• Non ci sono risultati.

4.5 Acquisizioni e Risultati

4.5.2 Risultati su Tessuti ex-vivo

Per eseguire test su tessuti ex-vivo sono stati utilizzati petto di pollo e fegato suino e bovino. La scelta `e legata al fatto che il petto di pollo `e un tessuto estremamente omogeneo, facilmente reperibile e a basso costo, mentre il fegato `e il pi`u impiegato in letteratura per questo genere di applicazioni [7–14]. Sono state eseguite 10 serie di test, 7 su petto di pollo e 3 su fegato. Ogni volta il campione veniva legato sopra un assorbitore per garantirne l’immobilit`a (Figura 4.14) e poi immerso in acqua degasata per favorire il passaggio degli ultrasuoni.

Figura 4.14: Fegato di suino su cui sono stati eseguiti i test.

Esattamente come per i phantom, i test sono stati effettuati variando la potenza e la durata e dell’impulso. Anche il protocollo utilizzato `e il medesimo. In Fi- gura 4.15 sono mostrate le mappe di displacement ottenute inviando impulsi di durata fissa (10 ms) e ampiezza variabile, su un petto di pollo. Invece in Figu- ra 4.16 `e possibile osservare il displacement generato da impulsi di ampiezza pari al 35% inviati per differenti intervalli temporali. I risultati ottenuti rispecchiano esattamente quelli conseguiti con il phantom; l’unica differenza in questo caso `e che il displacement `e leggermente inferiore, perch`e il modulo di Young del petto di pollo `e superiore a quello del phantom. Questo risultato `e precisamente ci`o che ci si aspettava dalla teoria, secondo la quale a rigidit`a maggiore del tessuto, corrisponde displacement inferiore.

(a) A = 30% (b) A = 35%

(c) A = 40%

Figura 4.15: Test su petto di pollo: mappa del displacement misurato con A variabile e t = 10 ms.

(a) t = 5 ms (b) t = 10 ms

(c) t = 15 ms

Figura 4.16: Test su petto di pollo: mappa del displacement misurato con t variabile e A = 35%.

Per quanto riguarda i test sul fegato, sempre ricollegandosi a questo ragionamento, ci si aspetta uno spostamento piuttosto elevato, considerando che `e uno dei tes- suti col pi`u basso modulo di Young (∼0.8 kPa). Nelle immagini seguenti vengono mostrate prima le mappe con ampiezza costante e pari al 35% (Figura 4.17), poi quelle con tempo di sparo fisso e pari a 10 ms (Figura 4.18) ottenute nei test col

fegato.

(a) t = 5 ms (b) t = 10 ms

(c) t = 15 ms

Figura 4.17: Test su fegato: mappa del displacement misurato con t variabile e A = 35%.

(a) A = 10% (b) A = 20%

(c) A = 30%

Figura 4.18: Test su fegato: mappa del displacement misurato con A variabile e t = 10 ms.

I set di immagini presentati in effetti mostrano un notevole displacement nel tes- suto, anche per spari di bassa potenza (A = 10%) e breve durata (t = 5 ms). Ovviamente, tanto pi`u sar`a elastico il tessuto, tanto maggiore sar`a il displacement provocato, e quindi si rilever`a pi`u semplice andare ad individuare la zona di fuoco

dell’impulso. `

E possibile quindi affermare che la tecnica di elastografia ARFI fornisce ottimi e promettenti risultati per l’individuazione del punto di fuoco prima dell’applica- zione di un trattamento con ultrasuoni focalizzati ad alta intensit`a. Nel capitolo seguente verranno affrontate della valutazioni su questo tipo di elastografia come mezzo per valutare la riuscita di tale trattamento.

ARFI Post-Trattamento

L’elastografia ARFI si `e rivelata essere un buon indicatore del punto di fuoco di un trattamento HIFU. Al fine di valutare l’affidabilit`a e i risultati di questa tec- nica, sono state ripetute varie prove sia su phantom che su tessuti ex-vivo. Allo stesso modo, sono stati eseguiti molteplici test per capire se l’ARFI sia o meno un metodo valido per indagare la riuscita di un trattamento con ultrasuoni focalizzati ad alta intensit`a. Prima di compiere qualunque tipo di prova, sono state studiate di nuovo le propriet`a dei materali, perch`e il phantom precedentemente realizzato non era adatto per questa nuova applicazione. Infine sono state confrontate le pre- stazioni dell’ARFI rispetto ad un dispositivo elastografico commerciale, in modo da valutarne gli eventuali pregi e difetti.

5.1

Phantom con Lesione

Come `e stato detto in precedenza, lo scopo di questo lavoro `e quello di dimostrare se esiste la possibilit`a di impiegare l’ARFI per individuare la zona di fuoco prima di una sonicazione, e di andare in seguito a verificare la riuscita del trattamento. Il phantom di cui si `e discusso nel Capitolo precedente (Sezione 4.2.1) `e un ottimo mezzo per simulare un tessuto sano. Purtroppo non `e allo stesso tempo adatto a rappresentare un tessuto necrotizzato. Infatti, provando a colpire il phantom con intensit`a del fascio ultrasonico tali da formare sicuramente una lesione su un tessuto, non `e stato sortito alcun effetto sul phantom realizzato. Si `e quindi reso necessario inserire all’interno del phantom un’inclusione rigida che potesse rappresentare una lesione HIFU.

L’effetto sui tessuti degli ultrasuoni focalizzati ad alt`a intesit`a `e quello di provocare

un netto indurimento della zona di fuoco, portando il modulo di Young in quella regione anche a quadruplicare [13]. Di conseguenza, ci`o che `e richiesto per simulare un tessuto ablato, `e solamente un indurimento del materiale. Come `e gi`a stato detto, basta aumentare il bloom number della gelatina per portare ad un aumento di rigidezza, purtroppo per`o ci`o non `e sufficiente in questo caso. Se si decidesse di realizzare la lesione con lo stesso procedimento, variando solo il bloom number della gelatina, questa si scioglierebbe inevitabilmente una volta inserita nel phantom. Visto che l’inclusione va inserita nel phantom prima che questo si solidifichi (per evitare la formazione di cavit`a d’aria), `e chiaro che si crea un’incompatibilit`a con la necessit`a di mantenere l’inclusione allo stato solido, perch`e verrebbe inserita in un liquido ad una temperatura superiore a quella del suo punto di fusione.

Per superare questa difficolt`a si `e pensato di utilizzare una nuova ricetta, nella quale l’agar non svolge la mera funzione di particella di scattering, ma costituisce una parte della matrice del tessuto. Infatti, l’aggiunta di questa sostanza, permette di innalzare la temperatura di fusione ad un valore di circa 80°C.

5.1.1 Preparazione del Phantom

La ricetta seguita per la produzione di un volume totale di 100 ml di phantom volto a simulare la lesione (Figura 5.1), prevede i seguenti passaggi:

• prendere 100 ml di acqua deionizzata e degasata e iniziare a scaldarla. • non appena la temperatura dell’acqua sar`a di circa 45°C, aggiungere 6.67 g

di gelatina (175 g bloom, Type A, Sigma Aldrich). Continuare a scaldare e girare il composto.

• quando la temperatura sar`a di circa 85°C - 90°C, aggiungere 1 g di agar. La miscela non deve bollire e dopo essere stata mescolata per alcuni minu- ti a 90°C, dovr`a essere fatta raffreddare fino a 35°C - 40°C continuando a mescolare.

• il prodotto dovr`a riposare per un giorno in frigorifero a 10°C prima di essere pronto per i test.

Trascorse le 24 ore richieste per la solidificazione del prodotto, il cilindro di ma- teriale realizzato pu`o essere inserito all’interno del phantom originale mentre que- st’ultimo si trova ancora allo stato liquido (Figura 5.2).

Figura 5.1: Lesione simulata.

Figura 5.2: Phantom con lesione simulata.

comprensione dei risultati ottenuti dalle prove su tessuti ex-vivo, si rende neces- saria una breve trattazione sulle proteine e la loro struttura, e nello specifico sul loro comportamento in relazione al calore.

5.2

Acquisizioni e Risultati

Nel corso di questa seconda fase di lavoro sono stati svolti circa 10 test su phan- tom e 15 su tessuti ex-vivo, per un totale di oltre 100 mappe. Ciascun test `e stato eseguito variando la potenza e/o la durata degli impulsi ARFI. Anche in questo caso il primo passo da compiere prima di eseguire un test, `e controllare la posi- zione del materiale oggetto di studio, rispetto al trasduttore. Attraverso imaging B-Mode `e possibile individuare il punto che si vuole valutare, e quindi impostare di conseguenza la profondit`a dell’impulso e la lunghezza della mappa. Nelle Figu- re 5.3 e 5.4 sono mostrati due esempi di immagini B-Mode con in sovrimpressione le lunghezze misurate.

A questo punto, sia per quanto riguarda i phantom che per quanto riguarda i tessuti ex-vivo, si procede col protocollo di acquisizione precedentemente trattato (Sezione 4.3), e da linea di comandi si richiamano le funzioni che permettono di

Figura 5.3: Immagine B-Mode del phantom con lesione.

Figura 5.4: Immagine B-Mode del fegato.

inviare l’impulso ARFI e di registrarne gli echi di ritorno. Oltre alla posizione del punto di fuoco e alla lunghezza desiderata per la mappa, andranno inseriti di volta in volta anche la potenza dell’impulso e la sua durata.

Documenti correlati