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2.1 SELEZIONE DEI PAZIENT

3. RISULTATI PRELIMINAR

Per testare l’affidabilità del protocollo diagnostico, come già accennato, sono stati studiati: un controllo sano (pz 1), un paziente diabetico (pz 2) ed un paziente con scompenso cardiaco (pz 3).

Per i 3 soggetti sono riproposti, qui di seguito, i risultati relativi al test da sforzo cardiopolmonare e allo studio ecografico.

Interpretazione del CPET

La macchina, connessa ad un software dedicato, consente la visualizzazione in tempo reale (su modello “Wasserman 9”) di 9 grafici, che raffigurano le principali relazioni intercorrenti tra le variabili misurate durante il test, consentendo inoltre la derivazione di ulteriori parametri cardiovascolari, ventilatori e metabolici.

44

Fig. 12. CPET del pz 2 – paziente con DM2

45

I grafici seguenti riportano l’andamento di VO2 e VCO2 nel tempo.

Pz 1

Pz 2

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Il VO2 si esprime nel suo tipico andamento crescente, compatibilmente col graduale

aumento del carico di lavoro durante il test, in tutti e tre i pazienti. Ma è proprio all’analisi quantitativa fornita separatamente dal software alla fine del test, che emergono le differenze fra i tre casi. Il VO2 raggiunto al picco dell’esercizio (VO2 p), come già detto,

può essere valutato o come % del VO2 max (% del predetto) o nel suo valore assoluto

normalizzato in base al peso del paziente (espresso in ml/min/kg).

Il consumo di ossigeno al picco espresso come % del predetto non mostra significativa variabilità nei tre casi, considerandosi peraltro al di sotto dei valori di normalità (>84%). La bassa sensibilità del parametro espresso in questa forma risiede nel fatto che,

trattandosi della percentuale di un valore teorico (basato su sesso, età, altezza e peso) non tiene conto di altre variabili individuali, tra cui l’allenamento fisico, che possono condizionare il dato strumentale. Al contrario, il valore assoluto del VO2 p dimostra una

maggiore capacità di discriminare i tre pazienti, in particolare facendo riferimento ai valori patologici proposti dalla classificazione di Weber (vedi tabella II, pag.21). Infatti, mentre il Pz 1 con un VO2 p = 30,8ml/min/kg dimostra una buona funzione

ventricolare sinistra, il Pz 3, al contrario, con il suo VO2 p = 17,4ml/min/kg si pone a

livello della classe B secondo Weber (che definisce uno stadio di scompenso cardiaco lieve-moderato). Il paziente diabetico (Pz 2) invece, con un VO2 p = 22,5ml/min/kg si

colloca in fascia intermedia, corrispondente ad una situazione di disfunzione lieve del VS, prossima al cut-off di 20ml/min/kg che caratterizza i pazienti scompensati.

30,8 22,5 17,4 72 69 68 PZ 1 PZ 2 PZ 3

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Il VO2, che quando misurato al picco dello sforzo fornisce un dato importante circa la

capacità di esercizio del paziente, viene comunemente calcolato anche in un’altra fase del CPET, ovvero al raggiungimento della AT, indice dello switching verso un

metabolismo di tipo anaerobico (come evidenziabile nei grafici proposti a pag. 44). Anche in questo caso il VO2 alla soglia anaerobica può essere espresso come % della

VO2 picco o come valore assoluto, con considerazioni analoghe a quelle viste

precedentemente.

Mentre i valori di VO2alla AT espressi come percentuale del VO2 di picco rientrano

pienamente nei valori normali (VO2AT%peak >40%), i valori numerici assoluti riflettono

il trend visto precedentemente con valori normali nel paziente sano (VO2AT=24,6ml/min/kg), compatibili con un quadro di disfunzione ventricolare lieve nel

paziente con scompenso cardiaco (VO2AT=14,8ml/min/kg) e valori intermedi

(VO2AT=18ml/min/kg) nel paziente diabetico.

Il fatto che la AT sia raggiunta per valori di VO2 via via più bassi passando dal Pz1 al Pz

2, fino al Pz 3, indica un più precoce inizio dell’attività muscolare anaerobica, testimonianza di una ridotta efficienza cardiocircolatoria, da ridotta funzione sistolica ventricolare sinistra.

Oltre alla AT, un altro indice metabolico fondamentale correlato all’esercizio è il RER. Per quanto il suo valore al picco dello sforzo conservi la sua importanza quale indice della massimalità del test, ciò che assume maggior rilievo nell’ambito di questo studio è il suo

24,6

18

14,8

80 80 85

PZ 1 PZ 2 PZ 3

48

andamento nel tempo, in funzione dell’aumento del carico di lavoro (W), come evidenziato dal tracciato blu, nei grafici che seguono.

La caratteristica particolarmente suggestiva è rappresentata dall’andamento del RER nei primi due minuti di recupero (parte all’estrema destra del grafico), che si identifica in un picco con caratteristiche peculiari nei diversi pazienti: in accordo con quanto descritto in letteratura, mentre nel paziente sano il RER, al termine del carico, forma un picco di

Pz 1

Pz 2

49

grande ampiezza ed in tempi brevi, questo risulta essere invece ritardato e di minore ampiezza nei pazienti con scompenso cardiaco. L’elemento interessante, oltre alla conferma di questi due pattern, rispettivamente nel Pz1 e nel Pz3, è dato dalla presenza di caratteristiche intermedie a carico del RER del paziente diabetico, che forma un picco ampio ma con una cinetica più lenta rispetto al paziente sano e più rapida rispetto al paziente scompensato.

Un altro parametro ricavato dal CPET per il quale assume un maggiore significato l’andamento nel tempo, in relazione all’aumento del carico dell’esercizio, piuttosto che valori puntuali discreti, è il polso d’ossigeno (VO2/FC). Esso fornisce una stima della

gittata sistolica durante l’esercizio, permettendo di definire la variazione dell’entità del contributo da essa fornito all’aumento della gittata sistolica durante il test.

I grafici seguenti illustrano l’andamento del polso d’ossigeno (tracciato in azzurro) in relazione all’aumento del carico.

Pz 1

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Al decorso ascendente con ampiezze maggiori che caratterizza l’andamento del polso d’ossigeno del Pz1, si contrappongono il rapido plateau e la bassa ampiezza del grafico del Pz3, ad indicare il rapido esaurimento del contributo fornito dalla GS alla GC già a bassi carichi, come si verifica nel deficit funzionale (sistolico e/o diastolico) del VS in corso di scompenso cardiaco. Ancora una volta la situazione del Pz2 si pone a metà strada tra gli altri due, ad indicare la presenza di un già avviato processo di deterioramento della funzione ventricolare sinistra, in paziente comunque asintomatico.

Quanto detto può essere confermato considerando i valori del polso d’ossigeno al picco (valori normali >10 ml/battito) nei tre pazienti esaminati.

Il valore del polso d’ossigeno al picco, leggermente al di sotto del cut-off, nel Pz 2 dimostra una iniziale disfunzione del VS, che appare più marcata nel Pz 3 ed assente nel Pz 1. 14,3 9,6 8,4 10 10 0 2 4 6 8 10 12 14 16 . Pz1 Pz2 Pz3 .

pulseO2 p (ml/beat) cut-off

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Infine, si è deciso di analizzare anche il Ve/VCO2 slope, riportato nei grafici sottostanti

per ciascuno dei tre pazienti, quale parametro ventilatorio correlato alla prognosi dei soggetti con disfunzione ventricolare sinistra. Si ricorda che il suddetto slope può ritenersi normale per valori inferiori a 30.

I valori di Ve/VCO2 slope sono nella norma in tutti e tre i pazienti, ed inaspettatamente

gli stessi (24,6) nel paziente sano ed in quello scompensato. Questa situazione ha costituito pertanto un’occasione idonea per validare l’uso del parametro proposto da Guazzi, ovvero la normalizzazione dello slope per il VO2 di picco.

Pz 1

Pz 2

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Comparando gli indici secondo Guazzi è possibile non solo affermare che i tre pazienti possono essere complessivamente definiti a basso rischio di morte cardiovascolare (essendo il Ve/VCO2/VO2p inferiore al cut-off di 2,4) ma anche evidenziare quel trend

atteso che vede un rischio relativo crescente andando dal Pz 1 al Pz 3.

Interpretazione degli esami ecocardiografici

Inserite nell’ambito del protocollo diagnostico che si è scelto di adottare, le tecniche ultrasonografiche (che vanno dall’ecocardiografia tradizionale, al TDI, allo STI) associate al test da sforzo, hanno permesso di ricavare un maggior numero di informazioni che, sulla base dei parametri scelti, convergono verso una completa e dettagliata caratterizzazione della funzione sistolica ventricolare sinistra, dal punto di vista regionale e globale.

Ecocardiografia tradizionale

I parametri valutati sono stati: frazione di eiezione e stroke volume.

0,8 1 1,4 PZ1 PZ2 PZ3

Ve/VCO2/VO2p

68 58 40 74 65 45 PZ1 PZ2 PZ3

Frazione di

eiezione

FE basale (%) FE al picco (%) 91 51 30 97 71 32 PZ1 PZ2 PZ3

Stroke volume

SV basale (ml) SV al picco (ml)

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Nonostante si tratti di indici molto utili ed ampiamente utilizzati in clinica, essi forniscono informazioni abbastanza limitate, al punto che nel paziente diabetico non possono essere evidenziati segni di disfunzione ventricolare sinistra, se non la presenza di uno SV ai limiti bassi (51ml), che comunque sottende ad una buona riposta al picco dello sforzo (con aumento fino a 71ml).

TDI: Tissue Doppler Imging

Questa tecnica ha consentito uno studio più preciso della funzione miocardica, in parte anche grazie alla scelta di individuare un doppio volume-campione, per lo studio della cinetica del setto e della parete laterale del VS (TDI settale e laterale) che consente di valutare con maggiore accuratezza la funzione ventricolare globale, dopo aver calcolato la media dei valori parziali ottenuti.

Il parametro preso in esame è la velocità S’ (velocità sistolica del campione miocardico prossimo all’anulus mitralico), valutata nella sua componente settale (S’set), laterale (S’lat) e nel suo valor medio, globale (S’glo).

20 8 6 21 14 9 PZ1 PZ2 PZ3

S' laterale

S' lat basale (cm/s) S' lat al picco (cm/s)

14 7 4 15 14 8 PZ1 PZ2 PZ3

S' settale

S' set basale (cm/s) S' set al picco (cm/s)

17 7,5 5 18 14 8,5 PZ1 PZ2 PZ3

S' globale

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La velocità S’ in TDI è ritenuta normale se >8cm/s; valori compresi tra 5 e 8cm/s individuano una condizione di disfunzione sistolica del VS di grado lieve-moderato; valori <5cm/sec, infine, indicano una compromissione importante della capacità contrattile ventricolare.

Sulla base di questi intervalli, è possibile meglio interpretare i valori della velocità S’ globale, specie nel caso borderline del Pz 2: rispetto ai valori basali dello stesso paziente relativi alla FE e allo SV (che risultavano inclusi nel range di normalità), il TDI fornisce un dato strumentale (S’=7,5cm/s) indicativo di una disfunzione sistolica ventricolare sinistra lieve, dimostrandosi pertanto una tecnica dotata di una sensibilità maggiore. La buona risposta contrattile che si osserva al picco dello sforzo (analogamente a quanto dimostrato anche dalla FE) è indice di un buon compenso emodinamico da parte del paziente diabetico.

STI: Speckle Tracking Imaging

Con i suoi numerosi vantaggi lo STI ha consentito, per diversi aspetti, di superare quei limiti intriseci al TDI, come già abbondantemente discusso. Inoltre, a differenza delle tecniche precedenti, consente una maggiore accuratezza nello studio della funzione del VS, data la capacità di analizzare la cinetica sia segmentale che globale.

In accordo con quanto evidenziato in letteratura, l’aspetto che si è scelto di analizzare, come surrogato della funzione sistolica del VS, è il longitudinal strain che si esprime in diversi parametri: sei SLS e un GLS per ciascuna delle tre proiezioni ecografiche (apicale asse-longo, 4-camere e 2-camere), per ciascuno dei quali è valutabile un valore di picco (GLPS). Infine dalla media dei GLPS delle tre proiezioni è stato ricavato il GLPSm (medio), quale dato finale, unico, adimensionale (essendo un rapporto tra lunghezze, espresso in percentuale), indice della funzione sistolica del VS.

I valori del GLPSm sono considerati normali al di sotto di -16% (ovvero per valori maggiori del 16% in valore assoluto, essendo il segno “meno” esclusivamente indicativo della direzione in cui avanza la deformazione sistolica del VS, ovvero l’accorciamento miocardico). Anche in questo caso le acquisizioni sono state eseguite in due tempi, basale e al picco dello sforzo. Qui di seguito sono riportati i tracciati STI dei tre pazienti.

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In ogni immagine sono rappresentati 3 grafici (uno per ogni proiezione considerata) che riportano che riportano l’andamento dei 6 SLS (linee colorate continue) e del GLS (linea bianca tratteggiata). Si noti a tal proposito l’andamento regolare, a tratti quasi parallelo, dei diversi SLS del paziente sano, in netta contrapposizione con l’andamento altamente irregolare (e con minori ampiezze) dei SLS del paziente scompensato, indice di una ridotta coordinazione nella cinetica dei vari segmenti miocardici, che è alla base della disfunzione di pompa del VS in questo soggetto. Il quarto diagramma delle immagini sovrastanti è invece un bull’s eye raffigurante il miocardio ventricolare sinistro in sezione trasversale, che rappresenta i vari segmenti parietali indicandone il SLS con un codice cromatico rosso-blu e numerico.

Per quanto concerne la funzionalità sistolica globale del VS, i vari GLPSm possono essere così riassunti:

A fronte di valori francamente patologici nel Pz 3, nel Pz 2 (e ovviamente ancor più nel Pz 1) si evidenziano valori compatibili con un quadro ai limiti bassi della norma. Appare chiaro dunque, che in questo caso lo STI non aggiunge alcuna informazione significativa riguardo la funzione globale del VS rispetto al TDI. Tuttavia la possibilità di un campionamento automatizzato, più preciso, della parete miocardica, associato all’angolo- indipendenza, alla maggiore riproducibilità e soprattutto alla possibilità di analizzare la cinetica miocardica istante per istante e per ciascun segmento miocardico, fa dello STI una tecnica estremamente utile.

20 16 6 24 19 7 PZ1 PZ2 PZ3

GLPSm

GLPSm basale (-%) GLPSm al picco (-%)

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4. DISCUSSIONE

Sulla base dei dati preliminari ottenuti è possibile affermare che, a fronte di valori pienamente normali o patologici nel paziente sano e con scompenso cardiaco rispettivamente, la diagnosi della disfunzione ventricolare sinistra asintomatica nel paziente diabetico è, invece, molto meno immediata.

È proprio questo il motivo che ha spinto a ricercare un protocollo diagnostico complesso, che fosse in grado di cogliere le precoci disfunzioni che occorrono nella DCM servendosi di due tecniche distinte, al fine di massimizzare la sensibilità del metodo cercando di superare quei limiti (in parte propri delle singole tecniche, in parte correlati alla presenza di variabili imprevedibili proprie del paziente) che comunemente ritardano la diagnosi. Ciò che è emerso è che, nella maggior parte degli esami effettuati, i valori relativi al paziente diabetico (collocabili a metà tra il paziente sano e quello con scompenso cardiaco) sono risultati nei range di normalità, seppur con maggior frequenza ai limiti bassi della stessa, con l’eccezione del TDI, dal quale è emerso un valore patologico della velocità S’. Tuttavia, per una corretta interpretazione dei dati ricavati, bisognerebbe tener conto dei diversi limiti che si sono incontrati nello svolgimento di questo studio: innanzitutto l’esiguo numero di pazienti diabetici studiati dopo il caso proposto, e a seguire tutta una serie di errori derivati dall’esecuzione delle indagini strumentali. Per quanto riguarda il CPET i principali problemi incontrati possono essere così riassumibili:

• Il decondizionamento fisico dei pazienti, ovvero la scarsa abitudine all’esercizio di tipo aerobico, seppur in parte correggibile dall’analisi integrata dei vari parametri cardiopolmonari (incluso il Ve/VCO2 slope), rappresenta comunque un

limite al raggiungimento della AT, con conseguente limitazione del numero di informazioni ricavabili dal test

• Nella maggior parte dei casi non si riescono ad avere informazioni preliminari circa il carico di lavoro cui è abituato il paziente e, da qui, il rischio di scegliere un protocollo rampa con incrementi del carico inappropriati, per i quali il test (limitato dai sintomi) possa durare troppo o troppo poco. Non essendoci indicazioni definite a tal proposito, un ruolo importante è giocato dall’esperienza dell’operatore e dal rilievo anamnestico dell’abitudine all’esercizio del paziente

• Durante l’esecuzione del test la maschera di Rudolph deve essere posizionata in modo aderente a viso del paziente, e nella maggior parte dei casi risulta poco

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tollerata sia in fase iniziale (per l’iperventilazione associata ad un senso di claustrofobia o di ansia connessa al test, spesso accorre aspettare alcuni minuti, per la normalizzazione dei parametri ventilatori), sia durante l’esercizio

Per quanto riguarda l’esame ecografico, oltre ai limiti intrinseci relativi alle singole tecniche, già discussi precedentemente, il principale problema è rappresentato dalla qualità della finestra acustica, parametro indispensabile per le acquisizioni in STI: la bassa qualità dell’immagine ecografica in B-mode rappresenta infatti un criterio di esclusione dei pazienti che intendono di sottoporsi a questo esame.

Secondo quanto detto finora, appare chiaro come l’elemento centrale che emerge da questo studio sia rappresentato dallo sforzo, inteso dal punto di vista del suo impatto diagnostico come quel mezzo attraverso il quale è possibile slatentizzare alterazioni funzionali cardiache asintomatiche nei pazienti diabetici, che talvolta sfuggono allo studio condotto sul paziente a riposo. Sebbene le macchine, incluso il cicloergometro, valutino lo sforzo sulla base dell’incremento del carico di lavoro, espresso in W, per il cuore il discorso è ovviamente diverso.

Questo costituisce il razionale per il futuro utilizzo di nuovi indici che facciano dello “sforzo” un prezioso strumento diagnostico, opportunamente espresso secondo variabili appropriate, come ad esempio le correlazioni tra il VO2 e il GLPSm oppure tra il VO2 e il

PPO (Peak Power Output), parametro proposto da Dini et al.102 quale misura dell’intensità dell’esercizio, secondo la formula PPO=SV x PAm x FC x 133x10-6.

Nel grafico seguente è rappresentata la relazione tra il VO2 e il GLPSm per i 3 pazienti

esaminati, ovvero in che modo cresce il GLPSm sulla base dell’incremento dello sforzo, indicato dall’aumento del consumo di O2. Sulla destra è riportata lo slope delle 3

correlazioni. GLPSm/VO2 slope Pz 1 0,15 Pz 2 0,16 Pz 3 0,08 0 5 10 15 20 25 30 3 13 23 G LP Sm VO2 Pz 1 Pz 2 Pz 3

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Il paziente diabetico parte da valori di GLPSm più bassi del paziente sano, ma la riposta all’esercizio appare sovrapponibile a quello di quest’ultimo: i grafici crescono quasi parallelamente come testimoniato dagli slope, con modulo pari a 0,15 e 0,16 nel paziente sano e nel diabetico rispettivamente. La situazione è diversa nello scompensato, in cui a valori di GLPSm bassi in partenza, si associa anche una minore velocità di crescita del parametro all’aumentare dello sforzo, come sottolinea uno slope = 0,08.

Considerazioni analoghe si ricavano dallo studio del PPO in relazione al VO2, come

dimostrato qui di seguito.

Queste ultime considerazioni forniscono un punto di partenza per studi e sviluppi successivi, ma sembrano già sottolineare un aspetto importante alla base della cardiomiopatia diabetica: se da un lato la disfunzione miocardica sistolica pare evidenziarsi in fase basale, a riposo (ponendosi a metà strada tra le funzioni del VS che contraddistinguono il paziente sano e quello con scompenso cardiaco); dall’altro la riposta all’esercizio si dimostra soddisfacente, sovrapponendosi all’efficienza funzionale del paziente sano, al punto che la minore funzionalità sistolica (data da minori GLPSm e PPO) al picco sembra essere, nel diabetico, esclusivamente condizionata dal background disfunzionale basale. 0 50 100 150 200 250 300 350 0 20 40 PPO VO2 Pz 1 Pz 2 Pz 3 PPO/VO2 slope Pz 1 6,941176471 Pz 2 6,803191489 Pz 3 2,765625

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