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Funzioni cognitive nei pazienti con Spinal Cord Injury

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Academic year: 2021

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Indice

ABSTRACT………..4

1. MIDOLLO SPINALE E SPINAL CORD INJURY (SCI)…….6

1.1 Premessa………..6

1.2 Anatomia del Midollo Spinale (MS)………...8

1.2.1 Struttura interna del Midollo Spinale………...14

1.2.2 La sostanza bianca………....18

1.2.3 Fasci ascendenti e discendenti………..18

1.3 Spinal Cord Injuries (SCI)………..20

1.3.1 Tipi di lesioni midollari (SCI)………....22

1.3.2 Sintomi di uno SCI……….25

2. ALTERAZIONI FISIOLOGICHE E METABOLICHE CONSEGUENTI A LESIONI MIDOLLARI………...27

2.1 Premessa………..27

2.2 SCI e dolore neuropatico: come cambiano le strutture corticali, la materia grigia e la sostanza bianca………..28

2.3 SCI e infiammazione cerebrale………...33

2.4 Comorbidità tra Spinal Cord Injury e Traumatic Brain Injury…...37

2.5 Riconoscimento emotivo e attivazione del Sistema Autonomo in pazienti con SCI………..38

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2.6 Ipotensione arteriosa e indebolimento dei sistemi cognitivi in

soggetti con SCI………....…………....42

3. LE FUNZIONI ESECUTIVE……….44

3.1 Funzioni esecutive e corteccia prefrontale………44

3.1.1 Corteccia prefrontale dorsolaterale……….47

3.1.2 Corteccia orbitofrontale………...48

3.1.3 Corteccia cingolata anteriore ………..48

3.2 I disturbi disesecutivi……….49

3.2.1 Sindrome dorsolaterale……….50

3.2.2 Sindrome orbitale………..53

3.2.3 Sindrome prefrontale mediana (o cingolare)………54

3.3 Valutazione delle funzioni esecutive………..56

3.3.1 Problema della valutazione delle funzioni esecutive………….59

4. LO STUDIO CLINICO……….61

4.1 Premessa………..61

4.2 Partecipanti………..62

4.3 Strumenti……….62

4.3.1 Mini Mental State Examination (MMSE)………...63

4.3.2 Wisconsin Card Sorting Test (WCST)………65

4.3.3 Frontal Assessment Battery (FAB)……….66

4.3.4 Matrici Progressive Colorate di Raven (CPM-47)………67

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4.3.6 ASIA Impairment Scale………70

4.4 Procedura e analisi dei dati………...74

4.5 Risultati………75 4.6 Discussione e Conclusioni………77 CONSIDERAZIONI PERSONALI……….81 BIBLIOGRAFIA………...83

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ABSTRACT

Questo lavoro di tesi ha lo scopo di affrontare il delicato tema delle lesioni midollari (in inglese Spinal Cord Injury – SCI -), in particolare di indagare la relazione che intercorre tra SCI e funzioni cognitive superiori, con una maggiore attenzione rivolta alle funzioni esecutive frontali.

Nella prima parte dell’elaborato è illustrata quella che è prettamente l’anatomia del Midollo Spinale e le connessioni che il midollo instaura con il Sistema Nervoso Centrale e con quello Periferico. Sempre nella prima parte viene ampiamente approfondito il significato di lesione midollare, la classificazione dei diversi tipi di lesione e le conseguenze che esse comportano.

Nel capitolo successivo vengono esposti, alla luce della più recente letteratura, quelli che sono i maggiori studi a riguardo: le alterazioni morfologiche e strutturali di materia grigia e sostanza bianca che susseguono al danno midollare in presenza di dolore neuropatico (Yoon et al., 2013), i focolai infiammatori che ne susseguono, le eventuali comorbidità tra Spinal Cord Injury e Traumatic Brain Injury (Macciocchi et al., 2012), l’indebolimento dei sistemi cognitivi successivo alla condizione di ipotensione darivante da uno SCI (Nardone et al., 2013) ed infine il recentissimo studio condotto da Varas-Dìaz e collaboratori, pubblicato nel Febbraio 2017, in cui viene descritto come varia il riconoscimento emotivo e l’attivazione del SNA nei pazienti con SCI (Varas-Dìaz et al., 2017).

Il terzo capitolo si concentra invece sulla spiegazione delle funzioni frontali esecutive, della loro valutazione tramite strumenti testologici e dei problemi legati alla valutazione stessa.

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L’ultima parte dell’elaborato infine, è dedicata totalmente allo studio clinico da me condotto. La ricerca, effettuata su un campione di 20 pazienti reclutati presso U.O. Mielolesi dell’Ospedale Cisanello di Pisa, ha indagato le funzioni frontali esecutive in pazienti con Spinal Cord Injury.

I risultati, emersi dallo scoring dei reattivi neuropsicologici utilizzati, non hanno evidenziato una compromissione significativa di tali aree, ad eccezione della Frontal Assessment Battery –FAB- (batteria utilizzata per la valutazione del funzionamento frontale globale), che ha registrato i valori più bassi e al limite della normalità in tutti i pazienti.

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CAPITOLO 1

MIDOLLO SPINALE E SPINAL CORD INJURY (SCI)

1.1 Premessa

Quando ci si trova a parlare di un discorso talmente delicato quale quello della disabilità, si va ad affrontare un argomento in cui addirittura muoversi in punta di piedi potrebbe voler significare osare e toccare tasti di un mondo di cui troppo spesso se ne parla senza saperne molto, cadendo nell’errore della generalizzazione.

Immagini come una carrozzina o un ragazzo paraplegico sono immagini a noi molto familiari, che accompagnano la quotidianità di ognuno, stereotipi di un mondo che però poco conosciamo davvero nelle sue diverse sfaccettature e al quale proprio per questo dobbiamo il massimo del rispetto.

Le persone con disabilità rappresentano circa il 15% della popolazione generale, mentre meno dello 0,1% sono schiavi di lesioni midollari (LM).

Il potere che hanno le lesioni midollari di cambiare la vita di chi ne affetto è devastante, agiscono come un’arma a doppio taglio: sono in grado di stravolgere in un istante il presente e il futuro di una persona e nessuno, di qualsiasi fascia di età, di status sociale o economico ne è immune. Prendiamo l’esempio di un ragazzo nel fiore della sua gioventù: un secondo prima vive la sua vita con tutta l’energia e l’entusiasmo di chi ha 20 anni, un attimo dopo la sua vita cambia, stravolta da un incidente che lo costringerà per sempre su una carrozzina.

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Le cause di insorgenza di lesione midollare possono essere varie, di natura traumatica e non: un incidente in moto o in macchina ad alta velocità, una caduta accidentale da un’altezza elevata, un incidente sul lavoro, un tuffo eseguito male, un tumore che esercita pressione a livello midollare, infezioni a livello midollare o TBC.

Il tema delle lesioni midollari è un tema sempre attuale, delicato e che racchiude un ampio range di sfaccettature; lo possiamo affrontare da un punto di vista prettamente clinico, da uno sociale o addirittura politico (interessandoci alla tutela della persona con Spinal Cord Injury, SCI), o ancora, da un punto di vista ambientale (analizzando le difficoltà quotidiane e le barriere architettoniche ancora troppo numerose) o da quello preventivo (con campagne volte alla tutela del benessere della persona).

In particolare, quello che esporrò in questo lavoro è uno studio condotto da me in prima persona con l’aiuto della dott.ssa Irene Ghicopulos su un campione di 20 pazienti mielolesi presso la U.O. Mielolesi dell’Ospedale Cisanello di Pisa, diretta dalla Dr.ssa Giulia Stampacchia.

Il lavoro è volto alla ricerca di eventuali correlazioni in pazienti con SCI di alterazioni cognitive e della morfologia cerebrale, in particolar modo delle funzioni frontali.

Le rilevazioni sono state fatte somministrando ad ognuno dei pazienti batterie di test neuropsicologici specifiche, volte sia all’analisi tipica delle funzioni frontali (come ad esempio il Wisconsin Card Sorting Test –WCST-, le matrici progressive di Raven -CPM-47-, la Frontal Assessment Battery –FAB-, ecc), sia alla valutazione dei parametri fisiologici e neurologici, in particolare della funzionalità motoria e sensitiva (American Spinal Injury Association Impairment Scale -Scala ASIA-).

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Non è stato facile mettere insieme i tasselli di un puzzle così complesso quale il sistema cervello, in quanto la letteratura attuale di cui disponiamo risulta essere molto scarna di studi a riguardo, in particolar modo di quelli inerenti alla relazione con le funzioni frontali in cui risulta completamente carente (probabilmente perché si è sempre esclusa qualsiasi correlazione in merito).

Nel campo della ricerca scientifica, il midollo spinale rappresenta un ampio argomento di discussione ed è oggetto inevitabile di studi e attenzioni cliniche; infatti, sebbene il MS costituisca soltanto il 2% del SNC, le sue funzioni sono vitali.

Prima di addentrarci nel pieno dello studio però, facciamo un passo indietro e vediamo in cosa consiste il midollo spinale nello specifico, in modo da comprendere i motivi per il quale una lesione traumatica e una processazione alterata a livello del MS è causa di importanti e invalidanti ripercussioni nella vita di tutti i giorni.

1.2 Anatomia del Midollo Spinale (MS)

Il midollo spinale è la porzione più caudale del Sistema Nervoso Centrale (SNC). Ha conformazione cilindrica e, a partire dal foro occipitale, si estende lungo tutto il canale vertebrale, fino al livello della II vertebra lombare. È la struttura più importante di collegamento tra corpo ed encefalo, un collegamento vitale che si avvale di mutua reciprocità di comunicazione (appunto corpo-encefalo ed encefalo-corpo). La sua lunghezza può variare tra i 40 e i 50 cm mentre il diametro tra 1 (quello antero-posteriore) e 1,5 cm (quello trasverso) (Ambrosi et al., 2006).

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La disposizione periferica compatta della sostanza bianca gli attribuisce il tipico colore chiaro e qualità quali l’elasticità, la flessibilità ed una consistenza maggiore rispetto a quella dell’encefalo.

Il midollo spinale è rivestito in superficie da involucri connettivali riccamente vascolarizzati chiamate meningi spinali. Oltre alla sostanza bianca periferica, il midollo è formato nella sua parte più interna anche da tessuto nervoso di altro tipo, la materia grigia. Connesso alla periferia da 31/33 paia di nervi spinali, è uniformemente organizzato e diviso in 4 regioni: Cervicale (C), Toracica (T), Lombare (L) e Sacrale (S), ognuna delle quali viene ulteriormente suddivisa in altre regioni.

In particolare, nella regione cervicale sono localizzati 8 paia di nervi, 12 in quella toracica, 5 nella lombare, 5 nella regione sacrale ed 1 nella regione coccigea. Ogni nervo origina dall’unione di due fasci, uno dorsale e uno ventrale, che si fondono dopo l’uscita, tramite il forame intervertebrale, dal midollo spinale.

Il fascio spinale continua verso il versante craniale con il bulbo (che rappresenta la porzione più caudale del tronco encefalico). Il confine con quest’ultimo è definito da un piano orizzontale immaginario passante ad uguale distanza tra l’emergenza dell’ultimo paio dei nervi encefalici (nervo ipoglosso) e l’emergenza del I paio dei nervi spinale (I nervo cervicale).

Inferiormente invece, a livello lombare, il midollo si restringe nel cono midollare e continua con un lungo e sottile filamento fibroso, denominato filo terminale, intorno al quale si fondono le tre meningi spinali in un’unica guaina, la guaina terminale. Infine gli ultimi nervi spinali (3-5 lombari, 5 sacrali e il nervo coccigeo) si organizzano in una struttura che prende il nome di cauda equina, che, con lunghissimo

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decorso verticale, si porta ai fori intervertebrali decorrendo ai lati del filo terminale (Tortora & Nielsen, 2012).

Le fibre che attraversano il tubo neurale sono fibre di nervi motori e sensitivi. È per questo che il midollo spinale si comporta come stazione di partenza e altrettanto di arrivo per le informazioni di ogni tipo che giungono e partono da e per ogni parte del corpo.

Protetto dalle meningi spinali e dal liquido cefalorachidiano e grazie ai suoi mezzi di fissità, il midollo spinale segue la colonna vertebrale in tutti i suoi movimenti, senza entrare mai in contatto con superfici ossee. Nella sua lunghezza il midollo spinale non presenta un calibro uniforme; in particolare, a livello cervicale e lombare sono localizzati due rigonfiamenti, dovuti ad un aumento di spessore a livello antero-posteriore. I rigonfiamenti prendono il nome rispettivamente di entumescenza (o rigonfiamento) cervicale e entumescenza (o rigonfiamento) lombare e si trovano in corrispondenza dei punti di emergenza dei fasci che innervano gli arti superiori (plesso brachiale) e quelli inferiori (plesso lombo-sacrale) (Tortora & Nielsen, 2012).

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da: Anatomia Umana-Neuroanatomia e Organi di Senso; Kahle e Frotscher; Casa Editrice Ambrosiana, II Edizione

Lungo la superficie del MS si osservano diversi solchi longitudinali. La

fessura mediana anteriore e il solco mediano posteriore suddividono ad

esempio il midollo in due metà uguali e simmetriche tra loro. In ciascuna metà così individuata si riconoscono poi, in direzione antero-posteriore, quattro solchi, detti rispettivamente solco intermedio anteriore, solco

laterale anteriore, solco laterale posteriore, solco intermedio posteriore.

I diversi solchi delimitano in superficie vari tratti che prendono il nome di cordoni (o funicoli). I cordoni seguono un decorso longitudinale e

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sono il risultato di fibre mieliniche raggruppate. Sono tre e prendono rispettivamente il nome di cordone (o funicolo) anteriore, cordone (o funicolo) laterale e cordone (o funicolo) posteriore.

• Il cordone ventrale (o anteriore), compreso tra la fessura mediana anteriore e il solco laterale anteriore;

• Il cordone laterale, compreso tra il solco laterale anteriore e il solco laterale posteriore;

• Il cordone dorsale (o posteriore) si trova fra il solco laterale posteriore e il solco mediano posteriore. E’ formato dal fascicolo gracile di Goll (mediale) e quello cuneato di Burdach (laterale). Come abbiamo accennato in precedenza, al midollo spinale giungono, tramite fasci di fibre afferenti, le informazioni sensoriali provenienti dalla periferia del corpo. È qui che, tramite un primo livello di elaborazione, si ha una primaria processazione di quella che dà lì a breve (tramite la continua ascesa verso l’encefalo) sarà codificata a livello corticale come cosciente.

Nel midollo spinale giungono inoltre anche informazioni che percorrono una via opposta a quella appena descritta, ossia fasci di fibre che dall’encefalo, tramite una via nervosa discendente, giungono al midollo (ciò che accade per la maggior parte delle regolazioni delle funzioni viscerali).

I motoneuroni del corno ventrale proiettano i loro assoni verso la periferia per innervare la muscolatura scheletrica e liscia che media sia i riflessi volontari che involontari (Ambrosi et al., 2006).

Inoltre, il MS presenta nella parte subito internamente al rivestimento mielinico, 3 strati di meningi: pia madre, aracnoide e dura madre. La

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dura madre è la meninge più esterna e, come suggerisce il nome stesso, anche la più resistente; l’aracnoide invece si trova immediatamente dopo di essa, nella parte più interna, mentre la pia madre aderisce strettamente alla superficie del midollo.

Un dermatomero è un’area dell’epitelio innervata da una singola radice sensitiva (dorsale) di un nervo spinale. Quindi, se un nervo subisce una lesione, si perde di conseguenza anche la sensazione proveniente da quel dermatomero. Poiché ogni segmento del midollo innerva una regione diversa del corpo, i dermatomeri possono essere mappati in modo preciso sulla superficie del corpo, e la perdita della sensazione in un dermatomero può indicare il livello esatto della lesione del midollo (SCI) (Ambrosi et al., 2006).

È importante considerare che c’è del sovrapponimento tra i dermatomeri confinanti. Poiché l’informazione sensoriale proveniente dal corpo viene trasmessa al SNC tramite le radici dorsali, gli assoni che originano dalle cellule della radice dorsale del ganglio vengono classificate come assoni sensoriali afferenti primari, mentre i neuroni della radice dorsale come neuroni sensoriali di primo ordine. La maggior parte degli assoni nelle radici ventrali nascono dai motoneuroni nel corno ventrale del MS e innervano la muscolatura scheletrica. Altri originano a partire dal corno laterale e sinaptano sui gangli autonomi che innervano gli organi viscerali. Gli assoni della radice ventrale si uniscono ai processi periferici delle cellule del ganglio della radice dorsale per formare nervi spinali misti afferenti ed efferenti, che a loro volta si uniscono per formare i nervi periferici. Possiamo concludere che la conoscenza dell’innervazione segmentale delle aree cutanee e dei muscoli è essenziale quindi per diagnosticare il sito della lesione.

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1.2.1 Struttura interna del midollo spinale

Se sezionassimo trasversalmente una sezione di midollo spinale noteremmo immediatamente sostanza bianca in periferia, materia grigia all’interno, ed un piccolissimo canale centrale con all’interno il Sistema Nervoso Centrale (SNC). Intorno al canale troviamo lo strato ependimale, formato da un singolo strato di cellule, circondato, come abbiamo accennato in precedenza, dalla sostanza grigia, che si unisce a formare una sorta di “farfalla” o lettera “H”. Le due “ali” della farfalla sono connesse nel mezzo tramite la commissura grigia posteriore e al di sotto dalla commissura bianca.

La sostanza grigia contiene soprattutto i corpi cellulari dei neuroni e la glia e, se immaginassimo un piano frontale passante per il canale centrale, è possibile distinguere due porzioni (o colonne): una colonna anteriore e una posteriore. Se invece osservassimo il MS tramite una sezione traversa, le due colonne prenderebbero il nome rispettivamente di corno anteriore (o ventrale) e corno posteriore (o dorsale).

Il corno dorsale è composto dai nuclei sensoriali che ricevono e processano le informazioni somatosensoriali in entrata. Da qui, partono le proiezioni ascendenti che trasmettono l’informazione sensoriale ai centri nervosi superiori del mesencefalo e diencefalo. Il corno ventrale invece, è composto dai motoneuroni che innervano la muscolatura scheletrica. I nuclei motori consistono prevalentemente nei motoneuroni α, β e γ e si trovano in tutti i livelli del MS. I motoneuroni rappresentano la via comune finale del sistema motorio, ed innervano la muscolatura viscerale e scheletrica.

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da: Anatomia Umana-Neuroanatomia e Organi di Senso; Kahle e Frotscher; Casa Editrice Ambrosiana,II Edizione

In base alle funzioni che svolgono e alla posizione, i neuroni della sostanza grigia sono organizzati in diversi nuclei e lamine.

La mappa laminare fu proposta per la prima volta da Rexed; la numerazione delle lamine è eseguita a partire dalla parte più dorsale del corno posteriore fino all’estremità ventrale del corno anteriore. Le lamine totali sono dieci e sono numerate secondo il sistema dei numeri romani.

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Lamina I, II, III, IV: hanno funzione di area recettrice primaria; la

lamina funge da stazione per i messaggi esterocettivi e li trasmette ai centri encefalici superiori grazie a proiezioni di tipo ascendente. Le lamine I, II e III sono inoltre sede di controllo del dolore, mentre le I e II sono sede della sostanza gelatinosa del Rolando e trasmettono dolore, temperatura e informazioni meccaniche. I neuroni della lamina IV invece, costituiscono il Nucleo Proprio. In queste lamine giungono le fibre delle vie Rafè-spinali;

Lamina V, VI: sono lamine con funzione di raccogliere le informazioni

propriocettive; posizionate alla base del corno dorsale. Contengono cellule funicolari e accolgono fibre discendenti dall’encefalo di tipo cortico-spinali. Sono importanti nella regolazione riflessa;

Lamina VII: deputata alla risposta dei riflessi vegetativi; lavora a stretto

rapporto con il cervelletto; contiene il nucleo di Clarke, il nucleo del corno laterale (neuroni visceromotori) e neuroni di associazione;

Lamina VIII: deputata all’azione dell’attività motoria in quanto qui

terminano le vie discendenti extrapiramidali; interviene sui motoneuroni γ; si trova alla base del corno anteriore;

Lamina IX: definita area motrice inferiore; qui vengono accolti i

motoneuroni i cui assoni vanno a formare le fibre motrici dei nervi misti;

Lamina X: è costituita dai neuroni e dalle fibre che circondano il canale

ependimale, costituisce gran parte della commissura anteriore e posteriore.

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Ai fini del nostro lavoro è importante tenere in considerazione sia il lavoro sincrono ma anche il lavoro individuale delle singole parti, ognuna fondamentale per garantire comportamenti e attività normali nella vita di tutti i giorni.

Abbiamo parlato ad esempio della sostanza gelatinosa di Rolando, indispensabile per trasmettere la sensazione dolorifica, la temperatura e l’informazione meccanica; o ad esempio il Nucleo Proprio, localizzato di poco al di sotto della sostanza gelatinosa nel corno dorsale: anche questo gruppo di cellule sono associate per l’elaborazione delle sensazioni meccaniche e della temperatura, accogliendo le informazioni che giungono dai meccanocettori e termorecettori periferici. Una volta giunte le informazioni a livello del midollo, gli assoni permettono di continuare l’ascesa di queste verso il cervelletto tramite i fasci spinocerebellari e verso il talamo tramite quelli spionotalamici (da qui poi tramite il tratto talamo-corticale fino alla corteccia, affinché l’informazione diventi cosciente).

Anche il nucleo dorsale di Clarke, che abbiamo detto trovarsi nella lamina VII, ci è di fondamentale importanza in quanto gli assoni da queste cellule passano attraverso il funicolo laterale e danno origine al tratto spinocerebellare dorsale (DSCT), importante ai nostri fini in quanto sottende la propriocezione inconscia proveniente dai fusi muscolari e dagli organi muscolo-tendinei di Golgi diretti al cervelletto. Il nucleo intermediolaterale invece, è localizzato nella zona intermedia tra le corna dorsali e ventrali del MS. Si estende dal C8 ad L3 ed è deputato alla ricezione dell’informazione viscerosensoriale (Tortora & Nielsen, 2012).

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1.2.2 La sostanza bianca

Come abbiamo già accennato, la sostanza bianca avvolge la materia grigia e contiene fibre di nervi sia mielinici che amielinici. Le fibre trasportano l’informazione in modo ascendente o discendente lungo il midollo. Ricapitolando, la sostanza bianca è divisa in funicolo posteriore, laterale e ventrale mentre nel mezzo troviamo la commissura bianca anteriore, formata da fibre di nervi appartenenti ai tratti spinotalamici, spinocerebellari e corticospinali anteriori. Nella sostanza bianca del MS si possono distinguere 3 tipi di fibre nervose: 1) le fibre nei nervi del tratto ascendente date dalle cellule funicolari, che hanno connessioni sinaptiche con i neuroni nei vari nuclei del tronco encefalico, cervelletto e talamo dorsale; 2) fibre di nervi del tratto discendente che originano nella corteccia cerebrale e nei vari nuclei del tronco encefalico per andare a sinaptare all’interno delle diverse lamine Rexed nella sostanza grigia midollare; e 3) fasci di fibre di nervi più corti che interconnettono i vari livelli del MS in qualità di fibre responsabili della coordinazione dei riflessi flessori.

1.2.3 Fasci ascendenti e discendenti

Come abbiamo detto la sostanza bianca del MS contiene fasci di fibre sia ascendenti che discendenti.

I tratti ascendenti li troviamo lungo tutta la colonna mentre quelli discententi soltanto nella colonna laterale o anteriore.

Il tratto ascendente è formato da fasci di fibre che emergono dal neurone di primo ordine localizzati nel radice del ganglio dorsale. Il tratto

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ascendente trasmette l’informazione sensoriale proveniente dai recettori presenti in periferia e diretta ai livelli cerebrali superiori. Nella colonna dorsale troviamo i fascicoli ascendenti gracile di Goll e cuneato di Burdach. Queste fibre trasportano l’informazione correlata alla discriminazione tattile, pressoria, vibrazione, posizione, senso del movimento e propriocezione cosciente. Nel funicolo laterale invece, il tratto neospinotalamico trasmette informazioni di tipo algico, di temperatura e di quelle provenienti dalle strutture somatiche e viscerali. I tratti spinocerebellari dorsali e ventrali trasmettono la propriocezione inconscia proveniente dai muscoli e dalle articolazioni e diretta al cervelletto. Nel funicolo ventrale infine, sono quattro i tratti da ricordare: il tratto paleospinotalamico che trasporta dolore, temperatura e informazioni associate con il tatto ai nuclei del tronco encefalico e al diencefalo; il tratto spinoolivare che trasporta l’informazione dagli organi muscolo tendinei del Golgi al cervelletto; il tratto spinoreticolare e quello spinotettale.

I tratti discendenti invece, originano da diverse aree corticali e dai nuclei del tronco encefalico. La via discendente trasporta informazioni associate al sostegno dell’attività motoria come la postura, l’equilibrio, il tono muscolare e l’attività dei riflessi viscerali e somatici. Questi includono il tratto corticospinale e quello rubrospinale localizzati entrambi nel funicolo laterale e deputati alla trasmissione dell’informazione associata al movimento volontario. Altri tratti come il reticolospinale, il vestibolospinale e il tratto corticospinale anteriore mediano l’equilibrio e i movimenti posturali.

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1.3 Spinal Cord Injuries (SCI)

Avendo fatto una larga premessa riguardo il midollo spinale, le sue principali aree anatomiche e le funzioni maggiori alle quale è deputato, passiamo ora a vedere cosa accade se una o più parti di esso vengono danneggiate. Per lesione midollare (LM in italiano; Spinal Cord Injury – SCI – in inglese) si intende una complessa condizione medica e di vita. Storicamente, essere affetti da SCI significava andare incontro a morte quasi certa e prematura, registrando alti tassi di decessi. Oggi, però, con i continui progressi nel campo medico e assistenziale (in particolar modo dei paesi più sviluppati), non è più vista come fine di una vita ma come sfida personale e sociale che il paziente, con le adeguate cure e assistenze può affrontare e vincere. Non solo la percentuale di sopravvivenza è aumentata ma con adeguati interventi sanitari e tempestive cure di primo soccorso post traumatiche è possibile un ripristino delle condizioni di vita e un prosieguo di questa, seppur a costo di modificare i normali aspetti della quotidianità ridimensionando il mondo del paziente con servizi e strutture sociali più accessibili.

Gli effetti che le lesioni midollari giocano sull’individuo dipendono da una serie di fattori concomitanti, tra cui:

➢ il livello e il grado della lesione; ➢ l’età in cui questa avviene;

➢ la tempestività del primo soccorso e la disponibilità dei servizi; ➢ l’ambiente in cui la persona vive (contesto sociale ed economico) Negli Stati Uniti ogni anno sono stimati circa 12.500 casi di SCI.

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Incidenza

• la SCI si verifica principalmente nei giovani adulti tra i 16 e i 30 anni; • l’80% dei pazienti è di sesso maschile;

• 40-80 nuovi casi di SCI per milione/anno (WHO);

• 20-25 nuovi casi di SCI per milione/anno (Ministero della Salute) (ovvero circa 60-240 nuovi casi in Toscana).

Prevalenza

• da 280 (Finlandia) a 1227 (Canada) mielolesi per milione di abitanti; • le persone affette da SCI aumentano ogni giorno; attualmente in Toscana si contano da 840 a 3681 persone affette da esito di lesione midollare.

Cause

Le cause di SCI possono essere varie, tra le più frequenti: incidenti stradali, violenza, cadute, sport, infiammatorie, neoplastiche, infettive; di cui:

• traumatiche – 55-65%

• non traumatiche – 35-45% (Furlan et al., 2013).

Avere una lesione vertebrale non sempre significa che il midollo spinale è stato danneggiato, in quanto le vertebre, distribuite lungo tutta la colonna, hanno il compito di sostenere la persona, stabilizzare il rachide e allo stesso tempo proteggere il midollo.

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In egual modo, si può verificare un danno al midollo senza che sia causato da fratture o lussazioni delle vertebre (ma di questo ne parleremo meglio in seguito).

1.3.1 Tipi di lesioni midollari (SCI)

Le lesioni midollari vengono divise in due ampie categorie: complete ed incomplete.

• SCI incomplete: per lesioni incomplete si intende che il midollo è soltanto parzialmente compromesso, permettendo al paziente mieloleso di conservare e svolgere alcune funzioni. In questi casi quindi, c’è qualche funzione preservata al di sotto del livello della lesione. In questi casi, il livello delle funzioni risparmiate dipende dall’estensione delle lesioni. Le lesioni incomplete possono verificarsi a qualsiasi livello del MS.

• SCI complete: le lesioni complete invece, si verificano quando il MS è compromesso nella sua integrità, sopprimendo alcuna funzione al di sotto del livello della lesione (tanto di sensibilità quanto di movimento) ed entrambi i lati del corpo sono ugualmente colpiti. Come le lesioni incomplete, anche quelle complete possono verificarsi a qualsiasi livello del MS. Tuttavia, con il trattamento e la fisioterapia, potrebbe essere possibile restituire alcune funzioni più lievemente compromesse.

Le SCI incomplete sono sempre più comuni, e molto spesso rappresentano un miglioramento della condizione da SCI completa, grazie in parte ai miglioramenti in campo della riabilitazione e l’ampliamento delle conoscenze su come trattare un sospetto di SCI.

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Rappresentano circa il 60% delle SCI totali, e ciò significa che stiamo andando incontro a veri progressi, quindi migliori trattamenti, quindi migliori esiti.

Solitamente:

➢ Le lesioni complete rimangono complete nell’85% dei casi; ➢ Divengono incomplete (Frankel B-C) nel 10-15% dei casi;

➢ Un recupero di una motilità utile per il cammino (Frankel D-E) si verifica nell’ 2-3% dei casi

*secondo la classificazione di Frankel, modificata dall’ ASIA/ISCoS (1996) (ASIA Impairment Scale), secondo cui:

A = COMPLETA: deficit sensitivo e motorio completo a livello S4-S5;

B = INCOMPLETA: deficit motorio completo con conservazione della

sensibilità al di sotto del livello neurologico che include S4-S5;

C = INCOMPLETA: la motilità volontaria è conservata al di sotto del

livello neurologico e più della metà dei muscoli chiave ha una validità inferiore a 3;

D = INCOMPLETA: la motilità volontaria è conservata al di sotto del

livello neurologico e almeno la metà dei muscoli chiave ha una validità uguale o superiore a 3;

E = NORMALE: nessun deficit neurologico (non ipovalidità muscolare,

sensibilità integra, non disturbi sfinterici ma possibili alterazioni dei riflessi).

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Alcuni tra i più comuni tipi di SCI incomplete includono:

• Sindrome midollare anteriore: questo tipo di lesione, della parte anteriore del midollo, danneggia le vie motorie e sensoriali. Si possono conservare alcune sensazioni, ma si hanno problemi con il movimento.

• Sindrome midollare centrale: è un tipo di lesione centrale del MS, e danneggia i nervi che trasportano il segnali dall’encefalo al midollo. Perdita delle abilità motorie fini, paralisi delle braccia, e invalidità parziale –solitamente meno pronunciata- nelle gambe. Alcuni pazienti che riescono a sopravvivere soffrono anche di problemi all’intestino e alla vescica, o perdono le abilità inerenti alla funzione sessuale.

• Sindrome di Brown-Sequard: questo tipo di lesione è il prodotto del danno di un lato del midollo. La lesione può risultare più pronunciata da un lato del corpo; ad esempio, può essere impossibile solo nel lato destro, ma può essere completamente preservato nel sinistro. Nella sindrome di Brown-Sequard sono possibili diversi livelli di lesione, diversi da paziente a paziente. I tipi di lesione midollare più frequenti sono:

• Tetraplegia: queste lesioni, che sono il risultato di un danno al midollo a livello cervicale, sono tipicamente le più gravi, e producono diversi livelli di paralisi a tutti gli arti. A volte conosciuta con il nome di Quadriplegia, la Tetraplegia annulla ogni abilità di movimento al di sotto del sito della lesione, e può manifestarsi anche con difficoltà vescicali e di controllo intestinale, di respirazione, e altre funzioni routinarie. Più in alto

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sarà localizzata la lesione, più severi saranno i sintomi che avremo.

• Paraplegia: si manifesta quando la sensazione e il movimento sono rimossi dalla metà bassa del corpo, includendo le gambe. Queste lesioni sono il prodotto del danno al midollo a livello toracico. Come le lesioni midollari cervicali, le lesioni sono tipicamente più gravi quando sono più vicini alle vertebre più in alto.

• Triplegia: la triplegia causa la perdita della sensazione e del movimento in un braccio ed entrambe le gambe, ed è tipicamente il prodotto di uno SCI incompleto.

le lesioni al di sotto del livello lombare invece, solitamente non producono sintomi o paralisi o perdita delle sensazioni. Possono, comunque, produrre dolore ai nervi, ridurre alcuni funzioni in alcune aree del corpo, e necessitare di numerosi interventi per restituire la funzione. Le lesioni al midollo a livello sacrale, ad esempio, possono riversarsi su problemi di tipo intestinale e sulle funzioni vescicali, causare problemi di tipo sessuale, e produrre affievolimento nei fianchi o negli arti inferiori. In vari casi, chi sopravvive agli SCI sacrali soffrono di una paralisi temporanea o parziale.

1.3.2 Sintomi di uno SCI

La prognosi è diversa per ogni paziente: alcuni riescono a guarire miracolosamente nell’arco di un mese, altri invece necessitano di anni di fisioterapia e nonostante ciò non riescono ad ottenere progressi o se ne ottengono sono davvero limitati.

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Gli esiti dipendono dalla natura della lesione, la qualità delle cure mediche, dal livello con il quale il paziente si applica nell’affrontare le cure, dal benessere psicologico, e altri innumerevoli fattori.

Una lista parziale dei sintomi comuni nei pazienti con SCI: • Vari livelli di paralisi, come la tetraplegia e la paraplegia;

• Difficoltà nel respirare; in alcuni casi la necessità di essere attaccati ad un respiratore;

• Problemi con le funzioni intestinali e vescicali;

• Frequenti infezioni; alta probabilità che aumentino se si è intubati per necessità di respirazione o alimentazione;

• Piaghe da decubito; • Dolore cronico; • Mal di testa;

• Cambiamenti dell’umore e della personalità; • Perdita della libido o della funzione sessuale; • Perdita della fertilità;

• Dolore nevralgico;

• Dolore muscolare cronico; • Polmonite

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CAPITOLO 2

ALTERAZIONI FISIOLOGICHE E METABOLICHE

CONSEGUENTI A LESIONI MIDOLLARI

2.1 Premessa

Come abbiamo già accennato nella premessa, il nostro obiettivo è sì scrutare le modificazioni encefaliche e midollari della sostanza bianca e materia grigia e il variare della plasticità cerebrale nel paziente con SCI, ma in particolare perlustrare un campo mai in realtà approfondito nello specifico: quello che concerne le relazioni con le funzioni cognitive superiori, in particolare con quelle frontali.

Negli ultimi decenni molte sono le scoperte fatte inerenti al tema delle lesioni midollari e molte ancora ne sono in corso. Questo è possibile innanzitutto grazie a studi di ricerca mirati allo studio della disfunzione in toto, diretti all’individuazione delle varie correlazioni possibili tra uno SCI e altre funzioni, sistemi e condizioni patologiche e sociali.

Quello che andremo maggiormente a vedere in questo capitolo, sono le correlazioni che, tramite diversi studi nel campo della ricerca, sono emerse tra lesioni midollari (sia complete che incomplete) e alterazioni della morfologia e del funzionamento dei sistemi nervosi superiori, in particolare cercheremo di sottolineare quelle che sono le evidenze emerse nel campo della letteratura soprattutto per quanto concerne i lobi frontali e prefrontali.

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2.2 SCI e dolore neuropatico: come cambiano le strutture corticali, la materia grigia e la sostanza bianca

Uno studio recente del 2013, condotto a Seoul da un gruppo di ricercatori della sezione di Medicina Nucleare (Yoon, 2013), ha evidenziato le relazioni che intercorrono tra dolore cronico neuropatico in pazienti conseguente ad una SCI e cambiamenti della morfologia cerebrale. I risultati della ricerca mostrano importanti anomalie strutturali e funzionali in molte regioni associate con la processazione nocicettiva, come ad esempio le aree corticali dell’insula anteriore, del cingolo anteriore (subgenuale) e le regioni prefrontali (va ricordato che la corteccia del cingolo anteriore è parte della corteccia prefrontale insieme alla prefrontale dorsolaterale e orbitofrontale).

Le alterazioni, anche metaboliche, riscontrate, si è ipotizzano possano essere il risultato di un fallimento della modulazione dolorifica.

Le alterazioni delle sostanza bianca, invece, si sono osservate all’interno della capsula interna, in corrispondenza del peduncolo cerebrale e della sostanza bianca superficiale dell’area prefrontale, che sembra essere associata sia con un’alterata modulazione dolorifica sia con un problema di tipo motorio.

Il dolore neuropatico come conseguenza nei pazienti con SCI è un fattore di rilevante importanza (Nicholson, 2004).

Numerosi studi di neuroimaging hanno rilevato che il cervello opera una sorta di riorganizzazione se posto in condizioni di dolore neuropatico cronico (Schweinhardt and Bushnell, 2010; Tracey and Bushnell, 2009).

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Dal punto di vista funzionale, si evidenzia invece, un decremento del flusso ematico a livello del talamo in sede controlaterale a quella del lato sintomatico e un ipometabolismo a carico dell’insula posteriore e della corteccia cingolata anteriore (ACC) (Iadarola et al., 1995) (Egloff et al., 2009).

Recentemente, studi di risonanza magnetica funzionale (MRI) hanno dimostrato la riorganizzazione della corteccia somatosensoriale primaria (Wrigley et al., 2009a) e un’interruzione del default mode network (DMN) in pazienti con dolore cronico (Baliki et al., 2008; Napadow et al., 2010).

Inoltre, sempre studi condotti con MRI hanno portato alla luce una riduzione volumetrica della materia grigia nel talamo e nella corteccia prefrontale dorsolaterale (Apkarian et al., 2004a), mentre un altro studio riporta una riduzione di materia grigia nell’insula anteriore e nella corteccia prefrontale ventromediale in pazienti con sindrome da dolore cronico complessa (Geha et al., 2008).

Altri studi sono stati condotti invece, tramite l’utilizzo di risonanza magnetica con tensore di diffusione (DTI) (per permettere una ricerca della microstruttura e dell’integrità dei tratti di fibre della sostanza bianca), ed è stato rilevato che in pazienti con dolore neuropatico si registrano cambiamenti anatomici significativi in un numero di regioni cerebrali associate con la percezione sensoriale e la dimensione affettiva del dolore, tra cui il talamo, la corteccia prefrontale, l’insula, l’amigdala e il lobo parietale posteriore (Geha et al., 2008; Gustin et al., 2010; Lutz et al., 2008).

Ciò dimostra che il dolore cronico neuropatico è associato con cambiamenti sia di natura strutturale che funzionale tanto della materia

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grigia quanto della sostanza bianca coinvolte in ampie regioni di percezione e modulazione del dolore.

Tali studi sono stati effettuati tramite l’utilizzo di varie modalità di imaging quali la tomografia a emissione di positroni (PET), l’MRI strutturale e la DTI.

Tramite tali tecniche è stato possibile inoltre anche verificare l’apporto di glucosio nelle diverse regioni cerebrali e, ciò che è emerso è che i pazienti con SCI mostravano un ipometabolismo di questo (glucosio) nel giro frontale. Nessuna regione invece, ha mostrato un aumento del metabolismo del glucosio (Yoon et al., 2013).

Inoltre, per quanto riguarda il volume della materia grigia, lo stesso campione di pazienti con SCI ha registrato una perdita significativa nel giro frontale sinistro, nell’insula e nella corteccia del cingolo anteriore di destra. Nessuna regione invece, ha mostrato un aumento della materia grigia.

Anche la diffusività media (MD) della sostanza bianca è stata oggetto di studi ed è evidente come questa diminuisca in zone cerebrali in cui la sostanza bianca è presente a livello profondo, quali ad esempio la capsula interna destra; ma una riduzione si è registrata anche in aree in cui la sostanza bianca è presente ad un livello più superficiale, quali ad esempio le aree frontali (in modo bilaterale) e l’area parietale. Queste regioni di sostanza bianca formano parte dei tratti corticospinali e talamocorticali. Inoltre, anche il corpo calloso e il fascicolo longitudinale superiore di destra hanno mostrato una diminuzione di sostanza bianca. Secondo quanto appena detto, è evidente che zone quali le aree frontali spesso hanno registrato carenze a diversi livelli. Ad esempio, la corteccia

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prefrontale dorsolaterale (DLPFC) sinistra è risultata carente in pazienti con SCI sia per quanto riguarda il metabolismo del glucosio sia il volume della materia grigia. Con queste premesse non ci stupisce scoprire che sono stati rilevati alcuni casi di dolore cronico in cui la DLPFC ha mostrato addirittura una condizione di atrofia (Apkarian et al., 2004a; Seminowicz et al., 2011; Obermann et al., 2013). Sappiamo inoltre, tramite studi di neuroimaging, che la DLPFC ha un ruolo centrale nella processazione top-down del dolore e che anche il ruolo fondamentale che gioca per quanto riguarda la processazione attentiva (Miller and Cohen, 2001) e quella delle funzioni esecutive (Funahashi, 2001), è correlato ad una modulazione cognitiva dell’elaborazione dolorifica.

Come abbiamo detto, sono stati identificati diminuzione di volume di materia grigia sia nell’insula anteriore che nell’ACC e un metabolismo ridotto nella corteccia prefrontale mediale. Queste regioni cerebrali sono localmente differenti ma funzionalmente si sovrappongono, ed è risaputo che generalmente partecipano tutte nella modulazione dolorifica tramite processi di tipo sia affettivo che cognitivo. L’insula anteriore partecipa agli aspetti emozionali e cognitivi del dolore grazie alla sua reciproca connessione con la corteccia prefrontale, la corteccia anteriore del cingolo e l’amigdala, permettendo all’informazione afferente di tipo nocicettivo di essere integrata con l’informazione correlata alla working memory, all’emozione e all’attenzione (Craig, 2009; Peltz et al., 2011). Studi di neuroimaging funzionale hanno indicato che l’ACC gioca un ruolo fondamentale nel controllo endogeno del dolore. L’attività della corteccia anteriore del cingolo è stata osservata anche nell’analgesia placebo (Bingel et al., 2006), nella modulazione attenzionale del dolore (Valet et al., 2004) e nell’abituazione al dolore (Bingel et al., 2007).

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Pazienti con dolore cronico mostrano un danneggiamento a carico del sistema di decision making emozionale, che implica il coinvolgimento della corteccia prefrontale mediale dei meccanismi neurali del dolore neuropatico, in quanto tale corteccia è risaputo modulare la valutazione emozionale relativa a sé stessi (Apkarian et al., 2004b; Geha et al., 2008). I pazienti con sindrome da dolore cronico mostrano atrofia della corteccia prefrontale mediale, e la forza della connettività della sostanza bianca tra questa e il nucleo accumbens è stata vista correlare ad un aumento dell’ansia (Geha et al., 2008).

Molte delle regioni cerebrali che hanno mostrato anomalie, quali la corteccia prefrontale dorsolaterale e la corteccia anteriore del cingolo, è risaputo che risultano danneggiate nella depressione (Brooks et al., 2009; Koolschijn et al., 2009).

Inoltre si crede che la causa maggiore di queste anomalie non sia un fenotipo depressivo ma il dolore cronico.

Uno dei risultati più rilevanti di questo studio è che la sostanza bianca cambi a livello della capsula interna (composta da fibre assonali che connettono la corteccia con il midollo spinale e il talamo). I cambiamenti nella capsula interna e nella sostanza bianca superficiale suggeriscono la possibilità di anomalie in connessioni cortico-sottocorticali in pazienti con dolore neuropatico conseguente a SCI.

La diminuzione di MD è stata osservata quindi soprattutto nelle aree prefrontali. La corteccia prefrontale è coinvolta nella processazione cognitiva e attenzionale degli stimoli dolorosi (Coghill et al., 1999; Peyron et al., 1999) ed è importante per il set-shifting (Sullivan et al., 2010). Inoltre, l’MD mostra anche una sostanza bianca prefrontale sinistra che correla positivamente con il metabolismo della corteccia prefrontale mediale.

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Sebbene in questo studio (Yoon, 2013) non sia stata soddisfatta la soglia statistica, l’MD nella sostanza bianca prefrontale sinistra mostra anche una correlazione positiva con il metabolismo nel giro mediale frontale.

2.3 SCI e infiammazione cerebrale

Si può dire che, nella tradizione scientifica, il concetto che una SCI causi cambiamenti cerebrali sia stato grossolanamente ristretto alle alterazioni delle vie afferenti ed efferenti (Wu et al., 2014). In ogni caso, i cambiamenti fin ora descritti, come abbiamo visto, sono stati individuati in zone cerebrali associate alla modulazione dolorifica, ma ciò che è rilevante è che oltre a cambiamenti morfologici e strutturali, è stata riportata anche una condizione di infiammazione cronica in specifiche sedi, associata ad alterazioni elettrofisiologiche e della plasticità (Hains et al., 2005; Hubscher and Johnsin, 2006; Zhao et al., 2007; Knerlich-Lukoschus et al., 2011; Yoon et al., 2013).

L’elevata azione neuroinfiammatoria è stata registrata non solo in zone cerebrali che regolano la sensazione dolorifica (Wu et al., 2013), ma in modo più diffuso anche alla corteccia, al talamo e all’ippocampo (Wu et al., 2014).

Wu e collaboratori hanno dimostrato, partendo da studi effettuati su topi, che la lesione non causa soltanto un deficit a livello locomotorio, ma anche cambiamenti cognitivi e comportamenti simil-depressivi. E’ proprio quest’ultimo comportamento ad essere associato ad un aumento dell’attivazione della microglia e ad una perdita neuronale nell’ippocampo e nella corteccia cerebrale.

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La microglia reattiva produce specie reattive dell’ossigeno e dell’azoto, citochine proinfiammatorie, metalloproteasi di matrice e fattori neutrofici: tutte molecole che, una volta prodotte, sono in grado di influenzare in modo negativo la funzione di neuroni e astrociti.

Immagine tratta da: Searching for the Mind

E’ stato inoltre osservato, in seguito ad una SCI, un incremento nelle stesse regioni dell’espressione dei geni del ciclo cellulare (in inglese CCA = cell cicle activation) e delle proteine. Ognuno di questi cambiamenti però, si è visto attenuarsi se si inibiscono le vie del ciclo cellulare.

In letteratura, numerosi sono gli studi clinici inerenti alla probabilità di insorgenza della depressione in seguito ad uno SCI. L’importanza dello studio condotto da Wu e collaboratori risiede però nell’aver dedotto che tale depressione (successiva a lesione midollare) può essere modificata inibendo la risposta infiammatoria post-traumatica (Wu et al., 2014).

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Inoltre, gli stessi dati suggeriscono che tale depressione può in parte riflettere i cambiamenti fisiopatologici in atto nel cervello e dunque richiedere un approccio al trattamento diverso dal classico trattamento con antidepressivi (Wu et al., 2014).

L’attivazione della microglia è stata a lungo correlata a cambiamenti nelle funzioni cognitive dovuti all’effetto sui neuroni sia diretto che indiretto. Due studi clinici più recenti, hanno inoltre scoperto l’importanza dell’attivazione della microglia nella neurodegenerazione cronica dopo un TBI (Traumatic Brain Injury) (Ramlackhansingh et al., 2011; Johnson et al., 2013). In ultimo, non per importanza, si è giunti alla scoperta che anche una lesione spinale midollare causa, a livello cerebrale, un’attivazione cronica della microglia (Wu et al., 2014).

È stato inoltre dimostrato che una SCI induce un significativo aumento sia dei geni di attivazione microgliare M1 che dell’espressione di MHC II nell’ippocampo. Dopo una SCI, anche la citochina proinfiammatoria IL6 risulta in quantità maggiori nel talamo e nell’ippocampo, in quest’ultimo in concomitanza anche all’aumento dell’espressione del gene IL10.

Il ruolo del CCA nella fisiopatologia della SCI è stato studiato in modo approfondito focalizzandosi maggiormente sul sito della lesione primaria (Di Giovanni et al., 2003; Tian et al., 2007; Wu et al., 2011; Wu et al., 2012). Più recentemente è stato anche visto che il CCA contribuisce all’attivazione microgliare remota dopo una SCI toracica, includendo anche quella che avviene nel talamo e nel corno dorsale lombare-spinale (Wu et al., 2014); ciò è stato dedotto osservando la riduzione dell’attivazione della microglia che avviene in queste aree dopo un’inibizione del CCA (Wu et al, 2013a; Wu et al., 2013b). Dati precedenti, per quanto concerne SCI e TBI, hanno mostrato come gli

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inibitori del ciclo cellulare, tra cui il CR8, attenuano in modo potente e diretto la neuroinfiammazione (Di Giovanni et al., 2005; Byrnes et al., 2007; Hilton et al., 2008; Kabadi et al., 2012°; Kabadi et al., 2012b; Wu et al., 2012b; Wu et al., 2013a; Wu et al, 2013b; Kabadi et al., 2014). Si può dedurre quindi quanto l’iniziazione del ciclo cellulare (CCA) giochi un ruolo di primo piano nell’attivazione della microglia (Wu et al., 2014).

Una SCI può, quindi, anche alterare funzioni del sistema immunitario (Ankeny and Popovich, 2009) che possono avere ripercussioni secondarie sull’encefalo.

Ricapitolando, è stato visto che una SCI induce neuroinfiammazione cronica e neurodegenerazione cerebrale (Wu et al., 2014). Si può dire che i cambiamenti sono simili a quelli osservati a seguito di un TBI: neurodegenerazione progressiva nel cervello, associata a declino cognitivo e depressione fisiologica. Queste scoperte, se clinicamente confermate, possono cambiare in modo considerevole il concetto sulla natura di una SCI in disordine neurodegenerativo focale e acuto (Wu et al., 2014). Possiamo concludere quindi che l’inibizione del ciclo cellulare può limitare alcuni di questi cambiamenti e ciò è di fondamentale importanza nell’ottica di un nuovo approccio alla terapia clinica, che potrebbe così potenzialmente bloccare molte delle conseguenze funzionali della SCI. Inoltre, anche la scoperta che l’attivazione del ciclo cellulare continui cronicamente anche dopo una SCI in ogni regione associata a conseguenze a lungo termine dovute alla lesione, può permettere un trattamento con un’ampia finestra terapeutica che prima non era stata considerata.

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2.4 Comorbidità tra Spinal Cord Injury e Traumatic Brain Injury

Generalmente, possiamo trovare anche condizioni in cui la lesione midollare è accompagnata ad un altro tipo di lesione, quella a livello cerebrale.

La lesione cerebrale di tipo traumatico (TBI, dall’inglese Traumatic Brain Injury) è una tipica condizione di comorbidità che spesso possiamo trovare associata con una SCI. Infatti, il 16-74% delle persone che subiscono una lesione midollare traumatica presentano comorbidità anche con TBI (Bombardier et al., 2016).

In letteratura, è stato riportato che tra le persone con SCI, il 30-34% sono affette anche da TBI lieve, l’11-16% da TBI moderato mentre un 6-10% presentano TBI severo (Hagen et al., 2010; Macciocchi et al. 2008). Casi di concomitanza tra i due tipi di lesione, è stato visto correlare con esiti riabilitativi peggiori e livelli di disabilità più gravi. Confronto a pazienti che presentano unicamente SCI senza TBI, in quelli con SCI e TBI insieme sono stati registrati livelli di indipendenza funzionale più bassa nel momento dell’inizio della riabilitazione e di conseguenza minori miglioramenti sul piano funzionale durante la riabilitazione stessa (Macciocchi et al., 2004). Durante il periodo riabilitativo, persone con tetraplegia e TBI mostrano abilità di memoria e problem solving più carenti rispetto a quelli senza TBI (Macciocchi et al., 2012) (ipotizzabile dal basso rendimento delle cortecce prefrontali alterate).

Una SCI, unitamente ad una TBI, si traduce in una durata maggiore del periodo di riabilitazione, accompagnata da autonomia funzionale più bassa e carenze in compiti di problem solving, di memoria e di velocità di processazione dell’informazione (Macciocchi et al., 2012).

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Nonostante ciò, la statistica che misura la reciprocità tra TBI e SCI è controversa: uno studio ha rilevato un adattamento peggiore due anni dopo una SCI rispetto ad una TBI (Richards et al., 1991), mentre un altro studio ha enfatizzato che pazienti con SCI e pazienti con TBI ottengono esiti simili tre anni dopo la lesione. (Nott et al., 2014).

Infine è stato dedotto che pazienti con SCI acuta sono potenzialmente più esposti a fonti in grado di portare ad un’alterazione dello stato mentale o a buchi di memoria (Bombardier et al., 2016).

2.5 Riconoscimento emotivo e attivazione del Sistema Autonomo in pazienti con SCI

Un altro studio degno di nota è quello recentissimo (Febbraio 2017) condotto dal cileno Gonzalo Varas-Dìaz, volto ad indagare il funzionamento del sistema autonomo in compiti di riconoscimento emotivo in pazienti con SCI.

Alcuni studi precedenti hanno riportato che l’attività autonoma gioca un ruolo importante in compiti di social cognition e che la difficoltà nell’interpretazione dell’informazione sociale è osservata in numerosi disordini mentali, che a loro volta correlano con una scarsa regolazione del Sistema Nervoso Autonomo (SNA). È stato meglio visto che soggetti con SCI presentano un’alterazione nella regolazione dei meccanismi del SNA. Tale studio ha ipotizzato che i pazienti con SCI che stanno sperimentando un periodo di adattamento e inserimento socio-lavorativo, mostrano alterazioni nel compito di riconoscimento emotivo, una componente della Social Cognition (anch’essa correla con una scarsa regolazione del SNA) (Varas-Dìaz; 2017). I risultati ottenuti hanno

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mostrato che pazienti con SCI hanno bassi livelli di meccanismi di regolazione del SNA che possono avere ripercussioni sulla social cognition durante il loro reinserimento nella vita quotidiana.

Inoltre è stato visto come cambiamenti tipici nei pazienti con lesione midollare delle risposte corporee e dell’arousal, soprattutto determinati dall’attività del sistema autonomo, possano influenzare la processazione emotiva, che a sua volta, può avere ripercussioni negative in pazienti con SCI nei processi di inserimento sociale (Inoue et al., 1995; Appelhans and Luecken, 2006).

In questo contesto è stato riportato che disordini dell’umore in persone con SCI sono associati, a loro volta, ad una serie di peggioramenti, quali periodi più lunghi di ospedalizzazione, scaturimento di condizioni mediche secondarie, un minore adattamento nell’integrazione sociale ed un’aumentata dipendenza dalle cure rivolte a sé (Munce et al., 2015). Quando si parla di Social Cognition si intende la capacità di percepire e generare risposte alle intenzioni e ai comportamenti altrui (Green et al., 2008).

Le emozioni che le persone esperiscono mentre interagiscono con il loro ambiente sono correlate a costanti cambiamenti fisiologici (Damasio et al., 2000). Un sistema chiave coinvolto nella generazione dell’attivazione fisiologica è il sistema nervoso autonomo, responsabile del bilanciamento dell’attività simpatica e parasimpatica (Berntson et al., 2003; Appelhans and Luecken, 2006; Rodrigues et al., 2016). Un metodo utilizzato per esplorare la relazione tra l’attività del SNA e la processazione emozionale è l’analisi della variabilità della frequenza cardiaca (HRV, in inglese Heart Rate Variability) (Appelhans and Luecken, 2006). La misurazione della variabilità della frequenza cardiaca è considerata uno strumento efficace per quantificare la regolazione

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simpatovagale dopo una SCI (Malmqvist et al., 2015). Inoltre, l’analisi della variabilità della frequenza cardiaca è importante come misura oggettiva di risposta emozionale e delle funzioni associate alla Social Cognition e alla ToM (Teoria della Mente) (Prumprla et al., 2002; Quintana et al., 2012).

Studi precedenti hanno dimostrato che il controllo simpatico cardiovascolare nei pazienti con SCI al di sopra del segmento spinale T6 è danneggiato o, in alcuni casi, addirittura assente (Malmqvist et al., 2015). Di conseguenza, i disordini cardiovascolari possono presentarsi come ridotta frequenza cardiaca, quindi bradicardia, ipotensione arteriosa e disreflessia autonomica (Oh and Eun, 2015; Serra-Ano et al., 2015). Inoltre, sebbene l’innervazione simpatica sia preservata nei pazienti con SCI al di sotto del T6, ci possono comunque essere disordini del Sistema Autonomo, come una diminuita influenza del parasimpatico nella frequenza cardiaca (Bunten et al., 1998; Claydon and Krassioukov, 2008; Jan et al., 2013).

I pazienti con SCI reclutati per questo studio avevano un’alterazione della scala ASIA di tipo A e B.

Ritornando agli studi, è emerso che un SNA alterato nei pazienti con SCI può portare ad una ridotta capacità di risposte adattive ai diversi stimoli ambientali (Bunten et al., 1998; Claydon and Krassioukov, 2008). È stata valutata anche la componente affettiva della ToM, in soggetti sani e con SCI, che stavano sperimentando un periodo di adattamento e inserimento socio-lavorativo. In ogni caso, ci sono pochissimi lavori che indagano le alterazioni dell’attività parasimpatica nei pazienti con SCI e il suo impatto con le funzioni fisiche e cognitive. Alcuni studi hanno descritto che la disfunzione autonomica parasimpatica cardiaca in pazienti con

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SCI al di sotto del T6 può essere dovuta all’immobilità forzata, associata ad un’alterata vascolarizzazione dei muscoli paralizzati e, di conseguenza, una costrizione sulla sedia a rotelle e ad uno stile di vita sedentario (Serra-Ano et al., 2015).

Quindi, l’HRV (variabilità della frequenza cardiaca) riflette l’attività parasimpatica e simpatovagale, che è maggiore nei soggetti sani. Una risposta del perché ciò accade, si potrebbe trovare in due teorie: la Teoria Polivagale e il Modello di Integrazione Neuroviscerale. Questi modelli sono importanti per il nostro lavoro, in quanto suggeriscono che, è tramite l’attività del sistema vagale e della corteccia prefrontale che si esercita un’influenza inibitoria sul nodo sinoatriale, riducendo la sua attività (aumenta HRV). Questo è stato considerato vantaggioso per quanto riguarda l’interazione con l’ambiente e le funzioni di Social Cognition (Thayer and Lane; 2000; Amodio and Frith, 2006). In tal modo l’HRV può essere correlata alla Social Cognition data la sua relazione con l’attività delle strutture neurali prefrontali (Lane et al., 2009; Thayer and Lane, 2009; Quintana et al., 2012).

Inoltre, anche il fatto di avere disordini dell’umore è associato ad alti livelli di ansia e bassi livelli di self-efficacy, quindi la conseguenza è una riduzione della fiducia che i soggetti ripongono nelle proprie abilità per portare a termine un compito e raggiungere dunque gli obiettivi (Munce et al., 2015).

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2.6 Ipotensione arteriosa e indebolimento dei sistemi cognitivi in soggetti con SCI

Come già accennato nello scorso paragrafo, solitamente le persone con SCI tendono a registrare bassi livelli di pressione arteriosa, peggiorata da una situazione di costrizione posturale (Claydon et al., 2006; Handrakis et al., 2009; Krassioukov et al., 2006; Wecht et al., 2005; Wecht et al, 2006).

Generalmente, la condizione di ipotensione sistemica si è vista correlare, tanto in soggetti con SCI quanto in soggetti sani (Costa et al., 1998; Duschek et al., 2005 e 2003; Weisz et al., 2002), con tempi di reazione minori, basse capacità di attenzione sostenuta e compiti carenti di Working Memory (Duschek et al.; 2003, 2004, 2005).

È stato stimato che, una percetuale di soggetti con SCI, compresi tra il 10 e il 60%, risentono di un indebolimento cognitivo in diverse aree, quali quelle deputate alla velocità di processamento, all’attenzione, alla memoria e alla flessibilità cognitiva, concentrazione e problem solving (Davidoff et al., 1992; Dowler et al., 1995, 1997).

Tali funzioni sono state indagate grazie alla somministazione di alcuni reattivi neuropsicologici, quali ad esempio: la Wechsler Abbreviated Scale of Intelligence (WAIS) per quanto concerne l’intelligenza (Wechsler; 1999); la California Verbal Learning Test-II (CVLT-II) per la memoria (Delis et al., 2000); il Controlled Oral Word Association Test (COWAT) per quanto riguarda il linguaggio (Benton et al., 1994); l’Oral Trails A (Ricker et al., 1994), la Wechsler Adult Intelligence Scale-III Digit Span Test (Wechsler, 1997) e lo Stroop Test (Golden, 1978) per indagare l’attenzione e la velocità di elaborazione; e l’Oral Trails B e nuovamente lo Stroop Test per le funzioni esecutive.

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Dagli studi descritti finora abbiamo visto che una SCI può causare, tramite una serie di meccanismi retrogradi ed anterogradi, una riorganizzazione sia della corteccia cerebrale quanto del talamo (Nardone et al., 2013). Precedentemente, studi anatomici e sperimentali hanno anche mostrato che il nucleo talamico manda alcuni tra i suoi maggiori efferenti corticali alla formazione ippocampale (Cavdar et al., 2008), che gioca un ruolo da protagonista nei compiti di memoria.

Incrociando tali dati con quelli appena visti sullo studio delle funzioni cognitive tramite reattivi neuropsicologici è stato quindi concluso che, una condizione di ipotensione, persistente o intermittente in individui con SCI, può contribuire ad indebolire e danneggiare la memoria e i diversi sistemi cognitivi.

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CAPITOLO 3

LE FUNZIONI ESECUTIVE

3.1 Funzioni esecutive e corteccia prefrontale

La concettualizzazione del funzionamento esecutivo è stata ampiamente dibattuta a causa della difficile definizione. E’ stata definita da Burgess come “The ability that allows the establishing of new patterns of behaviour and ways of thinking and of having an insight into them” (Burgess, 2003).

Le funzioni esecutive fanno riferimento a processi di controllo principalmente mediati dai lobi frontali e coinvolti nel regolamento dei processi cognitivi e delle risposte comportamentali. Grazie alla selezione e alla generazione di risposte adeguate verso l’ambiente, svolgono una funzione adattiva negli esseri umani.

I primi tentativi di descrivere l’attività dei lobi frontali furono da parte di Luria, nel 1967 (A.R. Luria, 1967), il quale affermò che le funzioni esecutive permettono la programmazione, la regolazione e il feedback sui processi cognitivi e sul comportamento.

Dopo Luria, Norman e Shallice (1980; 1986) hanno postulato un modello di funzionamento del sistema attenzionale basato sulla differenza tra azioni usuali ed inusuali e meccanismi di controllo nella selezione delle azioni:

• Il primo meccanismo (Contention scheduler o scheduling) (CS) opera in normali situazioni attraverso la selezione di schemi di risposta basate su immediate proprietà del contesto ambientale;

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• Il secondo meccanismo (Supervisory Attentional System) (SAS) opera in situazioni inusuali e quando occorre risolvere nuovi problemi o problemi per i quali non è disponibile una soluzione già sperimentata.

Il SAS:

- Monitora l’attivazione di schemi appropriati da parte del CS; - Sopprime risposte inappropriate;

- Presiede alla creazione di nuovi schemi.

L’esempio classico a cui si fa ricorso per spiegare SAS e CS è lo squillo del telefono: il SAS, come si è detto, può sopprimere le risposte abituali elaborate dal CS (esempio: lo squillo del telefono può attivare lo schema “risposta al telefono” ma il SAS può inibire questa risposta se il telefono in questione non è il mio).

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Tra i vari studi in merito ai lobi frontali, vanno sicuramente riconosciuti quelli condotti da Baddeley (2003): egli ha concepito la Working Memory come un sistema multicomponenziale che permette di mantenere e manipolare informazioni utili al soggetto per le attività che si trova a svolgere.

Lo stesso Baddeley inoltre, ha sviluppato il concetto di SAS (1986; 1990), ipotizzando la presenza di un Esecutivo Centrale, ossia un sistema di controllo in grado di coordinare l’attività dei sistemi schiavi, indirizzando le risorse attenzionali nel giusto modo e coordinando l’esecuzione di compiti diversi nello stesso tempo (capacità di dual-task).

Il funzionamento esecutivo è presente in tutti gli aspetti dell’agire umano e consiste nelle abilità di pianificazione, flessibilità mentale, attenzione selettiva, controllo inibitorio, capacità di decision-making e set-shifting. Tutte le abilità esecutive sono associate prevalentemente ad un buon funzionamento delle aree corticali prefrontali. La corteccia prefrontale ha il ruolo di “direzione guida di tutte le abilità che il sistema nervoso centrale può organizzare ed eseguire” (Mazzucchi, 2012).

In precedenza Goldberg aveva definito i lobi frontali come “la torre di controllo” o il “direttore d’orchestra” di svariati processi cognitivi, organizzati in complesse reti neurali, che saranno attivate o disattivate in relazione al compito esterno da eseguire (Goldberg, 2009).

La corteccia prefrontale viene convenzionalmente divisa, per attività e ruolo che svolge, in corteccia prefrontale dorso-laterale, corteccia orbito-frontale e corteccia del cingolo anteriore (come vedremo meglio in seguito).

Riferimenti

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