque essere colonizzato da Lawsonia intracellularis. Questa evidenza è riportata nel 2,2% dei casi in uno studio condotto da Jensen et al. (2006). Inoltre, Lawsonia intracellularis è stata riscontrata anche nei linfonodi ileali, all’interno dei macrofagi, tramite PCR (Dezorzova-Tomanová et al., 2006).
In secondo luogo, la prevalenza stimata nella popolazione deriva da una riesamina della bibliografia disponibile. Lo studio considerato è stato principalmente quello di Tomanová et al. (2002), dove la prevalenza nel cinghiale veniva stimata pari a 45,5% in Repubblica Ceca. Tra la bibliografia considerata era presente anche uno studio di prevalenza in cinghiali abbattuti in Svezia, in cui tutti i soggetti campionati sono risultati negativi alla ricerca del battere in campioni fecali (Jacobson et al., 2005). La scelta di considerare la situazione di prevalenza della Repubblica Ceca e non della Svezia è nata dalla considerazione che la dinamica di popolazione del cinghiale italiano, così come la densità dei soggetti, potesse essere maggiormente sovrapponibile alla condizione centro-europea. Nel 2011, quando il campionamento per questo lavoro era già concluso, è stato pubblicato anche uno studio sulla prevalenza di Lawsonia intracellularis nel cinghiale in Germania. Gli autori, in questo caso, hanno ottenuto, tramite PCR su campioni di ileo e ostio ileale, una prevalenza del 20,6% nei soggetti abbattuti (Reiner et al., 2011). Un dato interessante che emerge dal lavoro di Reiner et al. (2011) riguarda l’assenza di lesioni macroscopiche o sintomatologia riferibili a enterite proliferativa anche nei soggetti positivi alla presenza del battere. Questa condizione potrebbe essere determinata dal fatto che la PCR è in grado di individuare il DNA batterico sia che esso sia contenuto all’interno del tessuto intestinale dell’ospite, sia che si trovi libero nel contenuto fecale o sulla superficie dell’epitelio, non discriminando quindi tra presenza e infezione.
Per quanto concerne la metodica diagnostica adottata, ovvero l’IHC, ci hanno indirizzato verso questa preferenza alcune considerazioni: la necessità di adottare una tecnica che rilevasse la presenza del battere in associazione alle lesioni evidenziabili, ma con buona sensibilità e specificità. Sensibilità e specificità non sono elevate nelle colorazioni ematossilina-eosina e Warthin- Starry, ma la prima è stata comunque svolta per ottenere un buon dettaglio delle alterazioni morfologiche cellulari. La PCR su tessuto, nonostante presenti sensibilità più elevata rispetto all’immunoistochimica, consta anche di alcuni difetti, come l’inibizione fecale, osservata anche nello studio svolto in Svezia (Jacobson et al., 2005), la ridotta specificità dovuta alla presenza di falsi positivi (evidenziata da Ladinig et al., 2009) siano essi legati a contaminazioni durante l’allestimento, oppure alla rilevazione campioni positivi per la sola presenza di DNA batterico in assenza d’infezione. Un’ altra metodica diagnostica considerata è l’ibridazione in situ (ISH): anch’essa permette di valutare la presenza del battere su sezione istologica, in associazione o meno a lesioni microscopiche, ma presenta ridotta sensibilità rispetto all’IHC. Secondo Ladinig et al. (2009) questa differenza tra IHC e ISH sarebbe dovuta alla maggior instabilità del target dell’ISH che risulta degradarsi maggiormente a seguito della fagocitosi, per questo motivo tra le due metodiche è consigliato l’uso dell’IHC, che si presenta anche meno laboriosa. Infine, la scelta del mezzo diagnostico è stata convogliata verso l’IHC anche perché, come riportato da (Jacobson et al., 2010), questa tecnica è considerata gold standard per la diagnosi d’infezione se si ha disponibilità di tessuto (post mortem). Altre metodiche, basate sulla sierologia, come l’ELISA o l’immunofluorescenza indiretta, presentano elevati valori di sensibilità, ma hanno come target la presenza di anticorpi contenuti nel siero e comunicano solo l’avvenuto contatto tra ospite e patogeno, ma non la presenza d’infezione (Guedes et al., 2002). Questi fattori hanno spinto la scelta della tecnica diagnostica di rilevazione verso l’immunoistochimica, poiché il fine del presente lavoro era quello di identificare, in soggetti selvatici infetti, la presenza/assenza di lesioni tipiche e comparare le stesse con quelle osservabili nel suino, in modo da comprendere la dinamica del battere all’interno di una popolazione selvatica, sottoposta a fattori ambientali, di densità e di stato immunitario differenti rispetto al consueto suino domestico.
A dispetto dell’accortezza nella selezione del campione e della tecnica diagnostica, in questo studio non è stato possibile ottenere campioni positivi su cui applicare i criteri di valutazione istopatologici. Questo potrebbe essere dovuto alla ridotta prevalenza del battere nella popolazione, differente rispetto a quella attesa dalla disamina della bibliografia e più simile alla condizione rilevata in Svezia da Jacobson et al. (2005). In previsione di ulteriori campionamenti attuati ad approfondire questo lavoro sarebbe opportuno, al fine di ottenere risultati più soddisfacenti, operare previo screening sierologico della popolazione, identificando la sieroprevalenza effettiva di Lawsonia intracellularis nella popolazione campionabile e individuando, con maggior precisione, le classi di età più soggette alla presenza del battere, in modo
da effettuare un campionamento mirato a indicare, con minor margine di errore, la popolazione potenzialmente infetta. Eventualmente sarebbe possibile associare alla diagnosi immunoistochimica la PCR diretta su tessuto, per poter conferire maggiore sensibilità alla procedura diagnostica.