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Francesca Delvecchio

SOMMARIO: 1. Le presunzioni legali «nell’epoca dei giudici». 2. Preasumptio iuris et de iure e iuris tantum: un preliminare inquadramento dogmatico. 3. I

modelli presuntivi di accertamento nel processo penale. 4. Congegni presunti- vi e insicurezza sociale: l’equilibrio ordinamentale è a rischio?

Abstract

At the present day, the constitutional and conventional model as- sessment appears less “legicentric” and more open to the contribution (if not to the domain) of jurisprudence, intending to substitute the lack of precision of the legal provisions.

The legislator seems to proceed in the opposite direction, committed to include legal presumptions, almost absolute, that anticipate the judgment on evidence, subtracting it from the freedom of conscience of the judge. The aim is to make the results of the assessment predictable and to make irrelevant the empirical evidences.

Faced with this trend, the scholar is called upon to demonstrate whether, and to what extent, the presumptive device can relate, without completely obscuring it, to the cognitive function from which the crim- inal trial remains indissolubly inspired. He is also called to verify whether the legal presumptions can alter the institutional balance, justi- fying (well beyond the threshold of tolerability) the legislator’s inva- sions in the “forbidden garden” of judicial discretion.

1. Le presunzioni legali «nell’epoca dei giudici»1

Archiviato il tempo delle «norme scolpite nel marmo»2, il modello

costituzionale e convenzionale d’accertamento contemporaneo appare sempre meno “legicentrico” e sempre più aperto al contributo (se non al dominio) giurisprudenziale, teso a surrogare sul piano interpretativo al- l’inevitabile deficit di determinatezza dei precetti elaborati dai

conditores.

Ormai disincantati dal mito della legalità formale, ci si affida oggi all’autorità giudiziaria e al suo approccio case by case per la tutela dei diritti dei consociati, nella convinzione che quel mero rapporto di iden- tità tra lo schema delineato dalla fonte legislativa e l’atto in apparenza riproduttivo di quello schema sia ormai insufficiente a descrivere i meccanismi dell’epistemologia.

Pur senza tradire il metodo della conoscenza cristallizzato nel codice di rito, da più parti comincia a reclamarsi un vero e proprio dovere co- noscitivo del giudice sulla norma, non diversamente da quanto accade nei paesi di common law, ove le regole non vengono mai considerate verità definitive, «bensì ipotesi funzionali, continuamente verificate in quei grandi laboratori del diritto che sono le corti di giustizia»3.

Va subito detto che non vi è unanimità di vedute circa il significati- vo ampliamento della funzione creativa della giurisprudenza.

Taluni guardano a questo sviluppo con occhi ottimistici, valorizzan- do il recupero di quegli spazi di giustizia sostanziale che la norma gene- rale ed astratta inevitabilmente travolge. Quando si prescinde dall’esat- tezza rigorosa della legge – si è detto – non «è perché non si può fare di meglio, bensì perché altrimenti non sarebbe giusto. Quando ci si stacca dalla legge non si fanno dunque delle ‘riduzioni’ della giustizia, ma anzi si trova ciò che è giusto»4.

1 G. INSOLERA, Qualche riflessione e una domanda sulla legalità penale nell’“epo-

ca dei giudici”, in Criminalia, 2012, pp. 285 ss.

2 F. CORDERO, Procedura penale, IX ed., Milano, 2012. La frase citata è nella pre-

messa alla seconda edizione del 1992 ed era riferita al diluvio di riforme normative e di sentenze manipolative che aveva investito il neonato codice di procedura penale.

3 Così M. SMITH, Jurisprudence, New York, 1909, p. 21. 4 H.G. GADAMER, Verità e metodo, Milano, 2001, pp. 369 ss.

Altri, invece, se ne preoccupano, scorgendo in questa tendenza una degenerazione del diritto, destinata a provocare – sul piano interno al processo – decisioni imprevedibili ad opera di giudici privi di alcuna legittimazione democratica e – sul piano esterno – pericolosi scompensi in punto di separazione dei poteri e democraticità delle scelte di incri- minazione.

Pur nell’impossibilità di sintetizzare le posizioni emerse, pare che tutte convergano verso un unico punto di fuga: il «giudice ventrilo- quo»5 è una figura mitologica ampiamente abbandonata.

Parallelamente (rectius: paradossalmente) rispetto a questo trend si è assistito ad una sorta di regresso dell’ars legiferandi: ad ogni apertura verso la concretizzazione giurisprudenziale ha fatto seguito, risultando- ne al contempo causa ed effetto, un trinceramento del sistema penale, irrigidito dall’inserimento di plurimi automatismi legislativi.

Secondo un’efficace definizione, gli automatismi legislativi sarebbe- ro «quelli che, al verificarsi d’una fattispecie concreta descritta con pre- cisione dalla norma, fanno seguire la conseguenza doverosa, altrettanto precisamente definita dalla norma»6.

Da un punto di vista strutturale si può scindere la regola automatica in due elementi: la fattispecie-presupposto, da una parte, e, dall’altra, la conseguenza giuridica ad essa collegata. Se entrambi questi elementi sono configurati dal legislatore in modo così rigido da operare mecca- nicamente siamo dinanzi ad un automatismo.

È un congegno a base presuntiva: ogni automatismo, infatti, vive un rapporto di sostanziale identità con la presunzione che ingloba e che lo giustifica. In virtù di questo meccanismo, quindi, si assume come valida una massima d’esperienza e la si eleva a premessa maggiore del sillogi- smo giudiziario.

Da tempo, però, la dottrina più accorta ha evidenziato come l’id

quod plerumque accidit non possa essere ritenuto un vero e proprio cri-

terio statistico per mezzo del quale indagare scientificamente la realtà sottostante alle scelte legislative, ma si sostanzia semplicemente in un ricorso generico e apodittico a certi dati di comune esperienza che de-

5 L’incisiva espressione si deve a J.P. DAWSON, The Oracles of the Law, Ann Ar-

bor, 1968, p. 410.

notano la mera possibilità che un particolare avvenimento si verifichi con determinate modalità.

Le massime d’esperienza, in altre parole, enunciano solamente una «quasi generalizzazione»7 spesso smentita nel passaggio dalla categoria

generale al fatto specifico. Questi limiti si proiettano sui meccanismi presuntivi, che proprio intorno all’id quod plerumque accidit vengono costruiti, ereditandone i deficit cognitivi8.

Rinviando al proseguo della trattazione per una analisi più appro- fondita sulle presunzioni, per ora è sufficiente mettere in evidenza come questi meccanismi abbiano l’effetto di sollevare il giudice dall’accerta- mento dei merita causae poiché il fatto da provare è stato accertato con antecedenza dal legislatore rispetto a tutti i casi futuri e prescinde da una verifica empirica.

Così, mentre a livello scientifico andava valorizzandosi la discrezio- nalità giudiziaria come garanzia di giustizia effettuale, parallelamente nelle aule del Parlamento si sperimentavano convulsamente modelli presuntivi collegati alla qualità del reato commesso o a particolari con- dizioni soggettive, applicati trasversalmente in ciascuna delle fasi del- l’accertamento, dal giudizio di cognizione, all’esecuzione, passando per le procedure incidentali.

Si tratta allora di capire innanzitutto se, ed in quale misura, il pecu- liare valore assegnato al congegno presuntivo in particolari vicende giudiziarie possa rapportarsi, senza oscurarla del tutto, con la funzione cognitiva cui il processo penale rimane inevitabilmente ispirato. Per poi verificare se i moduli semplificati di accertamento e le fenomenologie presuntive riescano a coesistere nel nostro ordinamento senza innescare pericolosi scompensi sul piano dei rapporti fra i poteri dello Stato.

7 L’espressione è di M. TARUFFO, Considerazioni sulle massime d’esperienza, in

Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, p. 556. Può dirsi ancora valido il tradizionale orienta-

mento secondo cui «[…] le massime d’esperienza devono essere limitate a poche regole fisse e universalmente riconosciute […] e non possono essere dilatate fino ad identifi- carsi col giudizio di probabilità, col giudizio cioè fondato sull’Id quod plerumque

accidit» (G. LEONE, Trattato di diritto processuale penale, II, Napoli, 1961, p. 164).

8 Sulle falle di un modello presuntivo di accertamento «arroccato a quei pregiudizi

di ordine generale nei quali si sostanzia anche la più ragionevole delle presunzioni» v. E.M. CATALANO, Prove, presunzioni e indizi, in A. GAITO (diretto da), La prova

Il raggiungimento di questi obiettivi passa, però, attraverso un pre- liminare studio sulla struttura del paradigma presuntivo, che faccia chiarezza dal punto di vista dogmatico su un istituto ancora oggi molto controverso.

2. Preasumptio iuris et de iure e iuris tantum: un preliminare inqua- dramento dogmatico

Che cos’è una presunzione legale9?

Rispondere a questo interrogativo è tutt’altro che agevole.

L’inesistenza di una norma cui ricollegarsi per ricostruire l’istituto nel processo penale orienta la ricerca verso la nozione di presunzione cristallizzata negli artt. 2727 ss. c.c. In diritto civile, come è noto, le presunzioni legali sono disciplinate nel titolo dedicato alle prove; una tassonomia codicistica che inequivocabilmente le colloca all’interno della categoria delle prove, pur con tutte le riserve formulate dalla dot- trina in argomento10.

Un simile inquadramento, però, già di per sé traballante nel contesto d’origine, appare ancor più instabile ove venga recepito nel processo penale.

Le presunzioni legali, infatti, specie se assolute, non avrebbero «né la struttura né la funzione della prova», integrando piuttosto «un fatto

9 Diamo per acquisita la tradizionale summa divisio di età giustinianea fra

praesumptiones iuris e praesumptiones hominis (o facti), ossia fra quelle imposte diret-

tamente dalla legge e quelle invece sviluppate spontaneamente dal giudice chiamato a dirimere la causa. Queste ultime non saranno oggetto specifico di questo studio, che si concentrerà sulle sole presunzioni legali.

10 Pur definite dall’art. 2727 c.c. come procedimenti logico-conoscitivi in base ai

quali da un fatto noto si risale ad un fatto ignorato, la dottrina ritiene che le presunzioni legali non possano essere assimilate agli strumenti cognitivi; esse appartengono, piutto- sto, al fenomeno della semplificazione analitica della fattispecie oggetto di prova, in virtù della quale la parte è dispensata da qualsiasi obbligo dimostrativo in relazione al fatto presunto. In tema, ex multis, V. ANDRIOLI, voce Presunzioni (dir. proc. civ.), in

Noviss. Dig. it., XIII, Torino, 1966, pp. 765 ss.; V. DENTI, L’inversione dell’onere della

prova: rilievi introduttivi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1992, pp. 709 ss.; M. TARUFFO,

giuridico materiale, al quale la legge riannoda un dato effetto in consi- derazione di un altro fatto (fatto presunto) che secondo l’esperienza vi si accompagna»11.

Se infatti si considera prova ciò che consente al giudice di rievocare tramite una verifica empirica i fatti del passato onde dimostrare la verità di una proposizione – nozione su cui sostanzialmente converge la dot- trina, pur nelle varie formulazioni– non si vede come possa ritenersi sovrapponibile alla presunzione legale, il cui meccanismo riposa su una deduzione dei fatti da provare operata ex ante dal legislatore che sottrae al giudice l’oggetto di prova12.

In altre parole, se adoperiamo una nozione di prova “soggettiva”, “naturalistica”, è evidente che qualsiasi condizionamento per via nor- mativa alla libera ricostruzione operata dal giudice appare contradditto- rio e incompatibile con la premessa: se la prova è uno strumento di convincimento, la legge non può mai imporre una prova, perché un co- mando non persuade, ma costringe.

È pur vero che prove e presunzioni legali assolute costituiscono la piattaforma gnoseologica del giudice, ma a differenziarle vale il metodo seguito per assumere la decisione, basato non già sulla valutazione delle risultanze fattuali, ma su un’attività meramente ricognitiva di effetti giuridici prestabiliti dal legislatore13.

Ciò sancisce l’impossibilità di ricondurre prove e presunzioni ad una categoria unitaria, laddove le prime sono esperienze empiriche che si concludono con un’asserzione di verità che supera il limite del ragione- vole dubbio, le seconde, invece, costituiscono semplici pregiudizi nor- mativi che sfuggono alla libera valutazione del giudice.

11 Questa è la nozione proposta da F. CARNELUTTI, Sistema di diritto processuale

civile, I, Padova, 1936, p. 813.

12 In termini E. FLORIAN, Delle prove penali, I, Milano, 1921, pp. 118 ss.

13 Così, lucidamente, M. TARUFFO, Studi sulla rilevanza della prova, Padova, 1970,

Da questo condivisibile assunto si è giunti a sostenere che le presun- zioni legali assolute potrebbero essere ricondotte alla categoria dogma- tica delle regole di giudizio14.

Questa tesi, che ha il pregio di evidenziare l’irriducibile dualità fra presunzioni e libero convincimento del giudice, può essere accolta solo a condizione di intenderci bene sul significato da attribuire alle regole di giudizio, e al principio di legalità probatoria, più in generale.

Se infatti è vero che nel nostro sistema vige il «principio di legalità della prova»15, che rifiuta valutazioni predeterminate, ma comunque

richiede che ammissione, acquisizione e possibilità di impiego della prova vengano statuite dal legislatore; allora le regole di giudizio rap- presentano proprio quelle norme logiche e giuridiche attraverso cui il principio del libero convincimento del giudice viene incanalato verso la ricerca della verità16.

Accogliendo questa ricostruzione, appare difficile accostare le pre- sunzioni legali assolute alle regole di giudizio, poiché esse non si limi- tano a guidare il libero convincimento lungo il sentiero dell’epistemo- logia tracciato dal legislatore, ma conducono il giudice direttamente alla decisione, bypassando l’accertamento e obbligandolo a compiere un atto dichiarativo delle conseguenze giuridiche previste in astratto dalla legge17.

14 È la posizione di F. CENTORAME, Presunzioni di pericolosità e coercizione caute-

lare, Torino, 2016, p. 55, che comunque conclude per l’inammissibilità di regole di

giudizio così rigide in un sistema, quale è il nostro, retto dal libero convincimento.

15 Su cui diffusamente A. SCALFATI, voce Prova (sagoma e sistema), in ID. (diretto

da), Dig. proc. pen. online, Torino, 2013, pp. 6 ss.

16 Per una definizione delle regole di giudizio si rinvia a P. FERRUA, voce Regole di

giudizio (diritto processuale penale), in Enc. dir., Ann. X, Milano, 2017, pp. 1 ss. Per

ulteriori approfondimenti sul tema v. F.R. DINACCI, voce Regole di giudizio, in Dig.

disc. pen., Agg. VIII, Torino, 2014, pp. 644 ss. V. anche M. DANIELE, Regole di esclu-

sione e regole di valutazione della prova, Torino, 2009, passim. Pur ravvisando nel

«libero convincimento una tecnica di valutazione delle prove», M. NOBILI, Il principio

del libero convincimento del giudice, Milano, 1974, p. 43, precisa però che «nulla ha a

che vedere con le regole che concernono i poteri dei soggetti processuali di delimitare l’oggetto del processo e di introdurre o escludere questo o quel mezzo di prova».

17Cfr. G. FOSCHINI, Sistema di diritto processuale penale, I, Milano, 1965, p. 421.

In termini analoghi anche F. CORDERO, Tre studi sulle prove penali, Milano, 1973,

Qui non vi è alcun dilemma probatorio da risolvere e la regola di giudizio è in realtà la regola della fattispecie, ossia l’equivalenza che la legge istituisce tra due fatti ai fini processuali-istruttori18.

Se allora si vuol parlare delle presunzioni come regole di giudizio, si dovrà necessariamente far riferimento alle “regole di giudicatura” pro- prie di un sistema a prova legale, che postula regole precostituite per la valutazione di un elemento probatorio, obbligando il giudice ad asse- gnare un certo significato al dato istruttorio, a prescindere dalle proprie convinzioni al riguardo19.

Da questo angolo visuale riesce a scorgersi la vera natura delle pre- sunzioni: «prove legali ad efficacia assoluta»20 attraverso cui il legisla-

tore riconosce anticipatamente il valore da attribuire ai fatti oggetto del- l’accertamento giudiziale.

Evidente, allora, la curvatura anti-cognitiva di simili meccanismi che, ipotizzando la colpevolezza anziché accertarla, finiscono per di- sconoscere i presupposti basilari del cognitivismo processuale, ossia la verificabilità e la falsificazionabilità dell’ipotesi accusatoria21.

A ciò si aggiunga che la prova legale per presunzione, risolvendosi nell’affermazione di un fatto prima e a prescindere dalla prova dello stesso, produce l’inevitabile conseguenza di frustrare il principio dialet- tico probatorio: le parti perdono il loro diritto alla prova e subiscono

18 Così F. CORDERO, Il giudizio d’onore, Milano, 1959, pp. 95 ss., il quale precisa

che in simili ipotesi «si coglie l’ombra di quell’equivalenza di fatti giuridici, che è uno dei tratti peculiari della prova legale».

19 Per interessanti riflessioni sul rapporto fra presunzioni e prove legali, in contrap-

posizione con il canone del libero convincimento del giudice, v. M. NOBILI, Il principio

del libero convincimento del giudice, cit., p. 81 ss. In tema si rinvia anche a E. AMODIO,

Libertà e legalità della prova nella disciplina della testimonianza, in Riv. it. dir. proc. pen., 1973, pp. 310 ss.; ID., Prove legali, legalità probatoria e politica processuale, ivi, 1974, pp. 377 ss.; M. CAPPELLETTI, Ritorno al sistema della prova legale, ivi, 1974, pp. 139 ss.

20 Questa definizione si deve a F. CARNELUTTI, op. cit., p. 750. Conf., nel senso che

le presunzioni legali assolute costituiscono delle prove legali, S. BORGHESE, voce Pre-

sunzioni (diritto penale e diritto processuale penale), in Noviss. Dig. it., XIII, Torino,

1966, p. 773; M. FERRAIOLI, voce Presunzione (dir. proc. pen.), in Enc. dir., XXXV,

Milano, 1986, p. 307.

21 Cfr. L. FERRAJOLI, Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, Roma-Bari,

impotenti gli effetti della presunzione; di qui, un simulacro di contrad- dittorio in luogo di quello che, autentico, costituisce la vera spina dorsa- le dell’accertamento22.

Guardando, poi, ai meccanismi presuntivi nella prospettiva dell’im- putato, ci si avvede subito che questi congegni, rinunciando ad accerta-

re la colpevolezza, prestano il fianco ad evidenti dubbi di ordine costi-

tuzionale in relazione all’art. 27 Cost.

Questo precetto costituzionale, in uno con quanto stabilito dagli artt. 24 comma 2, 111 comma 3 Cost., 6 comma 1 della Convenzione europea e 14 comma 1 del Patto internazionale, sancisce il diritto del- l’accusato alla giurisdizione sulla “fondatezza” dell’accusa e all’acqui- sizione dei mezzi e/o delle fonti di prova a discarico23. I meccanismi

presuntivi assoluti appaiono irrimediabilmente distanti da questo para- digma, impedendo all’imputato di fornire prove a discarico che dimo- strino la sua innocenza.

Profili di irrazionalità costituzionale sembrano scorgersi anche in re- lazione al principio di uguaglianza posto che le regole indefettibili, es- sendo indifferenti nei confronti di disparità potenzialmente rilevanti, so- no continuamente esposte al rischio di violazione dell’art. 3 Cost. che, nella sua dimensione negativa, impone di trattare casi diversi in manie- ra differenziata24.

22 In questi termini F. CORDERO, Tre studi sulle prove penali, cit., p. 40 e G. FO-

SCHINI, op. cit., p. 421.

23 Al “diritto alla prova”, nella peculiare prospettiva del diritto di difendersi pro-

vando, si riferiscono gli artt. 111 comma 3 Cost., 6 comma 3 lett. d della Convenzione europea e 14 comma 3 lett. e del Patto internazionale. In tema v. amplius G. UBERTIS, voce Giusto processo, in Enc. dir., Ann. II-1, Milano, 2008, p. 438.

24 Se le presunzioni assolute – secondo la definizione di F. SCHAUER, Le regole del

gioco. Un’analisi delle decisioni prese secondo le regole nel diritto e nella vita quoti- diana, Bologna, 2000, p. 30 – forniscono ragioni per agire e per decidere «semplice-

mente in virtù della loro esistenza in quanto regole, e, pertanto, generano una pressione normativa anche in quei casi in cui le giustificazioni (le rationes) ad esse sottese indi- cano il risultato contrario»; allora – conclude A. TESAURO, Corte costituzionale, auto-

matismi legislativi e bilanciamento in concreto: “giocando con le regole” a proposito di una recente sentenza in tema di perdita della potestà genitoriale e delitto di altera- zione di stato, in Giur. cost., 2012, p. 4911 – queste regole «fanno necessariamente

Non solo. La semplificazione cognitiva che questi meccanismi de- terminano, per quanto possa agevolare le indagini e il successivo accer- tamento, si traduce in una chiara violazione dell’obbligo di motivazione statuito dagli artt. 13 comma 2 e 111 comma 6 Cost. poiché l’autorità giudiziaria sarà esentata dal difficile compito di dimostrare in concreto gli elementi della fattispecie25.

Invero, tutte queste criticità sembrano attenuarsi nel caso delle pre- sunzioni legali relative.

In questi meccanismi, infatti, la sussistenza del fatto presunto, rica- vata sulla scorta del fatto indiziante indicato dal legislatore, non è in- tangibile ma vale solo sino a che non vi sia prova del contrario26.

La possibilità di vincere la presunzione, sebbene ex post, salverebbe quindi queste figure dai rischi di cortocircuito costituzionale prima evi- denziati: non avrebbero quell’inclinazione anti-cognitiva, poiché rie- scono a spezzare la fissazione formale del fatto sacralizzata dalla legge; non vi sarebbe lesione della presunzione d’innocenza e del diritto di difendersi provando, in ragione della possibilità di fornire una smentita a quanto aprioristicamente la presunzione stabilisce; non vi sarebbe neanche la violazione dell’art. 3 Cost., posto che la generalizzazione sui cui riposa è solo provvisoria e, dunque, la sua sovrainclusività è emen- dabile sul terreno dell’interpretazione; non sussisterebbe, infine, il

vulnus al diritto alla motivazione perché il giudice, in presenza di una

prova contraria, recupererebbe l’obbligo di motivare circa il grado di persuasività della stessa prova rispetto alla presunzione legale.

25 Elusione inaccettabile, tanto ove si consideri la dimensione oggettiva dell’obbligo