FINE IV-‐ INIZIO III
IV. IL RITUALE FUNERARIO
Prima di presentare alcune osservazioni sul rituale funerario della necropoli preromana di Oderzo è opportuno sottolineare che l’esiguo campione di tombe analizzato in questo lavoro non può ritenersi rappresentativo dell’intera necropoli.
Dal punto di vista dell’aspetto esteriore della necropoli150, l’area cimiteriale ‘Opera Pia Moro’ si presentava, quanto meno durante la seconda fase d’utilizzo, come un’area forse delimitata da qualche segnacolo, in stretta connessione con una sponda del fiume Navisego, caratterizzata da una distesa di strutture a tumulo cupuliformi delimitate da pezzame litico151 e non troppo distanti l’una dall’altra, ma che probabilmente permetteva alle persone di muoversi
liberamente durante le cerimonie funebri152.
I tumuli venivano realizzati con una sequenza di operazioni a volte ciclica153: taglio e/o livellamento; stesura di sedimenti fini; accumulo interno; apprestamento di eventuali
recinzioni (filari di pezzame litico) (tumulo XV); ampliamenti mediante apporti laterali per la posa di nuove tombe (tumuli X e XI); copertura estesa.
All’interno del campione di tombe della necropoli sono documentate le pratiche funerarie: dell’inumazione e della cremazione.
La struttura tombale non sembra molto varia154: per la prima fase tutte le deposizioni, e per la seconda fase la gran parte, sono “in piena terra” all’interno di semplici fosse155. Alcune di queste verosimilmente potevano essere dotate di protezione o di strutture di contenimento in materiale deperibile (legno)156, secondo una modalità che trova confronti in Veneto a
Montebelluna157, Altino158, Padova159, Este160, e in area carnica a Misincinis161. In due casi è
150 Forma con cui le sepolture si presentavano alla vista della ‘comunità dei vivi’. 151 Tumulo XV.
152 Questo aspetto del rituale, anche se con qualche variante, trova analogie con le necropoli di Montebelluna, Padova ed Este.
153 RUTA SERAFINI 2013, p. 93.
154 Questo dato è da ritenersi non del tutto rappresentativo perché la gran parte delle sepolture subì svariati eventi di manomissione tali da compromettere ad oggi una qualsiasi lettura della struttura tombale.
155 Anche l’inumato della tomba 69 è deposto direttamente entro una fossa scavata nel terreno.
156 Vedi in questo catalogo tomba 41: la pianta sub-‐quadrangolare potrebbe essere l’indizio di una disposizione del corredo entro uno spazio ben definito e regolare, forse determinato da un’originaria presenza di pareti lignee.
157 Posmon 2000-‐2001, tbb. 162, 165, 205.
158 GAMBACURTA 1996c, Altino, Fornasotti, tb. 17, Albertini, tbb. 1-‐5, pp. 47-‐50. 159 Necropoli di via Tiepolo, tbb. 2, 12, 20, 27.
segnalata con certezza la presenza di tracce lignee pertinenti ad una struttura tombale: la tomba 65 al momento del rinvenimento presentava uno strato di copertura di forma circa rettangolare costituito da travi lignee semicombuste, che fungeva da protezione superiore della tomba.
Il secondo caso riguarda la tomba 61 in cui era deposta una situla bronzea che conservava, sul fondo, una traccia di legno essiccato a testimonianza di un piano d’appoggio in legno, forse parte di una struttura del tipo a cassetta lignea.
In un unico caso è possibile ipotizzare una struttura mista, realizzata in parte con elementi lapidei e laterizi e in parte con materiale deperibile. E’ il caso della tomba 40 in cui si nota parzialmente un ingombro regolare caratteristico delle cassette litiche. All’interno della tomba sono stati recuperati un frammento di lastra calcarea e un frammento di laterizio, collassati sul fondo, pertinenti verosimilmente alle spallette della cassetta. Erano, invece, del tutto assenti sia un piano di base che di copertura forse perché realizzati in materiale
deperibile come il legno162.
Una volta realizzata la struttura tombale, al suo interno veniva sempre deposto il vaso
ossuario contenente le ceneri selezionate del defunto, cioè precedentemente separate dai resti della pira funebre, secondo la pratica dell’ossilegio163.
I resti della pira funeraria, la cosiddetta “terra di rogo”, nella gran parte delle necropoli venete, una volta sigillata la sepoltura, veniva deposta sopra la tomba. A Oderzo invece, tale aspetto del rituale funerario è, almeno all’interno del campione in esame, del tutto assente164. Qui i resti del rogo, sicuramente esistenti perché segnalati dalla presenza, anche se
discontinua, di alcuni carboni oltre che dalle ossa combuste, probabilmente venivano deposti
160 Adige ridente, Saletto, tb. 18, p. 214; Este I, Ricovero, tbb. 45, 50, 60, 69.
161 VITRI 2001.
162 La struttura del tipo a cassetta mista con pareti in lastre litiche e laterizio, e copertura-‐ basamento lignei non trova, per ora, confronti puntuali dalle altre necropoli del veneto antico. Il tipo di struttura mista maggiormente riscontrata in Veneto a Montebelluna, nel Bellunese e a Este è, invece, realizzata con pareti lignee e copertura-‐basamento in lastre litiche.
163 PERONI 1981, p. 100.
164 Solo all’interno della tomba 40 sono state individuati frustoli carbonizzati, ma date le ristrette dimensioni del campione è difficilmente associabile alla terra di rogo.
Inoltre anche ad Este (Casa di Ricovero), a partire dal V secolo a.C., tale pratica cerimoniale non è più attestata (raggruppamenti delle tombe E ed F); Adige Ridente, p. 61, p. 98.
all’interno di fosse situate in altri settori della necropoli non indagati, adibiti specificatamente per questa funzione165.
Il vaso ossuario era costituito nella quasi totalità dei casi da vasellame fittile, in maggioranza olle e situliformi. In un solo caso, all’interno del campione analizzato, è attestato come cinerario una situla di bronzo (tomba 61).
Nonostante l’entità ridotta del campione, la tipologia degli ossuari risulta particolarmente varia. Il tipo più frequente, attestato da almeno sei esemplari166, anche se con qualche minima variante, è quello dell’olla fittile con corpo sinuoso, caratterizzata da una spalla arrotondata decorata a cordoni rilevati167. Certamente questi vasi-‐ ossuari sono riconducibili ad una produzione vascolare locale che segue probabilmente un gusto attestato in particolare nel Veneto orientale168 e in Friuli occidentale169, a partire dalla fine del VI secolo a.C.
In due casi vaso ossuario e relativo coperchio sembrano scelti appositamente per fare
coppia170, cioè entrambi presentano le stesse peculiarità estetiche, secondo un gusto attestato anche in altre necropoli venete.
Il primo caso riguarda la tomba 59 in cui l’ossuario171, costituito da un’olla fittile definita di tipo ‘nordorientale’172, e il relativo scodellone-‐coperchio173 sono caratterizzati da una forma piuttosto tozza e da una decorazione a cordoni rilevati sull’orlo, verosimilmente con la funzione di alloggiamento. E’ particolarmente interessante notare come l’uso di questo
scodellone oltre a fungere da coperchio sembra, dato il suo notevole volume, quasi proteggere per intero l’ossuario, secondo una modalità di deposizione attestata, per ora, solo ad
Oderzo174.
165 Tale luogo è probabilmente identificabile, in parte, con il nucleo di sepolture rinvenute in Via Garibaldi, a poche centinaia di metri verso sud-‐ovest, in cui erano presenti sepolture di inumati e fosse di rogo. GROPPO 2013, p. 357; Mostra Sile Tagliamento 1996, pp.167-‐170. 166 Tb. 70, n.1; tb.65, n. 3; tb. 67, n. 1; tb. 22, n. 1; tb. 37, n. 1; tb. 40, n. 1.
167 GAMBACURTA 2007, fig. 29, n. 140, tipo 44a; fig. 20, n. 85, tipo 31a; Posmon, tb. 48, n. 1. 168 Padova, i centri lungo la valle del Piave e in particolare Montebelluna.
169 Palse di Porcia, Gradisca sul Cosa, Montereale Valcellina. 170 Tb. 59; tb. 60.
171 Tb. 59, n. 1.
172 NASCIMBENE 1999, n. 9, p. 27. 173 Tb. 59, n. 2.
174 Al di fuori del campione qui presentato, ma sempre all’interno della necropoli Opera Pia Moro, è attestata una tomba (tomba 32, presentata all’interno della mostra “Venetkens. Viaggio nella terra dei Veneti Antichi”; cfr. GROPPO 2013, pp.357-‐358) in cui l’ossuario, deposto nella fossa con il suo coperchio, viene protetto da uno scodellone. RUTA SERAFINI 2013, p. 94.
L’altra combinazione è riscontrabile nella tomba 60 in cui l’ossuario175 e il suo coperchio176 presentano il medesimo trattamento delle superfici caratterizzate da una decorazione a vernice rossa e dalla presenza di cordoni rilevati lungo tutto il corpo. Tale combinazione, situliforme-‐coppa scelti per fare coppia, trova confronti in particolare dalle necropoli atestine; ma il caso opitergino sembra discostarsi leggermente dai modelli “classici” sia per le
proporzioni del corpo che per il trattamento della superfice che, invece di essere
caratterizzata dalle classiche fasce rosse e nere, è monocroma decorata a vernice rossa. All’interno del nucleo in esame è attestato un solo vaso di bronzo impiegato come ossuario (tomba 61, n. 1) utilizzato, almeno a giudicare sulla sola base degli elementi di corredo, per accogliere verosimilmente i resti di una coppia di individui adulti. Si tratta di una situla di bronzo, probabilmente influenzata da modelli provenienti dall’area ticinese177, che risulta defunzionalizzata con l’asportazione delle anse secondo un rituale ben attestato in Veneto, dove la scelta di defunzionalizzare un oggetto, quasi sempre metallico, è legata
all’identificazione simbolica con il defunto178.
Gli ossuari probabilmente, secondo una prassi rituale sempre più attestata, venivano avvolti in tessuti, per rappresentarne metaforicamente l’identità. Tale pratica è documentata nella tomba 63: sulla superfice interna delle armille/cavigliere (3) si sono evidenziate tracce di materiale organico riconducibili ad un tessuto179.
L’identità del defunto, e di conseguenza il suo profilo sociale, oltre ad essere rappresentata dalla vestizione dell’ossuario veniva caratterizzata in particolare dagli elementi di corredo contenuti all’interno dell’ossuario. A Oderzo l’identificazione del defunto con l’ossuario (sottolineata in particolare dal corredo personale deposto in esso)180 sembra l’elemento simbolico più rilevante e sembra discostarsi dalla più evidente contrapposizione tra spazio esterno/spazio interno all’ossuario181 più evidente nelle necropoli atestine182.
175 Tb. 60, n. 1.
176 Tb. 60, n. 2.
177 DE MARINIS 1997, pp. 34-‐36. 178 NASCIMBENE 2003, p. 40.
179 Non avendo a disposizione dati sull’ubicazione precisa degli elementi del corredo, è da tenere in considerazione che queste tracce possano essere riconducibili anche a un sudario contenete le ossa del defunto.
180 Solo le tombe 60 e 61 presentano, oltre al corredo interno, un corredo esterno pertinente al defunto e quindi non semplice servizio d’accompagno.
181 Dove lo spazio ‘esterno’ è legato ai rapporti del defunto con la società, mentre lo spazio ‘interno’ riguarda l’intimità del defunto in cui è possibile analizzare le azioni cerimoniali attraverso i loro esiti archeologici.
Nonostante l’assenza di analisi delle ossa combuste e tenendo conto anche della
frammentarietà di alcuni ritrovamenti, si può comunque tentare in alcuni casi di ricostruire l’identità dei defunti attraverso la composizione dei corredi.
Sono riferibili a bambini la tomba singola 66 e una deposizione all’interno della tomba famigliare 40. La presenza in entrambe le tombe di ollette-‐ossuari183 di foggia semplice e di piccole dimensioni suggerisce di riconoscere le due deposizioni come sepolture infantili. I due piccoli ossuari erano privi di qualsiasi elemento di corredo interno in grado di connotare il rango e il sesso del defunto184. All’interno della tomba 66 era invece presente un corredo, esterno all’ossuario costituito da vasellame fittile da mensa che, però, non permette deduzioni precise.
Le deposizioni femminili sono caratterizzate da un corredo che, oltre a rilevarne l’identità, conferisce un certo risalto alla figura femminile rendendo evidente in questo modo il suo ruolo non marginale all’interno del tessuto sociale185.
I corredi sono tutti deposti all’interno del vaso-‐ossuario, generalmente un’olla fittile, e solo in due casi si nota un corredo distribuito tra l’interno e l’esterno dell’ossuario (tombe 60 e 61). All’interno dei corredi sono presenti, in modo esclusivo o tra loro associati, elementi
dell’abbigliamento (fibule; placca di cintura), ornamenti (anelli; pendenti; vaghi di pasta vitrea, di ambra, di osso; armille; amuleti), indicatori di status sociale elevato (manufatti realizzati in lamina d’oro) e di attività (fusaiole). Le combinazioni tra le componenti del
corredo mediamente risultano semplici186: il costume femminile standard è costituito da due a più fibule e da una collana, cui possono aggiungersi armille, anelli e amuleti.
Le fibule prettamente femminili ricorrono in numero e tipologia che variano da tomba a tomba; nella tomba 63 è presente un’unica fibula del tipo a sanguisuga con arco rivestito e staffa lunga; nella tomba 65 sono presenti tre fibule: due del tipo con arco in verga piatto e decorazione a graticcio e una di tipo Certosa; la tomba 59 contiene due varianti del tipo hallstattiano-‐occidentale e una con arco a fettuccia. Inoltre in altre sepolture reputate femminili sono presenti molte fibule di tipo Certosa a volte raggruppate in gruppi e inserite una nell’altra (tomba 40, tomba 61). Tra gli ornamenti ricorrono frequentemente i vaghi di collana, in particolare quelli realizzati in pasta vitrea, a volte valorizzati da motivi decorativi;
183 Tb. 66, n.1; tb. 40, n. 20.
184 Analogie, anche leggermente più antiche, sono riscontrabili a Montebelluna (S. Maria in Colle, tb. 7; Posmon, tbb. 40, 44, 70) e a Este (Este I, Ricovero, tbb. 172, 193).
185 RUTA SERAFINI 2013, p.97.
186 Dal VI-‐V secolo a.C, in tutto il Veneto, sia le parures femminili che maschili subiscono una semplificazione di numero di oggetti e combinazioni tra loro.
non sono rari i pendenti in vetro (tombe 34, 63, 61 e 23 ) e in bronzo (tombe 59 e 23). Particolarmente interessante è la presenza numerosa, rispetto ad altre necropoli del Veneto, di pendenti/amuleti con funzione magico-‐religiosa, di forma cilindrica, costituiti da laminette bronzee avvolte su un’anima realizzata sia con parti di ossa/zanne di animali non determinati, sia verosimilmente con elementi lignei di cui però non ci sono giunte tracce.
Scarsi sono invece gli strumenti legati all’attività artigianale; si segnalano soltanto due fusaiole provenienti dalle tombe 60 e 61.
I corredi maschili, a differenza di quelli femminili, sono costituiti da elementi decisamente meno connotativi del genere, tanto da rendere difficoltoso il loro riconoscimento.
All’interno del campione, sulla sola base dell’analisi archeologica, non sono emersi chiari corredi pertinenti a deposizioni maschili singole. Le poche attestazioni sicure provengono da deposizioni probabilmente bisome all’interno di un unico vaso ossuario. Di sicura
attribuzione maschile sono però le due fibule ad arco serpeggiante (tomba 59), e la punta di giavellotto in ferro187 (tomba 22). E’ importante notare che oltre alla quasi assenza di elementi legati alla sfera della guerra, mancano anche gli utensili pertinenti alla sfera artigianale come la lavorazione del legno, del cuoio, nonché alla sfera della caccia e al sacrificio.
Nonostante non vi siano evidenze archeologiche chiare è ipotizzabile, in almeno quattro casi, l’uso della pratica della riapertura della tomba a cassetta.
Le tombe 59, 61 e 22 documentano la deposizione di due o anche più individui in un unico vaso ossuario, legati certamente da un vincolo di parentela e difficilmente morti
simultaneamente. In tutti e tre i casi manca totalmente un corredo esterno e non si rilevano nemmeno quei frammenti di vasi che verosimilmente avrebbero dovuto costituire l’ossuario utilizzato per la prima deposizione e che sarebbe poi stato sostituito188.
La riapertura del sepolcro fu certamente praticata nella tomba 40 in cui sono stati deposti, in momenti relativamente a breve distanza l’uno dall’altro, più individui all’interno di 4/5
187 Nonostante la deposizioni di armi rientri in un linguaggio funerario inusuale in Veneto e Oderzo certifica questo comportamento, nelle altre necropoli dei centri di pianura, in particolare lungo la valle del Piave (Montebelluna), si nota tutt’altro comportamento caratterizzato da una forte presenza di armi caratterizzanti i corredi maschili.
188 L’assenza di queste tracce riflette un diverso comportamento durante questa fase del rituale, differenziandosi dalla procedura attestata nelle altre necropoli venete. Per Este si veda Adige Ridente, pp. 75-‐99; CAPUIS 1986, p.86.
ossuari, anche se non è possibile, in assenza di dati stratigrafici ricostruire la sequenza dei diversi interventi di riapertura189.
189 Sulla casistica delle varie evidenze archeologiche si veda GAMBACURTA-‐RUTA SERAFINI 1998, pp. 76.
V. L’ASPETTO CULTURALE
Dall’analisi del campione, anche se numericamente esiguo, di sepolture della necropoli meridionale di Oderzo è possibile ricostruire il principale carattere socio-‐economico del centro, cioè quello commerciale, del resto chiaramente indiziato dallo stesso toponimo (opi-‐ terg = al mercato).
Lo studio dei corredi qui presentati restituisce l’immagine di una società che almeno dalla fine del VI secolo a.C. è caratterizzata da una “classe media” abbiente, favorita dai floridi traffici in particolare con l’area del Veneto-‐orientale, l’area transalpina e più ad est, l’isontino, il Friuli e la Slovenia centrale190, capace di elaborare un linguaggio funerario che rientra a pieno titolo nel costume veneto, ma nel quale introduce modalità rituali peculiari, che per il momento non compaiono altrove.
La nascita della necropoli, ascrivibile tra la fine del VI e l’inizio del V secolo, coincide con l’inizio del periodo di massima espansione raggiuta dai veneti antichi. Da questo momento, ma in particolare dalla prima metà del V secolo a.C., Oderzo, grazie ad una fiorente economia basata sull’attività produttiva e commerciale, e grazie alla sua posizione strategica, che le consentiva di svolgere la funzione di centro-‐cerniera tra Veneto orientale e Friuli occidentale, sembra assorbire una serie di influssi esterni191 dovuti ad un nuovo sistema di rapporti ‘internazionali’. Le nuove dinamiche economico-‐culturali erano in grado di provocare forti mutamenti nelle forme di produzione (verso un artigianato più standardizzato e di tipo quasi ‘industriale’) e nella cultura materiale (creazione di forme di ibridazioni192), che avrebbe potuto innescare un processo di dissoluzione dell’identità etnico-‐culturale193 veneta verso una configurazione multietnica della società, che nel il IV secolo a.C. finirà per
contraddistinguere i territori di frontiera194.
Sulla base del materiale studiato in questo lavoro, l’aspetto veneto è riconducibile soprattutto nelle forme e nelle decorazioni dei vasi fittili utilizzati sia come ossuari che come elementi del corredo.
190 RUTA SERAFINI 2013, p. 96.
191 Influssi esterni che a detta di L. Capuis costituiscono la più vistosa connotazione del mondo veneto. CAPUIS 1993, p. 212.
192 Si vedano le fibule di forma ibrida e le relative considerazioni. Tb. 61, nn. 5b-‐c, 8-‐9 e tb. 59, n. 6-‐7.
193 CAPUIS 1993, p. 188.
194 RUTA SERAFINI 2001, p. 202. Oderzo non è da ritenersi un centro di frontiera ma sicuramente ricopre il ruolo di centro-‐cerniera tra Veneto orientale e Friuli occidentale.