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IL RIUSO DEL PORTO VECCHIO DI TRIESTE

Realizzato su un progetto unitario firmato dall’ingegnere francese Paulin Talabot, tra il 1860 e il 1900, il porto vecchio di Trieste, una volta ultimato, dimostrò subito la propria inadeguatezza a svolgere le funzioni per le quali era stato progettato e realizzato: tecniche di stoccaggio, dimensioni dei magazzini, rapporti geometrici e, più in generale, modalità portuali cambiate rapidissimamente tra la metà dell’800 e i primi del ‘900, avevano reso necessario il reperimento di nuove aree destinate alla portualità nella città di Trieste.

È dai primi anni del 1900, infatti, che inizia la costruzione, a sud est del centro cit-tadino (in posizione diametralmente opposta al porto vecchio), del porto nuovo. Ed è così che un’area di circa 60 ettari, 42 magazzini per una cubatura di circa un milione di metri cubi inizia il proprio lento declino.

Si tratta di un’area limitrofa al centro storico della città, di un’area di accesso alla città stessa, ubicata lungo la fascia costiera, delimitata da murature che ne sanci-scono l’appartenenza allo stato e il regime di punto franco escludendola dalla vita cittadina.

Verso la fine degli anni ’80 si susseguono una serie di progetti per il recupero e la riqualificazione dell’area che, con approcci e finalità dissimili, compongono un mosaico progettuale di certo interesse per la città e l’architettura contemporanea. Il primo di questi (relativamente ad una cronistoria contemporanea) è quello

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elaborato da Nicolò Savarese per FIAT, nel 1988: il progetto Polis. Si tratta di un

progetto qualitativamente mediocre che avrebbe probabilmente, ove realizzato, snaturato l’impianto urbano di parte del porto vecchio.

Di gran lunga più interessante la proposta del 1990 elaborata da Luciano Semerani, che partendo da una proposta di rilancio di tutta l’area marina della

Provincia per conto della Società Bonifica Spa, elabora un progetto certamente più avvincente, dove l’elemento centrale è il nodo architettonico di testata che lega l’impianto portuale alla città.

Fascinoso e di certo richiamo loosiano il risultato: un edificio gradonato sul mare con funzione alberghiera. Questo è un progetto che ben si inserisce nel tessuto storico della città e ne re-interpreta sapientemente e in chiave contemporanea i vuoti e i pieni.

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Segue l’ipotesi di Gino Valle del 1991, che all’epoca era stato incaricato da Generali.

La società assicurativa avrebbe voluto realizzare in quella sede il proprio quartier generale; in seguito, a causa della mole di difficoltà incontrate, aveva preferito trasferirsi nell’anonima, ma certamente meno complessa, Mogliano Veneto (VE). Il progetto di Valle scompone la maglia ortogonale dei borghi di fondazione otto-centeschi e lavora su assi prospettici e tagli sugli isolati che denotano il preciso momento storico dell’architettura.

Gino Valle per Assicurazioni Generali

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Del 1997 è la proposta lanciata dall’allora Presidente degli Industriali della Provincia di Trieste, Federico Pacorini, attraverso l’associazione Trieste Futura, che chiama quale progettista Manuel de Solà Morales.

Il lavoro cerca insieme di potenziare il porto nuovo – commerciale – di Trieste nell’a-rea semi dismessa dello scalo legnami e di recuperare le aree dismesse del porto vecchio con finalità diverse. Un progetto di reintegrazione urbana che tenta di va-lorizzare il patrimonio edilizio e gli spazi connettivi per promuovere una serie di attività sociali e commerciali e di snellimento della viabilità.

Tuttavia, anche questo ottimo progetto non trova le meritate fortune, probabil-mente a causa di diversi orientamenti dell’Autorità Portuale che affida, tramite la società Portovecchio Srl, un progetto di trasformazione dell’area stessa a Stefano Boeri che prevedeva, abolite le recinzioni del porto, la realizzazione di uno spazio

verde di relazione tra porto vecchio e borgo teresiano, un sistema di ingressi, sia dalla stazione ferroviaria che dal centro storico, e un collegamento pedonale tra porto vecchio e rive cittadine.

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Il progetto comprendeva inoltre un polo turistico ricettivo, con un albergo, un grande spazio convegni, una città dei bambini, uno spazio espositivo legato al mare, cinema multisala, spazi commerciali, una grande area per la nautica da di-porto. L’intenzione di Boeri era quella di garantire un rapporto forte con il centro storico localizzando funzioni a forte gravitazione.

Degli anni immediatamente seguenti sono due ulteriori progetti che in qualche modo interessano il porto vecchio. Uno di Aires Mateus e l’altro di Mario Botta.

Entrambi non di grande rilievo per varie ragioni: innanzitutto perché commissio-nati da privati, in secondo luogo perché limitati ad alcune parti – seppur interes-santi – dell’area.

Nei primi anni 2000 accade un fatto nuovo: Autorità Portuale e Consiglio Comunale approvano analoghe linee di indirizzo per modificare l’assetto dell’area del porto vecchio. È il 2003 e l’idea è quella di allargare le potenzialità del porto vecchio destinandolo a funzioni di portualità allargata per consentire l’insediamento di

funzioni anche di “centro città”.

La variante al PRGC1 relativo alle aree del Porto Vecchio (Maurizio Bradaschia

e Alberto Cecchetto) interessa un’area di circa 60 ettari ubicata a nord del

cen-tro storico di Trieste e viene impostata considerando la totalità dell’area come facente parte del centro storico cittadino, viste le caratteristiche morfologiche e tipologiche che caratterizzano il Porto Vecchio. Quest’ultimo diventa una sorta di quarto borgo di fondazione ottocentesca, affiancato a Teresiano, Giuseppino e Franceschino; un brano di città storica da conquistare al porto secondo una logica di avanzamento urbano “individuando nuove finalità e nuove attività in grado di restituire alla città il patrimonio esistente”.

Vengono perseguiti una logica e un approccio improntati a flessibilità e funzioni appropriate, corrette, più propriamente urbane, integrate e integrabili nella città storica circostante in una visione di funzionamento generale di tutta la città di Trieste.

Contemporaneamente alla redazione della variante al PRGC dell’area, dopo alcuni anni di preparazione, Trieste Expo Challenge Spa (una società mista, comprenden-te varie amministrazioni pubbliche) candidava la città all’Expo “riconosciuta” – e specializzata – del 2008.

Due le città concorrenti: Saragozza e Salonicco.

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Anche l’incarico per la redazione del Master Plan viene affidato a chi scrive (Maurizio Bradaschia) e ad Alberto Cecchetto.

Mobility of knowledge era il tema prescelto da un gruppo di scienziati e uomini di

cultura per rappresentare l’Expo 2008 a Trieste.

Il progetto era stato visto in funzione del riutilizzo di un’area urbana di centro città dismessa, recupero che vedeva, nell’Expo, il suo motore principale.

Era stato, inoltre, concepito come luogo dell’esplicitazione del tema e dei suoi significati, nell’invenzione degli accessi, del percorso (si trattava di un percorso unico e continuo, congeniato con estrema chiarezza e rigore, inequivocabile nel condurre il visitatore attraverso gli spazi e gli allestimenti sia interni che esterni), dell’impianto e soprattutto nella costruzione dei padiglioni tematici.

Il progetto era organizzato all’interno di un recinto principale, per una superfi-cie di 25 ettari, dove agli edifici preesistenti che ospitavano principalmente i 60

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padiglioni dei paesi espositori, erano affiancate nuove strutture, sia permanenti che temporanee, ospitanti attività di servizio, ludico ricreative, un teatro all’aper-to, aree espositive scoperte, padiglioni per gli sponsor e, nell’area fronte mare centrale, una struttura definita il “Palazzo dell’Interculturalità”. Si trattava della re-alizzazione di un Centro Congressi multisala finalizzato a rispondere alle esigen-ze dell’Expo e più in generale dell’intera città; segno tangibile e memoria futura dell’esperienza.La diga foranea prospiciente l’area Expo veniva riutilizzata come zona servizi e ospita aree per la balneazione su due livelli diversi verso il mare, una “promenade” dotata di servizi per la ricettività ad un livello superiore, e una banchina distributiva dotata di box e piccoli depositi a servizio delle attività di di-portismo nautico che qui trovano sede.

Purtroppo, nonostante gli sforzi, l’Expo venne affidata alla città di Saragozza e l’in-vestimento non decollò.

Maurizio Bradaschia e Alberto Cecchetto – Master Plan per Trieste Expo Challenge Spa

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Il successivo masterplan di Norman Foster (elaborato in realtà dalla Società

Systematica SpA, e rimasto, nonostante il prestigio del progettista, piuttosto in sordina) prevedeva nell’area del porto vecchio sostanzialmente due macro zone: la prima di parco, la seconda di area urbana.

Il progetto si caratterizzava per la plausibilità delle trasformazioni a breve, medio e lungo periodo, considerando l’area del porto vecchio sia come area portuale, che come facente parte del waterfront cittadino. Anche quest’ipotesi successiva al 2006, non ha avuto esiti fortunati.

Da ultimo un progetto di scarso interesse dal punto di vista progettuale, che de-finirei di natura speculativa, elaborato da due colossi dell’edilizia quali le Imprese

Rizzani de Eccher e Maltauro tramite la società Portocittà, orientato soprattutto

alla rendita piuttosto che ad una trasformazione attenta delle aree, abbandonato anch’esso lo scorso mese di marzo 2013, complice la crisi del settore immobilia-re e le difficoltà oggettive dovute alla vigenza del porto franco e della proprietà demaniale che certo non facilitano e probabilmente non faciliteranno a breve il riutilizzo e la trasformazione di quest’area, nata vecchia e rimasta in una sorta di limbo da oltre un secolo.

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