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4. LO STUDIO CLINICO

4.5 Risultati

I punteggi ottenuti nei diversi test sono stati analizzati prendendo in considerazione la media e la Deviazione Standard, i corrispondenti cut-off e ricavando il corrispettivo Punteggio Equivalente, dove possibile (la Deviazione Standard, DS, corrisponde alla radice quadrata della varianza; è un indice di dispersione ed indica di quanto i valori individuali possano differire dalla media).

Nel Wisconsin Card Sorting Test (WCST) bisogna fare una differenza tra il punteggio ottenuto per le varie categorie e quello inerente alle perseverazioni; per quanto riguarda le categorie, i soggetti hanno totalizzato

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una media di punteggio pari a 5,25 e una DS pari a 1,6819. La media dei rispettivi Punteggi Equivalenti è pari a 2,95. Da ciò si deduce che la prestazione non risulta essere particolarmente deficitaria, ma che anzi tende maggiormente a rientrare nei valori della norma.

Per quanto riguarda le perseverazioni invece, la media dei punteggi corretti si abbassa a 2,5625, mentre la DS è pari a 2,6840. Con la trasformazione in PE, la media risultante è di valore 2,3, mentre la DS di 1,75. Qui i valori risultano molto contrastanti in quanto 8 pazienti su 20 hanno registrato PE = 4, quindi valori di normalità, mentre ben 6 hanno ottenuto il minimo, PE = 0; i restanti sono divisi quasi equamente tra PE pari a 2 e 3, mentre soltanto un paziente ha ottenuto PE = 1.

Nelle Matrici Progressive di Raven (CPM-47), la media del punteggio totale corretto è risultata essere di 29,3562, mentre la DS di 4,1226. Il cut- off per la CPM-47 corrisponde al valore di 18, quindi è evidente che nel nostro campione il punteggio non risulta deficitario. La media totale, convertita in PE equivale infatti a 3,05, mentre la DS a 1,3562.

Il subtest della Wechsler Memoria di Cifre registra una media di punteggio totale di 8,5 e una DS di 1,6059.

Il Mini Mental State Examination (MMSE) è stato invece utilizzato al fine di misurare il funzionamento cognitivo globale; il cut-off, indicante il confine tra un funzionamento normale e uno patologico, in questo test è fissato a 24/30. Il nostro campione di pazienti mielolesi ha ottenuto come media un punteggio totale di 26,7 ed una DS di 1,05. Il risultato indica chiaramente un funzionamento globale nella media, non denotante quindi, alcuna condizione di patologia.

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Infine, per quanto riguarda la batteria FAB, utilizzata per la misurazione del funzionamento frontale globale, i risultati emersi si discostano da quelli ottenuti con gli altri reattivi, rientranti nel range della normalità.

La media del punteggio totale corretto è risultata essere di 13,7882, mentre la DS di 1,4026.

Il cut-off per la FAB è posto a 13,5, quindi il punteggio ottenuto è al limite. Eseguendo la trasformazione in PE, la media totale risulta essere 1,05 mentre la DS 0,9445.

4.6 Discussione e Conclusioni

Sulla base dei dati emersi dal presente studio è possibile operare un’interpetazione di essi. Basandoci sugli esiti ottenuti dai reattivi neuropsicologici somministrati, nella maggior parte di essi non è stata evidenziata una correlazione significativa tra compromissione delle funzioni esecutive e Spinal Cord Injury; in particolare: nei pazienti la media del funzionamento cognitivo globale (con il punteggio di 26,7) è risultata rientrare nei valori di normalità, e, soltanto un paziente ha riportato un punteggio al MMSE inferiore al cut-off (nel MMSE ricordiamo che il cut- uff è di 24), ottenendo un punteggio di 23,2.

Anche per quanto riguarda il subtest della scala Wechsler “Memoria di Cifre”, i risultati ottentuti dai pazienti con SCI non si discostano di molto dalla media della popolazione generale, così come i punteggi risultanti dalle Matrici Progressive di Raven (CPM-47), la cui media totale si pone all’interno tra la media generale e la differenza di 1 DS.

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Proseguendo, in merito al Wisconsin Card Sorting Test (WCST), come si evince dall’analisi dei dati, bisogna fare una distinzione tra i punteggi ottenuti inerenti alle categorie (media dei punteggi totale uguale a 2,95 PE), e quelli inerenti alle perseverazioni. In quest’ultime, la media dei PE totale si abbassa a 2,3. Il punteggio potrebbe essere indice di una capacità ridotta, sebbene non è possibile parlare di patologia, attribuita alla corteccia prefrontale dorsolaterale, delle abilità di set-shifting e flessibilità cognitiva. Un dato interessante e inaspettato è invece emerso dai punteggi ottenuti nella Frontal Assessment Battery (FAB). Nella batteria, per nostra sorpresa, nessun paziente ha ottenuto un PE pari a 4, soltanto un paziente ha ottenuto un PE pari a 3, 6 pazienti un PE pari a 2, altrettanti 6 pari a 1 e i restanti 7 pari a 0.

La media totale dei punteggi, convertita in PE anch’essa risulta di 1,05. E’ questo il dato statisticamente più basso emerso dal nostro studio.

Come abbiamo detto sin dall’introduzione di questo lavoro di tesi, e ribadito spesso nel corso dei capitoli, sono molto scarsi in letteratura gli studi clinici a riguardo; mai infatti un determinato studio ha finora approfondito ampiamente le relazioni tra funzioni esecutive e lesioni midollari.

Al fine del nostro scopo, ciò risulta essere un elemento a sfavore, in quanto non ci permette di disporre di metri di paragone e studi con i quali effettuare un confronto.

Abbiamo visto anche, con la letteratura riportata nel capitolo 2, la numerosità degli studi che interessano le alterazioni fisiologiche e morfologiche del SNC nei soggetti a seguito di Spinal Cord Injuries.

Le alterazioni, in particolare a carico dei fasci di sostanza bianca, emergerebbero come conseguenza del dolore cronico provato dal paziente,

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e si tradurrebbero ai livelli superiori con alterazioni morfologiche di strutture centrali, con conseguente modifica delle cortecce destinatarie (Yoon et al., 2013). L’importanza delle scoperte di Yoon e collaboratori risiede nel fatto di aver individuato alterazioni corticali anche a carico delle cortecce prefrontali, in particolare in quelle dorsolaterali (Apkarian et al., 2004a; Seminowicz et al., 2011; Obermann et al., 2013).

In sintonia con quanto detto da Yoon e collaboratori, si potrebbe ipotizzare che i valori bassi emersi dalla FAB nel nostro studio pilota, possano essere una conseguenza indiretta del dolore cronico che affligge questi pazienti. Inoltre, seguendo la letteratura, ricerche condotte da Apkarian (Apkarian et al., 2004b) e Geha (Geha et al., 2008) hanno dimostrato che pazienti con dolore cronico mostrano un danneggiamento a carico del sistema di decision making emozionale e tale abilità cognitiva è risaputo essere mediata dalla corteccia prefrontale mediale (Apkarian et al., 2004b; Geha et al., 2008). In alcuni casi, pazienti con sindrome da dolore cronico hanno addirittura mostrano atrofia di tale corteccia (Geha et al., 2008).

Prendendo in considerazione tali studi in previsione di lavori futuri, l’analisi sarebbe in tal caso da approfondire, in quanto, ciò non troverebbe correlazione con i risultati non patologici emersi dai restanti reattivi neuropsicologici della nostra attuale ricerca.

In virtù dei risultati ottenuti con la presente ricerca, fermo restando che la FAB è una batteria volta alla misurazione delle funzioni esecutive in generale, si suggerisce vivamente la necessità di ampliare e migliorare lo studio sotto diversi aspetti, quali il numero del campione e maggior variabilità di strumenti testologici, volti a misurare nel dettaglio ogni aspetto delle funzioni frontali e prestando in parallelo particolare interesse alla condizione di dolore cronico.

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Un suggerimento potrebbe essere il prosieguo della ricerca volta anche all’indagine di quelle che vengono definite “funzioni esecutive calde” (ossia di quelle funzioni che implicano una componente emotiva) tramite la somministrazione, ad esempio, dello IOWA Gambling Task, in modo da ottenere un quadro più completo del funzionamento frontale sotto tutti i suoi aspetti.

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CONSIDERAZIONI PERSONALI

Prescindendo da quella che è la consueta prassi di uno studio clinico (scelta del campione, somministrazione dei test, analisi dei dati, discussione dei risultati), questo lavoro mi ha letterarmente arricchita da un punto di vista personale; la relazione con il paziente non si limita semplicemente al tempo trascorso insieme durante la somministrazione dei reattivi; c’è anche un tempo, prima e dopo la somministrazione, in cui il paziente vuole abbandonare per qualche attimo la sua condizione di malato e mostrare quella che è la sua vera essenza, quella che va oltre ogni invalidità.

E’ stato in questo “tempo” che ho conosciuto davvero chi avevo di fronte. La voglia di raccontare la loro storia, il motivo per il quale si trovassero improgionanti in un corpo che non risponde più come un tempo e poi l’essere costretti ad interrompere quella loro voglia di raccontare perchè presi alla sprovvista da una fitta di dolore, cercando nonostante tutto di apparire forti, minimizzando la sofferenza ad una smorfia comparsa di sbiego sul volto.

E quando a raccontare tutto questo è Andrea (uso qui un nome di fantasia per tutelare la sua privacy), 22 anni, più piccolo di me, che maledice l’imprudenza che ha avuto quel giorno guidando la macchina ad alta velocità; o Giulio (anche qui uso un nome di fantasia), mio coetaneo, che dopo quella caduta dallo snowboard non si è più rialzato come aveva sempre fatto in precedenza, o ancora Maria (di nuovo nome di fantasia), che a soli 28 anni è stata colpita da mielite, costringendola sulla sedia a rotelle, lì non puoi rimanere indifferente.

D’altronde però, è stato proprio il parlare con loro ad insegnarmi una forza che prima non conoscevo: Andrea non si è arreso, anzi, si è adeguato alla sua nuova condizione; frequenta una palestra di basket e assiduamente si allena per vincere, come una metafora di vita, partita dopo partita; così

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come Giulio, che dopo un periodo di forte sconforto in seguito all’incidente, ha ripreso la sua vita in mano: ora sta continuando i suoi studi universitari ed è tornato a lottare, come faceva prima della caduta, per diventare l’avvocato che sognava sin da bambino.

Fare ricerca è anche questo. Non è soltanto un’asettica raccolta di dati e questionari; la ricerca ha anche un suo lato più “umano”, e io sono felice di esserne venuta a contatto. E’ forse anche questo l’aspetto che motiva a voler andare sempre oltre e a continuare a cercare ciò che ancora non conosciamo, per alleviare quella smorfia di dolore, senza arrenderci mai, nonostante le tante difficoltà.

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